Pupi Avati è stato uno dei pochissimi registi italiani capaci di confrontarsi con Dario Argento sul suo stesso terreno senza scadere nelle inevitabili scopiazzature di rito e anzi proponendo una nuova via all'horror-thriller di casa nostra. LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO è uno dei pochi capolavori assoluti del periodo d'oro dello spaghetti thriller, un film capace di trasmettere un indicibile senso d'angoscia, di vero e proprio terrore attraverso luoghi e personaggi da antologia. La scelta di ambientare la storia della campagna ferrarese, descritta con gusto da un regista di capacità innegabili, si dimostra subito inaspettatamente vincente: ville diroccate, fiumi...Leggi tutto paludosi, morte e desolazione in un paesino di poche anime. E’ la dimostrazione che l'orrore può nascere anche alla luce del sole. Ma il vero punto di forza del film è la presenza incombente di Buono Legnani, “pittore d'agonie” tragicamente scomparso le cui sorelle celano tremendi segreti: i suoi quadri (bellissimi) sono la rappresentazione della sofferenza, il suo San Sebastiano la summa di mille sentimenti di morte. Non c'è pace per il povero Stefano (un Lino Capolicchio poco spontaneo ma comunque bravo), restauratore finito suo malgrado in un paese di mezzi matti (tra i quali un Gianni Cavina straordinario, coautore della sceneggiatura con Maurizio Costanzo e i fratelli Avati), catapultato in una Comacchio colma di foschi presagi. Finale degno di un perfetto horror, con sorprese a ripetizione. Avati fonde immagini da grande autore di cinema in una storia entusiasmante. Si ripeterà quasi agli stessi livelli solo con lo stupendo ZEDER.
Un capolavoro assoluto dell'originalissimo "gotico padano" di Pupi Avati. Complici anche le musiche di Tommasi, attanaglia dalla paura dagli inquietanti titoli di testa, scanditi a ritmo di coltellate, fino all'agghiacciante, ineguagliabile finale. Senza alcun effetto speciale, qui l'orrore diventa qualcosa di reale e credibile e la parlata emiliana - tradizionalmente associata a calore, divertimento e simpatia - si trasforma in un suono grottescamente perverso. Regia e attori perfetti. Kudos!
MEMORABILE: I titoli di testa; gli appunti di Pizzirani; il registratore; la telefonata della Marciano; l'apertura dell'armadio; il finale.
Magico, straordinario capolavoro dell'horror italiano, che turba per la capacità di far scaturire l'orrido e il fantastico dal quotidiano: per fare paura, come dimostra il film, non sono necessari né il sangue né l'iper-violenza. Flashback da antologia. Spiazzante, indimenticabile, sbalorditivamente perfetto l'ultimo minuto di film. La seconda visione sorprende per la percepita perfezione degli incastri. "As flores do amor, flores lindas do meu jardim, para vocês..."
Una sola parola: capolavoro. Molto inquietante, con un'ambientazione (la Pianura Padana) assolutamente originale. La tensione è sempre alta e la sceneggiatura convincente. Buono il cast attoriale, che prevede l'impiego di molti interpreti usi a lavorare col regista bolognese. Alcune scene restano indelebilmente impresse nella memoria dello spettatore. Sicuramente il punto più alto raggiunto da Avati.
Ottimo horror, che è subito sotto ai migliori della categoria (per me Profondo rosso e l'Esorcista). Italiano al 100%, a cominciare dalla azzeccata e misteriosa ambientazione nella Bassa Padana, fra quei casolari di campagna che spuntano sinistri tra il verde delle coltivazioni. Un perverso intreccio di rapporti tra fratello (il pittore delle agonie) e le due malefiche sorelle. Ottimi anche i personaggi di contorno, incluso un eccezionale "matto del villaggio".
L'ambientazione solare, la presenza di uomini di Chiesa (e quindi atti a dispensare speranza e vita), il fascino imperscrutabile della pittura: sta tutto nella dialettale (e provinciale) messa in scena, sorretta da un convincente (e mai più così bravo) Gianni Cavina, il pregnante senso di claustrofobia che è generato da contrasti così palesi quanto inimmaginabili (uomo/donna, bene/male, anima/corpo, luce/tenebra).
Raccontato, come da narratore anacronistico, per essere attentamente seguito possibilmente nelle notti invernali, presso il camino.
Sfiora la perfezione: musiche, ambientazione, attori, intreccio. È un puzzle con tutti i tasselli al posto giusto. Già l'inizio è stupendo (la voce roca, le immagini sgranate, le urla, il coltello lucente). Quando il protagonista giunge col battello, chi lo aspetta sembra uscito da un quadro (uno alto, uno basso e dietro un'auto rossa). Il posto e alcuni individui sono già piuttosto inquietanti senza bisogno di spargere sangue. Personaggi a dir poco felliniani in trattoria. Ovviamente, con un tale quadretto il povero restauratore avrà parecchi problemi. Dialoghi da gustare e bel finale.
MEMORABILE: "Finalmente una faccia nuova in questo merdaio".
Grandissimo esempio di gotico "solare" e di come una terra (splendida) come il Polesine possa fare da cornice ad una delle vicende più macabre e malate partorite dalla nostra cinematografia di genere. Nulla è lasciato al caso, ma al tempo stesso si respira quell'aria di "low-budget" che lo rende più "umano"... e quindi ancora più terrificate e sinistro. Una menzione d'onore alle musiche di Amedeo Tommasi, assolutamente perfette nella scelta degli strumenti utilizzati (due su tutti: Piano Fender e organo Hammond). Orrore allo stato puro.
Se esistono delle pecche in questo lavoro sono da ascrivere a leggerezze in fase recitativa. L'incipit pare un quadro, tale è la perizia nella scelta dei colori e ci si rende conto presto di quanto questo presagio suscitato dall'autore sia centrale. L'ambientazione è comune campagna e i personaggi sembrano soggetti da ritratto; i giochi di chiaroscuri in villa distruggono la tranquillità della luce solare, eppure è proprio la giornata di sole degli ultimi minuti a fare davvero paura. Finale memorabile.
MEMORABILE: Le immagini che corrono con i titoli d'apertura e, naturalmente, il finale.
Uno dei capolavori del thriller-horror italiano. Piuttosto originale sia dal punto di vista delle storia che da quello dell'ambientazione. Avati riesce ad orchestrare un notevole crescendo di tensione che termina in uno dei quarti d'ora finali più agghiaccianti mai visti, con un colpo di scena davvero geniale. Bravo ma inespressivo Capolicchio, discreta la Marciano, straordinario Cavina; niente male le musiche. Imperdibile.
Più che orrore, per tutta la durata della pellicola si ha un senso di inquietudine, si respira l'atmosfera malsana che circonda la piccola comunità del paese, fino a sfociare nell'orrore puro del finale, ma con una porticina aperta verso lo spettatore. Nonostante i chiari problemi di budget, Avati dà libero sfogo alla sua fantasia e confeziona un ottimo film che ha pochi punti deboli: zero sotto l'aspetto della sceneggiatura, qualcuno (ma passabile) sotto l'aspetto puramente visivo. Da consegnare ai posteri.
Difficile (inutile?) aggiungere qualcosa a quanto è stato detto e scritto, ovunque, quasi unanimemente, giustamente. Un capolavoro, e una splendida riuscita di un autore stratificato che ha più poetiche, una delle quali prepondera purtroppo nella sua produzione, ma in tal modo permette di isolare le perle. Film dall'atmosfera ineguagliabile, dall'orrore palpabile e credibile, dalle suggestioni vibranti (quell'inizio e quel finale che non si dimenticano più... ). Inchino.
Film visivamente molto suggestivo e riuscito con alcune originalità: è un noir con venature horror ambientato nella bassa padana (terra spesso adoperata come pretesto per pellicole decisamenti di alto registro). Avati cura nei particolari la messa in scena e la direzione degli attori, tutti molto bravi (in particolare Cavina, attore poco e male utilizzato dal cinema che conta). Il limite del film è la qualità altalenante della sceneggiatura, che spesso presenta elementi improbabili dal punto di vista narrativo.
Avati è un arcano incantatore, ci conduce sulle terre dilacerate dal Po, per evocare umori lovecraftiani, risvegliare alla luce del sole l'orrore di culti pagani immondi e ancestrali. Se l'indagine investigativa, dislocata in troppe location, appare poco coesa e il montaggio rimedia agli impacci narrativi con porte e finestre che cigolano, il film si distingue altrove: l'atmosfera panica e allucinata, la progressione spiraliforme che si avvita attorno al pittore delle agonie, lo confermano oggetto assolutamente inedito nella cinematografia italiana. Il finale è urticante e magnifico.
Originale thriller del primo Avati, ambientato nella bassa ferrarese e girato con bravura a livello di inquadrature e personaggi. Questi ultimi sono ben scelti, anche quelli di contorno, peccato per un Capolicchio troppo teatrale e incapace di dare vigore al personaggio principale. La tensione, anzi il mistero, si avverte senza bisogno di far ricorso ad elementi splatter e il finale è notevole. All'uscita pochi se lo filarono, ma anche la fama poi acquisita è per certi versi eccessiva. Comunque è sicuramente da vedere.
Splendido thriller di ambientazione padana, in cui l'orrore è più suggerito che mostrato e che, forse, proprio per questo motivo, riesce a creare un clima davvero inquietante che a tratti mette i brividi. Merito della sobria regia di Avati (che evita di indulgere in inutili e gratuite violenze o effetti splatter) e soprattutto di una sceneggiatura assolutamente riuscita, che crea un clima crescente di tensione davvero palpabile, fino a giungere all'indimenticabile finale.
Pupi Avati inventa l'horror padano. La storia è un meccanismo perfetto, le ambientazioni sono impeccabili e sfruttano, come mai prima, l'inquietudine che l'assolata pianura può recare. Ottimi anche gli interpreti che fanno parte di un gruppo ben collaudato dal regista. Capolavoro e capostipite di un genere.
L'essenza dell'orrore nella sua dimensione interiore, una sorta di rappresentazione grandguignolesca, ma senza clamore, imbavagliata invece in un raccapricciante alveo provinciale. Atmosfere inquietanti che fanno da sfondo a una trama costruita sapientemente. Un Avati in stato di grazia. Assolutamente da riscoprire.
Morboso: un aggettivo che calza a pennello per un film genuinemente terrorizzante che inaugura il filone dell'horror padano avatiano. Scritto ottimamente, questo lungometraggio ha le sue radici nel gotico ma si svolge in realtà con i colpi di scena di un thriller che si scopre a poco a poco. Capolavoro del genere, che ha creato una delle icone (la casa dalle finestre che ridono, che peraltro esisteva sul serio) più potenti del filone.
Onore ad Avati nell'aver capito il risvolto nero e funesto di una regione che tutti riconoscono come solare e allegra. Questo film, bello ma non eccezionale tuttavia unico e memorabile, vanta una delle più azzeccate location del nostro cinema ritratta ben meglio che in certi Antonioni ed è un film che davvero spaventa ancora oggi. Peccato per la recitazione, anche se la Marciano è molto bella e la perdono. E peccato per le musiche di Tommasi ex pianista di Chet Baker in "Chet is back", davvero brutte.
Inarrivabile horror made in italy diretto da un Pupi Avati ispiratissimo. Personaggi ottimamente delineati, suspense che procede in crescendo, diverse sequenze da mandare a memoria, a partire da un finale difficilmente dimenticabile. Cast affiatatissimo come poche volte accaduto nel nostro cinema di genere. Bella ambientazione padana e colonna sonora eccellente. Cult.
Il capolavoro gotico-horror di un regista a volte ipertrofico, ma in questo frangente asciutto e preciso come una coltellata. Starà tutta qui la fortuna di Avati: low budget uguale più resa spettacolare. Avesse anche Argento meno capitali da buttare, probabilmente non saremmo più costretti ad assistere a cose come La terza madre. Quei ghigni dipinti sulle finestre atterriscono anche a trent'anni di distanza. Immenso Pupi: fa ammalare lo spettatore illudendolo con la placidità dei luoghi.
MEMORABILE: La fuga in side-car alle prime luci dell'alba, come la corsa disperata della cavia dentro la sua gabbia.
Un buon thriller sceneggiato e diretto con una certa maestria per cui in poche occasioni tal genere nel made in Italy ne eguaglierà i risultati e per certi versi i così alti consensi. La suspance è costante, i ritmi sono serrati. Il cuore del film sono le location: la favola horrorifera contadina dell'infanzia di Pupi Avati lascia il segno con un timbro registico saggio nelle scelte e ingegnoso nei mezzi: il basso-costo non è un ostacolo, per lui. Un finale da pelle d'oca.
Forse il migliore film di Avati in assoluto. Racconta un'inquietante storia d'invenzione, ma credibilissima, ambientata in un paesino non ben identificato del ferrarese. Il macabro racconto si dispiega scena dopo scena, in un crescendo continuo, alimentato da sorprese e disvelazioni, fino a giungere all'atteso, quanto inaspettato, epilogo. Un capolavoro autentico che non invecchia mai al cospetto del tempo. Recitato ottimamente (Cavina strepitoso), poco sangue, pochi sobbalzi ma un senso profondo di angoscia che riverbera anche dopo la visione.
Discreto horror italiano dove i paesaggi e le scenografie la fanno da padroni. I personaggi sono sufficientemente interpretati da buoni attori ma il regista, forse, non dà una mano alla storia per essere credibile nel finale (cosa che mi ha molto sorpreso).
Horror lento e costante che trasmette suspense e curiosità, ambientato in un mondo che vive in una natura troppo silenziosa dietro le vesti dei suoi abitanti con le bocche cucite. Un giovane restauratore cerca di svelare quello che l'ambiente vuol nascondere. Bravi gli attori e bellissima la fotografia.
Stiamo parlando di uno dei migliori film italiani, in assoluto. Impossibile non immedesimarsi totalmente con il protagonista (Lino Capolicchio), dalla prima all'ultima scena. Un thriller vero dove si ha paura fisica, ambientato magicamente da Pupi Avati nell'atmosfera originale ed unica della bassa ferrarese e della sua gente, tra le nebbie del Po e i tanti misteri che quei paesini talvolta nascondono. Terrorizzante e insieme beffardo. Geniale e immaginifico. Imperdibile. Da vedere ed ascoltare possibilmente al buio e con la cuffia.
Dotato di un atmosfera unica, con ottime musiche che danno un inquietante tocco alla pellicola, buoni attori (cito Capolicchio, Tonelli, Walter e Cavina). Avati rende perfettamente l'aria di omertà del piccolo paese che sa, ma che per paura non vuole intervenire. Da citare il sopralluogo sulla casa, il prologo virato seppia, l'inquietante voce del pittore morente, tutto il finale (compreso lo choc conclusivo). Fondamentale.
Noir con venature horror che ha gettato una nuova luce sulla campagna emiliana, solare eppure possibile teatro di orribili delitti. Va detto che la sceneggiatura qua e là è lenta e incongruente (il prete), ma l'operazione può dirsi riuscita. Plauso agli attori, Cavina in testa, mentre Capolicchio (molto carino con la barba) delinea il classico ingenuo che potrebbe finire male. Anche le musiche contribuiscono all'atmosfera. Da vedere per conoscere l'alternativa ad Argento.
Uno dei migliori gialli-horror degli Anni Settanta. All'inizio vedendo come ambientazione un minuscolo paesino romagnolo qualcuno penserà "Si dorme...", invece il film si lascia seguire ed entusiasma. Trama molto intricata, la mano di Avati è sicura e il cast è superbo. Stupenda la colonna sonora.
Non sono un amante di Avati e questo sicuramente inficia il mio giudizio; detto ciò ho trovato la pellicola decisamente ben fatta, ma non ne sono rimasto entusiasmato. Certo è innegabile la cura dei particolari, così come il focalizzare l'attenzione dello spettatore verso un'aria malsana e nella nebbia e nel volgo. È un film grottesco ed allucinato a mio dire. Sicuramente ha il gran pregio d'inquietare e colpire con i suoi colori macabri. Il finale per quanto abbastanza telefonato è decisamente d'impatto. Da vedere!
Uno dei migliori horror di sempre. Con questo gioiellino Avati si colloca nell'Olimpo dei registi horror italiani. Particolarità da non sottovalutare è l'ambientazione di provincia, che conferisce al tutto un senso di omertà (tutti sanno ma nessuno dice). Attori bravi tutti. Sembra un'anticipazione del lynchiano Twin Peaks: in una ridente cittadina della Romagna nulla di male potrebbe accadere, ma in realtà sotto la placida facciata si nascondono misteri terribili... Inquietante l'inizio con la voce soffocata del pittore maledetto. Capolavoro.
Un incipit bruegeliano, un affresco che rende Dorian Gray una barzelletta, intervallate atmosfere malariche dove arcaismo contadino e maleficio zigano convivono, un sottofinale da pelo ritto sovrastante tutto il film (e l’intera filmografia di Avati, mai più così appestante): singoli addendi ben conservati nella stessa formaldeide del plot, ma il totale non è altrettanto faust(ian)o, ché ciascuno si somma a 0: i personaggi –come gli attori chiamati a evocarli- scarseggiano in credibilità, e i limiti tecnici, ritmici e di scrittura fanno pedalare la storia su un velocipede cui è scesa la catena
Di questo film mi è piaciuta molto la scelta dei luoghi e come sono stati ripresi; alcuni protagonisti sono molto bravi, altri meno; la colonna sonora è invece piuttosto brutta e la sceneggiatura altalenante e con le solite frasi ad effetto in dialetto. La storia sarebbe anche originale, ma la lentezza e la ripetitività con cui viene proposta alla fine stancano. Su tutto aleggia un senso di dilettantismo; fin dalla scelta, anche curata, degli oggetti e di certi personaggi. Le scene d'amore sono patetiche e c'è solo la bellezza della Marciano a salvarle.
MEMORABILE: Le immagini del'incipit sono molto particolari.
Ho sempre adorato i film che nella loro trama inseriscono un quadro, una galleria d'arte (vedi L'uccello dalle piume di cristallo e Profondo Rosso). Qui siamo di fronte ad un affresco, ma soprattutto siamo di fronte al primo capolavoro di Pupi Avati (gli altri colleghi sul podio saranno Zeder e Regalo di Natale). Un film costruito entro un' "atmosfera di sgomento e marciume" che riesce a spaventare davvero.
Restauratore di un affresco nella bassa ferrarese scopre dietro l'arte atroci torture e delitti. L'ambientazione è fondamentale, perché è grazie a questa che una storia thriller-horror dallo schema classico assume i contorni dell'originalità e della necessità. Sono infatti il paesaggio, la parlata, i volti mediterranei e la stessa mentalità paesana contadina il personaggio-chiave del film, che nutre a sua volta una storia (non a caso su un pittore alla Ligabue) che sa essere forte e avvincente senza fare il verso agli americani. Notevole.
Grandissimo film di Pupi Avati. Cosa sarà mai questa "casa dalle finestre che ridono"... il titolo può lì per lì trarre in inganno e far sembrare che non valga la pena di vederlo, ma in realtà ci troviamo di fronte ad uno dei migliori horror italiani mai realizzati. Atmosfere rurali, personaggi inquetanti e misteri investono uno strepitoso Lino Capolicchio (mai più a questi livelli di recitazione) impegnato nella restaurazione di un quadro nella chiesa del paese.
Splendido horror italiano, uno straordinario meccanismo di inquietudine che a trent'anni dalla sua nascita non ha mai perso il suo smalto. L'ispiratissimo Avati, senza ricorrere al sangue facile o ai cliché del genere, sa creare in location così gioiose e solari l'angoscia più opprimente. Cast degno (Capolicchio è poco convincente, ma la Marciano e Cavina sono bravissimi), sceneggiatura ben scritta. Un capolavoro, che farà scuola per molti. Amate Argento? Amerete Avati! ****½
MEMORABILE: Lo spendido finale e la terrorizzante scena con la Marciano che si trucca allo specchio, mentre una persona con la gonna bianca le cammina dietro.
Capolavoro di Avati e, con buona pace degli estimatori di Argento, miglior horror italiano di sempre. Geniale fin dalla scelta dell'ambientazione placida e solare, assolutamente non convenzionale, angoscioso come pochi per la capacità di creare, con una economia di mezzi encomiabile, un senso di oppressione crescente attorno al protagonista, fino al finale, scioccante e davvero inaspettato. Interpreti tutti adeguati (ottimo Capolicchio), colonna sonora efficace e fotografia funzionale contribuiscono alla riuscita di un film tuttora disturbante.
Sicuramente uno dei migliori di Avati (anche se il mio preferito rimane Zeder) e uno dei film chiave della cinematografia giallo/horror italiana. Il meccanismo è quello tipico del giallo all'italiana dell'epoca: un personaggio invischiato in una situazione pericolosa ed angosciante, deciso a far luce su una serie di misteri che avvolgono il luogo dove sta lavorando. Bellissime le sinistre location rurali, vere interpreti del film; belli i personaggi del pittore e delle due sorelle, un po' anonimo Capolicchio, bravo Cavina. Angosciante il finale.
Stimo molto Avati, regista poliedrico e prolifico, uno che il cinema ce l'ha nel sangue. Amo molti suoi film, ma questo non mi ha mai entusiasmato (e mi rendo conto di andare molto controcorrente). Posso capire l'ambientazione suggestiva, ma la storia non regge e la suspence è telefonata. L'intreccio e i personaggi funzionano poco e male. Pietosa poi la prova di Capolicchio. Ingiustamente, secondo me, inserito fra i capolavori del nostro thriller; del buon Pupi preferisco di gran lunga il recente Il nascondiglio.
Gran bel film, che senza spargere troppo sangue (tranne nelle scene finali) riesce comunque a impaurire (nel vero senso della parola) il pubblico con carrellate "nel buio", rumori, suoni, luci e voci misteriose che per tutto il film seguono il protagonista, un bravo Lino Capolicchio d'annata che si trova suo malgrado in una vicenda di affreschi sospetti e di omertà. Ottime musiche che assillano continumente lo spettatore e una splendida fotografia, volutamente "sfumata", che riesce così ad angosciarci ulteriormente (il colpo di grazia...).
MEMORABILE: La scoperta finale. Le registrazioni dei deliri di Buono Legnani.
Buono. Vera protagonista della pellicola è quell'estrema propaggine della pianura Padana che è il Polesine: un ambiente bucolico, che una sapiente regia rende quasi opprimente e insostenibile nel suo "nulla" spinto (case isolate semidiroccate, i paesi sonnolenti, i lunghi orizzonti); un ambiente naturale perfetto per le inquietanti presenze che pervadono il film fin dall'inizio e che si concretizzano col procedere dei minuti. Un po' di noia nella prima parte, nettamente meglio la seconda.
MEMORABILE: La "Casa dalle finestre che ridono", appunto!
Qui ci troviamo davanti al film che, inssieme a Profondo rosso, detiene la palma di miglior giallo italiano. Avati è un regista di autentico talento multiforme e qui ne dà ampia prova, con una storia torbida e incredibilmente angosciante ambientata in una pianura padana mai così cupa. Come nel caso di Argento purtroppo, i livelli qui raggiunti non si ripeteranno più. Omicidi di insolita violenza e uno dei finali più spiazzanti e angosciosi del genere.
Uno degli apici del nostro giallo-thriller. Ambientazioni perfettamente consone alla vicenda e sempre sospese tra l'onirico e il reale (vedere a titolo d'esempio sia il finale - assolutamente superbo - che intelligentemente rifiuta la logica per concentrarsi sull'orrore a l'atmosfera). Il tutto è valorizzato dall'ottima regia, che ben dirige tutti gli interpreti (anche se Capolicchio non è il massimo) e da una scenegiattura che dosa gradualmente le varie rivelazioni. Da antologia il prologo, con inquadrature sfocate e una voce terrificante.
Malsano e perverso grazie a location angoscianti e rurali. Si insinua il dubbio che qualcosa di malefico ci fosse davvero nei posti in cui fu girato. Il film ha tutti i pregi e i difetti dei film buoni di Avati: una bella idea, un climax palpabile, sangue al momento giusto, attori terribilmente brutti ed efficaci, i difetti stanno in un montaggio non sense e tante pause con ellissi madornali. Ma qui l'impianto è solido e la storia fa paura... tanta! Forse la cosa più bella è che se Argento rifà Bava, Avati ha ispirazioni letterarie.
MEMORABILE: Ieri ho dipinto quella svergognata mentre crepava...
Il corpo-tavolozza di un pittore pazzo, ritrattista di agonie: perché la sua arte viva, qualcuno deve morire. Tra untuosi veleni di paese, il restauratore Stefano scrosta pezzo per pezzo la patina del tempo da un affresco terrorizzante. Intorno a lui, i vivi muoiono e i morti tornano in vita. Dopo il primo colpo di scena (il suicidio dell'amico di Stefano), il ritmo rallenta anche troppo, la storia d'amore con Francesca è impacciata, artefatta, banalmente funzionale alla trama, ma il finale riscatta ogni insufficienza. Notevole.
Non è privo di difetti (attori inespressivi, colonna sonora insignificante) e non si inventa nemmeno nulla di nuovo: un protagonista che si appassiona per caso ad un mistero, il quadro inquietante (in realtà piuttosto rozzo), una villa diroccata con finestre e porte che si chiudono da sole, una voce registrata su nastro. Eppure qui vale la massima di Umberto Eco per cui "un cliché è ridicolo, ma dieci cliché commuovono". Non arriva a sovvertire le regole del genere, semplicemente eccelle nella loro padronanza: pare poco?
MEMORABILE: "...pensa quando hanno iniziato a scarseggiare i morti"; "le sorelle... le sorelle sono delle gran troie"; "ora mi tocca fare tutto da sola, ih ih"
Strepitoso davvero. L'incursione di Avati nell'horror rurale è di quelle che rimangono impresse. La regia è ispirata, gli attori fanno il loro dovere ma nulla più (una menzione particolare per la Marciano) e le ambientazioni fanno davvero tutto il resto supportate da musiche perfette. La sceneggiatura, contorta e accurata, cala lo spettatore al fianco del protagonista in una caccia alla verità dal finale memorabile. Film e autori di questa qualità davvero sono rari ormai.
A tutt'oggi l'unico film che m'abbia lasciato un certo senso di disgusto ed inquietudine. Pupi Avati scrive con il fratello, Gianni Cavina e Maurizio Costanzo una storia morbosa, folle, perversa, dove non ci si può fidare di nessuno: e tutto nell'afosa Val Padana, alla foce del Po. Tra gli attori per bravura spiccano Gianni Cavina e Giulio Pizzirani; per strilla e smorfie rispettivamente la Marciano dal viso dolce. Subdole, inquietanti musiche di Tommasi. Da guardare (rigorosamente di giorno!).
Una storia agghiacciante narrata in un contesto inaspettato e originale, che Avati riesce ad usare per amplificarne l'inquietante forza espressiva. L'assolata campagna romagnola e le placide acque del Delta non sono più rassicuranti e benevole: per questo la paura è libera di annidarsi ovunque e di riempire ogni inquadratura, per emergere gradualmente in un crescendo di delirio. Esempio di come si possa giungere a livelli altissimi nonostante l'assoluta povertà: atmosfere indimenticabili, regia magistrale, una perla rara del cinema italiano.
Assurto (e con giusta ragione) all'Olimpo dell'horror tricolore, questo film sorprende per il senso di inquietudine che riesce ad infondere sin dalle prime, raggelanti, inquadrature del prologo virato in seppia (idea ripresa in seguito da Fulci) con la voce fuori campo del pittore matto Buono Legnani (la voce registrata è di Gianni Cavina). Malsano, morboso, genuinamente terrorizzante e diretto con solidità e mestiere da Pupi Avati che forse avrebbe potuto insistere nell'horror. Assolutamente perfetto Capolicchio nel ruolo di protagonista.
Giustamente celebrato come uno degli apici dell'horror italiano, in realtà non si discosta da molti altri dell'epoca per trama. Quello che lo eleva è la maestria nel creare atmosfere torbide, oscure e dare un vero senso di tensione mentre lo si guarda; il tutto racchiuso sempre nella piccola provincia padana che culla storie inenarrabili. Detto ciò non fa economia di certe scene programmatiche care al genere ma si riscatta con un finale angosciante che è pura licenza poetica. Ogni regista in erba dovrebbe vederlo e studiarlo.
Per fare un horror non servono né castelli infestati dagli spiriti né notti tempestose. Avati spiazza tutti e ambienta una storia davvero angosciante nientemeno che fra le valli di Comacchio. La classe non è acqua e Avati ne ha da vendere: con gusto e sensibilità tipicamente italiani, realizza un capolavoro. Il finale lascia l'amaro in bocca: geniale. Semplicemente perfetto.
Un bellissimo e velatissimo horror senza esagerazioni ma con una tensione palpabile e persistente per tutta la sua durata. Interessanti personaggi e relative "liasons". Location solari del pianura ferrarese che però, inserite in una trama di questo genere, con casali abbandonati e l'assenza di un orizzonte visibile, diventano subito crepuscolari, un po' come per il Polesine di Road to L. Ottime la sceneggiatura e la caratterizzazione degli interpreti. Sapore leggermente argentiano! Ottimo!
MEMORABILE: "Io conosco un posto dove i curiosi come te possono perdere la testa!"
Un capolavoro di genere. Atmosfere inquietanti e una storia terribilmente verosimile, ambientata nella provincia italiana più sperduta e becera. Il mistero aleggia per tutta la durata della pellicola, che ne risulta intrisa fino all'ultima sequenza. Un ignaro restauratore viene chiamato a riportare alla luce un affresco maledetto in una bassa Padana terribilmente insolita. Qualcuno ha interesse a che tutto resti celato. Notevole opera nera.
Al suo primo film di successo, un Pupi Avati ancora molto lontano dalle commedie nostalgiche che caratterizzeranno la sua produzione successiva, non sembra curarsi troppo della logica narrativa, ma valorizzando l'ambientazione padana, con pochissimi mezzi e poco sangue, confeziona un vero e proprio capolavoro del thriller made in Italy, costruito sul filo di una tensione crescente, che sfocia in una conclusione micidiale e inattesa. Bravi i tre protagonisti, soprattutto Cavina. Funzionali le musiche di Amedeo Tommasi.
Ho già detto più volte che detesto l'Avati patetico-consolatorio e quello "degli amici al bar". Ma questo film - il suo VERO capolavoro, al di là di quello che afferma certa critica buonista - è veramente qualcosa di speciale, un gioiellino del genere gotico all'italiana, che affonda le sue radici nei grassi e sanguigni umori della terra d'Emilia. Girato in economia ma sapendo utilizzare ogni spunto, ogni suggestione offerta dal paesaggio e dalla storia. Davvero inquietante e sorprendente il finale.
Buono Legnani è uno dei migliori personaggi horror italiani; di film cosi ce ne vorrebbero di più, la provincia italiana può offrire molto, sia nell'assolata estate (gli americani girano horror nei deserti) che in altre stagioni. La trama è ricca di colpi di scena, molto ben costruita attorno alla figura di un pittore; tra vecchi casolari e il silenzio della gente del piccolo borgo si respira un'atmosfera inquietante e di mistero, nel quotidiano.
Ambientato in una Bassa Padana avvolta da vivi colori, il film trasuda inquietudine e mistero, che la narrazione alimenta con valida struttura. Un thriller che sfocia nell'horror nel convulso e volutamente incerto finale. Musiche appropriate ed interpreti ben diretti.
Un Pupi Avati d'annata dirige uno dei migliori horror gotici mai prodotti nel nostro paese. Il film è ambientato abilmente in una provincia della bassa padana promiscua, consenziente e ambigua in cui il regista riflette sull'arte come follia (memorabile il “pittore d'agonie” Buono Legnani). Inquadrature di rara bellezza toccano le corde giuste dell'angoscia. Eccezionale il finale, agghiacciante e sospeso, che lascia smarriti. O Pupi: questo era il tuo cinema!.
Decisamente superiore allo stiracchiato e sghimbescio Zeder. Qui Avati conferma un sicuro talento per la scelta dei luoghi e per lo svisceramento dell'inquietudine con un occhio quasi lynchiano. Ci mette però davvero troppo a decollare, la sceneggiatura zoppica spesso e volentieri e il finale è piuttosto sciapo. Notevole invece il cast, nonostante la massima inespressività dei due protagonisti (saranno pure i ruoli...). Comunque, classico thriller che porta ancora piuttosto bene i suoi annetti: non c'è più un cinema italiano così.
MEMORABILE: "Sarà stato qualcuno!" "Ma vaffa..."; le espressioni dei commensali quando vedono per la prima volta Stefano.
Film fondamentale del giallo italiano, tra i primi lavori di Pupi Avati. L'ambientazione suggestiva in un paesino della bassa padana ben si adatta alla sceneggiatura (che vede lo zampino anche di Maurizio Costanzo) e ai dialoghi che tengono lo spettatore bloccato alla poltrona sino al colpo di scena finale. Imperdibile.
Il giallo, l'orrore, la paura rappresentata dal cinema italiano degli anni '70 non è soltanto un guanto di pelle nera e il coltellaccio sanguinante. Avati si cimenta nell'allora proficuo genere cosiddetto "argentiano" ambientando saggiamente il racconto in una solare pianura ferrarese servendosi del suo attore feticcio: il sommo Lino Capolicchio (la cui stima è da me qui riconfermata). La vicenda è abbastanza standardizzata e segue gli stilemi del giallo, ma è il tocco di Avati che sa dare un'impronta del tutto particolare e affascinante.
Uno dei più grandi horror di sempre, italiani e non. Nelle inquietanti atmosfere della soporifera pianura padana, immersa però tra segreti ed inconfessabili misteri sepolti, Avati costruisce il miglior film della sua carriera, basandosi su di una sceneggiatura di irraggiungibile grandezza, ricca di colpi di scena e svolte narrative riuscite. Ottimi i comprimari, a partire dalla straordinaria ed indimenticabile Pina Borione nel ruolo della sua carriera; un po' sottotono Capolicchio. Uno di quei film da vedere almeno una volta nella vita.
La versione restaurata ha ridato nitidezza ad un film dal quale mi aspettavo di più. Considerando la classificazione dei film in due tempi, il primo ha uno svolgimento esile e lento che non mette apprensione, forse per l’abitudine a film di maggior suspence che fa sembrare innocui i soliti rumori, sospiri, telefonate misteriose e simili. Nel secondo però c’è una netta ripresa. Il ritmo si intensifica e i dispersivi tasselli precedenti trovano collocazione in un filo logico che comincia a tessere la tela di una tensione sempre più efficace. ***
Avati e l'horror rurale. Il regista crea un geniale effetto anti-gotico ambientando un thriller in un paesaggio familiare come l'assolata e sonnacchiosa campagna dell'Emilia-Romagna, dove il paese è piccolo, la gente mormora e ci sono molti scheletri nell'armadio. L'idea di rendere gli scheletri da metaforici a reali fa poi sì che macchiette di paese, come lo scemo del villaggio o la vecchia paralitica, solitamente ridicoli, acquistino qui un'aria grottesca, per non dire inquietante. Argento, guarda e impara...
MEMORABILE: Ritmo lento, ombre e scricchiolii superflui, ma il climax non delude e il finale non si dimentica.
Per apprezzarlo fino in fondo e dargli il valore che merita è anche necessario capire le sensazioni di un sifilitico che ormai ha raggiunto la pazzia e che tenta nella sua stessa pazzia una violenta purificazione che possa dare un benchè minimo sollievo alla sua tortura, ma ancora di più l'arrendevolezza, la miseria culturale, la non speranza di un'intera area geografica, che non trova niente di meglio che trincerarsi dietro l'omertà assoluta. Il resto è troppo facile... Storia agghiacciante e fantastica, attori al meglio, Cavina superstar...
MEMORABILE: Le parole e il suicidio di Buono, l'affresco stupendo, il sarcasmo di Lidio...
Una delle rare incursioni di Avati nell'horror (la più conosciuta e forse la più riuscita): un giovane restauratore, incaricato di lavorare su un macabro affresco porta allo scoperto un'orribile verità che sarebbe stato meglio ignorare. Ottima storia gotica ambientata in un apparentemente tranquillo paese emiliano, in realtà copertura di mostruosi misteri. I discorsi malati del pittore registrati su nastro sembrano anticipare Raimi, alcune scene ricordano film coetanei (il primo omicidio, molto simile a quello di Profondo rosso). Finale agghiacciante.
MEMORABILE: L'incipit; le figure ammantate di bianco; la voce del pittore; il cadavere in formaldeide; il terrificante ed inaspettato finale.
Il rantolo di Buono Legnani sul nastro, la casa con le bocche dipinte, l'affresco di San Sebastiano, la vecchia che intona una nenia brasiliana... tutto in questo film concorre a creare un'atmosfera sinistra, morbosa, malata. Avati mette in scena uno dei film italiani più inquietanti e spaventosi mai realizzati e non lo fa copiando le suggestioni d'oltreoceno, ma attingendo al patrimonio di leggende ascoltate quando era bambino. Con un tale risultato si passa sopra qualsiasi imperfezione tecnica. Semplicemente terrificante.
L'odore stantio della morte e del sangue, macabre filastrocche brasiliane, corpi decomposti in formalina, baite con le finestre che ridono, orrori ancestrali e innominabili, Buono Legnani che si ritrae con disturbanti parvenze femminili, carne martoriata e riti sanguinari, frigoriferi contenenti lumache, dipinti che olezzano di blasfemie terrifiche. Marciscente e devastante viaggio nella follia umana più perversa, il vero Non aprite quella porta italico. Andata per l'inferno nella campagna ferrarese che lascia il segno per sempre. Capolavoro.
MEMORABILE: Assolutamente l'inizio con il corpo appeso preso a coltellate e la filastrocca. Il terrifico finale. I racconti di Cavina sulle sorelle del Buono.
Ambientato in una misteriosa Romagna, l'horror-giallo del grandissimo Avati si dimostra una pietra miliare del genere. La tensione del film ci terrà incollati per quasi tutto il film e anche se il ritmo non è incalzante ci sarà da divertirsi. Ottime la sceneggiatura, la fotografia e ci metto pure l'ambientazione sopra la media. Lo consiglio agli amanti del giallo.
Il vecchio Pupi ci regala un gran giallo-horror d'autore. Uno dei migliori italiani, scritto con l'susilio di Maurizio Costanzo. La tensione ci accompagna per tutto il film. Notevole come ci viene rappresentato lo spaccato di provincia, come lo studio dei personaggi. Sceneggiatura curata e ottima fotografia. Non ci sono punti deboli e non appare mai scontato. Straordinario modo di fare cinema con mezzi tutt'altro che faraonici.
Ambientazione ideale e non solo: protagonista aggiunto per rendere materiale l’orrore invisibile che si cela dietro gli anfratti di una cittadina apparentemente innocua, sonnacchiosa, passiva. Regia che detta i tempi della vita che scorre e delle paranoie che aumentano e che avvalora uno straordinario horror gotico a tinte gialle con personaggi dalla personalità ambigua, bruttissimi, come in preda da un incantesimo maledetto. Inquietante e raggelante lo splendido finale. Gioiello da incorniciare.
Bellissimo thriller, tra i migliori prodotti del genere nel panorama italiano. Il regista Pupi Avati è in grado di concentrare in un unico prodotto tutte le caratteristiche di un vero film di paura: tensione costante e atmosfera malsana sono le caratteristiche principali della pellicola. Eccellente la scelta dell'ambientazione padano-romagnola (la trattoria, la chiesa e la terrificante soffitta...). Finale capolavoro, che lascerà a bocca aperta lo spettatore. Un piccolo gioiello del nostro cinema.
Bellissimo thriller/horror in ambientazione padana. Avati ci regala questo gioiello di gotico all'italiana con location fantastiche, personaggi inquietanti e una storia che coinvolge fino all'ultimo. Chi ha detto che l'Italia è solo sole, mare e mandolino ? Avati, con maestria, trasforma il delta del Po ferrarese in una location da incubo...
La pianura padana non sembra il luogo più adatto per ambientare un horror, eppure il film di Avati riesce a sfruttare al meglio quell'atmosfera luminosa e sonnolente per nascondere e poi rivelare gradualmente un inferno di immagini blasfeme, corpi immersi in formalina, registrazioni deliranti e orribili segreti familiari, trasformando l'affabilità quasi comica degli abitanti del villaggio in un'inquietante omertà. Il meccanismo funziona così bene che il modesto aspetto tecnico passa del tutto in secondo piano. Finale di rara efficacia.
MEMORABILE: L'incipit; La fuga al sorgere del sole; Il finale.
Un ottimo giallo italiano, diretto da Pupi Avati con uno stile che non sfigura al confronto col sommo Argento. L'inizio è molto lento (e questo può pesare), ma il mistero poi si infittisce e i luoghi nebulosi e spogli contribuiscono a creare un'atmosfera assolutamente inquietante. Bravissimo Capolicchio, ma non da meno il cast di contorno, in cui si trovano facce ambigue e personaggi grotteschi al punto giusto. Bel finale.
Ottimo prodotto di genere con un sorprendente senso della suspense e un'azzeccata ambientazione. Anche se con alcuni limiti di budget, Avati e co. hanno conferito quel giusto senso di paura dato dalla sorprendente sceneggiatura e dalla pseudo normalità di provincia. Giustamente rivalutato negli ultimi anni, è da vedere assolutamente.
È ovvio che trattasi di un film realizzato con (relativamente) pochi mezzi, ma ciò nonostante è perfettamente riuscito. Ottima la scelta dell'ambientazione e degli attori per un horror nostrano che rimane senza dubbio uno dei migliori esempi del genere. Interessante la colonna sonora.
La morte che non finisce, misteriosi gruppi intenti ad architettare improbabili (ma non nei loro film) contatti con l'aldilà, improvvisati quanto imprudenti detective, ricercate ambientazioni: è il marchio degli Avati sin da questo primo tentativo nel campo. Ottimamente riuscito: a parte qualche piccola sbavatura si respira un crescendo di paura senza bisogno di ricorrere allo splatter; piuttosto quello che spaventa è l'atmosfera morbosa, inquieta e malata perfettamente coniugata con un paesino ai margini della provincia, quasi fuori dal tempo.
MEMORABILE: La voce del Legnani; L'acqua immota dei canali; La casa immersa nella vegetazione incolta.
La grande lezione del cinema di Avati in genere è che si possono realizzare opere di pregio con materiali minimi e, nel momento in cui viene affrontato il genere gotico, che è molto più efficace un film girato alla luce del giorno che il banale e abusato notturno. Avati costruisce un film fatto anche di sguardi, di silenzi che creano un ritmo raramente appesantito da dialoghi superflui. Resta una tensione assolutamente palpabile e verosimile: per questo, all'epoca e non solo, ha letteralmente terrorizzato gli spettatori. Grandi le location.
Gloriosa pagina del thriller all'italiana firmata da Pupi Avati, che realizza uno dei film principali del genere. L'ambientazione e il tacito consenso da parte degli abitanti della campagna ferrarese nel nascondere la verità rappresentano i due punti di forza maggiore della pellicola. L'ignoranza, la dappocaggine e l'omertà delle persone che circondano Stefano (un buon Capolicchio) fanno di lui il protagonista più solitario che si possa immaginare. Finale spiazzante e fantastico.
Ottima prova per Pupi Avati in questo buon giallo ambientato nelle paludose campagne ferraresi. Bravissimo a rendere misteriosi ambienti rurali (lo rifarà anche in Zeder più avanti), includendo nel cast quel Cavina che lo accompagnerà in molte pellicole. Il senso di omertà di questi ambienti è ben rappresentato, i personaggi del film sono tutti azzeccati e seppur piuttosto lento esclusa la parte finale, molto riuscita, il film rimane uno dei migliori del genere.
MEMORABILE: L'espressione di Capolicchio quando comprende la verità.
Il miglior film di Pupi Avati e uno dei migliori horror made in Italy. Il pregio maggiore è l'ambientazione: chi potrebbe mai immaginare che un tranquillo paesino possa nascondere un orrore così grande? Fantastica poi la suggestione che il film crea minuto dopo minuto fino all'imprevedibile finale. Pure la colonna sonora è perfetta. Uno di quei rari casi in cui ti spaventi di più alla seconda visione. Capolavoro assoluto!
MEMORABILE: "Oggi ho ritratto quella svergognata mentre crepava".
Capolavoro horror padano di Avati che porta in luoghi che ricordano quelli cari a Don Camillo e Peppone la storia misteriosa e avvolgente di un pittore pazzo e delle sue diaboliche sorelle. Film assolutamente personale e fuori dagli schemi del genere, grande atmosfera e ottimi interpreti come Lino Capolicchio, Francesca Marciano (futura sceneggiatrice), Gianni Cavina e Eugene Walter, l'ambiguo parrocco del paese.
MEMORABILE: La scoperta della casa con le finestre che ridono; Il finale.
Capolavoro artigianale. Può avere qualche limite qua e là, ma sono abbondantemente coperti dalla narrazione e dalle scene (tipo gli scheletri che prima vengono rinvenuti da Cavina e Capolicchio e che poi con i carabinieri inspiegabilmente non ci sono più). Lo vidi nei primi 80 e mi ha segnato: le zone dove venne girato (e che ho visitato) sono povere e depresse, ma hanno un fascino tutto da scoprire. Ottima colonna sonora.
MEMORABILE: Per lui dipingere la morte è vivere, vieni, vieni a vederlo, tu lo ammiri il nostro fratellino, lo senti che bella voce ha... non aver paura...
Capolavoro di Pupi Avati che con questo film ha rivitalizzato il cinema gotico iniettandovi quei colori regionalistici che saranno poi la sua cifra stilistica degli anni a venire anche in generi totalmente diversi. L'operazione non solo è riuscita ma anzi contribuisce non poco a valorizzare e accrescere l'efficacia delle atmosfere, offrendoci lo spaccato di una provincia marcia, dimenticata da Dio, corrotta e, in definitiva, davvero paurosa. Splendide fotografia, colonna sonora ed effetti sonori. Memorabili alcune sequenze.
MEMORABILE: Veramente inquietante l'immagine del pittore che dipinge se stesso come donna utilizzando il braccio destro come tavolozza.
Vero e proprio cult dell'orrore italiano. Visto la prima volta da ragazzino ne rimasi terrorizzato e affascinato. Indimenticabile l'indagine di Lino Capolicchio (bravissimo) sul "pittore delle agonie" Buono Legnani che porta a galla i segreti e gli incubi della provincia ferrarese. Macabre ville di campagna, omertà, paura, scheletri sepolti, perversi rituali. Avati ha il merito di aver creato un vero e proprio genere: il gotico padano. Ottimo il cast: la Marciano, Tonelli, Brambilla, Walter, la Borione e naturalmente Cavina.
Il restauro di un misterioso affresco risveglia vecchie, terrificanti memorie che il tempo sembrava aver ricoperto di nero oblio. Un vero classico del genere che mescola mystery e horror, in chiave decisamente demonologica, amplificandone gli aspetti espressivi proprio grazie alle ambientazioni desolate e così apparentemente pacate. Il delitto sgorga dove la pace fittizia ha bisogno di una valvola di sfogo, color rosso sangue.
MEMORABILE: Il "mimetismo" attoriale perfetto di Lino Capolicchio.
Un classico del perturbante italiano. La provincia, coi suoi umori languidi e i segreti inconfessati, è la protagonista assoluta del film; essa si fa corpo colle sue splendide e scialbate architetture (ville, poderi, chiese, scalinate, affreschi) e le campagne gravide di storia (viottoli, frutteti, specchi d'acqua): in tal modo funge da cornice perfetta a una vicenda pervasa da una sordida dissoluzione morale. Misurate le interpretazioni (bravo Cavina); indimenticabile il finale.
Rivedendolo dopo anni, ancora mi sorprende quanta impressione mi faccia l'atmosfera malsana, malata che il film crea, scena dopo scena, in un crescendo solo raramente interrotto da qualche incastro non perfettamente riuscito. Film dalla compattezza stilistica non comune, con tanti elementi diversi non necessariamente fatti per stare insieme in una sceneggiatura. Sempre a mezzo centimetro dal bric-a-brac eppure sempre ipnotico. Girato con due spicci (e si vede), ha qualche ingenuità che si perdona fin troppo volentieri. Ammorbante.
Se pensiamo che il racconto è ispirato da un episodio d'infanzia del regista, il film risulta ancora più impattante. Carico di suggestioni, misteri, ambiguità, tiene inchiodati alla poltrona mentre ci si chiede se porte e finestre siano ben chiuse (sperando non ridano!). Cornice e atmosfere impeccabili; del resto Pupi Avati fa scuola per le ambientazioni, sempre azzeccate. Semplicità e sostanza. Budget ridotto che non intacca minimamente l'abilità del regista. Finale spiazzante.
C'è del marcio nella Bassa e Avati ce lo ricorda con una storia originale e ben girata in cui i tranquilli abitanti di un piccolo borgo custodiscono un inquietante segreto. La regia solida e le ottime interpretazioni di Cavina e Capolicchio portano il film nel cinema di serie A, benché risenta di una certa lentezza e alcuni buchi nella sceneggiatura probabilmente causati da un budget risicato. Belle le ambientazioni diurne, che danno un valore aggiunto alla tensione che comunque resta alta fino alla fine, ma Avati ha fatto di meglio.
Film che non perde di interesse con il passare del tempo in quanto per nulla legato a effetti speciali ma basato su atmosfere intriganti e angoscianti. In un certo senso una rielaborazione di tanti horror a basso costo di scuola inglese ambientato nel ferrarese. La trama ha il necessario non-sense che contribuisce ad affascinare. Ottima comunque nel suo genere nel muovere le pedine del dubbio.
A mio parere unico thriller all'italiana che tiene testa a Dario Argento (senza tuttavia raggiungerlo), riuscendo poi a distaccarsi dallo stile dell'epoca e a creare uno speciale orrore padano. E' proprio sulle atmosfere, infatti, che si basa il successo del film: una campagna tranquilla e insalubre, piena di casolari abbandonati e paesini di poche anime dove si consumano orrori da non raccontare. Il soggetto è pienamente in linea con l'ambientazione, mentre la sceneggiatura a tratti perde qualche colpo. Bravi gli attori, tranne Capolicchio!
MEMORABILE: Il meraviglioso San Sebastiano del Legnani.
Capolavoro dell'horror con tocco sapiente di Avati, che "dipinge" un quadro umano della provincia padana con tinte fortissime: rosso sangue e nero caravaggesco. Dietro il restauro di un quadro inquietante si cela una storia di indefinito orrore. I personaggi apparentemente rassicuranti nascondono segreti terribili di storie lontane, cantate da filastrocche quasi incomprensibili. Siamo di fronte a un film perfetto, i cui momenti topici si susseguono senza sosta per arrivare al gran finale con il cuore che scoppia. Magistrale.
MEMORABILE: Il casale con le finestre a forma di bocca; Il matto del villaggio; La cantilena.
Restauratore di affreschi indagherà sulla fine di un pittore. Incipit che mette subito in chiaro il clima d’efferatezza, sebbene per la maggior parte della durata si stringa il cerchio verso un finale originale e convincente. L’ambientazione paesana si sposa perfettamente col clima di connivenza reciproca e omertà. Thriller classico nei rumori, ombre e voci artefatte dove il montaggio sa assestare i giusti spaventi. Capolicchio sembra uscito da un romanzo di Bassani, mentre la Marciano ha la bellezza di Maria Schneider.
MEMORABILE: La signora nel letto; Il pittore in fiamme; La ragazza martoriata appesa; I visi delle donne somiglianti con il dipinto.
Miglior film di Avati, miglior prodotto della stagione del gotico padano, uno degli horror più spaventosi e perturbanti mai scritti nei Settanta italiani (ma si potrebbe tranquillamente allargare la prospettiva). La straniante e decadente immobilità del Polesine, specialmente sotto l'innaturale canicola estiva, sembra essa stessa generare e animare i propri personaggi. Ad ogni visione si aggiunge una nuova intuizione, alcune precedenti valutazioni vengono ritoccate: è il bello del cinema creativo, che con poco fa tutto.
Potente thriller nostrano, beneficiario di una regia superba (mai autocompiaciuta) appartenente a un regista dorato di un occhio romantico e spietato, in egual misura, per la provincia ferrarese. Se la sceneggiatura si concede qualche forzatura per raddrizzare in corsa il dipanarsi della trama, la gestione della tensione e il tratteggio del microcosmo omertoso sono di alto livello. Un vanto della nostra cinematografia di genere. Finale agghiacciante, degno coronamento di un film indimenticabile.
MEMORABILE: "Finalmente un viso nuovo in questo merdaio"; Le chiamate alla reception dell'hotel; I sorrisi delle finestre; La formalina; Il finale.
Suggestivo e inquietante thriller padano che sfrutta al meglio il paesaggio assolato e sonnolento della bassa ferrarese ricordando certe leggende popolari tanto care al nostro retroterra culturale. Il ritmo lento è riscattato da una descrizione ambientale molto suggestiva. Il sindaco nano Bob Tonelli guida un corredo di figure di contorno degne del miglior Lynch. Peccato che il bravo Capolicchio sia affiancato da una protagonista femminile di valore puramente estetico e che la casa del titolo si veda solo brevemente verso la fine del film.
MEMORABILE: L’arrivo in paese; Le minacce telefoniche in stile Dario Argento; L’assassinio dell’amico Antonio; L’inquietante rivelazione finale.
Non è difficile stabilire cos'abbia consentito all’opera di Avati di stagliarsi oltre la media. Manifesta, sin da subito, una personalità non indifferente percepibile nel clima angosciante di rara efficacia creato in un ameno e solare paesello di campagna. Gli spunti interessanti non si fermano qui e si estendono alla descrizione di una cittadina complice e omertosa, sempre pronta a voltare lo sguardo altrove. L’epilogo arriva come un fulmine a ciel sereno, chiudendo il cerchio attorno al dipinto maledetto, lasciando senza fiato.
Un thriller di grande suggestione, nel quale si vede la mano del maestro Avati. Tutto è molto curato, l'ambientazione è un florilegio di vitalità, fra personaggi loschi immersi in un silenzio irreale. Per contro, Avati tira troppo la corda e finisce per perdere l'interesse dello spettatore che aspetta di veder concretizzarsi tanta attesa. Alti e bassi sul piano attoriale: volti poco incisivi (Capolicchio) si alternano ad altri più sferzanti (Cavina, Borione, Walter). A pellicola finita ci si rende conto che c'è di meglio.
Autentico cult dalle atmosfere inquietanti e morbose, rette da una fotografia superba, una recitazione degna di nota (immenso Gianni Cavina) e dalle location straordinarie. Pupi Avati dimostra di saperci fare anche con l'orrore e meglio di altri registi più sbandierati. Si potrebbe gridare al capolavoro, se non fosse per alcune incongruenze e per alcune imprecisioni nella sceneggiatura, specie per quanto riguarda i rapporti tra il protagonista e il resto dei personaggi. Bellissimo, comunque.
Praticamente la perfezione e tutti sappiamo quanto sia merce rara, nel campo del thriller/horror. Durante tutto il film si respira l’aria malsana e viziata della ristretta comunità rappresentata. Non si trova nulla di superfluo: ogni secondo è un mattoncino in più che conduce all’escalation emotiva culminante nel finale. Una particolare menzione alla colonna sonora e ai sussurri telefonici (mutuati da Profondo rosso) che contribuiscono notevolmente alla tensione.
MEMORABILE: Tutta la scena della punizione di Lidio: una sublime allegoria allucinata e agghiacciante.
Pilastro della filmografia italiana thriller/horror a tutt'oggi non risente affatto dei quarant'anni trascorsi. Anzi, se confrontato con tanti altri prodotti simili ma più recenti, li fa letteralmente sparire. Avati regista non si discute e le ambientazioni rurali della bassa padania riescono efficacemente a creare uno scenario carico di suspense. La narrazione non è sempre lineare e alcuni passaggi sembrano inconcludenti e difficili da seguire, ma nel complesso risulta comunque un prodotto di altissimo livello grazie anche al cast decisamente in palla.
Arriva dopo il Paperino di Fulci, che l'orrore in provincia ce lo aveva portato prima e meglio, ma è comunque un buon film di genere, soprattutto in virtù di una sceneggiatura che nel finale sa sorprendere e delle location sicuramente evocative. Non brillano granché gli interpreti, eccetto Brambilla (faccia da schiaffi anche in Geppo il folle) e Cavina, attore feticcio del regista. Alcune scene restano impresse ma complice una colonna sonora sbagliata - e talvolta invadente - altre perdono di efficacia. Avati farà di meglio dedicandosi al poker.
L'atmosfera provinciale tra le valli di Comacchio diventa sempre più claustrofobica attorno al protagonista, che restaura un affresco con un San Sebastiano (con coltelli). La regia riesce a trasformare il clima solare in inquietudine mortifera: una casa con strani murales sulle finestre, un pittore locale (morto), una vecchietta e un prete: tutte figure chiave della cultura popolare, ma niente è come appare e gli scheletri nell'armadio escono gradualmente fino all'aberrante verità del twist finale. Manifesto dell'horror padano di Avati.
MEMORABILE: "i miei colori..."; Quando si scoprono i "modelli" del macabro pittore; Il finale.
Un film letteralmente divorato dalla paura, popolato da anime oscure e inquiete, dai rumori della fauna, dagli scricchiolii delle abitazioni, dalle leggende sonnacchiose che piano piano si risvegliano e danno vita a incubi carnosi, irreligiosi, indicibili. Pupi Avati imprime nei volti bizzarri dei suoi personaggi un’isteria che da muta si trasforma in assordante, e conclude la sua opera con un colpo d’ala che è orrore allo stato puro. I titoli di coda e quel finale aperto, poi, ammutoliscono. Un capolavoro.
Quando si rivede un film, più volte e in anni distanti, significa che il suo magnetismo ci ha reso complici e partecipi. Così è per questa pellicola di Avati, thriller/horror geniale. Una storia devastante e struggente, e un amore che non avrà scampo perché è troppo il male che lo circonda ed uccide. Ideato, scritto e girato negli stessi anni in cui Dario Argento era il sublime maestro delle inquietudini estreme, è diverso dai suoi deliri barocchi, magnetici e visionari. Ma fa paura. E La casa dalle finestre che ridono diventa un incubo parallelo alla villa di Profondo rosso.
MEMORABILE: Il volto da innamorata di Francesca Marciano; Il finale: raggelante, estremo, ambiguo.
Film semplicemente straordinario che rappresenta uno degli apici assoluti del cinema di genere italiano. Inizia come un giallo, cresce come un thriller e si conclude come un horror, tutto grazie a una regia ferma e calibrata che garantisce alla pellicola un tono sempre al limite tra il realistico e l'onirico senza dover fare largo uso di effetti speciali. Avati lascia che sia l'ambientazione campestre con i suoi ruderi e i suoi segreti a inquietare lo spettatore, mentre costruisce una narrazione intricata che (al netto di qualche forzatura) supera tutte le aspettative.
MEMORABILE: La voce registrata del pittore; Il celebre finale.
Uno dei migliori horror italici. Il colpo di genio di Avati è l'ambientazione nella bassa padana, filmata con la consueta abilità pittorica con i suoi casali e le sue paludi. Di solito terra solare e gaudente, qui viene trasformata in luogo misterioso e minaccioso in cui si annidano orrori impensabili (si è parlato appunto di gotico padano). Notevole anche l'intreccio, con un finale tra i più scioccanti di sempre. Pur non eccedendo alla Argento, non mancano le scene cruente. Molto bene gli attori, tra cui Capolicchio e come sempre monumentale Cavina. Buona la soundtrack.
MEMORABILE: Il supplizio iniziale; Il quadro di San Sebastiano; La voce nel registratore; La casa dalle finestre che ridono; Le due sorelle sataniche; Il finale.
Il capolavoro di Avati è uno splendido viaggio verso gli antri dell'Inferno che trasuda inquietudine da ogni fotogramma. Il regista riscrive i canoni del genere firmando un'opera personale, in cui si mischiano magistralmente sacro e profano e la pazzia dilaga e investe tutto e tutti. A distanza di tempo riesce ancora a sorprendere per l'abilità con cui vengono svelati i misteri celati nei quadri del pittore maledetto e per come viene dipinta l'omertosa realtà paesana: gli ultimi venti minuti sono da scuola del cinema. Nel cast ben diretto spicca Cavina (sua anche la voce di Legnani).
MEMORABILE: I deliri di Legnani; Il pittore in fiamme; Tutto il finale dopo l'apertura dell'armadio; Coppola che parla delle sorelle del pittore; L'affresco.
Strepitoso, fiore all'occhiello di Avati e caposaldo imprescindibile del giallo italiano, tanto da meritarsi un microgenere tutto suo, l"horror padano", al quale molti si rifaranno. Inquietante come pochi, fin dai titoli di testa, e pervaso per tutta la durata da un senso di ansia e paura che solo pochi grandissimi riescono a comunicare. Il cast è quello che diventerà poi dei fedelissimi, con in testa un magnifico Cavina e via gli altri: Capolicchio, Tonelli, Orlandi... Musiche perfette e finale di quelli che non si scordano facilmente.
Malinconica e allegorica jam session di provincia con iniziali echi di Reazione a catena (la "laguna" al posto della baia e la questione ecologica). Luoghi misteriosi sono mostrati come farebbe un fratello minore di Fellini col gusto dell'horror, magari dopo aver visto un giallo di Dario Argento. Fra i tanti emulatori di quest'ultimo si distingue per l'originale fotografia luminosa e calda, la qualità delle musiche e l'abilità registica tout court che qui trova per Avati la massima espressione. Il tocco in più lo dà l'atmosfera di conturbante delirio portato alle estreme conseguenze
MEMORABILE: L'inizio: traghetto, nano in attesa e la Marciano che appare; L'arrivo alla famosa casa; Gli scorci della laguna; La Marciano in balia delle vecchie.
Il terrore è ovunque. Terrore socio-antropologico, legato alla bellezza paesaggistica della provincia rurale, incubo da avanguardisti eccentrici, qui incredibilmente ridipinto da quieto incubo paesano. Avati riesce a dare un carattere perfino al mormorio della natura, mentre la delirante identità dei personaggi si contrappone alle giravolte della storia. Vischioso e indimenticabile.
Al giorno d'oggi risulta penalizzato da effetti non invecchiati benissimo e da un incedere spesso lento. Tutto il resto invece piace: il decadente contesto agreste fatto di antichi e frugali edifici, lunghi silenzi e personaggi dalla spiccata cadenza emiliana è insolito ma adattissimo allo scopo, anche perché nuovo. Avati costruisce un orrore che inquieta perché nascosto o appena accennato (un'ombra che si muove, una finestra che si apre o si chiude...), ma che infine lascia di sasso con una deriva brutale (per l'epoca) e un finale indubbiamente sorprendente. Originale e notevole.
MEMORABILE: Gli angoscianti titoli di testa; L'ambientazione; Il registratore; Il finale.
A incantare arcanamente, all'ennesima revisione, resta quella atmosfera parossistica immediatamente percepibile che Avati piuttosto che creare sembra letteralmente ricavare dal contesto della paludosa campagna emiliana. Una "insanità" pervasiva cui si perdonano alcune capricciose incongruenze della trama e certe lungaggini inutilmente insistite, perché realisticamente connaturata ai tipi, ai caratteri, alla promiscuità anomica, all'emotività acquitrinosa di quei paesaggi imperturbabilmente provinciali. Truce, irredimibile a ragione, resta imprescindibile e pressoché definitivo.
MEMORABILE: L'incipit; L'incontro con Antonio; La candida sensualità di Francesca Marciano; Il prete di Eugene Walter.
Nonostante gli ampi spazi pianeggianti, l'aria è malsana e si riesce a percepire la claustrofobia di un ambiente impermeabile al bene. Perché quello che è stato fatto è troppo perché possa essere dimenticato e il male potrebbe non essere ancora venuto meno. Ambienti tremendi, persone per bene e altre no, un lavoro da fare che dà fastidio e chissà cos'altro. Avati dirige il tutto perfettamente e porta la storia sempre più avanti, drammaticamente, destreggiandosi con sapienza in una realtà in cui le venature d'orrore arrivano al punto da far ricadere il film anche dentro questo genere.
MEMORABILE: Nel finale, quando la follia diviene la protagonista e padrona del film.
Film tutto giocato sull'atmosfera inquietante che Pupi Avati riesce a fornire al suo film grazie alla sua regia sapiente. Insomma, un gioiello dell'horror italiano, allo stesso livello dei grandi lavori di Dario Argento, seppur con uno stile e un linguaggio diversi. Ottima l'ambientazione e la prova del cast. Inquietante, spaventoso, insomma un horror coi fiocchi. Grandissimo film.
Stefano (Lino Capolicchio) è chiamato a restaurare un affresco in una chiesa di campagna, terrificante opera di un folle morto suicida. Gli abitanti del luogo manifestano comportamenti sempre più insoliti e il ragazzo inizia a temere per la propria incolumità. Stupendo thriller/horror di metà anni 70. Anche se abbastanza datato e con poco sangue, l'atmosfera gotica e pacchiana e l'ambientazione sono sufficienti a trasmettere un'angoscia immensa.
MEMORABILE: L'inquietante intro, il suicidio del pittore e il finale sconvolgente
Le componenti thriller sono decisamente le meno riuscite, compreso un finale (inaspettato quello sì) di risibile e imbarazzante pochezza, mentre è un capolavoro tutto ciò che ci gira intorno: l'omertà e la chiusura di un piccolo centro abitato, la splendida cornice padana con la propria forte identità, le relazioni - spesso di facciata - dei singoli esseri umani. Registicamente un gioiellino, con una scelta di location incredibile (la casa che dà il titolo), nenie brasiliane che inquietano e intrigano al tempo stesso. Imperfetto, ma di una vitalità fuori da ogni schema. Emozionante.
MEMORABILE: L'opera del Buono da restaurare; Il personaggio particolare interpretato da Cavina; La visita alla casa dalle finestre che ridono.
Capolavoro di Avati in pieno stile Dario Argento, ma molto più rozzo ed essenziale. Pellicola encomiabile soprattutto per l'utilizzo magistrale degli irrisori mezzi a disposizione e per l'angoscia e la tensione che avvolgono lo spettatore e il protagonista. Il film si avvale di una trama intrigante aiutata da un'insolita e suggestiva ambientazione padana. Il tutto è inoltre ben amalgamato da un cast notevole (degni di nota Capolicchio e Cavina) e da una colonna sonora inquietante. Uno dei migliori horror italiani.
MEMORABILE: L'impressionante e inaspettato finale.
In un paesino della bassa padana - stranamente senza nebbia - un giovane restauratore si appresta a rimettere in sesto uno strano e inquietante affresco di una chiesa, opera di un pittore sadico e fuori di testa. Un thriller con esiti horror, ben costruito sul piano visivo, non altrettanto da quello narrativo, con diverse lentezze e incongruenze che però si perdonano volentieri in virtù di un finale ben studiato (e quasi imprevedibile). Interessanti le location, non supportate però da una OST adeguata; cast funzionale ma non eccelso. Regge comunque al tempo e rimane un cult del regista.
Film di culto di Pupi Avati, che racconta un'opera intrisa di perdizione e tensione, che vede come protagonisti un ottimo Capolicchio e un quadro a dir poco inquietante. Tutto gira intorno all'arte e al bisogno dell'artista di dipingere ciò che è assurdo e sembra impossibile, al legame familiare e a quel senso di malessere che prova ogni essere vivente alle prese in maniera ossessiva con un dilemma che non riesce a risolvere. La messa in scena, superata una prima parte lenta e preparativa, risulta notevole, grazie anche a una fotografia e una colonna sonora da ottimo cinema. Culto.
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HomevideoZender • 26/06/23 14:14 Capo scrivano - 48439 interventi
Se non noi qualcuno all'estero lo compra di sicuro il restauro, non esiste quasi più nessun giallo italiano di un certo nome che non sia stato stampato in bluray.
Anche a Roma sarà proiettata la nuova versione restaurata dalla cineteca di Bologna Mercoledì 26 Luglio al Parco degli Acquedotti alla presenza di Pupi Avati. Speriamo che finalmente esca un'edizione in blu ray! Se pensate di Zeder sempre di Pupi Avati sono uscite addirittura tre edizioni in blu ray in Francia in Germania e Inghilterra e invece nessuna label è riuscita ancora a fare uscire in blu ray La casa dalle finestre che ridono.
Appena arrivato il bluray francese La Maison aux fenêtres qui rient della Chat qui fume (l'edizione doppia con il disco 4k è esaurita era disponibile in preordine ma limitata mi sembra a 1000 copie). Sottotitoli francesi escludibli. Ho provato solo il blu ray perché non ho il 4k ma la qualità del video è eccezionale. Tra gli extra interessanti interviste a Pupi Avati e Lino Capolicchio.
Comunque proprio oggi anche Cinemuseum ha annunciato che faranno un'edizione in 4k non si sa quando certo in Italia arriviamo sempre in ritardo!
HomevideoZender • 2/08/24 08:37 Capo scrivano - 48439 interventi
Grazie Django, l'ho aggiunto nel post. Io però ho visto il trailer sul sito della Chat qui fumè e i colori mi sembrano parecchio spenti rispetto a quei verdi "vivi" del dvd.
!n un paesino della bassa padana - stranamente senza nebbia - (Kinodrop)
Non è che nella bassa padana la nebbia ci sia sempre...
HomevideoZender • 12/09/24 12:56 Capo scrivano - 48439 interventi
Ho preso il bluray francese della Chat qui fume (come detto correttamente anche in italiano senza sottotitoli). Detto della definizione che è sicuramente di molto superiore al vecchio dvd, i colori mi lasciano un po' perplessi: sono molto più desaturati rispetto al dvd e tutto sembra più cupo, molto meno vivo: i rossi dell'Albergo Italia meno accesi, i verdi delle valli di Comacchio e dei campi più smorti... Per una volta il malefico filtro ocra della Cineteca non c'è mentre forse un po' di giallo in più non avrebbe guastato. Insomma, l'effetto è un po' quello dell'ultimo bluray Arrow di Profondo rosso rispetto alla precedente edizione in dvd della Anchor Bay. A me i colori del dvd piacevano di più, poi magari è anche questione di gusti...