Sull'onda dei ricordi Federico Fellini ricostruisce la sua adolescenza nella Romagna degli Anni Trenta, in pieno furore fascista. Figlio di una famiglia “non allineata”, il padre capomastro costantemente collerico, Titta conduce una vita come tante, tra amori sognati (la bella “Gradisca”, la matronale tabaccaia), gite dai parenti (lo zio Matteo è uno stralunato Ciccio Ingrassia, doppiato), ritrovi con gli amici (tra cui riconosciamo Alvaro Vitali, notoriamente scoperto proprio da Fellini). Tutto il film è una scusa per rivivere un'epoca, che ritorna coi miti di allora: il transatlantico Rex, la Mille Miglia, le parate del Duce. La ricostruzione storica è...Leggi tutto attendibile, lo spirito spensierato del piccolo paese colto con arguzia. AMARCORD è un film frammentario, bozzettistico, che confonde per la voglia di essere a un tempo rievocazione autobiografica e distaccata cronaca (la figura del narratore, uomo di mezza età, ricorre poco e si nasconde tra i personaggi del film). Come prevedibile punta molto sulle immagini, sul fascino di colori freddi in città e caldi in campagna, ma ha anche il difetto di perdersi spesso dietro a coreografie sgargianti che vorrebbero dire molto ma non sempre ci riescono, finendo invece per appesantire un film che in fondo, pur molto più scorrevole di altre prove preliminari, non è certo leggero. Si nota come le ambizioni del regista siano smorzate in favore di un'indulgente tenerezza propria di chi vuole rivivere l'adolescenza in tutto il suo candore, non fermandosi quindi di fronte a nessun genere di freno inibitore: abbondano i peti (del nonno ma non solo), i riferimenti alla masturbazione... Eppure AMARCORD appassiona solo a tratti, spesso annoia.
Solitamente non riesco ad entrare in sintonia con i film di Fellini, la sola eccezione è rappresentata proprio da Amarcord. La storia si svolge durante l'anno solare in un paese romagnolo, durante il periodo fascista, e segue le avventure del personaggio principale Titta (Bruno Zanin) e i suoi compaesani. Come dice il titolo (Amarcord significa "mi ricordo") più che una storia vera e proprio il regista ci descrive i suoi ricordi legati al periodo. Forse non per tutti ma veramente ben girato.
Un Fellini celeberrimo, che s'immerge con compiaciuta consapevolezza nella nostalgia. Attori al loro massimo e doppiaggi fenomenali (Ave Ninchi, Corrado Gaipa...). Scene indimenticabili (il Rex), personaggi che entrano e non escono più (la Volpina, il cieco), momenti struggenti (il ballo dei ragazzi senza la musica). La parte con Ingrassia mi è parsa la più debole. Come al solito, una schiera di caratteristi scalda il cuore e la memoria.
MEMORABILE: Fra i tanti richiami al ricordo (quei docenti...), indico il vetro della portiera della carrozza al funerale: quanti, oggi, lo curerebbero così bene?
Film a montagne russe, che alterna scene assolutamente sognanti (le mogli dell'emiro, la Gradisca all'hotel) a realismo greve (gli scolari in bagno, la tabaccaia); il tutto condito dal solito ricordo delle istituzioni oppressive, Chiesa in testa. Va beh, Fellini si salva per le sue invenzioni che ti trascinano con le manine di primavera in un'altra dimensione, ma è una summa del già detto.
Vera e propria "summa" dell'immaginario cinematografico felliniano, l'opera rappresenta il ritorno alle origini del regista romagnolo, anni dopo I vitelloni. Più che la storia in sè, in realtà piuttosto frammentata, il film vale per un insieme di momenti in cui il ricordo e la nostalgia si fondono magicamente, dando vita a spezzoni di grande cinema, grazie a musiche molto suggestive e ad attori magnifici.
Sopravvalutato film di Fellini che segue l'onda dei ricordi dell'adolescenza negli Anni Trenta, tra famiglia, Fascismo, Chiesa Cattolica, scuola, pruriti sessuali. Irresistibili personaggi caricaturali (dalla Gradisca al Patacca e a tutti gli insegnanti di Titta), tono ipernaturalista con ricadute in un trash di pessimo gusto (flatulenze, masturbazioni collettive, minzioni, le ripugnanti tette sformate della Belluzzi) si affiancano ad una scenografia elegante e raffinata (le manine, la neve, il Rex), in cui l'anima onirica del regista c'è tutta.
Non il miglior Fellini, ma pur sempre un film sontuoso. La struttura è molto frammentaria ed il ritmo sembra soffrirne, ma in fondo i singoli episodi servono a raccontare com'era stata una certa epoca nei ricordi trasfigurati dal tempo di un ragazzino e quindi la cosa ha un senso. E se alcune parti sono al livello del Fellini di 10 anni prima, prevale forse un'aria goliardica che aprì involontariamente le porte al cosiddetto cinema scorreggione...
MEMORABILE: Armando Brancia interrogato di notte dai fascisti è una delle scene più tristi che ricordi in Fellini.
Frammenti di ricordi dalla Rimini degli Anni Trenta, filtrati attraverso lo sguardo trasognato di un adolescente ancora un po' infantile e la tipica fantasia ruspante romagnola. Il film "autobiografico" di Fellini è una gioia dello spirito, capace di trasformarsi da memoria privata a patrimonio di tutti, grazie agli episodi quasi archetipici che lo compongono: dalla tabaccaia tettona all'arrivo del Rex, senza dimenticare l'allampanata apparizione dello "zio" Ciccio Ingrassia. Un film oniricamente vitale e poetico, con una musica leggendaria.
Insieme ad 8½ il film più personale di Fellini, che offre, tramite una serie di macrosequenze, un nostalgico ritratto della sua città natale. Non tutti gli episodi sono perfetti, ma la regia è come al solito straordinaria e il film, seppur non immediatamente, riesce a conquistare e ad affascinare. La colonna sonora di Rota è, a mio parere, tra le più belle mai realizzate. Nonostante i suoi piccoli difetti, un film fondamentale.
Un film molto sentito da Fellini, ma non tra i meglio riusciti. perchè le immagini prese singolarmente sono geniali (la corte dell'emiro, il Rex, la monaca nana che salva lo zio, "Altezza, Gradisca!"), ma l'insieme stavolta balla e a tratti sembra un riassunto delle puntate precedenti, composto sempre con classe, ma con meno smalto. Atmosfere ruspanti, nostalgìa a palate, il fascismo "patacca", le sempre belle musiche di Rota, qualche trivialità di troppo. Migliori attori Branca (il tenace Aurelio) e la Noel (la Gradisca). Tre pallini.
MEMORABILE: L'arrivo del Rex, gli occhi della gente.
Quando vidi il film, in prima visione, uscii dal cinema trasognato oltre che divertito. C'è da dire che come emiliano che ha trascorso le vacanze giovanili sulla riviera romagnola (colonie comprese), l'onda dei ricordi ha sommerso anche me. Rivisto poi, non è più stata la stessa cosa. È vero, ci sono scene molto ben ricostruite e personaggi magistralmente caratterizzati, ma tutto il film nell'insieme diventa greve e verrebbe voglia di rivederlo a spezzoni togliendo tutte le parti che lo legano assieme, tanti piccoli episodi fini a se stessi.
Fellini era un regista con una propria visione delle cose, che può piacere o no, ma che merita il giusto riconoscimento. Le sequenze più famose, siamo tutti d'accordo, non si toccano, il "legato" forse tende un po' a scollarsi. Se per alcuni tratti è didascalico, in altri è meno semplice, più onirico che mai. Se lo si dovesse elogiare solo per le poche (almeno un centinaio) intuizioni (leggi immagini), allora è giusto inserirlo nella categoria "cartoline".
Apoteosi autobiografica di Fellini che non si sofferma a raccontarci la sua storia ma fa molto di più: ci fa vivere le emozioni di un'epoca svanita e le tradizioni della sua terra rendendocela amica e familiare. Molto vasta la gamma di sentimenti e registri narrativi messi in gioco: dal poetico (i ragazzi che ballano da soli) al serio (la stoccata antifascista) passando per il ridanciano (Ingrassia) ed il grazioso (il saluto al Rex). Tantissime le facce care presenti: Vitali, Genesi, Patruno (!). Minuziosa la ricostruzione ambientale, paradisiaca l'OST di Rota.
MEMORABILE: Scene simbolo a parte, l'interrogatorio dei fascisti al padre di Titta.
Forse non è il capolavoro di Fellini, ma quante belle scene vengono inanellate una dopo l'altra! C'è molto cuore e molto spirito romagnolo nell'affiancare delle sequenze ora comiche, ora grottesche, ora teneramente intime. Il risultato è un collage di vecchie fotografie autentiche anche se accostate alla rinfusa, perché si avverte la sincerità dell'opera. Se poi si è dell'Emilia-Romagna, non si può non apprezzare il corposo dialetto dei "patàca". Personaggi e scene indimenticabili.
MEMORABILE: Fra le tante: il pranzo; il pavone nella neve; la sequenza dei professori; la confessione; la Gradisca; la tabaccaia.
Il "C'era una volta..." di Federico Fellini: una torma ovattata di ricordi disseminata in un intero anno emiliano o, forse, nel tempo imprecisato intercorso tra due primavere qualsiasi. Le sequenze - magnifiche - affiorano con successione aritmica dal profondo torpore del ricordo, si dischiudono seguendo libere associazioni o l'inerzia della mera giustapposizione formale - e poi, e poi, e poi... - palesando il compiaciuto impigrirsi del racconto, il rallentamento narcisistico dell'autocontemplazione. Non il suo miglior film, ma suadente e puro quanto a evocazione atmosferica.
MEMORABILE: L'arrivo delle "manine"; il Rex; il pavone nella neve; i mostri nella nebbia...
Lo "stream of consciousness" di Joyce applicato a Fellini. Senza una vera trama, è un susseguirsi di eventi storici, ricordi e bizzarrie tanto care al regista (basti vedere i volti degli alunni alla scuola elementare). Alcuni momenti però poteva evitarli (i quattro amici che danno sfogo agli ormoni in macchina, grazie al cielo non si vede nulla). Molto personale e per questo adatto a pochi palati.
MEMORABILE: Il personaggio di Ciccio Ingrassia (doppiato; ma siamo in Emilia Romagna, non si poteva fare altro).
Straordinario film felliniano, chiaramente autobiografico, ambientato durante il Ventennio e nel quale si segue l’adolescenza di Titta in una cittadina romagnola. Poetico, onirico e “materiale” allo stesso tempo, ma anche dolce, malinconico ed amaro. Davvero tante le scene che restano nella memoria (la spedizione punitiva su tutte) per non parlare dei personaggi che si stagliano incancellabili nella mente di chi guarda: impossibile dimenticare la Gradisca oltre che la tabaccaia e le sue tette “himalayane” (Mereghetti dixit). Indimenticabili le musiche di Nino Rota.
Trovare qualcosa da dire di questo film che non si sia già detto è un'impresa veramente ardua. L'infanzia, forse un po' romanzata (ma non troppo) del regista, in una Rimini anni '30, nel momento storico dell'avvento del fascismo. Film leggendario, citatissimo e ricco di scene che sono entrate di diritto nell'immaginario collettivo popolare. Personaggi come la tabaccaia, o come lo zio fuori di testa (interpretato da Ciccio Ingrassia) fanno parte di noi e del nostro cinema. Oscar più che meritato.
Ricordi Felliniani. Amarcord sotto certi aspetti mi riporta a I vitelloni, ma quello, forse, era più "leggero". Nonostante tutto il film è riuscitissimo: Pupella Maggio e Ciccio Ingrassia doppiati in romagnolo sono divertenti, da gustare. Colonna sonora impossibile da dimenticare.
Ma quant'è bello l'universo di Amarcord! È talmente variegato che deve piacere a prescindere: grottesco, simpatico, leggero, frizzante, piacevole e malinconico al tempo stesso. Il film è caratterizzato da un'atmosfera abbastanza rarefatta e mi piace moltissimo. Fellini si racconta mettendo in campo ricordi e sentimenti. Che bella scena finale!
Il mondo felliniano raffigurato nel film è pieno di manifestazioni variegate e colorite, con caricature, allegorie e parodie a volte caotiche ed eccessive. La commedia della vita è vista e raccontata con un amaro sorriso, per mezzo di una teatralità sarcastica in cui tutti i personaggi finiscono per impersonare un aspetto dell’esistenza. Fellini decora il tutto con immaginifiche trovate figurative ed utilizza una sequenzialità del racconto volutamente frammentata che trasforma la trama in uno scorrere di episodi. Belle le musiche di Rota. ***
Denso di episodi a loro modo memorabili (su tutti il passaggio del Rex) quanto di personaggi estremamente vivi nella memoria di ognuno che sia coevo di Fellini, suo malgrado non è invecchiato così bene e inizia a sentire i suoi anni; perché se le parate fasciste erano già anni luce nel '73, adesso lo sono anche la tabaccaia, la Gradisca e, più in generale, l'intero immaginario di questa Rimini "paesana". Tecnicamente però il film è inattaccabile: ogni inquadratura è studiata in modo da risultare immediata e gradevole. Meravigliosa colonna sonora di Rota.
MEMORABILE: Il già citato Rex; Il motivo per cui la Gradisca ha questo soprannome; "voglio una donna"!
Secondo me il film più sopravvalutato della storia del cinema italiano. È solo una giustapposizione di episodi. Non ho ancora capito dove stia il valore da Oscar di questo film. Trovo che fare film così, per registi di medio calibro, sia molto semplice. Cosa più difficile è chiamarsi Fellini, a cui tutto viene perdonato. A fronte di un così grande dispiegamento di dati, ci voleva una elaborazione concettuale, che desse equilibrio a tutta quella mole di espressività. Come era avvenuto, del resto, in modo mirabile con La dolce vita.
Come "si" ricorda Fellini, "si" ricordano milioni di italiani. Non foss'altro per la cultura storica del belpaese, che sino alle nuovissime generazioni provoca riverberi e squarci all’apparenza lontani eoni, ma rievocanti sensazioni mai sopite, generando il leit motiv tutto nostrano della lacrimevole passione "vintage". Guarda lontano, ma ricorda da dove provieni, diceva quello... Quel passionale di Fellini ci ha costruito su un intero curriculum, eterna epigrafe di un immaginario che da strettamente intimista diviene collettivo. ****1/2
I giovanotti puberi alle prime armi con l'erotismo mi hanno divertito e strappato qualche risata, ma le battutine stile "vado al sicuro perchè mi ha dato le intimità posteriori" o "intingi gli uccelli nel caffelatte" nonchè lo zio minorato che si piscia addosso e poi fa la pantomima-soliloquio sull'albero sono vergognosi e disgustosi, scandalosi per un'opera definita capolavoro del Grande Maestro. E la stupidità della Gradisca, che come coerenza viene "stracciata" dalla Volpina, è anche peggio.
Un anno di vita riminese durante la dittatura fascista tra ricordi, pruriti sessuali e momenti di grande impatto onirico e visivo. Fellini narra con il suo solito stile sognante regalando momenti ed immagini di alto cinema. La realtà talvolta si miscela egregiamente con l'immaginazione. Colonna sonora sempre appropriata e perfetta la Noel.
I ricordi di Fellini nella sua Rimini anni '30 legati con poco ritmo ma interpretati da una schiera di caratteristi perfetti che non diventano mai attori (è forse questa la vera forza del film). Le vicende scolastiche rappresentano l'inizio di tutte le commedie con le "insegnanti" e le "ripetenti" che verranno e la colonna sonora di Rota diventerà un evergreen del nostro panorama musicale.
Un capolavoro della cinematografia mondiale. In questa eccezionale opera finalmente Fellini riesce a fondere, in maniera perfetta, la sua sfrenata e caleidoscopica fantasia visiva con la necessità di un’ispiratissima arte poetica. Dopo La dolce vita Fellini ci offre in dono una nuova Commedia Umana ma, a differenza di quel film che pare ci parli da un’oltretomba remoto, questo viene reso accessibile alla nostra più appassionante partecipazione dalla lingua magica e misteriosa della realtà più concreta e contemporaneamente più universale.
MEMORABILE: Titta con i calzoni corti come simbolo dell'Italia eternamente provinciale; Il nonno che si perde nella nebbia; Lo zio matto sull'albero; La nevicata.
Stupenda pellicola, grottesca, divertente, dai toni così surreali ma talmente realistici! Fellini mette insieme vari ricordi d'infanzia infilandoci personaggi caratteristici da paese di provincia e ci ricama sopra una storiella che comincia con la festa d'inizio primavera e termina con un delle bellissime riprese invernali. Tantissimi momenti memorabili con personaggi difficili da dimenticare (mitico Ingrassia nella parte dello zio matto) e ottime prove attoriali. Tanti i richiami a precedenti film del regista, ma qui c'è tutto il meglio del meglio.
MEMORABILE: La scena della tabaccaia; Il litigio in famiglia durante il pranzo con lo zio indifferente a tutto e tutti; Lo zio che "vuole una donnaaaa!".
Un Fellini insolitamente leggero si abbandona alle emozioni e alla malinconia in questa rievocazione personale di fatti, vicende e personaggi legati all'infanzia. Non ci sono tempi morti o dilatati (come spesso capita nelle sue opere) e le due ore di film scorrono gradevoli e spensierate tra immagini splendidamente incorniciate e musica entrata nel mito. Ottimo come primo approccio per chi "teme" di avvicinarsi al geniale regista.
Senza dubbio il film più umoristico del grande Fellini, ripropone con nostalgico feeling "cartoline" sparse appartenute alla sua giovinezza romagnola; ricche di stagioni, caratteri, macchiette e in un'epoca storica (quella fascista) tutt'altro che idilliaca. Non una vera storia, come sempre, ma incursioni nell'animo umano che solo un genio poteva rendere universali ed eterne. Scenografie e tema musicale semplicemente straordinari.
MEMORABILE: Le lezioni di pronuncia di greco antico, cosparse di "pernacchiette"...
Fellini ci fa discendere nel suo mondo di ricordi e crea personaggi che escono come caricature dai suoi bozzetti. Attenzione nei particolari come nelle sopracciglia della Volpina, nel bitorzolo in testa, nelle occhiaie dell’alunno, nelle pettinature degli insegnanti, nei modi del prete. Più felici i momenti della vita del Borgo con musiche da cartolina. Finale struggente ed emotivo. Tutti i film che rappresentano una provincia rurale gli devono qualcosa.
MEMORABILE: Prof.: "Acta necròn garpesònton, issemàr psamèn fosìn, cheeleo ienimèn fonès. E' bella la lingua greca, vero?" Ovo: "Ostia!".
Non ha una vera e propria trama ben specifica, ma l'insieme di ricordi (da qui il titolo) a volte surreali e poetici e la galleria di personaggi raramente rappresentati in maniera così veritiera, assieme all'atmosfera, rendono il tutto un delizioso film che scorre via veloce tra una microstoria e l'altra. Una grande parata di caratteristi strepitosi completano un'opera che ha fatto sentire i suoi echi anche nel molto più recente La voce della luna. Onirico, intenso e anche divertente.
Ritratto a metà tra neorealismo e opera visionaria/onirica che racconta della provincia emiliana, dell'infanzia del regista e, come allude il titolo, dei suoi ricordi. Dunque storie di vita semplice, genuina e pura; piccoli e grandi amori, prime pulsioni sessuali e scene di ordinaria quotidianità, unite da un'interpretazione d'insieme e una ricercatezza registica tipiche del cinema di Fellini. Molto naturali risultano essere gli attori, e una scena in particolare, quella di Ingrassia che interpreta lo zio Teo, vale la visione del film.
Capolavoro indimenticabile e sotto certi aspetti anche quello con i tentativi più disparati di imitazione (se non nell'aspetto esteriore, almeno nel contenuto). Un carrozzone infinito di storie e di colori espressi con la massima potenza. La storia e i ricordi di Fellini immersi nella più importante fisicità. immenso Fellini.
Fellini affonda nei ricordi della Romagna degli anni ’30, in piena epoca fascista e come ogni affresco che si rispetti porta con sé un bagaglio di sentimenti contrastanti che vanno dalla malinconia all’allegria più sfrenata. È animato da un folklore italico di cui ormai poco resta, tra sberleffo e disincanto e con lo sguardo poetico tipico del regista a fare capolino di tanto in tanto. Una panoramica di un'Italia di provincia, disegnata da un Fellini con le briglie del tutto sciolte e resa fiabesca da Nino Rota che indovina le giuste melodie.
Racconto di una riviera romagnola d'altri tempi, prima che cominciasse "a correre e a urlare", filtrato dalla magia ingenua di Fellini, che quei tempi e quei luoghi li ha vissuti da protagonista. Gli avvenimenti, narrati in prima persona da un bambino, mescolano lirismo e sberleffo nel tipico carattere romagnolo, non lesinando momenti di forte critica al Regime fascista, deriso con molta classe. Una regia impeccabile e interpreti rigorosi conducono questo film nel cinema alto, quello che riesce a portar via con semplicità. Ammaliante!
MEMORABILE: Il "movimento d'anca" della Gradisca, che rapisce Titta; Gli occhi della Tanzilli; Ingrassia sull'albero: "Voglio una donnaaaaaa!"; La neve a Rimini.
Romagna, anni Trenta: i ricordi di una adolescenza stupefatta, immersa nello spirito semplice del tempo, segnata dal fascismo e da personaggi singolari come la tabaccaia tettona, lo zio con problemi psichici, la "Gradisca" e tanti altri che costituiscono una galleria di figure indimenticabili. Tra fantasia e autobiografia, una dolce e malinconica caricatura del passato.
Tra gigantesche donnone in cui affogarsi nelle enormi tette, navi posticce, situazioni da avanspettacolo, signorine sognatrici e vogliose, palle di neve, ragazzate ("Ti tocchi, guarda che calamari che c'hai") o il "Voglio una donnaaa" di un "funambolico" Ingrassia (poi ripreso da Kevin Reynolds in Belva di guerra) ne esce il Fellini che amo di meno, quello più "giocoso" e nostalgico a scapito della sua vena funerea e decadente. Ci sono momenti del suo gran cinema (la bellisima "danza" delle odalische) ma manca il sentore di morte. Alcuni frangenti da commediaccia.
MEMORABILE: Allungando le mani al cinema; La figura della Volpina, forse la vera reminiscenza felliniana (Toby Dammit); Il labirinto di Shining nella piazza.
Film autobiografico di un Fellini che ricorda la sua Rimini con gli occhi di un adolescente. Il regista l'immagina diversa da come si è sviluppata poi con gli anni e non vi è una sola inquadratura reale della città romagnola. Il tutto è ricostruito minuziosamente a Cinecittà. Il dialetto, la lingua del suo inconscio, racconta un magnifico caleidoscopio di personaggi come la gradisca, la tabaccaia, Titta e la sua colorata famiglia. Ci sono momenti onirici e altri reali ed esistenti ancora oggi come la fogheraccia che accoglie l'arrivo della primavera.
Un sogno lungo due ore. Un bellissimo viaggio onirico, praticamente senza sceneggiatura, tra straordinari personaggi e momenti indimenticabili, tutti uniti dal filo della nostalgia. La summa del cinema di Federico Fellini, che arriva qui al momento massimo, scrivendo il suo capolavoro. Musica immortale, sebbene a volte il tema principale appaia un poco ripetitivo. Straordinari tutto il cast e anche la fotografia, che regala momenti indimenticabili.
Non si esce vivi dai gangli della memoria, sabbie mobili in grado di inghiottire qualsiasi coscienza. Se c'è una lezione che questo Fellini è stato in grado di trasmettere ai suoi successori, questa è sicuramente il fascino gnomico di un'epoca che esiste, a suo modo, negli occhi di chiunque l'abbia esperita e la riviva, filtrata dall'età e dall'esperienza, come una fotografia che assorba colori diversi a seconda dell'angolazione da cui viene illuminata. Narrativamente non il miglior Fellini, che nel decennio precedente fece meglio.
Il capolavoro assoluto di Fellini. Un inno al ricordo come essenza vitale. L’adolescenza nell’amata riviera romagnola è lo spunto per mettere in scena un malinconico ritratto dell’Italia fascista. Un’infinità di eventi e personaggi scorrono all’insegna di un’ironia grottesca dietro la quale fa capolino la morte. Il maestro riminese è forse l’unico capace di trasformare il quotidiano vivere in un’avventura epica e visionaria. Uno specchio della memoria collettiva pregno di umori e sensazioni che ci appartengono. Musiche e scenografie da Oscar.
MEMORABILE: "Voglio una donnaaaaa"; Il seno della tabacchiera; L'olio di ricino somministrato al padre di Titta; La mille miglia; Gli insegnanti; La confessione.
Celeberrima commedia felliniana basata sulla tematica dei ricordi d'infanzia del regista romagnolo. La pellicola non ha di per sé una gran trama, ma il gruppo di grandi attori riesce a dar vita a scene passate alla storia (Ingrassia sull'albero; il passaggio del transatlantico Rex, tanto per citarne due...). La bravura del regista (qui nel pieno della maturità) sta nel tener vivo continuamente l'interesse dello spettatore e perciò il film ne esce promosso, nonostante non sia classificabile come capolavoro.
Personale come pochi altri film felliniani, è un capolavoro senza età, tanto che il termine Amarcord è entrato pure sui dizionari. Vi si ritrovano, ovviamente, le tematiche care al maestro e già sviluppate altrove: fra queste il sogno ha una posizione predominante, con scene indimenticabili come il passaggio del Rex e le sequenze al Grand Hotel. Personaggi tratteggiati con decisione, tanto da diventare archetipi: la Tabaccaia, la Gradisca, la Volpina, l'Avvocato, Giudizio... musiche di Rota, dolci e cullanti.
Il vento porta via il tempo, squarcia il velo dello schermo e smuove l'animo dello spettatore; la storia è un carosello in cui ogni personaggio, anche il più di lato, meriterebbe uno spin-off; la fotogenia è funzionante fino all'estremo; la regia è semplice e pulita come l'animo dei personaggi, capaci di uscire dal cinema, abbandonando la visione di uno schermo, per osservare il reale: la neve che cade dal cielo. La musica culla le vicende. Lo schema narrativo classico è alle spalle di questo film, che è disordinato come la vita e diventa cinema puro.
Il Fellini visionario e onirico lascia spazio al Fellini capace di restituire grandi emozioni e affreschi di cinema che unisce lo stile popolare a quello autoriale. Il film è una pennellata d'arte ed emozione senza momenti di stanca e con alcune perle e tormentoni restate nella storia del cinema ("Voglio una donna", "Signor Principe... gradisca"). Il film è un turbinio di emozioni e satira graffiante, condito da immagini da cineteca, che mediante una raccolta di episodi dotati di una "fabula" accessibile rese Fellini comprensibile alle masse.
MEMORABILE: La scena della Gradisca; L'episodio di Ingrassia; L'interrogatorio del padre.
Un oramai maturo Fellini ci consegna un'intelaiatura di memorie, nostalgie soavi e amare e personaggi ora amabili ora grotteschi condensati all'interno di un classico della nostra storia cinematografica, quali testimonianze (reali e immaginifiche) di una gioventù romagnola vissuta nel cuore degli anni '30. Scene di vivacissima e irripetibile umanità incespicano, spesso, in trovate scarsamente gustose ed eccessivamente orientate verso una gretta scurrilità, specie durante le scene scolastiche. Fortemente personale, non sempre appassionante e dai ritmi incerti. Splendido Ingrassia.
MEMORABILE: Il movimentato pranzo di famiglia; Il passaggio del Rex; Il mitologico toro bianco nella nebbia; Titta e Gradisca in sala; L'olio di ricino; Zio Teo.
Geniale la scelta del titolo, preso dal dialetto romagnolo. Il film infatti vuole essere una sorta di ricordo dell'età adolescenziale di Fellini nella sua terra natia. Tende ancora di più alla commedia, rispetto ad altre opere del regista, con le liti familiari e i personaggi provinciali (la scena comicamente più riuscita è la sequenza dei professori a scuola) a scapito del consueto lato visionario, seppur l'apparato visivo sia comunque notevole. Bella anche la musica. Qualcosa può far storcere il naso, come Ciccio Ingrassia doppiato benché all'epoca già famoso.
Ogni foto di quest'album ha un'importanza vitale, dalle manine che vagano, vagano, vagano fino alle abnormi mammelle della tabaccaia. Dalle pernacchie al greco all'olio di ricino per una mezza frase. E le foto di quell'epoca erano impietose, non si potevano rifare e neanche filtrare, si poteva però sparare a ripetizione, quello sì, fin quando il musico sovversivo non cadeva esanime dal campanile. Fellini ci mostra i matti, quelli incurabili, che erano tanti e liberi, mentre i recuperabili vivevano sotto chiave. Forse Amarcord non ha una storia, più semplicemente lo è.
Sul piano cinematografico è forse l'ultimo film da immaginario immediatamente "popolare" di Fellini, il quale con l'aiuto di Tonino Guerra "indovina" la chiave e il tono dell'opera, tenendolo con abilità da mago e funambolo sulla corda di un'aneddotica che da personale (Titta) sa farsi identitaria (Rimini San Giuliano) e addirittura storica (il fascismo) mantenendosi però sempre onirica, mitica, inventata, fantastica e perciò definitivamente struggente nel suo esser fuggita o mai esistita o ricostruita. Tabagista, svergognato, transatlantico, sublime, pugnettaro: insomma, felliniano!
MEMORABILE: "Voglio una donna"; Il padre di Titta alle prese con l'olio di ricino; Gradisca; La meravigliosa Pupella Maggio
Collage, sullo sfondo della Romagna degli anni 30, di storie e di persone. Fellini alterna situazioni divertenti ad altre più drammatiche e profonde fino ad arrivare a lambire il confine del grottesco e surreale. Ci sono l'amore, l'amicizia, la vendetta, l'adolescenza con i suoi dubbi, le prime voglie e le prime esperienze. Purtroppo alterna momenti riusciti a spezzoni evitabili, ma l'atmosfera fiabesca che permea il tutto basta già da sola a promuovere il film. Ottima la regia e impeccabili cast e colonna sonora.
MEMORABILE: Il Mussolini parlante; Il sogno come campione di automobilismo; Ciccio Ingrassia di spalle che guarda l'orizzonte.
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E' giusto!!! Vieni giù che non voglio giocare con queste sciocchezze ("pataccate") Se metti velocità 0.50 si capisce!
"Patacca" è un termine molto ricorrente nel film. Mi fa un po' ridere perché da noi (son cresciuto all'Elba, Livorno) la patacca è una macchia d'unto, oppure d'inchiostro quando si usavano ancora le stilografiche. Mentre in Romagna (l'ho sentito anche da Avati) lo si usa per indicare una persona di scarso valore o comunque che si mostri per ciò che non è. Una "pataccata" immagino dunque che sia qualcosa per la quale non vale la pena perdere tempo. Così la scena funziona, perché evidentemente tutti avevano preso troppo sul serio la situazione, trattandosi di un malato mentale, mentre la suorina con il suo "pragmatismo" lo convince proprio perché lo tratta come una persona normale.
Cioè, anche il traduttore dal romagnolo! Troppo avanti i Davinottiani (maiuscolo voluto). Grazie per il post filologicamente necessario e complimenti all'amica, anche per la bella voce. Buona serata.
Fellini aveva ideato il personaggio di Gradisca pensando di affidarne l'interpretazione a Sandra Milo, che fu costretta a rinunciare a causa della gelosia del marito. La Milo fu comunque provinata per il ruolo di Gradisca.
CuriositàApoffaldin • 24/04/25 12:18 Pulizia ai piani - 278 interventi
IL MANCATO PADRE ROSSONERO
Per il ruolo del padre Fellini avrebbe voluto NereoRocco, l'allenatore della squadra di calcio del Milan. L'incontro tra i due era avvenuto in un ristorante bolognese e il regista si era dichiarato disposto a posticipare alcune scene del film pur di averlo. Rocco però tolse subito ogni speranza dicendo che in ogni caso non sarebbe stato disponibile fino a fine campionato. "Se perdo due partite mentre giro il film, mi sapete dire che succede a Milano?"
FONTE: Fellini vuol far recitare l'allenatore del Milan, in Paese Sera. Edizione del pomeriggio, 4 gennaio 1973, pag.15.