Il cinema ama citare se stesso e la sua storia. E' un fatto: ciclicamente, soprattutto in ambito thriller e horror, salta fuori il cinefilo invasato che d'improvviso perde la testa e comincia ad ammazzare. FADE TO BLACK (che anche in italiano mantiene il riferimento alla dissolvenza che chiude le scene "definitive") non fa che riprendere l'idea ponendo al centro della storia Eric Binford (Christopher), giovane impiegato di una casa di distribuzione cinematografica che vive con la zia in sedia a rotelle (Brent) e coltiva la propria passione maniacalmente, seppellito in una stanza tappezzata di locandine dove proietta per sé vecchi film grazie a pellicole evidentemente reuperate...Leggi tutto sul posto di lavoro. Asociale? Altroché, ma inizialmente nulla fa presagire la sua deriva patologica. Anzi, coi colleghi (tra cui si riconosce un giovanissimo Mickey Rourke) si diverte con indovinelli in tema cinema, con la zia - che spesso chiama mamma - ha diverbi in cui poco replica. D'altra parte non lo si può certo definire un tipo ciarliero. Ma quando una ragazza (Kerridge) conosciuta in una tavola calda e che tanto somiglia a Marilyn diserta il primo vero appuntamento con lui (per pura dimenticanza, tra l'altro), qualcosa in Eric scatta: si trucca vampirescamente da Bela Lugosi, indossa un mantello se ne va in sala a vedere LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI. Il tempo di tornare in stanza e non appena la zietta lo attacca per l'ennesima volta facendo cadere il proiettore lui non ci sta: spinge la carrozzella fin sulla soglia delle lunghe scale d'ingresso e da lì la lascia ruuzzolare rovinosamente. Addio zia, è il momento di passare al contrattacco: chi appena agisce in modo sbagliato nei suoi confronti fa una brutta fine, ucciso da un Eric conciato sempre in modo diverso e ispirato una volta dalla mummia, un'altra dai cowboy e un'altra ancora da Eddie Cagney in LA FURIA UMANA, noir cult tra i più citati di ogni tempo e letteralmente venerato da Eric, che non a caso sceglierà come nome d'arte proprio Cody Jarrett, il personaggio lì interpretato da un indimenticabile Cagney. E naturalmente la forza dell'opera sta tutta nei costumi scelti, nella particolare messa in scena dei delitti (non si capisce bene dove il nostro si procuri vestiti o auto d'epoca ma dopotutto siamo in un film, meglio non farsi troppe domande), nella follia che il protagonista riversa nel suo mondo parallelo in cui si figura eroe inarrestabile. Di buono c'è che l'impianto è quasi da film drammatico, meno caricaturale di quanto si possa immaginare e discretamente sviluppato anche per quanto riguarda le figure di secondo piano (va detto però che le fasi riguardanti le indagini della polizia, comprensive di una strana coppia di sbirri, sembran proprio aggiunte posticce buttate lì svogliatamente). Il cinefilo si divertirà a riconoscere le numerose citazioni, talora smaccate (l'immancabile aggressione sotto la doccia alla PSYCO), altre volte precedute da frammenti dei film interessati. Sorprendente buona la colonna sonora rockeggiante (che chiude poeticamente con la calzantissima "Heroes" di Marsha A. Hunt), sufficiente la regia di Zimmermann, che non si fa particolarmente notare ma sostiene un film scorrevole che tuttavia non ha le stimmate del thriller, prediligendo lo scavo psicologico della personalità di Eric (correttamente interpretato da Dennis Christopher) e immergendo il tutto in un clima da Los Angeles by night più figlio dei Settanta che del decennio a venire.
Agli albori dello slasher exploitation, Zimmerman punta già alla ballata d'autore e nondimeno gli va dato atto d'aver composto qualcosa di unico. Nerd afflitto da cdc (cinefagia disordinata compulsiva) svanisce sempre più di testa fino al totale re-enact dei suoi miti. Son guai. Prima di tutto per noi, poiché oltre l'ideuzza v'è pochetto. Delitti puerili, anticlimax, snodi tra il gratuito e il forzato, characters levigati con l'ascia, psiche schematica (giusto due parole in croce) e, quando senti scimmiottare Cagney, sai già come finirà.
MEMORABILE: Christopher truccato come Bela Lugosi va al cinema a vedere La notte dei morti viventi; Rourke che dice di aver visto Casablanca 50 volte.
Splendido. Superbo il protagonista Dennis Christopher nei panni dello sfortunato cinefilo che ben presto romperà il confine tra realtà e cinema cominciando a uccidere tutti quelli che hanno compiuto soprusi contro di lui. Lo spettatore si divertirà molto a seguire tutte le citazioni della pellicola del genere horror ma non solo, omicidi interessanti e ben realizzati. Molto ben descritta la figura del protagonista per il quale lo spettatore riesce a provare pietà (al contrario delle vittime, una più odiosa dell'altra).
MEMORABILE: Il finale sul tetto; La doccia; L'omicidio stile massacro di san valentino.
Zimmerman gira uno psycho-thriller dalle tinte horror che s'inserisce solo parzialmente nel filone slasher allora sul nascere; ritmo e situazioni non seguono gli stilemi classici del genere, a partire dal fatto che conosciamo da subito il colpevole. Più dalle parti di Maniac che di Venerdì 13, seppur non si raggiungano la violenza e il lerciume del film di Lustig, qui smorzati dai riferimenti cinefili e da un tocco da commedia grottesca. Teatrale e pittoresco come il suo protagonista (un bravo Christopher), un lavoro non privo di una certa classe, seppur un po' carente in tensione.
L’incidere è pachidermico, tant’è che i cento minuti di film sembrano almeno il doppio. Questa bobina che sanguina passione per il cinema da ogni vena (all’opposto degli omicidi, assolutamente anemici) però ce la mette tutta per affascinare: citazioni, omaggi, aneddoti e memorabilia....il tipo di ossessione la conosciamo, non è una sorpresa che si finisca con il parteggiare per il povero Eric. Bravissimo in tal senso Dennis Christopher: peccato che ogni tanto la sceneggiatura lo faccia sogghignare a mo' di tic e il risultato sia poco naturale. Ingessato ma passionario.
Fra la tragedia campy, il thriller psicologico e la commedia nera, l'horror cinefilo secondo Zimmerman è un'imperfetta ma acuta pausa di riflessione nel percorso evolutivo del genere, che cala il sipario sulla morbosità da psycho-drama dei Seventies e accende con garbatezza i riflettori sullo spettacolarismo pop-slasher del decennio successivo. Non tutti gli ingranaggi sono coordinati (il ruolo marginale dello psicologo Tim Thomerson, qualche evitabile lungaggine sparsa), ma quelli che s'incastrano bene fra loro filano che è una bellezza. Memorabile il willardesco Dennis Christopher.
MEMORABILE: L'aldrichiana zia sulla sedia a rotelle; Il mezzo volto truccato da Lugosi; Dracula come Norman Bates; Il costume creepy da cowboy; Il triste finale.
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ma da quello che so io fu in concorso al festival di Taormina nel 1980 , chissà magari in pellicola qualcuno la ha , in TV teoricamente non dovrebbe esser passato.