Tuttargenteria (
quel che rimane di Dario Argento)
Solo a sentire nominare l'Elena Markus di
Suspiria (eliminata da una ballerina americana di nome Susy Bannon(sic!)), Mater Tenebrarum che dimorava a New York, il passo del libro di Varelli fatto leggere da Phippe Leroy (guarda caso in carrozzina) a Asia (lo stesso che apriva
Inferno, letto da Irene Miracle) e vedere i disegni architettonici delle dimore delle tre Madri progettate da Varelli, si allarga il cuore e l'emozione si fa carne viva.
Argento ritorna nei meandri delle due sue fiabe oscure ed è subito una valanga di emozioni argentiane che ti arriva addosso, con i rimandi a TUTTO il suo cinema (da
Opera in giù) che avvolgono come in una morsa, in quello che è una summa argentiana in toto, proprio come lo era
Nonhosonno.
L'unica colpa e che lo ha realizzato troppo tardi, perdendo l'impietoso confronto con due monumenti come
Suspiria e
Inferno, e così il tanto vituperato
La terza madre diventa una deliziosa "sorellina minore", pregna di quella furia e di quella sublime poesia di morte che è il cinema di Dario Argento. Vero che , ormai, la raffinatezza visiva che contraddistingueva il dittico, quì. viene a mancare, ma anche vero che il cinema di Argento, nel frattempo, ha subito un "involuzione", e dalle putride fiabe nere intinte in cromatismi irreali, fatte di scenografie liberty e anfratti bui e maleodoranti, si passa alla crudezza e alla visceralità più carnale (non per nulla i delitti sono più da "macelleria", non per nulla, nella trilogia, entra il sesso e la perversione quasi sadiana ).
Asia . all'inizio, si toglie le scarpe per sfuggire al male (come Irene Miracle se le toglierà in
Inferno per immergersi nella stanza sott'acqua), nello studio di restauri antichi un occhio si sbarra nel buio (
Profondo rosso,
Suspiria), lo straordinario pedinamento in treno con montaggio e piani sequenza mozzafiato (
Nonhosonno), Leroy che , con un particolare divaricatore oculare, ispeziona l'occhio di Asia (
Opera) in cromatismi verdi degni del Tovoli di
Suspiria, Asia, che, dentro alla cabina telefonica guarda la finestra illuminata di una profonda luce rossa al terzo piano, mentre avviene il macello delle due lesbiche (
Profondo rosso, e quì ho avuto un erezione!), la vasca dei resti umani di
Phenomena, la decadente e fatiscente dimora di Mater Lacrimarum altro non è che la "villa del bambino urlante", Asia che sente le urla più si addentra, sempre più, nella dimora dell'assassino (Jennifer nella casa degli orrori di frau Bruckner), Adam Jones usato come strumento del male (Stefania Casini,
I morti incontreranno i vivi, e i vivi i morti), Asia in taxi di notte trasportata verso il male (la Harper in
Suspiria, la Giorgi di
Inferno), il meccanismo per aprire le porte dell'inferno (
Iris, gira quello blu), il poliziotto legato e torturato (
Phenomena), o che impazza sparando (con l'occhio fatto saltare al barbone) come Urbano Barberini in
Opera, la bellissima sequenza in libreria (la Giorgi in
Inferno), la terribile scimmietta (l'altra faccia di Inga), la chiusa liberatoria in una Roma quasi post atomica e assolutamente irreale (il sorriso finale della Harper mentre bruciano le streghe).
E poi i delitti, furiosi, sanguinari, viscerali, spietati, di una crudeltà mai raggiunta prima da Argento (forse in
Pelts), dove la stilizzazione, la coreografia quasi da musical, e la bellezza dell'omicidio, lascia il posto ad un sadismo insistito quasi fulciano.
La Tassoni con la bocca devastata e strangolata con i propri intestini, il feroce macello su Udo Kier da parte della sua perpetua (che prima maciulla il suo bambino) e sucidio annesso, la strega nipponica con la testa spatasciata dalle porte del treno, ma su tutti il sadicamente meraviglioso e spietatissimo massacro delle due lesbiche, mix delirante e violentissimo tra l'incipit idimenticabile di
Suspiria (Eva Axen, Susanna Javicoli) e l'uccisione di Mirella D'Angelo e Mirella Banti in
Tenebre, con in più un sadismo di una efferatezza inaudita (occhi perforati, impalamenti, e nell'agonia di Valeria Cavalli, Mater Lacrimarum le lecca via le lacrime). E se ci si fa caso, la posizione della Cavalli è del tutto simile a quella della D'Angelo, fotografata da morta, in
Tenebre.
La nuova Mater Lacrimarum è sexy e spietatissima (Argento ammanta di sesso corrotto e carnale quello che in
Suspiria e in
Inferno era totalmente assessuato, come le lesbiche di
Tenebre solo nominali, quì fanno all'amore), di una lascivia e di una perversione sessuale quasi sadiana (cannibalismo, orge al sangue, lingue tagliate per procurarsi piacere, la yuzniana pigofilia, la schiena scorticata) e mette davvero i brividi, cugina non troppo alla lontana di Ania Pieroni, così come è inquietante la strega giapponese che insegue Asia (Jun Ichikawa). E vedere la congrega di streghe per le viuzze notturne di una Roma lunare, ancestrale e incubotica, regala altre suggestioni argentiane.
Cosa non è poi la musica di Simonetti, che, nei frangenti più clou, fa risuonare la ost di Keith Emerson composta per
Inferno, dagli effetti gore di impressionante iperrealismo di Stivaletti, fino alla fotografia di Frederic Fasano, che dona tracce dei migliori lavori argentiani.
Il fantasma/guida della Nicolodi (ma molto toccante quando Asia guarda, piangendo, le foto della madre da giovane), alcune discutibili scivolate nella CG da commodore 64 e l'apocalisse romana un pò poveristica (nonchè una chiusa un pò frettolosa, la tunica dannata tolta alla Mater da Asia lascia a desiderare), sono solo orpelli che non intaccano più di tanto questo (inaspettato) e esaltante ritorno di un Maestro, che, col senno di poi, facevo male a giudicare ormai perduto (dopo quella robaccia di
Dracula 3d e l'imbarazzante
Il fantasma dell'Opera).
Sarà che sono entrato subito nel mood argentiano dopo il pessimo incipit stile
Alla 39° eclisse, ma ho rivissuto le stesse emozioni e le stesse sinfonie dell'Argento che fu con tutte quelle estasiatiche autocitazioni e quei continui rimandi alle sue opere passate (nel
Fantasma dell'opera le cercavo a forza per trovarci almeno un barlume, quì mi sono venute addosso, come una valanga, senza chiedere), eppoi quel brutale e disumano doppio delitto sulle due lesbiche (lì ho avuto un argenteo orgasmo), tra le cose più belle firmate dall'ultimo Argento (al pari dell'incipit ferroviario di
Nonhosonno) che si credeva finito.
Dopo
Nonhosonno un'altra immensa antologia tutt'argentiana
Imperfetto e molto meno "sinfonico" dei due capolavori che lo hanno preceduto, ma palpitante di (parecchi) sussulti irreversibilmente argentiani.
Quello che si vede non esiste, quello che non si vede è la verità.