Dopo l’exploit straordinario dell'UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO Dario Argento consolida la propria posizione di preminenza all'interno del thriller italiano (genere da lui stesso inventato, pur se con i dovuti tributi al SEI DONNE PER L’ASSASSINO di Bava, autentico antesignano anche a livello cromatico/spettacolare) con un film solitamente sottostimato ma che invece dimostra una volta di più l'estrema originalità e la forza della formula argentiana. Gli omicidi diventano ancor più feroci (epocale la scena dello stritolamento sotto il treno), studiati,...Leggi tutto con vere e proprie coreografie di morte, si moltiplicano le soggettive dell'assassino (spesso anticipate da un inquietante primo piano di una pupilla), mentre l'attenzione per i caratteri secondari e il gusto talvolta ironico con cui li si tratteggia (si veda il Gigi Scalogna di Ugo Fangareggi) fanno capire che la direzione del cast è molto meno approssimativa di quanto qualcuno voglia far credere. La conferma di Ennio Morricone alle musiche e la sensibilità con cui vengono dosate sono altre due qualità fondamentali per una storia che - comunque - ha tutte le carte in regola per attrarre l'interesse degli amanti del giallo. La coppia James Franciscus (il giornalista)/Karl Malden (l'enigmista cieco) funziona molto bene, Catherine Spaak è un'ottima sparring partner. Entusiasma soprattutto il modo innovativo con il quale vengono sfruttate le location, con una cura del dettaglio e un uso spettacolare del formato panoramico da far rabbrividire. Finale hitchcockiano che arriva d'improvviso, senza inutili epiloghi. Imperfetto quanto si vuole, ma di una classe sopraffina. Tante le inquadrature e le scene da ricordare.
Sempre maggiormente si capisce quanto per Argento conti la spettacolarità degli omicidi: le scene in cui vediamo l'assassino nerovestito ammazzare nei modi più disparati vengono studiate con straordinaria accuratezza e montate di conseguenza. La trama è al solito intricata e non sempre congruente, ma il modo in cui la storia è condotta dimostra una volta di più l'abilità di Argento di saper calare lo spettatore in un clima da incubo dal quale non si esce nemmeno nel disperato finale.
Della cosidetta trilogia degli animali è l'anello più debole, almeno a mio giudizio, ma rimane sicuramente un buon giallo. L'abilità di Argento nel creare suspance è indiscutibile ed interessante è la trovata di inquadrare la pupilla in primo piano prima dell'entrata in scena dell'assassino. E' stato il film che ha decretato il definitivo successo di Argento (il precedente L'uccello dalle piume di cristallo all'inizio era stato accolto molto tiepidamente da critica e pubblico). Buono.
Seconda pellicola del Maestro, che fa un passo indietro rispetto al debutto, portando sugli schermi un'opera che vuole essere troppo razionale (ma il regista non si smentisce: e avalla la fantascientifica ipotesi della triade cromosomica XXY). Il Gatto a Nove Code è un piccolo gioiello, che punta molto sulle interpretazioni (basta citare il grande Karl Malden) e su uno sviluppo narrativo che tiene incollati davanti allo schermo.
Primi inserimenti di scene splatter (l'omicidio/suicidio sotto il treno), futuro terreno d'approdo per Argento.
I brividi vengono già prima della visione: film che fu osannato in America e bistrattato in Italia (brividi di vergogna). E' un gioiello, invece, questo lavoro. Raro e inimitabile. Capace di mescolare abilmente il genere spy, giallo e thriller con un pizzico di horror. Per nulla prevedibile e con trovate degne del Maestro (gli omicidi sono particolarmente curati), si avvale anche di bravi interpreti e di una colonna sonora ad hoc. Non si troveranno ex bambini abusati poi divenuti maniaci, guanti di pelle o cappellacci neri. Perché Argento sa spaziare altrove.
Secondo giallo sulla scia del successo del primo. Qui tutto viene ampliato a dismisura: cast, durata, azione, morti. Riesce ad essere persino migliore del primo film, in alcuni punti. Straordinaria la partitura dodecafonica intessuta da Morricone. Argento segue la strada di Leone per la sua trilogia: se Piume di cristallo fu il suo Per un pugno di dollari, questo è il suo Per qualche dollaro in più, ove dilata tutti i contenuti e le valenze. Lo stesso discorso vale per la scelta degli attori: alternanza di grossi nomi stranieri e italiani. Un must.
Parascientifico e lombrosiano, il secondo giallo di Argento si distacca da L’uccello dalle piume di cristallo cancellando completamente l’iconografia dell’assassino (nessuna traccia di guanti neri), che qui agisce nella quasi totale invisibilità. La suspense è solida, grazie anche agli elementi enigmistici presenti nel plot; il cast funziona bene, a parte le insopportabili, sdolcinate parentesi della De Carolis. Suggestive e originali alcune inquadrature, così come lo score morriconiano.
MEMORABILE: La sequenza notturna di Malden e Franciscus al cimitero.
Non vale l'Uccello, ma è un film che per essere apprezzato, a differenza del primo, va visto una paio di volte. Si avvale di almeno due grandissimi attori, che sono Tino Carraro e Karl Malden. Bella la trovata di intrecciare alcuni cambi di scena, anticipando alcuni fotogrammi della successiva poco prima della chiusura della precedente (la cosa è presa da Easy Rider). Meno centrati i momenti comici e le affettate dolcezze della De Carolis.
MEMORABILE: La fantastica voce di Tino Carraro: "È un taglio profondo?".
Penalizzato dall'effetto "parente povero" dopo l'esordio fragoroso, è in realtà un lavoro per cui molti (anche odierni, anche americani) darebbero un braccio e qualcos'altro. Merito principalmente di una regia demiurgica e formidabile, di un cast all'altezza (Malden poi era un grande), dello splendido score di Morricone&Nuova consonanza. Ammiccamento hithcockiano (il latte) in un periodo in cui si giocava sulla "rivalità" (i flani con zio Alfred e la frase - bufalissima - "questo ragazzo incomincia a preoccuparmi")
Il meno bello della trilogia ma comunque un giallo decisamente superiore alla media. La sceneggiatura non è sempre convincente ma la regia è grandiosa e costruisce diverse sequenze memorabili (su tutte quella al cimitero). Ottimi Malden e Franciscus, bravina la Spaak. Stupenda colonna sonora di Morricone.
Altro gioiellino del Dario prima maniera, dove dialoghi piacevoli e suspence la fanno da padrone; il tutto condito da un’interessante indagine condotta da un Malden da applausi (il cieco) e un Franciscus (il giornalista) altrettanto convincente. Forse qui la potenza visiva e visionria di Argento non è espressa al massimo, ma già la trovata di trasformare lo spettatore in assassino, grazie alla telecamera, merita un elogio. E la stessa idea di partenza del gene che rende crminali sanguinari è tanto semplice, quanto efficace. Grande.
MEMORABILE: L'omicidio alla stazione. Il giornalista dal barbiere, che lo terrorizza con una lametta e strani discorsi sulla follia omicida che può colpire tutti.
Il meno interessante della trilogia, una sorta di ponte a Profondo Rosso (di cui anticipa alcuni stilemi come l'occhio dell'assassino). Degni di nota l'uso della mdp, del colore e delle ambientazioni. Se si ignora costantemente il "biscottino" della De Carolis (premio Erode), ci appassiona parecchio alla narrazione ed agli attori, compresa una bellissima Spaak forse passata prima delle riprese dallo stesso costumista di Hair).
Secondo capitolo della trilogia degli animali che però, a mio avviso, non riesce a bissare i risultati del primo. Tecnicamente parlando, Argento mostra ancora una volta tutto il suo talento, che a tratti sembra essere davvero prodigioso. Da un punto di vista narrativo, invece, le cose vanno meno bene, a causa di una sceneggiatura un po' inferiore alla aspettative, che delude soprattutto nel finale. Lo scioglimento dell'intreccio, infatti, è poco convincente e un filino inverosimile. In ogni caso è un film estremamente godibile.
Altro titolo storico del regista. Perfetta la sceneggiatura, con personaggi delineati benissimo e interpretati da un cast all'altezza della situazione. In particolare Karl Malden regala una prova memorabile nel ruolo del non vedente. Ma lascia il segno pure la prova di Vittorio Congia in un insolito ruolo drammatico. Bella la colonna sonora. Diversi i momenti da ricordare.
MEMORABILE: Il fotografo Congia e la camera buia...
Film poco argentiano per stessa ammissione del regista (che vuole cavalcare l'onda del poliziesco all'americana che proprio in quegli anni fioriva), complice l'occasione d'oro della presenza di Karl Malden, il quale presto diventerà icona del poliziesco USA anche da noi (Le strade di San Francisco). Il film si àncora ai canoni classici del poliziesco, con un'intrigo interessante che ruota attorno a studi genetici che avrebbero forse interessato anche il Cronenberg prima maniera. Mancano però l'efferatezza, il gusto per il macabro... manca Argento.
Reputo questo film non tra i più riusciti di Dario (certo, rispetto agli ultimi suoi lavori, è un gioiello). Forse manca un po' di ritmo e tende ad arenarsi in alcuni passaggi, comunque rimane più che sufficiente ed ogni tanto una nuova occhiata gliela ridò sempre volentieri.
Mediocre giallo di Argento che peggiorerà con 4 mosche di velluto grigio. Sempre il solito whodunit, sempre la predilezione per le scene madri senza curarsi troppo della trama (vedi la morte del personaggio con la testa schiacciata dal treno). Karl Malden enigmista cieco non è una cattiva idea ma sarebbe stata da eliminare la nipotina (la giovanissima Cinzia De Carolis) per quanto è lezioso il loro rapporto. Catherine Spaak molto figa, James Franciscus sembra un paralitico!
Stile essenziale, ritmo serrato e trama avvincente. Un thriller classico con l'assassino in soggettiva. L'enigmista cieco (Karl Malden) è il personaggio chiave del film. Girato a Torino e all'interno di un istituto di biogenetica, tiene incollati davanti allo schermo sino all'ultimo istante.
L'uccello era un'altra cosa, aveva una magìa particolare che manca in questo secondo giallo argentiano. Ma forse è proprio l'impostazione a essere differente: Argento stavolta punta su un'atmosfera più asettica e asciutta, quasi da poliziesco. Anche il killer sembra meno folle del solito e si palesano pure intrecci spionistici durante le indagini. Qualche scena memorabile c'è di sicuro, gli interpreti sono adeguati e ci troviamo indubbiamente di fronte a un prodotto sopra la media, ma resta l'impressione che manchi qualcosa.
MEMORABILE: La morte sotto il treno; il giornalista dal barbiere; nella cripta; il finale.
Inferiore al precedente L'uccello dalle piume di cristallo, ma un gran bel film. Rivisto di recente ho di nuovo apprezzato questo piccolo capolavoro che mi ha tenuto incollato allo schermo fino alla fine. Buona la tensione che Argento riesce a creare; ottimo Karl Malden (il cieco) e bellissima Catherine Spaak.
Altro thriller per Dario Argento, che forse non è agli stessi livelli del primo. Comunque si fa apprezzare per l'ottima suspense (Argento è un esperto del genere). Bravissimi gli attori, da Malden alla bambina passando purtroppo anche per la Spaak (che di solito è una mummia). Argento forse non è Hitchcock, ma sta dalle sue parti...
Ottimo thriller di Dario Argento. Una storia che non lascia spazio al sonno e alla noia e senza sequenze scontate. Ottimo anche il cast. Suspense ed interesse nella giusta dose, quello che basta a fargli avere un bel voto. Resta fra i miei preferiti di Argento.
A conti fatti la storia è buona e nulla più. Ma prima di rendersi conto razionalmente di ciò, ci si diverte, si trema, si sta in ansia, si attende, si spera e si parteggia per questo o quello. Insomma, Argento entra dentro i desideri più inconsapevoli dello spettatore (anche quello qualunque) per dargli ciò che cerca, che vuole e che merita. Pienamente appagante. Magnifiche scene notturne, l'idea dell'enigmista cieco dà, a noi amanti, veri e propri orgasmi cerebrali. Eccellente. Peccato per i capelli della Spaak, terrificanti! 4 pallini.
MEMORABILE: Quando "biscottino" entra nella cripta agitando un bastone sporco di sangue: a noi poveri spettatori quante cose balzano in mente in un solo attimo?
È il film più debole della splendida trilogia iniziale. Qui, più che altrove, pare che Argento abbia dovuto cedere alle esigenze di produttori e distributori verso un prodotto un po' troppo "americaneggiante", infarcito di scazzottate e inseguimenti in macchina che lasciano un po' il tempo che trovano. Le sequenze di omicidio, però, sono ottimamente girate, come sempre. Non mancano neppure, inoltre, le "trovate" geniali del regista, come l'immagine a pieno schermo della retina dell'assassino.
MEMORABILE: La morte di Bianca Merusi, la scena del cimitero.
Uno dei piatti forti del Darione nazionale. Un enigmista cieco, una bambina (non troppo odiosa) e un giornalista-investigatore. A parte la scena di "sesso" veramente ridicola (la Spaak non è per niente sensuale) si tratta di un film quasi perfetto; dico quasi perché la trovata del locale gay e la Spaak mi sembrano di troppo, per il resto è un thriller stupendo. Benissimo gli attori. Paura, tensione, emozioni... un bel filmone, da 3 pallini.
Secondo capitolo della trilogia degli animali, incuriosisce già dal titolo. Dario Argento conferma la sua capacità registica con un thriller, di taglio americano, girato in quella che Argento scoprirà la sua città ideale: Torino. Una sceneggiatura intrigante alla base del film, fotografato splendidamente da Menczer. Di non facile realizzazione, ma con un risultato garantito: un film di qualità.
Un fulgido esempio di sopravvalutazione. Inizia sulla falsariga de L'uccello dalle piume di cristallo, ma pian piano si rivela un film privo di mordente e lontano dal vero stile di Argento. Per carità, non dico che sia brutto, Malden (Dio l'abbia in gloria) è bravo e certe sequenze colgono nel segno (quella al cimitero, il tesissimo finale); ma è la sceneggiatura che non fila sempre, così come gli scialbi omicidi (fanno di tutto per non mostrar sangue) e la Spaak che ci sta come un cavolo a merenda. Il film convince poco. Voto: **!
MEMORABILE: Il finale, la morte della Rassimov e il tema di Morricone.
Secondo capitolo della "trilogia degli animali" e forse il film meno sanguinoso e violento di Argento: ha al suo attivo molte sequenze memorabili (prima fra tutte la lunga scena nel cimitero), ambientazioni come sempre convincenti e un curioso impianto narrativo simile a un poliziesco americano. C'è almeno un attore di ottima caratura in un ruolo primario (il grande Karl Malden), mentre l'altro protagonista James Franciscus è alquanto tipico di quegli anni. Comunque azzeccato.
MEMORABILE: La sequenza nel cimitero, intervallata dall'occhio abnorme dell'assassino che osserva il tutto.
Film discreto, se si pensa all'attuale Argento, tuttavia il meno riuscito della trilogia animalesca, si avvale di un discreto cast (Carraro, Franciscus e Malden soprattutto), ma pecca di varie ingenuità a livello di soggetto e sceneggiatura. Teatralmente diretto da un buon Dario. Da menzionare come meriti l'ottima fotografia e le scene degli omicidi, talune molto riuscite (quelle del fotografo e della Rassimov), "Il gatto a nove code" pecca comunque in solidità; a fine visione si ha l'idea di un riuscito thriller, a cui però manca mordente.
Tra i primi Argento è il meno personale: il titolo animalesco è sorprendentemente forzato e gratuito; scene riempitive (come la corsa in auto della Spaak) rimandano alla routine dei suoi presunti imitatori; e la soluzione arriva così, senza passare attraverso nessuna illuminazione visiva (come nell'Uccello e in 4 mosche). Detto questo, è comunque godibilissimo e ben girato. Da antologia la scena del cimitero. Cast all star, tutti efficaci (Alighiero, Carraro, Capponi, la Rassimov).
MEMORABILE: Il fotografo alla stazione, quando scende l'attricetta dal treno: "ridi, ridi stronza, che è morto uno sotto al treno tuo!"
Forse il meno personale dei film di Argento (tralasciando le mostruosità post Trauma), resta comunque un ottimo thriller con una trama abbastanza improbabile ed una regia asciutta e misurata. Ottimi gli interpreti (Malden su tutti, troppo fredda la Spaak), ottime le musiche di Morricone anche se inferiori a quelle della precedente collaborazione col regista romano. La tensione è comunque palpabile in molte scene (la lunga sequenza al cimitero, la morte di Bianca Merusi) e si risolve in un finale molto ben coreografato e recitato.
Argento mescola spionaggio industriale e consuete suggestioni morbose (sebbene meno accentuate che nel precedente L'uccello dalle piume di cristallo e nei successivi capolavori) per confezionare un giallo compatto e credibile, al netto di qualche faciloneria in sceneggiatura, ma che non prende allo stomaco lo spettatore. Dirigere il grande Karl Malden fu, per ammissione dello stesso Argento, fondamentale per convincerlo dell'importanza degli attori per la riuscita di un film. Da segnalare il finale, amaramente beffardo nella sua crudeltà.
MEMORABILE: Le soggettive della pupilla dell'assassino, un espediente apparentemente banale ma immediatamente in grado di alzare la tensione.
A giudizio di chi scrive è il miglior film della trilogia zoonomica di Argento. Avvincente, teso e senza tempi morti, si avvale dell'idea di una splendida coppia di improvvisati detective (un enigmista cieco ed un giornalista) che scoprirà cosa si nasconde dietro una catena di omicidi legati ad un istituto di ricerche genetiche. Tante, tantissime le scene memorabili e anche gli omicidi cominciano ad essere sempre più curati e coreografati. Le musiche di Morricone e soprattutto la sua ninna nanna in blu completano il quadro. Bellissimo.
MEMORABILE: C'era una volta un giornalista che insieme ad un enigmista cercò di scoprire perché certa gente muore...
Un'elegante pellicola con l'immancabile pubblicità occulta al Punt & Mes: Dario Argento entra negli anni Settanta con una storia forse un po' troppo contorta ma certamente superiore (di due spanne) a molti imitatori che seguiranno. Gli attori: Karl Malden è grandissimo nel ruolo del cieco; catherine Spaak avrebbe fatto meglio a non svestirsi. Morricone punta ai toni sibilati e ricicla lo stile soavemente cantato de L'uccello dalle piume di cristallo.
MEMORABILE: Corrado Olmi durante l'inseguimento della Spaak in Porsche.
Thriller di respiro "internazionale", con cast molto in voga per l'epoca, opera fra le meno amate dallo stesso Argento, ma certamente fu un passo importante per proseguire con il suo percorso artistico. Una storia molto ben congegnata, perfettamente equidistante da giallo e horror, con personaggi ottimi nonostante la diversa estrazione artistica. Estetica filmica elegantissima e originale, siamo nel pieno periodo thriller classico di Argento, che merita di essere rivisto e studiato, da tenere a mente sempre.
Buon giallo argentiano in cui il regista evita l'uso di effettacci truculenti riuscendo però a creare buoni delitti dal punto di vista visivo (cito quello della Rassimov nella sua dimora). Cast di alto livello (c'è pure Tom Felleghy tra i sospettati!). Morricone con le musiche si impegna, e anche se il finale è un pochino sbrigativo nella spiegazione del movente, lo promuovo, anche se non lo ritengo il miglior giallo argentiano.
Probabilmente il miglior thriller del primo periodo Argentiano, a pari merito con Profondo rosso a cui è leggermente inferiore per regia e musiche, ma superiore per trama e sceneggiatura (forse la migliore mai vista in un film di Argento). Si va ben oltre il pur ottimo prodotto di genere che era l'esordio: un giallo quasi perfetto, con tanti elementi intriganti e soluzioni fuori dal comune (gli indiziati ad esempio, quasi tutti scienziati). Imperdibile, a mio parere. Per la cronaca: la triade XXY causa al massimo qualche problema di statura!
MEMORABILE: L'incursione notturna nella cappella al cimitero; la disquisizione sui cromosomi umani (fasulla, ma di grande effetto); il finale.
Thriller votato molto alla classicità con poco gore (almeno quello esplicito) e che, almeno per due terzi, è impostato solidamente. Argento è una delle rare volte che riesce a dirigere gli attori con efficacia. Tra di essi spiccano Malden nel ruolo del non vedente e la sorniona Spaak. La vicenda è intrigante, articolata il giusto, peccato che il finale non sia il massimo quanto a credibilità e tempi di ripresa.
Il film di Dario che mi ha fatto più paura in assoluto. Tutto s'incastra divinamente dal primo all'ultimo fotogramma. Le bordate di alleggerimento (corse in auto, locali ambigui, bettole, scassi improvvisati) non mi hanno mai distolto l'angoscia di fondo per questo tormentone continuo di un assassino ubiquitario, che non fa mai mancare il suo influsso e che alla fine, menomato com'è, non si ferma, anzi, aumenta ancora la sua ferocia. E la sigla iniziale fa pensare proprio al bene guastato dal male...
Il secondo film del maestro romano appare lievemente meno avvincente dell'esordio. Nonostante un cast di indubbio valore (il premio oscar Malden), la pellicola evidenzia una trama non sempre eccelsa e motivata da una ratio omicidiaria molto fantasiosa, tuttavia la tensione è palpabile e le riprese generano inquietudine.
Fu quest'opera, con uno splendido manifesto, a scatenare la serie del giallo all'italiana con volpi, tarantole, iguane... Abbiamo un Dario Argento attento ai dettagli e alle inquadrature che ancora si identificava nei suoi film. Nel 1971 "Il gatto a nove code" poteva essere visto solo al cinema e, in sala, offriva emozioni che in televisione vanno in gran parte perdute. Perfetto il tema musicale e la fotografia; unica stonatura la De Carolis e il suo "biscottino" nel finale. Ma si può perdonare.
Di molto superiore all'Uccello, anche per maturità registica e intreccio narrativo. Lampi di horror gotico (Franciscus e Malden tra le lapidi), omicidi più feroci (su tutti quello di Rada Rassimov, prove generali per Profondo rosso) e un finale, nella tromba di un ascensore, tra i più violenti del primo Argento. I traumi infantili vengono momentaneamente abbandonati per le ricerche scentifiche e un pizzico di fantascienza. Alcuni momenti "comici" (la gara di parolacce) non intaccano la tensione, sempre costante. Il primo vero gioiello argentiano.
MEMORABILE: Malden e la piccola De Carolis passano vicino ad una sospetta Lancia Fulvia; la tromba dell'ascensore; la triade cromosomica; il finale.
Un buon thriller, dotato di ottime sequenze, ma che non convince fino in fondo. Le scene degli omicidi sono più raffinate e calibrate di quelle dell'Uccello, ma forse l'eccessiva abbondanza di nomi e particolari confonde e svia lo spettatore, rendendo il risultato meno avvincente e scorrevole del precedente. Degne di nota soprattutto le splendide e accattivanti musiche di Ennio Morricone e l'introduzione alle scenografie baroccheggianti che vedremo poi riproposte in altri film di Argento quali Inferno e Profondo rosso. Deludente il finale.
Trama da giallo/thriller classico; tutto il bello del film è nei dettagli che Argento ha inserito qua e là, con le inquadrature, gli studiatissimi montaggi delle scene di assassinio, i personaggi variegati e sempre incisivi. Ottimo nella sua semplicità il finale, netto ed impressionante. Per gli amanti del giallo è sicuramente un must, ma anche chi non gradisce il genere troverà dei buoni motivi per vederlo.
Un altro ottimo lavoro firmato dal grande regista Dario Argento, che riesce a tenere col fiato sospeso il telespettatore dalla prima scena fino all'ultima grazie ad una sceneggiatura curata e ricca di dettagli. Anche le interpretazioni del cast sono notevoli (cito ad esempio Malden). L'assassino riesce sempre ad essere in ogni dove per eliminare tutte le tracce ed eventuali persone, sembra proprio che non lo si potrà mai assicurare alla giustizia... Solo il finale sembra un po' troppo sbrigativo, ma per il resto è ottimo.
MEMORABILE: I due protagonisti nella scena del cimitero durante la notte.
Argento in gran forma in questo secondo thriller dopo L'uccello dalle piume di cristallo. Una storia ottimamente congegnata e sapientemente recitata da tutto il cast (se escludiamo un'anonima Spaak che pare avere la stessa espressione per tutto il film). Belle sequenze da brivido come l'assassinio alla stazione, il giornalista chiuso nella tomba di famiglia e l'assassinio finale. Assurdi siparietti comici che fanno ridere più per la scelta di inserirli piuttosto che per il loro fine. Supreme le musiche del maestro Morricone.
Il secondo film di Argento non è inferiore al primo ma è solo esteticamente differente. Quanto l’”Uccello” era visionario e suggestivo tanto il “Gatto” è narrativamente coinvolgente e concentrato sull’intreccio. Qui l’assassino non recita il rituale della morte e non indugia in macabri preparativi ma colpisce all’improvviso senza preavviso e senza che venga mai inquadrato in modo oggettivo dalla cinepresa se non nella scena finale. In questo film conta sopratutto la concatenazione dei fatti: la sceneggiatura viene prima degli effetti speciali.
Credo che tra i film di Argento, perlomeno degli anni 70 e 80, sia quello col titolo meno aderente ai contenuti che, tra l'altro, non prevedono supplizi fustigativi (vedi il tipo di frusta di cui il film è omonimo!). Ma i delitti non mancano certo di impressionare e la penuria ematica è compensata dalla cruda e meccanica fermezza omicida, penosamente riflessa sui volti dei morituri (Dario c'è!). Bel giallo fanta-biologico, più pratico che arcano, ma quell'iride ubiqua del killer e, di più, gli occhi sgranati del cieco nella cripta, inquietano.
MEMORABILE: Tutta la scena al cimitero (e quel viso del cadavere così realistico); il fotografo un po' alla Blow-up di Antonioni; Giordani e le medie statistiche...
La seconda pellicola di Argento è stato penalizzata dal grosso exploit dell'esordio: ci si aspettava qualcosa di simile; sbagliato: la duttilità del grande regista romano lo porta ad affrontare il thriller in tutte le possibili varianti senza mai ripetersi (almeno negli Anni '70). Giallo straordinario di stampo internazionale: “americano” nei volti e nella fotografia, ma addizionato della genialità italiana (la triade dei cromosomi XYY!) e delle nostre debolezze strappacuore (la dolcezza della De Carolis). Gran film!
Un giallo avvincente che si svolge intorno ad un elemento scientifico, capro espiatorio di tutti i delitti. La mano delittuosa non è subito evidente, ma verso il finale si incominciano a delineare le caratteristiche "morfologiche" della figura criminale con annunciati depistaggi. Una presenza carina ma inutile è quella dell’ ”enfant prodige” De Carolis, che non si rapporta a nessuna figura del film! Bravo Vittorio Congia nella parte del reporter.
Seconda spettacolare opera di Argento, notevolmente orchestrata grazie a una bella sensibilità ritmica (con finezze di montaggio) e a una potente allucinazione che tiene lo spettatore sulla corda. Curiosa la strana coppia dell’enigmista cieco e del giornalista, alle prese con gli omicidi all’istituto di genetica: una storia che però fa cilecca proprio sulla soluzione finale, facendo evaporare la complessità (le 9 code del titolo, appunto, e quindi le false piste) che con la visionarietà del regista aveva caratterizzato tutto il resto del film.
Un cieco e un giornalista cercano di svelare il mistero che si cela dietro un furto ed alcuni delitti. Come nel precedente film, Argento riesce a coinvolgere lo spettatore dall'inizio alla fine grazie anche alla buona colonna sonora di Morricone. Perfetti Karl Malden e James Franciscus, ma anche il resto del cast è ottimo. Un buon film.
Secondo film di Argento e altro gioiello del thriller. Ancora una volta il regista sa fare un uso ottimo delle inquadrature, della bellissima colonna sonora e del montaggio, in modo da rendere il tutto fluido e ritmato. La coppia Franciscus-Malden è affiatata, ma anche il resto del cast è scelto con cura; la soluzione del giallo è più semplice rispetto ad altri prodotti argentiani ma la trama non manca di colpi di scena. Da non perdere.
Mi è piaciuto, dopo molti anni dalla precedente visione. Lo ricordavo poco, nemmeno del colpevole rammentavo l'identità: è il massimo! Perchè oltre ad ammirare la tecnica, le location e sentire l'atmosfera 70 con i suoi oscuri presagi, mi sono esaltato alla ricerca di qualche indizio per giungere prima della fine alla verità: ovviamente senza risultati. Certo si può intuire il movente, ma chi uccide per coprirsi? I delitti sono costruiti bene e mostrati altrettanto, col sangue e con la regia di Argento al massimo del suo valore.
MEMORABILE: La grandissima interpretazione di Karl Malden.
Un cruciverba enigmistico, con i bianchi e neri tutti al posto giusto, un'equazione xxy... rigoroso, razionale nel movente, sobrio nella messa in scena dei delitti, manca del fascino nebuloso del particolare sfuggente, dell'indizio subliminale presenti prima ne L'Uccello, poi in Profondo rosso. Argento ci concede comunque due begli eccessi, due strappi nella solida trama e nella (relativa) uniformità estetica del film: la goticheggiante discesa nella cripta e lo spaventoso volo giù per il pozzo dell'ascensore. Un classico minore, ma un classico.
MEMORABILE: L'omicidio di Rada Rassimov, le tende, il corridoio; la Spaak nella scena di sesso più incredibilmente statica della storia del cinema!
Secondo lavoro del buon Argento (al tempo!), inferiore per tensione e trama al primo ma comunque godibile e di effetto nelle ambientazioni (Torino) e nella scelta italo-americana dei protagonisti. Dinamico e ambiguo nell'articolazione, a mio parere meno violento degli altri (ottimo aspetto), si discosta da traumi pregressi ma tocca aspetti più "pratici". Un plauso a Karl Malden e Franciscus, non tralasciando una giovane e meno signora di adesso Catherine Spaak!
MEMORABILE: Le intuizioni di Karl Malden "Arnò"...
Argento sa creare una suspense che attanaglia lo stomaco e che obbliga lo spettatore ad assistere allo scioglimento dell'intreccio, che sfortunatamente delude molto. Metaforicamente si vede un gran bel gioco che purtroppo nel momento di finalizzare fa cilecca. La regia è in gran forma e l'uso delle location denota un'attenzione non comune per il singolo dettaglio. Prove attoriali sopra la media del genere ed è sfavillante la fotografia di Erico Menczer.
Film di notevole fattura anche se forse meno teso e oscuro del suo predecessore (L'uccello dalle piume di cristallo). Ha dalla sua un cast di ottimo livello, personaggi ben caratterizzati (memorabile Malden, ottimo Franciscus) e l'indubbio talento visivo del primo Argento; trama di buon livello, con un finale forse non eccezionale ma comunque accettabile. Curata la scelta delle location torinesi e di alto livello la colonna sonora di Morricone.
Alla seconda prova, Argento confeziona con abilità un thriller che intriga soprattutto per la "strana coppia" di investigatori dilettanti: un giornalista giovane ed ambizioso ed un enigmista cieco. L'andamento ben ritmato dalla sequenza dei delitti nasconde però solo in parte le magagne delle sceneggiatura, culminanti in un finale deludente. Funzionali Franciscus e Malden, imposti dai coproduttori americani, come pure alcuni caratteristi di contorno. Punto dolente invece la Spaak, sempre in abito da sera, espressiva quanto un manichino di cera.
Con 4 mosche e L’uccello condivide un'aria di incompiutezza a tratti urtante e deludente, che può tuttavia ritenersi propedeutica a quelli che saranno i più definitivi capolavori del decennio ’75-’85. Di buono c’è sia la semplicità descrittiva del rapporto tra l’enigmista cieco Malden (di un'altra categoria) e il bel giornalista Franciscus che la sfuggente architettura complessiva (movimenti di macchina, montaggio). In negativo invece pesano la fatua soluzione (debole soprattutto rispetto alle aspettative create) e alcune lungaggini (la scena al cimitero).
MEMORABILE: Gli scatti del fotografo interpretato da Congia.
Ottimo giallo diretto dal primo Dario Argento. La sceneggiatura è ben curata e i personaggi ben amalgamati. Non mancano le scene di tensione che incollano lo spettatore alla sedia e rendono il film un piccolo cult degli anni Settanta. Buone le musiche.
Un bel giallo. Purtroppo Argento non si occupa qui del soprannaturale e di quella sorta di pazzia che preferisco nei suoi lavori affidandosi a una spiegazione pseudo-scientifica molto naif. Tecnica come al solito sopraffina, musiche che si sposano alla perfezione con l'azione (bellissimi gli istanti finali nell'ascensore). Godibile e abbastanza frizzante l'accoppiata cieco-giornalista.
Argento replica la formula variando l'orizzonte: con Torino si allargano gli spazi e si acquista in modernità e singolarità. L'intreccio è ancora ben studiato e preciso, la ricchezza del cast offre ottimi personaggi secondari e protagonisti perfetti, mentre nella forma non mancano preziosi ricami sui dettagli che affinano lo stile. L'insieme è forse meno intrigante rispetto all'esordio, non c'è la novità, ma il tocco inconfondibile, che Morricone serve con eccellente score, si sente eccome!
MEMORABILE: L'ascensore per l'inferno. E il cuore di un angelo che chiama: Biscottinooo...
Secondo capitolo della trilogia animale, è un thriller meno compatto ma più raffinato rispetto all'Uccello. Le trovate interessanti abbondano: l'insolita coppia di protagonisti e la conseguente amicizia, le riprese degli omicidi alternate ai primi piani sull'occhio dell'assassino, le disquisizioni scientifiche fallaci ma intriganti. Non mancano ovviamente le scelte stilistiche già collaudate, come i movimenti febbrili della mdp e l'ossessione per il rosso del sangue. Ottima la galleria dei personaggi, ciascuno con una propria peculiarità.
MEMORABILE: L'omicidio in stazione; La scena del cimitero; Dal barbiere.
Giallo interessantissimo e dal respiro internazionale questo di Argento, dove l'atmosfera lugubre di morte imminente e il continuo clima ansiogeno sono insiti nella pellicola, veri protagonisti della storia. Cast di prim'ordine e trovate narrative geniali completano il quadro. Un film copiatissimo che ha inaugurato un vero e proprio modus operandi. Capolavoro assoluto, poco altro da aggiungere.
Nella "trilogia degli animali" è il film che ho sempre apprezzato di meno; detto questo resta un buon film nel complesso, caratterizzato da una vicenda intricata sulla quale lavorano e indagano due persone (un giornalista e un cieco). Stecca nel finale, dopo una fabula ben congegnata la soluzione al mistero non è allo stesso livello. Buona la prova degli interpreti.
Dopo il folgorante esordio con L'uccello dalle piume di cristallo Argento torna con un secondo film più tradizionale e meno visionario. La storia vede l'enigmista cieco Arnò (Malden) e il giornalista Giordani (Franciscus) indagare su alcuni misteriosi omicidi avvenuti in un istituto di ricerca. Anche in un'opera minore il giovane regista è sempre una spanna sopra ai suoi colleghi. La scena notturna del cimitero è un omaggio al gotico italiano.
MEMORABILE: La vista al cimitero; Il finale sui tetti.
Seconda prova di Argento per un giallo che lui definì (a mio avviso ingiustamente) come una film non ben riuscito e quasi disconosciuto. Invece a mio avviso si pone allo stesso livello de L'uccello dalle piume di cristallo, con un cast all'altezza (piace la coppia di investigatori) e un sistema efficace creatore di tensione. Ricco di fascino anni '70 (cui non sono insensibile), si caratterizza per una soluzione meno visionaria ma più concreta. Grande!
MEMORABILE: La scena al cimitero; Lo sguardo di Malden; Le tue certezze che d'un tratto vacillano.
Dario Argento è un maestro della regia e lo dimostra nella cura del dettaglio, nella precisione e nella composizione di inquadrature mai banali; dalla capacità di mantenere alta la suspense fino alla fine, avvicinando più volte lo spettatore a un palmo dalla verità per poi lasciarlo a bocca asciutta. Anche la trama è senza dubbio meritevole, sostenuta da personaggi eccezionali che si muovono egregiamente fra le misteriose strade italiane sopra le note del grande Morricone. Lo studio genetico e il latte ricordano il coevo Arancia meccanica.
Un giallo con buone dosi di thriller e poliziesco. Argento deve ancora ingranare ma per lo meno non tradisce il suo stile. Il protagonista (James Franciscus) non sembra la scelta più azzeccata: per tutto il film appare come un pesce fuor d'acqua. Il film si regge su Karl Malden (Arnò), la bambina e le buone scenografie. In generale il film non ha granché mordente come anche la sceneggiatura, che presenta le solite forzature. Mediocre (anche se a una prima visione non sembra affatto).
Thriller di respiro internazionale che grazie al personaggio di Malden dà equilibrio alle sfumature: amorevole con la nipote, arguto nelle conclusioni e che al cimitero sa persino instillare il dubbio. Finché l’interscambio col giornalista regge la sequenza di omicidi il film si fa seguire, poi si sfalda anche per il ruolo ambiguo della Spaak e alla fine termina i nove rivoli in un nonnulla. Location esterne accattivanti e interni particolareggiati: un’ottima confezione con musiche morriconiane all’altezza.
Per quanto Argento lo abbia disconosciuto per il taglio, a suo dire, eccessivamente americano, la qualità della pellicola rimane evidente. Un montaggio che non concede pause e una storia intrigante tengono incollati allo schermo fino all’epilogo, poco ruffiano ma efficace. Gli attori sono all’altezza della situazione, in particolare Karl Malden. Semplice ma ammaliante il tema portante di Morricone, che scrive la colonna sonora che non ti aspetti.
La narrazione gialla e il disvelamento finale (un po' tirato per i capelli) non si discostano di molto dalla media del periodo. Argento, però, impregna l'opera col suo stile già consolidato (comprese certe bislaccherie: stavolta un gene misterioso) e la impreziosisce grazie a una serie di solide caratterizzazioni. Malden sopra tutti. Grande Morricone col suo avant jazz dei tempi del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza.
Benché le indagini vengano eseguite da un giornalista, coadiuvato da un cieco enigmista, parrebbe più un poliziesco... all'americana, direbbe Dario! I due, altro non sono che l'unione dei due amici e lo sdoppiamento del protagonista del film precedente! Aumentano sia le sequenze cruente che la vena umoristica e, allo stesso tempo, viene sviluppata sia la tecnica delle riprese in soggettiva che il montaggio alternato. Tema musicale perfetto! Dovremmo attendere altri quattro anni per vedere, finalmente, il definitivo passo in avanti del Maestro.
MEMORABILE: Gli spacchi della Spaak; La dissonanza della musica nello studio fotografico; Il Porsche 356 B; I quadretti a tema; La lapide con su scritto Di•Dario.
Dopo lo straordinario esordio un piccolo passo indietro era inevitabile, ma siamo ancora su livelli molto alti. Regia, location e scenografie sono impeccabili, la tensione costante, la trama avvincente e ben orchestrata (nonostante l'implausibilità del movente "scientifico" dei delitti). Il cast, a parte la stucchevole bambina, è il migliore di cui Argento abbia mai potuto disporre: Malden perfetto, bravo Franciscus, di provocante eleganza la Spaak, ottimi i comprimari. Bella fotografia di Erico Menczer, piacevoli le musiche di Morricone.
MEMORABILE: I primi piani sull'occhio dell'assassino; Gli omicidi del fotografo e della Rassimov; Il barbiere; La sequenza al cimitero; Il finale.
Il più "giallo" e il meno "rosso" dei thriller argentiani, apprezzato soprattutto da chi non ama il gore spinto delle sue opere successive. Diversi gli spunti tecnici che hanno fatto la storia del genere come l'occhio dell'assassino e la magistrale soggettiva nell'inziale effrazione nella clinica. Ottimi gli interpreti maschili con Malden una spanna sopra tutti, da rivedere invece il reparto femminile con una Spaak inespressiva e ingessata. L'interessante spunto lombrosiano sulla genetica criminale poteva essere sviluppato meglio.
MEMORABILE: "Biscottino"; Il finale; Il turpiloquio di Fangareggi; L'incidente alla stazione; Il cimitero; L'ambientazione torinese.
Ciò che non convince nei primi tre gialli di Argento sono proprio le spiegazioni poco realistiche sul movente psicologico dell'assassino; in questo la spiegazione funziona ancora meno, concludendosi con un finale davvero deludente. Per il resto il film è girato con la maestria che contraddistingue i primi vent'anni di carriera del regista, malgrado affiori un po' di noia durante le indagini. Buona la coppia di indagatori composta dal giornalista e dall'enigmista cieco.
Ennesimo giallo avvincente diretto da Argento, che sin dalle prime inquadrature lascia presagire il livello (alto) della pellicola. Poche scene violente stavolta (ma non certo meno suspense) e la soluzione finale risulta davvero imprevista (con tanto di colpevole alquanto insospettabile). Attori molto bravi e in parte, belle musiche e anche il livello estetico risulta (ancora una volta) ottimo. Da vedere!
Oggettivamente, non il miglior film di Argento (amato poco dallo stesso regista, per sua ammissione). Soggettivamente, quasi un capolavoro: prove tecniche di atmosfera senza necessità di trama, con tantissime sequenze di culto (dall'apertura all'omicidio in stazione, dalla scena al cimitero all'inseguimento finale) e una colonna sonora morriconiana fra le più tese, astratte e stimolanti del periodo. Lo smascheramento del colpevole è un pretesto per far tornare i conti: la magia sta in tutto il resto.
Della trilogia degli animali è quello che appare il più completo, pur non ripetendo l'esordio folgorante dell'anno prima. La storia è intrigante e ben girata, oltre che ben interpretata (Malden e Carraro i migliori, ma il resto fa bella figura) e la gara di parolacce (sic) spezza la tensione senza guastare. Poco sangue (ed è meglio). Meravigliosa colonna sonora di Morricone.
MEMORABILE: La scena al cimitero e quelle con Malden e la De Carolis.
Non all'altezza de L'uccello dalle piume di cristallo; ma l'aura enigmatica c'è, con tutte le giuste informazioni di stile che esasperano e codificano immagini di genere, materiando affilate tensioni psichiche (le mosse dell'assassino), calde ambiguità (il personaggio interpretato da Catherine Spaak), tribolazioni d'indizi decisivi sfuggenti (la fotografia in stazione, la collana). Il punto debole più evidente è nell'epilogo, ovvero nel movente; ma la forza d'insieme manifesta lo spettacolo. Preziose e indispensabili le note di Morricone.
E’ l’argento del periodo aureo di Argento. Gran bel film con però un’alone quasi docile e mansueto da telefilm: visionarietà e coreografie fanno già sadico capolino ma lo sguardo sembra strizzare l’occhio alla massa e non all’istinto, l’intreccio giallo si scioglie senza mozzare il fiato e l’immaginazione. In tutto ciò il tenero affiatamento tra l’enigmista Malden e la piccola De Carolis è una vetta anomala dell’intera filmografia, così come indimenticabile è la lunga sequenza al cimitero. Dario ci ha abituato troppo bene.
Confortato dal successo di pubblico dell'esordio, Argento prepara a tambur battente un bis, baciato anch'esso da lauti incassi. Il meccanismo si raffina ma non cambia granché, fatto salvo il movente dell'assassino. Se la macchina da presa si muove in modo ancor più ricercato e il sangue scorre più copiosamente, la sceneggiatura è più farraginosa e il finale decisamente deludente. Bravo Malden, mediocre Franciscus, pessima la Spaak.
MEMORABILE: La terribile acconciatura della Spaak.
Il taglio argentiano è già tranquillamente ravvisabile dalle inquadrature peculiari dell'assassino (occhio, prospettiva in prima persona) e dall'efferatezza di alcuni delitti. Pur mancando di quel tratteggio d'atmosfera in bilico tra l'onirico e l'incubo di altri suoi film, Argento innesta nel tessuto narrativo una componente ironica capace di arricchire il quadro di contorno; e a beneficiare di questa scelta è soprattutto la coppia investigativa atipica che traina la storia. Ornativa la Spaak e un po' frettoloso il finale.
MEMORABILE: La copula con la Spaak imbalsamata; L'omicidio sotto al treno; L'uccisione della Rassimov; Tutta la sequenza notturna al cimitero.
Siamo di fronte a uno dei massimi picchi artistici del grande Dario Argento, che rappresenta anche il meglio del thriller italiano (e non solo). Una scoperta scientifico-genetica scatena le ire di un killer disposto a tutto pur di far sparire delle prove compromettenti. A indagare sono diversi personaggi e il rompicapo è difficilissimo da risolvere sino alla fine. Come al solito la sceneggiatura è perfetta e i protagonisti hanno l'ambiguità che si conviene quando si costruisce un'opera che vuole giocare a carte coperte sino alla fine.
Opera argentiana poco cruenta e poco visionaria, quasi convenzionale, ma comunque tesa e serrata, con un buon equilibrio tra investigazione, azione e scene di alleggerimento e un talento visivo sempre personale e ispirato, esaltati dalle ardite partiture di Morricone. Il regista, inoltre, sfrutta bene le qualità degli attori di cui dispone (in particolare l’”attore totale” Malden, da applausi in una parte difficile e di fascino come può esserla quella di un enigmista cieco).
MEMORABILE: La pupilla dell’assassino; L’omicidio e il codazzo di fotografi alla stazione; Arnò al lavoro; La colluttazione finale; L’ascensore.
Thriller ben congegnato e studiato dal giovane Argento, il quale dirige egregiamente un'opera valida e dalla giusta suspense. Ottimi sono gli attori, in particolare Malden, il quale interpreta un ruolo difficile in maniera perfetta, avendo come partner un buon Franciscus e una bravissima bambina. Il particolare del modo in cui viene ripreso l'assassino che uccide è davvero brillante e dà quel giusto sapore di brivido alla sceneggiatura, di per sé non così incisiva; da vedere per ricordare al meglio il nostro cinema giallo dell'epoca.
Forte di un grande cast in tutti i suoi componenti, il film avvince e lega alla poltrona dalla prima inquadratura all'ultima, creando un'atmosfera che solo il primo Dario Argento sapeva realizzare. Il film non è privo di difetti, alcuni salti di sceneggiatura non sono ben chiari, ma l'impalcatura non cede neanche per un istante e ad alcuni piccoli errori si contrappongono delle scelte registiche geniali. Ottimo ritmo, sempre incalzante e grandi location, fotografate alla perfezione.
Il film meno sanguinario di Argento (l'assassino è uno strangolatore seriale) ma che ha precorso i tempi: la trama e soprattutto il movente dei delitti ricordano molto da vicino quelli di certe serie poliziesche moderne. Buoni il cast e il ritmo, non mancano le citazioni (il negativo rivelatore si rifà in maniera evidente a Blow-up di Antonioni. Emozionante il finale con leitmotiv che ritroveremo in successive pellicole del regista romano.
Dopo il rivoluzionario esordio Argento fa retromarcia e decide di girare un giallo di stampo classico, come da tradizione italiana dei tardi anni Sessanta e con influenze hitchcockiane. Nessuna retromarcia invece per la regia: il genio del maestro del brivido si avverte in ogni scena, compreso un bellissimo virtuosismo di montaggio, così come la fotografia e la direzione attoriale volano alti (fantastico Malden). L'intreccio di per sé non è nulla di particolarmente raffinato, ma la storia intriga e gli omicidi sono ancora una volta da manuale. In definitiva, ottimo giallo.
MEMORABILE: Il primo disturbante omicidio in stazione; La scena nel cimitero; La faccia da gatto di Horst Frank.
Argento al secondo tentativo ha finalmente a disposizione il trittico più amato da ogni regista: autonomia; attori validi; soldi. Risultato? Un gioiellino. La sceneggiatura viene ripulata dai fronzoli dell'esordio (nonostante contenga imprecisioni: così è Argento!) per concentrarsi sulla linearità tipica dei grandi gialli; la regia aggiusta il tiro perdendo le tinte "horror" e una certa spettacolarità; aumentano però violenza (il treno; strangolamenti con soggettiva dell'assassino) e angoscia. Il migliore della trilogia degli animali e un grande esempio di giallo all'italiana.
MEMORABILE: Primi piani per le pupille; La ricerca al cimitero: brividi!
Luci ed ombre in questo secondo capitolo della trilogia zoologica; Argento è infatti più interessato a spaventarci (e gli riesce benissimo, vedi la scena del cimitero) che a confezionare un giallo. Buona l'idea del protagonista cieco (tema che ha sempre affascinato il regista, si veda Bucci in Suspiria), contrapposta alla presenza assidua e inquietante dell'occhio dell'assassino. Decisamente improbabili invece gli abiti - ma anche la recitazione - di Catherine Spaak e peccato per il finale, che appare sbrigativo e poco incisivo.
Il migliore nella trilogia del giallo di Argento che purtroppo non raggiungerà più tali livelli all'interno del genere puro ma maturerà, diventerà più personale e partorirà i suoi capolavori nell'horror o a cavallo tra i generi. Lavoro di maniera, con ottima sceneggiatura, rimane all'interno degli schemi del giallo ma lo fa con eleganza, raffinatezza, maestria di una regia che ha raggiunto la maturità nei tempi, nei particolari, e nel dirigere il cast. Si intravede la morbosità nei primi piani degli omicidi che caratterizzerà la tipica truculenza argentiana.
MEMORABILE: La pennellata gotica nelle scene al cimitero.
Argento prova a doppiare il successo dell'esordio, riuscendo solo in parte. Del primo film sembra sia rimasta l'ossatura: una meccanica già vista che però funziona - al netto di qualche sbavatura - e che bene o male trascina lo spettatore fino all'epilogo (stavolta già più prevedibile, e forse un po' tirato per i capelli), con qualche buon momento di suspense. Manca però una certa freschezza, un certo gusto per la messa in scena che aveva contribuito al carattere del debutto. Un buon giallo, leggermente claudicante.
Argento continua sulla strada appena iniziata in un giallo leggermente standard ma personale e ben realizzato continuando a configurare una propria estetica e alcuni degli elementi che diverranno i suoi trademark, dall'ottima fotografia ai delitti violenti e ben realizzati. Tra questi anche un finale a sorpresa, improvviso e quasi del tutto illogico ma in linea con quello che diverrà una caratteristica propria del regista quando si immergerà nell'onirismo puro. Memorabile la coppia Franciscus/Malden, così come la bellissima ed evocativa musica di Morricone.
Pur essendo forse il meno personale e celebrato fra i gialli argentiani dell'epoca d'oro (virtuosismi limitati, stravaganze oniriche quasi bandite, paura non invasiva e un intreccio giallo più convenzionale del solito), si tratta comunque di un ottimo prodotto: la mano del Maestro si palesa più volte, fra omicidi feroci (per quanto in generale anemici) e certe perle di suspense che lasciano il segno (Franciscus intrappolato nella tomba). Buono il cast, con un intenso e simpatico Maiden per cui è facile fare il tifo e una provocante Spaak. Non proprio un capolavoro, ma più che valido.
MEMORABILE: Delitto alla stazione; Il fotografo ucciso e sfregiato; Il latte avvelenato come ne Il sospetto di Hitchcock; Climax con ascensore pre-Profondo rosso.
Rispetto al precedente capitolo, questo migliora nella confezione (visivamente tutto si fa più raffinato e studiato) ma peggiora nello sviluppo della trama. Per una volta Argento non si focalizza sulle mani del killer ma sui suoi occhi, oltre a "impersonarlo" coi movimenti di macchina (bella trovata). La matassa è difficile da sbrogliare per lo spettatore e questo è un bene, ma vi sono alcune ingenuità (su tutte la Rassimov che temporeggia troppo al telefono). Adeguata la spiegazione finale, meno l'epilogo stesso (forzato). Bene il cast e le musiche di Morricone. Nel complesso buono.
MEMORABILE: La Spaak e i suoi abiti, connubio perfetto; L'interno del palazzo dove dimora il giornalista.
Il più macabro della "sacra triade" argentiana (dopo L'uccello e prima delle 4 Mosche), crea un contrasto fra dinamismo e staticità da teatro di posa o sceneggiato che si risolve in un rimescolio allo stomaco a ogni visione. La melodia iniziale è strepitosamente tenera e accompagna i passi di una bizzarra coppia formata da una bambina la cui saggezza cattura subito e da un anziano cieco col quale condivide la quotidianità. Lo score di Morricone, pienamente destrutturato, primitivo e insieme di genere, segue le scene di tensione ondeggiando e assecondando un ritmo lento ma avvincente.
MEMORABILE: La scena del loculo; Gli stridenti indugi sull'accento dialettale; L'omicidio di Bianca Merusi (la scena più spaventosa).
Un laboratorio sperimentale dove accanto alla ricerca medica si sospetta una pericolosa deriva in ambito genetico viene preso di mira da un killer misterioso, sulle cui tracce indaga un giornalista con l'aiuto di un enigmista cieco. Un giallo decisamente meccanico, con sfumature didascaliche e senza fluidità narrativa che tenta di suscitare un crescendo di interesse mentre purtroppo si infrange in una ripetitività di scene di inutili tentativi di depistaggio, vista l'approssimazione della trama (che nel finale rasenta la sciatteria). Un Argento inferiore rispetto all'esordio.
Lo stile del regista è riconoscibilissimo, così come è alta la qualità generale del prodotto. Eppure, rispetto ad altri lavori di Dario Argento, questo possiede una carica espressiva ed emotiva minore. Insomma, manca qualche colpo di genio del maestro che faccia saltare lo spettatore sulla sedia e renda la pellicola davvero memorabile. Nel complesso, un film buono ma non emozionante.
Meno morboso del precedente e più evocativo del successivo. Con “Il gatto a nove code” Argento getta le basi per quello che di lì a poco sarebbe diventato il suo inossidabile marchio di fabbrica. Una regia peculiare e infuriata, tra inquietanti soggettive e inverosimili coup de théâtre, felicemente sgrammaticata ma sempre un passo avanti rispetto ai suoi epigoni.
Opera anomala nella filmografia di Dario Argento, che scarta le sue derive visive tipiche, limitandosi a tracciare una struttura di base giallistica, solida e immersa in splendide scenografie. Ma la sceneggiatura presenta eccessive incongruenze (grave per un giallo), le psicologie dei personaggi sono stilizzate e la soluzione finale sfocia nello sconclusionato. Buona la recitazione, soprattutto da parte di Karl Malden.
MEMORABILE: Lo strangolamento del fotografo e di Rada Rassimov; Il rapimento di Lori; Il bizzarro personaggio di Gigi Scalogna.
Il secondo film di Dario Argento presenta nuovamente alcuni ingredienti che diventeranno tipici del thriller, come la soggettiva dell'assassino, ambientazioni che non si direbbero italiane, personaggi secondari simpatici (vedi Gigi "Scalogna" o l'agente che nei momenti più improbabili parla di cucina) e tensione. In questo caso gli omicidi sono ancora più truculenti e raffinati che nel precedente film e la costruzione del giallo con diverse piste (nove) ben concepita, anche se la sceneggiatura appare in più punti raffazzonata. Appassionante.
Secondo e sfortunato episodio della trilogia degli animali. Con questa pellicola Argento consolida e riconferma la sua grande abilità nel create thriller intriganti e geniali ma virando di più verso il poliziesco. Bisogna dire che anche questa pellicola funziona avvalendosi di un cast più che ottimo (Franciscus e Malden), che forma una coppia investigativa credibilissima. Eccellenti anche le sequenze degli omicidi, che mostrano solo l'occhio dell'assassino. Un'opera più che dignitosa.
Meno coinvolgente e ineccepibile de L'uccello dalle piume di cristallo e con minor estro registico di 4 mosche di velluto grigio. È buono perché qualche bel marchio d'autore c'è (la sequenza del cimitero). Tra gli attori americani spicca Karl Malden, mentre convince poco James Franciscus; tra quelli nostrani valida interpretazione di Tino Carraro, algida la Spaak. Dando per scontata la buona fede del "puramente casuale" degli sceneggiatori, ci sono riferimenti diretti (cognomi) e indiretti a fatti e personaggi che rimandano alla strage di piazza Fontana.
MEMORABILE: Il nome dell'assassino nascosto sotto la calamita nell'auto; Il dottor Calabresi che viene da Padova; Nella cappella mortuaria.
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DiscussioneZender • 10/07/18 18:47 Capo scrivano - 48840 interventi
Sì, questa c'è già sul nostro libro con tanto di aneddoti vari di Dario. Un giorno la metteremo in location segnalazioni.
MusicheAlex75 • 25/11/19 19:00 Call center Davinotti - 710 interventi
Il Dandi ebbe a dire: In altre occasioni Ennio Morricone è stato invece meno diplomatico di Dario Argento nel descrivere la fine della sua collaborazione col regista:
Quando per la terza volta composi per Dario Argento musica aleatoria, mi disse che scrivevo sempre la stessa cosa. La nostra collaborazione si chiuse lì. Spesso anche i registi sono sordi e ignorano che non tutte le dissonanze sono uguali. (intervista in Morricone. Cinema e oltre, a cura di Gabriele Lucci, Ed. Electa/Accademia dell'immagine, 2003)
E ancora:
Incontrai Claudio Argento al ristorante, mi fa: -Senti un po', ma com'è che le musiche che fai pe' mio fratello so' tutte uguali?-
Dico: - Non è vero, è perché sei te che nun ce capisci niente, perché so' tutte diverse, eh!-(intervista a Sky Cinema, 2004)
In un'intervista rilasciata al "Gazzettino" qualche anno fa, Morricone ricordava Argento come uno dei registi con cui aveva lavorato con maggior piacere, perché aveva avuto modo di esprimere la sua vena più sperimentale. Avrebbe scritto volentieri anche le musiche per Profondo rosso.
DiscussioneAlex75 • 25/11/19 19:03 Call center Davinotti - 710 interventi
Nipo ebbe a dire: Il Gatto a nove code secondo film di Dario Argento, voluto dal produttore Goffredo Lombardo a seguito del travolgente successo ottenuto da L’uccello dalle piume di cristallo. In realtà Argento avrebbe voluto girare un altro tipo di film, ma alla fine decide di scrivere la storia di questo giallo, anche se il risultato non lo convince molto. Per Argento questo è un film che rimane un po’ incordato nei binari dei polizieschi americani, e già il volto dei due attori protagonisti, James Franciscus e Karl Malden potrebbero far pensare a questa direzione di vedute. In realtà il film risulta riuscito nella trama, impreziosito da trovate e situazioni che risultano un’evoluzione del film precedente.
La tecnica della soggettiva diventa dilagante in questa pellicola. In realtà si potrebbe parlare di un contrappunto narrativo: il protagonista Arnò (interpretato da Karl Malden) è cieco, mentre dell’assassino ci viene mostrato un dettaglio a tutto schermo della pupilla, enorme e immanente. Un occhio che tutto vede, che controlla i movimenti dei personaggi, li segue e a volte li precede, quasi senza alcun senso logico: si veda a proposito l’omicidio del fotografo Righetto. L’assassino arriva in casa di Righetto mentre lui ha appena parlato con Giordani (il giornalista co-protagonista della vicenda). Come faceva il maniaco a sapere che i due parlavano di una fotografia compromettente? Ma al momento il pensiero non nasce nella mente dello spettatore in quanto la tensione nella costruzione della scena è alta.
Arnò e l’assassino sembrano anche uniti da uno strano legame mentale. Forse la cecità ha dato ad Arnò una dote particolare, un sesto senso notevolmente sviluppato. Lo possiamo notare in due momenti del film. Il primo, all’inizio della vicenda Arnò è in casa a lavorare, è notte e nella stanza dove compone i suoi rebus è solo. In quel momento ha come una visione mentale, un flash di un uomo, un guardiano notturno, che viene colpito alla testa. Pochi istanti dopo nell’istituto di ricerche genetiche Terzi, che si trova in linea d’aria di fronte a casa di Arnò, vediamo la mano guantata dell’assassino colpire alla testa il guardiano notturno dell’istituto. Un altro esempio di questa “simbiosi” mentale si ha subito dopo l’omicidio del fotografo. Arnò è in macchina con la sua nipotina Lory, attende Giordani che è salito in casa di Righetto (dove ne scoprirà il cadavere). In quel momento l’assassino esce dal portone, vede Arnò in macchina e cambia strada. Ma Arnò si irrigidisce e sente distintamente i passi del maniaco mentre si allontana. Tutto intorno a lui diventa silenzioso in quell’istante, solo i passi arrivano alle sue orecchie.
Le azioni dell’assassino sono sempre precedute dal dettaglio dell’occhio, ma in una scena in particolare è il regista che anticipa le mosse anche dell’assassino, e lo suggerisce allo spettatore. Siamo nell’appartamento di Bianca Merusi, che ha appena scoperto l’identità dell’assassino, è al telefono con Arnò. La stanza in cui si trova ha una carta da parati particolare: bianca con ampie macchie di vernice dorata che sembrano colare. L’effetto della vernice dorata sembra quasi essere dato da un colpo alla parete. In effetti l’assassino colpirà Bianca in casa, tenterà di strangolarla e dopo, una volta che la donna è a terra, le sbatterà più volte, con violenza, il volto sul pavimento, lasciando anche scie di saliva mista a sangue. Il rimando agli schizzi decorativi sulle pareti è forte. Quasi una previsione a favore del pubblico…
Il gatto a nove code è un film sull’ambiguità. In realtà tutti i personaggi hanno una doppia faccia, un lato oscuro, sia vittime che carnefici. Ad un certo punto proprio Arnò pronuncia una frase che ci da una chiave di lettura della pellicola: “C’è qualcosa di poco chiaro nel passato di tutti noi…”.
Tutti nascondono qualche cosa: Bianca Merusi (fidanzata diel dottor Calabresi, prima vittima del maniaco) vendeva le formule create nell’istituto ad altre aziende farmaceutiche, con l’aiuto del ricercatore Braun (che si scoprirà essere anche gay) che all’apparenza sembra un uomo dai principi ferrei. Calabresi, l’uomo che conosce l’identità dell’assassino e proprio per questo lo ricattava. Anna (Catherine Spaak) figlia del direttore dell’istituto, ma in realtà da lui adottata e amante. Ma anche lo stesso Arnò e sua nipote Lory di otto anni, non ci viene mai detto veramente se il legame di parentela sia reale, in quanto Arnò ad un certo punto dichiara che sono entrambi rimasti soli, e che lui non ha parenti. Questo getta sul loro dolce rapporto una forte ombra di dubbio. Poi alla fine c’è l’assassino, il medico Casoni (interpretato da Aldo Reggiani).
Un omicida inusuale nella filmografia di Dario Argento, in quanto il suo movente non nasce da traumi scatenanti, ma sembra quasi voluto dallo stesso assassino. Scopre lui stesso di avere una triade cromosomica che sarebbe alla base di un comportamento deviato e omicida; per questo inizia a uccidere chi potrebbe scoprirlo, vuole mantenere segreto quello che per lui è una condanna subita dalla vita, non voluta da lui. Ma se non avesse scoperto di avere la “triade cromosomica” avrebbe comunque ucciso? Nulla lo costringeva ad avere comportamenti violenti. Lui decide che per proteggere il suo segreto deve eliminare gli altri. Alla fine il fatto di possedere la xyy (la triade cromosomica in questione) non lo obbliga ad avere comportamenti criminali, è solamente una sua scelta quella di assecondare tale predisposizione. La sua furia omicida si scatena nel momento in cui deve eliminare chi lo ricatta, chi conosce la sua identità.
Durante gli omicidi si avventa contro le vittime con una violenza spasmodica, le strangola con un laccio, e su un cadavere infierisce anche sfregiandone il volto. Forse è in quel momento che la sua violenza a lungo controllata esplode e si vuole vendicare del suo essere condannato dalla nascita. Ma sinceramente, è lui che giustifica le sue azioni con la genetica. Si ha quasi l’impressione che quando uccide vuole essere libero di sfogarsi sadicamente sulle vittime. Forse è colpa della genetica, ma in realtà sembra più che Casoni sia un ricercatore di valore, ma sottovalutato e sfruttato dai capi che gli sono intorno. Non gode della reputazione di Braun o di Calabresi. E le sue frustrazioni, legate al terrore della scoperta della devianza genetica, potrebbero aver scatenato in lui un vero odio per chi gli è intorno. Quindi è più una giustificazione, magari per poter godere di un’attenuante in caso di processo? O è vera l’influenza dei cromosomi?
Un film teso, che sfoga tutta la sua ambiguità nel finale, quando Casoni e Giordani lottano sui tetti dell’istituto Terzi. Si affrontano come due bestie, colpi pesanti sottolineati da effetti sonori potenti. Due animali coperti di sangue che in quel momento, spinti nella disperazione, combattono solo per sopravvivere, d’istinto. E qui il doppio esce allo scoperto: non ci sono maschere nella violenza che circonda questi due corpi diventati solamente due forme disperate. Unico barlume che divide l’uomo civile dalla bestia è il gesto di Giordani quando, parando il colpo di coltello che Casoni voleva calare sulla piccola Lory, presa in ostaggio, dimostra di chiudere in se l’animo razionale che tende al bene e alla difesa della vita. Casoni invece rimane inevitabilmente vittima della ferocia, che si sublima nel faccia a faccia risolutivo con Arnò, quando gli mente dicendogli di aver ucciso la nipotina. E sarà Arnò che nel finale punirà mortalmente l’assassino precipitandolo nella tromba dell’ascensore (con un effetto di soggettiva particolarmente sensoriale per quello che riguarda la vista ma anche sopratutto per l’udito: è terrificante sentire il suono delle mani dell’assassino che sfrigolano lungo le corde dell’ascensore, fumando anche per l’attrito, verso l’inevitabile sfracello finale), ma rimanendo virtualmente impunito per tale gesto. Arnò compie l’atto finale a condanna dell’assassino, ma la pietà dello spettatore nei suoi confronti è forte e quindi lo immunizza automaticamente dall’essere considerato un carnefice alla stregua di Casoni.
Un'ottima disamina, che bene spiega l'ambiguità che si percepisce lungo tutto lo svolgimento del film.
DiscussioneAlex75 • 25/11/19 19:05 Call center Davinotti - 710 interventi
Lucius ebbe a dire: Diciamo che c'è una sequenza rattoppata o mancante in tutte le edizioni presenti sul mercato e soprattutto un'intera scena che è assente da tutte le edizioni, quella che vede James Franciscus ferito e col torace fasciato a letto.Inoltre Cozzi ha suggerito ad Argento di togliere il primo finale (col lieto fine) realizzato per il film.Questo libro contiene delle rivelazioni incredibili.
C'è pure una foto della sequenza assente...
Argento fece bene a seguire il suggerimento di Cozzi. Trovo che il finale che tutti conosciamo sia perfetto.
Una scena è presa quasi di peso dal romanzo La statua che urla, di Fredric Brown, già fonte cospicua perL'uccello dalle piume di cristallo. Nel capitolo 7 il protagonista è dal barbiere, il quale parla del possibile istinto, per i suoi colleghi, di tagliare la gola a un cliente, col rasoio. Nel film la scena fra Pino Patti e James Franciscus si chiude con quest'ultimo che, spaventato, se ne va in fretta e furia, il che nel romanzo non c'è.
CuriositàApoffaldin • 30/03/25 09:58 Pulizia ai piani - 262 interventi
L'articolo sulla morte del dottor Calabresi (Carlo Alighiero) che Lori (Cinzia De Carolis) legge a Arnò (Karl Malden) dopo diciannove minuti dall'inizio del film è inserito all'interno della prima pagina originale del quotidiano Paese Sera. EdizioneUltim'ora del 4 settembre 1970. Curiosità nella curiosità: l'articolo a uso cinematografico ne sostituisce uno reale dedicato al caso Casati Stampa, uno dei più noti fatti di cronaca nera dell'Italia del dopoguerra:
[img size=424]https://www.davinotti.com/images/fbfiles/images71/gatten1.jpg[/img] [img size=424]https://www.davinotti.com/images/fbfiles/images71/gatten1b.jpg[/img] Il giornale che invece Carlo Giordani (James Franciscus) legge mentre si sottopone alla rasatura dai risvolti inquietanti praticata dal barbiere (Pino Patti) dopo trentuno minuti dall'inizio del film è Paese Sera.Edizione nazionale del mattino del 18 settembre 1970. Un secondo fotogramma, con il giornale non frontale ma con i titoli leggibili non al contrario, facilita il confronto:
È possibile che per la scena in cui Carlo Giordani (James Franciscus) resta chiuso nella cappella funebre gli sceneggiatori si siano ispirati al racconto Nella valle di San Benedetto di Beppe Fenoglio. Lì è un partigiano a farsi calare e chiudere in una tomba di famiglia per tentare di sfuggire a un rastrellamento.