Visto a distanza di anni, e col senno di poi, rimane uno dei "survivor movie" (sarebbe riduttivo definirlo semplicemente uno slasher) più realistici e crudeli mai girati, dove McLean ha l'abilità di far carburare lentamente la vicenda, con una prima parte "vacanziera" che fa montare, con i suoi tempi, la tensione (i primi segnali disturbanti sono gli inquietanti racconti sugli avvestimenti UFO e un gruppo di buzzurri redneck che povocano i tre giovani .facendo apprezzamenti pesanti sulle due ragazze ipotizzando gang bang, gli orologi e la batteria della macchina che si bloccano che sembra una prerogativa per chi si ferma nei pressi di Wolf Creek), creando empatia con i tre ragazzi (che tra loro costruiscono una notevole complicità quasi naturale) , stridendo con le bellezze paradisiache locali alla
Paradise (l'inzio al mare) e sulle meraviglie delle location australiane.
Rimangono, nell'abbagliante fotografia di Will Gibson, un'eclissi di sole, tramonti mozzafiato e le immense distese dell'outback australiano.
Non è tanto lo splatter o le frattaglie gore (invero minimali) ma la sadica ferocia e la misoginia perpetrata da "crocodile dundee" sulle sue vittime (Kristy, sanguinante, legata al palo nella rimessa, sotto le mire sadico/sessuali di Mick, che sproloquia sgradevoli discorsi misogini alla stregua del Judd di
Quel motel vicino alla palude), della "testa sullo stecco" come si usava durante la guerra in Vietnam (momento, per altro, insostenibile), delle crocifissioni, dei cani rabbiosi chiusi in gabbia, nei cadaveri maciullati, villipesi, in via di decomposizione, che adornano le marcescenti pareti in simil macabri/ninnoli alla Ed Gein, il tutto ambientano in una lurida cava sperduta in mezzo al nulla che sembra uscita da un post atomico.
La disperata fuga di Kristie sulla strada, un'inseguimento puramente
interceptoresco, le mire cecchine di Mick (
Carnage park e
Downrange ne faranno tesoro, così come il connazionale
Blood hunt), una brutale uccisione (sparata a freddo), dita amputate di netto (
Un coltello quello? Questo è un coltello! Battuta metacinematografica che ribalta il concetto di buonismo paulhoganiano) e un finale salvifico piuttosto discutibile (il nichilismo disperato messo in immagini da McLean si infrange in derive da "film dossier" francamente evitabili).
Rimangono impressi, poi, la catasta di valigie dei turisti uccisi, il parco delle auto nell'immenso garage e i filmini delle vacanze visti attraverso l'ottica delle telecamere trafugate. E le poche uccisioni, così antispettacolari, crude, ferine, e incredibilmente dolorose.
Più
Long Weekend che nemmeno
Non aprite quella porta, più George Miller che non Tobe Hooper, per uno dei "true crime movie" (l'ombra di Ivan Milat si allunga prepotentemente) più sgradevolmente realistici e sadici, dove la tensione si fa quasi palpabile e l'atmosfera fangosa e sudicia rimane impressa sulla pellicola.
McLean dimostra che "l'horror vacanziero" può ancora essere un (de)genere per adulti, lontano anni luce dagli schiamazzi teenageriali dei vari sotto
Scream.