Uno dei film di Bava più personali. Non è un caso che anche la fotografia (e che fotografia!) sia opera sua, a dimostrazione della volontà di girare qualcosa di estremamente "baviano". Fin dalla ripresa delle atmosfere sospese, rarefatte, de LA FRUSTA E IL CORPO, il film fa subito capire che ciò che interessa Bava è condurci quanto più possibile vicini allo stato d'animo del protagonista, un serial kller ossessionato dagli abiti da sposa. Attraverso i suoi pensieri (che seguiamo costantemente), attraverso la distorta visione del mondo, il suo atteggiamento distaccato che lo porta a...Leggi tutto una monoespressività da non imputare completamente all'interprete (Stephen Forsyth), Bava costruisce un thriller molto più orientato verso lo psico-horror che non nella direzione caratteristica del genere. Perché gli omicidi si sono, è vero (molto meno cruenti di quanto ci si possa aspettare, tra l'altro), ma non sembrano affatto centrali, nella vicenda. Sono sfumati, quasi impercettibili, mentre la regia indugia sempre sui particolari (i riflessi sull'accetta lucidissima, ad esempio) o sulle sontuose scenografie che lo straordinario senso artistico baviano rende parti fondamentali dell'inquadratura. Poco importa che la sceneggiatura sia debole, che i conti non tornino fine in fondo: in Bava contano l'immagine, la sensazione. Basta seguire l'incredibile carrello che si sposta dalla sala dei manichini alla seduta spiritica senza un solo stacco. La presenza della moglie (Laura Betti) è forse l'unica presenza forte in grado di distoglierci da quella del protagonista.
Uno dei migliori Bava dal punto di vista visivo e della regia. Film bellissimo da vedere, e le musiche meritano di essere ricordate. La sceneggiatura pero' non è al livello di Mario Bava e alla lunga inizia a stancare, il risultato finale è quello di un film comunque di tutto rispetto.
Bava dirige con il suo solito ed inconfondibile gusto per l'immagine, utilizzando colori espressivi (rosso, blu e verde) e giochi di luci (ombre soffuse): sul piano prettamente visivo non si smentisce. I problemi giungono quando si approfondisce una trama buttata là sulla scia di Psycho e risolta mediante l'utilizzo di attori poco credibili (nonché, in certi contesti, perfino ridicoli). Manca un'anima al film, manca una personalità e il tutto si riduce ad un inutile esercizio di stile, privo di storia.
Misconosciuto gioiellino baviano, girato nella residenza di Francisco Franco (!) con massimo impegno. La trama (liquidata da Bava con un lapidario "la storia del solito pazzo") avrebbe richiesto un attore meno lesso di Forsyth, per fortuna c'è Laura Betti sardonica e irresistibile (criminale la non inclusione del doppiaggio italiano d'epoca nell'edizione dvd), il resto lo fa da par suo il Maestro, che si concede anche l'autocitazione sarcastica: la polizia sente delle urla e fa irruzione, ma è la tv che trasmette I tre volti della paura!
Il primo tempo è abbastanza ripetitivo e finisce per annoiare, nel secondo (dalla morte della moglie in poi) invece c'è un netto miglioramento e la storia diventa abbastanza inquietante. Peccato che il finale non mi abbia convinto affatto. Comunque la regia di Bava è sempre di livello altissimo e riesce a creare delle sequenze straordinarie. Forse un tocco di splatter non avrebbe guastato. Buoni gli attori e discrete ma non sempre adatte le musiche. Parecchie le analogie con 6 donne per l'assassino, anche se qui siamo in un campo molto più horror.
Mi aspettavo che fosse un “Bava minore” e così è stato. La trama è assolutamente inconsistente e inverosimile e Bava non cerca minimamente di raddrizzare la situazione, fregandosene della storia e puntando invece tutto sull’aspetto visivo. Sul piano dell'immagine il film è pieno di trovate; purtroppo la storia sgangherata affossa il tutto e la pessima interpretazione del protagonista di certo non aiuta. Da vedere solo per completezza.
Dal punto di vista visivo, probabilmente il thriller più elegante e raffinato di Bava. La mancanza della suspense dovuta alla già nota identità dell’assassino - che si presenta come tale fin dall’inizio - è compensata dalle frequenti incursioni nel gotico-fantastico e dai caleidoscopici flashbacks, specchio della follia del protagonista (lo statico Forsyth, che ammicca al Perkins di Psycho). L’ambientazione nel mondo della moda rimanda chiaramente a Sei donne per l’assassino.
MEMORABILE: La scena in cui il protagonista guarda in TV I tre volti della pauradello stesso Bava.
Una delle migliori opere di Bava. Ironico, macabro e horror allo stesso tempo. Molto in parte Forsythe, meravigliose Laura Betti e Dagmar Lassander. Tema musicale da Oscar, bellissima la formula (comincia come un giallo macabro e si conclude come un horror vero e proprio). Peccato solo per l'orrendo ridoppiaggio. C'è anche Femi Benussi.
MEMORABILE: La scena al night, quelle con i manichini, l'omicidio della Betti, il finale.
La storia di un paranoico raccontata dal suo punto di vista: inizialmente con un piglio estremamente crudo, secco e realista, successivamente con varie concessioni al soprannaturale che non gustano affatto in quanto supportate dall'interpretazione di una grandissima attrice, Betti. Magnifici, come al solito, colori e scenografie. Da vedere.
Esteticamente è forse il thriller più elegante e raffinato di Bava, che cura personalmente la fotografia e ogni minimo dettaglio. Poco sangue e nessun mistero, con scenografie stupende e un'ambientazione che ricorda quella di Sei donne per l’assassinio, ma qui è tutto dichiarato dalla prima sequenza.
Ci sarebbero anche degli spunti narrativi interessanti, ovvero una storia con assassino noto sin dal secondo quadro, che cerca di approfondirne il carattere. Poi vengono le note dolenti. I pregi di Bava (il gusto per l'immagine e la tecnica ammaliante) qui diventano anche i limiti dell'opera. Dialoghi imbarazzanti, luoghi e scenari già visti (in Sei donne per l'assassino) un film che sembra la caricatura del cinema baviano, ove tutto è un pretesto per creare immagini d'impatto, le quali, ironia della sorte, sono la cosa che appare più datata.
Steve Forsyth (John) ha la fissità plastificata dei manichini del suo atelier, ed è una scelta giustissima. Il suo personaggio è un formidabile mix tra Raskolnikov e Norman Bates, geniale l'analogia tra la mente di un folle e una serra: "atmosfera oppressiva, strane fioriture...". E geniale Mario Bava, che sconvolge la trama, scardina i punti di svolta, ignora la verosimiglianza dei caratteri, crea indimenticabili quadri di colori primari, spruzzati di nerissimo humor. Quattro pallini!
MEMORABILE: "È ora di darci un taglio, Mildred...". La stanza dei giocattoli, con la sedia a dondolo di vimini, come in Psyco!
John (Steve Forsyth) è un serial killer psicopatico che fin dalle prime scene vediamo in azione. Interessante la storia, ma migliori la fotografia e le musiche. John nel corso del film indossa varie mise, in cui fa bella mostra di sé l'immancabile cintura a catena argentata, che nel massimo del glamour verrà riprodotta in una fantasia di catene su un bicolore pigiamino che sfoggia dopo l'ennesimo delitto. Catene che probabilmente sono il simbolo del suo legame morboso con la madre, carattestica troppo evidente per essere una casualità...
MEMORABILE: La scena della mano penzolante dalle scale, futuristica soggettiva dal punto di vista dello spettatore che solo "lui" può vedere.
Thriller freudiano incentrato sul trauma infantile della madre assassinata. Il protagonista si costringe a commettere omicidi ma nel momento in cui lo fa la mente gli si annebbia. John è assassino, voyeur, psicopatico, necrofilo. Non riesce a guardare mentre uccide, ama i corpi solo dopo morti. Ottima la presenza della Betti/Mildred che tinge di noir il film e porta allo scioglimento della vicenda. Interessante la scelta di mostrare principalmente i fatti dal punto di vista dell’assassino.
Uno dei Bava più apprezzati dalla critica per la forza delle immagini è in realtà poca cosa. Tralasciamo il protagonista legnoso e la vicenda che non (vuole) prende(re), tanto procede lenta e scontata. Bava esagera con zoomatine, immagini riflesse e il motivo musicale. Il tutto non viene adeguatamente compensato da alcune belle trovate (la sala dei manichini). Non mancano le solite approssimazioni (lui che asciuga la lama dal lato sbagliato) ma quello è il meno.
Non amo particolarmente Mario Bava, regista al quale è giusto riconoscere alcuni meriti (in particolare la buona fotografia, ovviamente) ma che in generale trovo essere stato sopravvalutato dalla critica contemporanea. Anche questa opera, pur vantando alcuni momenti di buon cinema, mi pare essere sostanzialemente deludente. La cosa che mi ha sorpreso maggiormente, in senso negativo, è una certa noia che è riuscita a trasmettermi nonostante la sua breve durata. Non un brutto film, ma quelli belli sono decisamente diversi.
Film fatto soprattutto di dettagli. Fin dall'inizio siamo avviluppati da un montaggio e da una fotografia curatissima, anche se ci accorgiamo che gli attori hanno sempre un'espressione strana e poco credibile (complici anche i dialoghi - io ho visto la versione ridoppiata, comunque) e si fatica a seguire la storia. Effetto di straniamento voluto? A momenti rigidi e macchinosi si alternano scene memorabili, come il ballo tra i manichini. Bravissima e insopportabile Laura Betti: quando c'è lei in scena il film decolla.
Eccetto la fotografia, costante di altissimo livello nei film di Bava, qui c'è ben poco da salvare. L'approccio psicanalitico al thriller mette in difficoltà il compianto Maestro, tanto da ricorrere (nel secondo tempo) ad una decisa svolta verso i più abbordabili clichè dell'horror. Questo conferma che la produzione baviana più influenzata dal pop e dal giallo (incluso Reazione a Catena) è di fatto la meno interessante della sua filmografia. La maschera del Demonio e Operazione paura sono tutt'altra storia, anzi, tutt'altra leggenda!
MEMORABILE: Lui: "Qui forniamo tutto ciò di cui una donna ha bisogno nel giorno del suo matrimonio" Lei: "compreso il marito?"
Un giallo/horror italiano di quelli che solo Bava riusciva a girare, pur con un cast discretamente zoppicante (brava la Betti però), "Il rosso segno della follia" riesce a tenersi su con una fotografia splendida e sequenze davvero memorabili. Anche l'idea del fantasma vendicativo che fa un po' come gli pare non è per niente da buttare. Colonna sonora a volte stonata, ma decisamente adatta all'argomento. Da evitare come la peste un ridoppiaggio fatto da cani.
MEMORABILE: Lui che guarda la moglie con il binocolo al contrario; l'orrenda realizzazione che non si libererà mai di quel fardello.
Non il Bava migliore, ma anche quando è alle prese con una sceneggiatura non molto originale il grande regista riesce con la sua mestria a rendere interessante qualsiasi pellicola. È quello che succede in questo thriller piscologico di ordinaria amministrazione dove un protagonista non certo perfetto (Steve Forsyth) cerca di dare un volto ad un folle psicopatico senza riuscirci del tutto. Ma alle carenze attoriali sopperiscono la solita grande fotografia, le atmosfere oniriche, le musiche avanguardistiche e l'ambientazione gotico-contemporanea.
MEMORABILE: Mi chiamo John Harrington. Ho trenta anni e sono paranoico.
Ottimo thriller, con molte frecce al proprio arco. Il protagonista, un omicida dentro, vive una relazione suo malgrado con una donna perfida che farà la stessa fine delle altre da lui uccise in passato (tutte agghindate per le nozze). Nonostante alcune improvvisazioni, il film centra il bersaglio con i colori, i movimenti di macchina, le dissolvenze e una buona suspence. Gotico, a tratti hitchcockiano.
Sciamannato e trito, nonché artificioso ed inverosimile, questo horror troppo estetizzante e "barocco" nella patinata confezione, poggia oltretutto su di una sceneggiatura che fa acqua come un colabrodo. Ineccepibile, tuttavia, sul fronte prettamente tecnico: meravigliosa la fotografia di Mario Bava. Legnoso ed inespressivo il protagonista Stephen Forsyth; brave e carismatiche, viceversa, Laura Betti e l'affascinante Dagmar Lassander. La statuaria Femi Benussi, pur nell'esiguità della parte assegnatale, irradia bellezza allo stato puro.
MEMORABILE: Le apparizioni di Laura Betti (morta) che tutti possono vedere tranne il marito.
A Bava, lo ha dimostrato in più occasioni, di soggetto e sceneggiatura non gliene frega nulla e qui lo dimostra: la storia, infatti, non è certo originale ed è anche abbastanza bucherellata, ma è voluto anche per mettere alla berlina le aspettative dello spettatore tradizionale. In compenso però la tecnica e lo stile sono ai soliti alti livelli: grande attenzione alle inquadrature, bella fotografia, magistrale nell’uso del colore. Con più plot e degli attori meno improbabili avrebbe guadagnato almeno un pallino.
Assolutamente al di sotto di quel che Bava avrebbe fatto in seguito. Esemplare la fotografia, ma il film si sostiene solo grazie alla verve della sempre brava Laura Betti, altrimenti, ad eccezione di quella massima che viene detta dopo sette minuti e mezzo che consiglierei a chiunque di impararsi a memoria e di tenerselo caro come il più prezioso dei gioielli, il film è proprio di una pena quasi snervante. Non è la prima volta che un maestro, autore di capolavori assoluti, sbaglia un film senza che il suo valore sia scalfito di una virgola...
C'è chi ha apprezzato molto il film, ma io non sono certo tra questi. Davvero mi son trovato davanti al peggio di Bava: attore protagonista cane, zoom fastidiosi, trama inconcludente, il fantasma/Betti presenza greve e ipersottolineata, flashback ridicoli. I manichini son sempre quelli di 6 donne però lì c'era un lavoro sullo stile ben migliore. Comunque una scena riuscita: quando Forsyth getta le ceneri della moglie e la camera fa una panoramica circolare a sinistra: Bava al top.
Bava alle prese con la follia e i traumi infantili. Più che ispirarsi a Hitchcock e ad altri classici del genere thriller-psicologico si ispira a se stesso: il film è infatti girato con la solita maestria, ma stanco e con ingredienti già visti. Il trauma infantile razionale è male inserito nella tipica trama irrazionale e da incubo dei suoi lavori migliori. Un film di maniera con un protagonista poco espressivo e ambientazioni deludenti.
Il solito flashback infantile e nebuloso racchiude una mente malata e perversa. Nonostante la storia non sia originalissima, Mario Bava è sempre una garanzia: la sua capacità di tessere interessanti trame per catturare l'attenzione dello spettatore ha qualcosa di miracoloso e fuori dal comune. E così, tra notevoli grandangoli e inquadrature curiose, la vicenda si dipana con più di un momento degno di nota (il ballo tra i manichini vestiti da sposa). Il curioso ispettore nei modi di fare ricorda un po' il tenente Colombo.
Un film in cui pregi e difetti quasi si equivalgono (**!): viaggia spedito, con bravi interpreti, una fotografia stupenda e musiche (di Romitelli) piacevoli, benché non sempre calzanti. Come in altri lavori di Bava, però, la forma prevale sulla sostanza, la virata da thriller alla Psyco all'horror soprannaturale appare pretestuosa e poi disporre di due bellezze come la Lassander e la Benussi e non farle spogliare nemmeno di sfuggita è un delitto grave quasi quanto quelli compiuti dal protagonista...
Forse il peggior Bava di sempre. Se all'inizio non avessi visto il nome del grande regista ligure, probabilmente avrei scambiato il film per una vecchia telenovela brasiliana. Tutto è incredibilmente lento, piatto, artificiale, scontato. Il protagonista poi è espressivo quanto un manichino. La fotografia è invece particolarmente bella e curata, ma non ci si fa nemmeno caso. Pessimo il ridoppiaggio italiano. Per conto mio, da dimenticare.
Thriller ben fatto e con una personalità spiccata se rapportato agli anni in cui uscì, si lascia apprezzare fondamentalmente per l'accuratezza della fotografia e il montaggio con stacchi a volte geniali. Se Bava si conferma un maestro nell'uso del colore, è altrettanto vero che dirige attori a volte non proprio all'altezza (a parte Laura Betti, che pare stranamente doppiata). Passabili le musiche, sulle quali si è poco investito.
Bava torna, dopo Sei donne per l'assassino, ad ambientare un suo film in un atelier di moda ma cambia radicalmente impostazione: possiamo dire che qui si avvicina più a una concezione argentiana del thriller (causa scatenante dei delitti trauma infantile) e non è infatti difficile ravvisare nella rivelazione finale certe analogie con il successivo Profondo rosso. Grande merito del regista è quello di non adagiarsi comodamente sugli standard del classico giallo ma filtrare quest'ultimo con aspetti tipicamente gotici (il redivivo fantasma della Betti).
Bava chiude i '60 con questo film che parte come un thrilling (rivelando però fin dall'inizio l'assassino) per proseguire nel paranormale e sfociando nell'horror. Punti meno e punti più: tra i meno una sceneggiatura con dialoghi imbarazzanti e un protagonista con due espressioni di numero. Tra i più il sapiente gusto per le inquadrature e soprattutto la bella fotografia e il consueto, fantastico uso dei colori (magnifiche le scene con luci rosse e azzurre). Bava si autocita nell'ambientazione all'atelier...
MEMORABILE: La Benussi in atelier tra luci sfavillanti.
Bava conferma di possedere un talento visivo non comune. È di nuovo l’estetica a fare la differenza ed è difficile rimanere indifferenti alle panoramiche all’interno della villa, ai giochi di luci e colori e alla logica incoerenza tipica delle sue storie. Ancora una volta Bava si appropria di un registro tutto suo sovvertendo e mischiando le regole del genere; l’assassino si dichiara subito e ci si ritrova immersi nella sua vivida follia, tra reale e irreale, fino all’epilogo.
MEMORABILE: La stanza segreta con i manichini in abito da sposa.
Film poco incline all'horror che si concentra piuttosto sulla fotografia e sullo studio della psiche dell'assino dichiarato. Anzi, autocertificato sin dalle prime battute; in seguito scopriamo che è un bel maschione caricato a salve e la moglie, una brava Betti, gli sta attaccato come una mignatta, in un rapporto morboso e psicotico. Pur nella comprensione dello sforzo espressivo di Bava, rimane comunque un film in cui la ricerca di stile, tanto insistita quanto pedante, prevale sull'interessa di coinvolgere lo spettatore, che infatti s'annoia.
Un Bava a torto considerato minore, è un film di pregevolissimo impianto pittorico in cui il regista dà un bel saggio della cura formale di cui è capace, osando nelle inquadrature, prestando attenzione alla fotografia, orchestrando con pochi mezzi preziosi momenti di suspence che non rinunciano all'autoironia (la tv che trasmette I tre volti della paura). Con una sceneggiatura più all'altezza e un cast migliore (in cui l'unica scelta centrata è la cerea Laura Betti nel ruolo della moglie/fantasma) sarebbe stato un piccolo capolavoro.
Se non fosse per la classe registica di Bava, che dipinge inquadratura di rara bellezza, si disquisirebbe unicamente di un thrillerino che lascia poco il segno nonostante la deriva horror nel finale. Colpa da imputare principalmente a una sceneggiatura avara di momenti interessanti soprattutto nella parte iniziale, oltremodo ripetitiva. Bruttarelle le musiche di Romitelli. Laura Betti, aiutata tantissimo dal meraviglioso volto cinematografico a disposizione, si divora tutto il resto del cast. Non sempre brillante e vibrante il ritmo narrativo.
Non è un giallo, ma il ritratto un serial killer che studia se stesso: ogni delitto è uno stadio di autocoscienza che culminerà nella rivelazione fatale (per lui e per noi). Condotto con libertà, maestria e gusto per le dilatate arie psichedeliche (notevole il tema musicale portante): un gioiellino che copieranno in parecchi (senza dirlo). Forsyth è inespressivo, ma lo sarà l'assassino postmoderno per eccellenza, Patrick Bateman. Un difetto: la svolta nel sovrannaturale forse è "di troppo" rispetto alla nettezza dell'analisi psicologica.
Un film giallo che ci mostra da subito il viso dell'assassino è di per sé anomalo; se poi si aggiunge il fatto che l'assassino si presenti con un'ammissione di colpa fa capire che il copione dà libertà al regista di divertirsi alla sua maniera aiutandosi con un cast dignitoso purtroppo non sostenuto da un valido doppiaggio. Giocando su una buona fotografia, ottime inquadrature e l'ironia che gli è propria, Bava realizza una valida pellicola tutta giocata tra reale e irreale, tanto da confondere volutamente lo spettatore.
Elegante e misconosciuto thriller che segue la scia del predecessore Sei donne per l'assassino. Siamo sempre in un atelier di moda dove si scatena un killer psicopatico a colpi d'ascia. Il protagonista belloccio non lascia tracce ma Laura Betti nel doppio ruolo moglie/fantasma merita da sola la visione. Buone le musiche di Sante Romitelli. Da riscoprire.
“Ho odiato questi anni con te e quindi è giunta l’ora di darci un taglio”, sbotta l’assassino contro la moglie, con tanto di mannaia alla mano (di tagli ne darà tanti, mantenendo una bianca camicia intonsa). E già qui si coglie il non prendersi troppo sul serio di Bava, che pur confeziona film seriamente unici. Piaccia o meno, di prodotti così visionari e visivi, tra il gotico e non, tra il thriller e l’horror, in puro stile anni 70 casereccio, all'estero non se ne trovano. Vero: chi sia lo squilibrato di turno viene subito svelato. Ma lo stile fa il resto!
Incredibile! Non si può certo dire che Argento abbia "copiato" anche nel titolo da questo film per il suo Profondo rosso ma indubbiamente vi ha attinto parecchio (basti pensare all'omicidio dei genitori o all'ascia nella schiena). E Maniac di Lustig? La scena dei manichini è identica a quella celeberrima del film americano. Insomma, Bava sparge a piene mani idee e talento peccando solo nei suoi soliti punti deboli: sceneggiatura e dialoghi. Comunque grande visionarietà e capacità scenografica. Molto bene il "manichino" Forsyth, nella sua follia.
MEMORABILE: L'omicidio in treno; Il ballo coi manichini; Forsyth vestito da sposa che accoppa la moglie; Il massacro dei genitori da Forsyth bambino; La serra.
Traumatizzato da piccolo dall'omicidio della madre, il proprietario di un atelier di abiti nuziali ammazza in preda ad un raptus varie donne. La polizia nutre dei sospetti sul suo conto ma... Niente da eccepire sulla forma, a livello dei migliori lavori del regista, però la trama è pretestuosa oltre che poco originale, la tensione inesistente, gli snodi narrativi approssimativi. Soprattutto, l'elegante della messa in scena non può supplire alle carenze del cast e in particolare del protagonista, tanto rigido da rasentare il ridicolo. In conclusione: tanto stile registico sprecato.
D'accordo, la fotografia, la scenografia, i movimenti di macchina, i cromatismi e i giochi di luce sono all'altezza del miglior Bava, ma questa volta la smagliante esuberanza della forma non riesce a nascondere la pochezza del contenuto: una trama vista e rivista mille volte, con il serial killer tormentato dal solito trauma infantile, una lentezza esasperante e financo una puntata nel soprannaturale con un'acidissima consorte che continua a perseguitare il marito anche dopo che lui ne ha bruciato il cadavere. Mediocre Forsyth, sopra le righe la Betti, bella e brava la Lassander.
MEMORABILE: I balli fra l'assassino e le sue vittime nella sala piena di manichini da sposa.
Il film deve a Psyco l'ossessione del protagonista per la madre defunta, ma lo stile di Bava è inconfondibile: stupenda la fotografia in cui spiccano il rosso (passione/sangue), il nero (tenebre dell'anima/morte) e il bianco (infantilismo/nebbia mentale). Nonostante gli immancabili elementi macabri, l'intreccio è tuttavia tirato per le lunghe (sarebbe stato perfetto per un breve episodio, non per un lungometraggio) e spesso noioso (soprattutto nella prima parte); brava Laura Betti, inespressivo Forsyth, azzeccato il finale.
Bava predilige l'estetica su tutto realizzando un'opera in cui hanno grande parte la fotografia, i colori, gli effetti realizzati con cura e l'usuale originalità del suo marchio di fabbrica. La storia è volutamente poco dinamica e s'incentra sul mondo paranoico-assassino di un giovane e bellissimo uomo, la cui furia s'incendia di fronte a scene e a richieste di accoppiamento. L'arma utilizzata è un'accetta, ma la paura sgorga da una morbosità malata. Gran dispiegamento di stupende fanciulle e di abiti alla moda.
“Pazienza, molta pazienza”: questa la dote fondamentale citata dall’ispettore di Polizia, necessaria per svolgere bene il suo lavoro. Purtroppo è ciò che serve allo spettatore, se non è un baviano di strettissima osservanza, che si trova a vedere un film dal soggtto minimale, senza particolari interessi nello sviluppo, con zero tensione, per di più recitato maluccio, ad esclusione di Laura Betti, che fa sparire tutti gli altri. Non mancano i prevedibili svolazzi della macchina da presa, la fotografia vivida, i bellissimi colori, gli ambienti assai piacevoli. Per chi si accontenta…
C'è subito (quasi) tutto e quando il tassello mancante emerge, si comprende come il medesimo fosse tutto sommato intuibile. La polizia indaga in malo modo, mentre l'assassino agisce molto facilmente, troppo. La follia è rappresentata in modo "lucido", efficace per quei tempi, ma l'insieme è invecchiato malaccio, complice anche il ritmo lento, soprattutto nella prima parte. La tecnica c'è: regia, fotografia, montaggio non deludono, ma complessivamente, siamo lontani dai momenti di miglior fulgore del maestro. Vedibile, non di più.
MEMORABILE: Ci sono chiari segnali che è accaduto qualcosa nella casa, ma l'ispettore desiste immediatamente dal compiere approfondimenti.
Elegante thriller firmato Bava che malgrado una sceneggiatura banalotta riesce ad avvincere e convincere. Grazie naturalmente alla solita superlativa regia del regista ligure e ad alcune trovate geniali. La paranoia del protagonista è ben caratterizzata (soprattutto nella seconda parte dove il film ingrana definitivamente) e una certa lentezza della narrazione non pesa più di tanto. Ottime le musiche di Romitelli, funzionale Forsyth che qui chiude la sua carriera cinematografica.
MEMORABILE: I valzer nella stanza dei manichini; Forsyth che guarda in tv l'episodio centrale de I tre volti della paura.
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Formato video 1:85:1 con qualità più che discreta, ma traccia audio non originale. Si è qui inserito il doppiaggio rifatto in occasione del passaggio televisivo del film.
Come extra, il solo trailer.