Discussioni su Il gatto a nove code - Film (1971)

DISCUSSIONE GENERALE

40 post
  • Zender • 28/12/13 09:26
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Cosa si intende per "perfetta"? Detto che il perfetto non esisterà mai non capisco cosa manchi per dire alla versione Blue Underground del film in bluray. Non rimandiamo a pagine di libri senza dir niente, altrimenti diventa una semplice pubblicità senza senso. Capisco rimandare a un link, ma a una pagina di un libro non visibile su internet non va bene.
    Ultima modifica: 28/12/13 09:27 da Zender
  • Lucius • 28/12/13 12:12
    Scrivano - 9051 interventi
    Non hai detto che non si possono prendere troppe curiosità da un libro? Io preferisco metterne altre e sarebbe troppo lungo da spiegare, quindi basta entrare in libreria e leggere quelle due pagine.E' proprio così.Se vuoi trasferisci in discussione generale.
    Ultima modifica: 28/12/13 12:15 da Lucius
  • Zender • 28/12/13 12:39
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Lucius ebbe a dire:
    Non hai detto che non si possono prendere troppe curiosità da un libro? Io preferisco metterne altre e sarebbe troppo lungo da spiegare, quindi basta entrare in libreria e leggere quelle due pagine.E' proprio così.Se vuoi trasferisci in discussione generale.
    Sì Lucius, ma intanto questa non è una curiosità ma una semplice (non)informazione sull'homevideo. Pensa se tutti scrivessero così: c'è una cosa interessante al minuto 2. Andate in libreria a leggere cos'è. Questa si chiama semplicemente pubblicità a un libro, libro peraltro che dicevi non ti fosse piaciuto se ricordo bene.

    Capisco non copiare l'intero discorso ed hai ragione che non bisogna prendere troppe info dallo stesso libro, ma se c'è una info sul perché non dovrebbero essere buone le edizioni uscite sarebbe utile capire perché. Probabilmente lo stesso autore ha letto la cosa sul web, o magari è una info datata sorpassata da nuove edizioni che potrebbero invece essere uscite ottime. In definitiva detta così non ha significato, se capisci cosa intendo, e potrebbe pure essere non vera, visto che chissà quante nuove edizioni sono uscite da quando è uscito il libro. O essere una considerazione personale dell'autore del tutto non condivisibile.
    Ultima modifica: 28/12/13 12:54 da Zender
  • Lucius • 28/12/13 12:59
    Scrivano - 9051 interventi
    Non ho motivo di fare pubblicità a questo autore visto che il libro su "L'uccello dalle piume di cristallo" non mi è piaciuto per niente e l'ho dichiarato pubblicamente ma, con la stessa onestà, non posso che parlare bene di questo nuovo libro, grazie alle informazioni dettagliate che fornisce sul film e soprattutto agli interventi di chi vi ha preso parte, uno su tutti Dardano Sacchetti.La cosa non è presa dal web perchè è spiegata nei minimi dettagli.
    Manca una piccola sequenza in tutte le edizioni presenti sul mercato anche internazionale, ma non posso ricopiare due pagine, al massimo potrei scannerizzarle, purchè ciò non mi impedisca di postare altre curiosità in futuro.
    A proposito qual'è il limite massimo di curiosità, cui si può attingere in un singolo libro?
  • Zender • 28/12/13 13:35
    Capo scrivano - 47787 interventi
    No, ovviamente due pagine di un libro appena uscito non è proprio il caso di scannerizzarle e so bene che non lo fai per pubblicità, però almeno dire di che sequenza si tratta e cosa si vede potresti farlo, credo. Giusto per capire di cosa stiamo parlando.

    Non esiste un limite massimo di curiosità, si va a senso. Se una persona scrive un libro non ha interesse che qualcuno lo diffonda gratis sul web, non lo trovo corretto nei confronti di chi l'ha scritto cercando con fatica le sue fonti, diciamo. Una volta che hai scelto tre o quattro curiosità direi che può bastare.
  • Lucius • 3/01/14 18:20
    Scrivano - 9051 interventi
    Diciamo che c'è una sequenza rattoppata o mancante in tutte le edizioni presenti sul mercato e soprattutto un'intera scena che è assente da tutte le edizioni, quella che vede James Franciscus ferito e col torace fasciato a letto.Inoltre Cozzi ha suggerito ad Argento di togliere il primo finale (col lieto fine) realizzato per il film.Questo libro contiene delle rivelazioni incredibili.
    C'è pure una foto della sequenza assente...
  • Zender • 4/01/14 10:09
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Quella del lieto fine l'avevio già sentita in un extra di dvd o bluray. Ma la scena di cui parli era presente al cinema, secondo l'autore?
  • Lucius • 4/01/14 12:37
    Scrivano - 9051 interventi
    Non è precisato, ma trattasi di pochi fotogrammi in alcune edizioni addirittura rattoppati (naturalmente la cosa ai più esperti non è sfuggita, visto che la colonna sonora si avverte che è discontinua, in quel punto).
    Ultima modifica: 4/01/14 12:37 da Lucius
  • Zender • 4/01/14 13:55
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Nel senso che cambia tutto: se è una scena mai uscita al cinema i dvd sarebbero tutti perfetti nel senso che di certo un dvd non deve per forza comprendere una scena tagliata in montaggio, se invece nei cinema esisteva la cosa è più interessante.
  • Ciavazzaro • 16/03/14 16:13
    Scrivano - 5591 interventi
    Che meraviglia i tuoi flani buio,complimenti !
  • Buiomega71 • 16/03/14 18:35
    Consigliere - 25999 interventi
    Ciavazzaro ebbe a dire:
    Che meraviglia i tuoi flani buio,complimenti !

    Grazie Ciava...

    E pensare che l'istinto di buttarli mi era balenato più di una volta...
  • Fauno • 16/03/14 21:20
    Contratto a progetto - 2743 interventi
    Confermo anch'io. A cestinarli avresti fatto harakiri. Per quanto col paurometro di questo film non sia tanto d'accordo, perchè Gigi Scalogna nonostante le parolacce non affievolisce di un micron la tensione costante del film.
    Ricordi gli articoli sui film proiettati allora sul grande schermo stile Shining o Zeder, che avevano il quadratino che ti svelava il finale dei thriller, e se lo volevi leggere ti dovevi mettere contro lo specchio, come, per pura coincidenza, in Shining la parola REDRUM? Figata pure quella, no? FAUNO.
  • Buiomega71 • 16/03/14 21:31
    Consigliere - 25999 interventi
    Fauno ebbe a dire:
    Confermo anch'io. A cestinarli avresti fatto harakiri. Per quanto col paurometro di questo film non sia tanto d'accordo, perchè Gigi Scalogna nonostante le parolacce non affievolisce di un micron la tensione costante del film.
    Ricordi gli articoli sui film proiettati allora sul grande schermo stile Shining o Zeder, che avevano il quadratino che ti svelava il finale dei thriller, e se lo volevi leggere ti dovevi mettere contro lo specchio, come, per pura coincidenza, in Shining la parola REDRUM? Figata pure quella, no? FAUNO.


    Sì, Fauno, quelli erano i mitici "Cineracconti" di Tv Sorrisi e Canzoni(e proprio lì che lessi il vm 18 di Inferno!)

    Fà piacere che i flanetti piacciano (almeno per il loro retrogusto vintage)

    Già, a buttarli avrei commesso sacrilegio, me ne rendo conto...

    Concordo, infine, sulla tensione costante del Gatto a Nove Code, che non da segni di cedimento nemmeno per un secondo
    Ultima modifica: 16/03/14 21:32 da Buiomega71
  • Nicola81 • 13/01/17 18:46
    Compilatore d’emergenza - 674 interventi
    L'ho rivisto, e a breve vorrei postare un nuovo commento con relativo aumento di pallinaggio. Potete cancellare il mio vecchio commento?
  • Zender • 13/01/17 19:03
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Fatto.
  • Nipo • 23/10/17 22:08
    Galoppino - 97 interventi
    Il Gatto a nove code secondo film di Dario Argento, voluto dal produttore Goffredo Lombardo a seguito del travolgente successo ottenuto da L’uccello dalle piume di cristallo. In realtà Argento avrebbe voluto girare un altro tipo di film, ma alla fine decide di scrivere la storia di questo giallo, anche se il risultato non lo convince molto. Per Argento questo è un film che rimane un po’ incordato nei binari dei polizieschi americani, e già il volto dei due attori protagonisti, James Franciscus e Karl Malden potrebbero far pensare a questa direzione di vedute. In realtà il film risulta riuscito nella trama, impreziosito da trovate e situazioni che risultano un’evoluzione del film precedente.

    La tecnica della soggettiva diventa dilagante in questa pellicola. In realtà si potrebbe parlare di un contrappunto narrativo: il protagonista Arnò (interpretato da Karl Malden) è cieco, mentre dell’assassino ci viene mostrato un dettaglio a tutto schermo della pupilla, enorme e immanente. Un occhio che tutto vede, che controlla i movimenti dei personaggi, li segue e a volte li precede, quasi senza alcun senso logico: si veda a proposito l’omicidio del fotografo Righetto. L’assassino arriva in casa di Righetto mentre lui ha appena parlato con Giordani (il giornalista co-protagonista della vicenda). Come faceva il maniaco a sapere che i due parlavano di una fotografia compromettente? Ma al momento il pensiero non nasce nella mente dello spettatore in quanto la tensione nella costruzione della scena è alta.
    Arnò e l’assassino sembrano anche uniti da uno strano legame mentale. Forse la cecità ha dato ad Arnò una dote particolare, un sesto senso notevolmente sviluppato. Lo possiamo notare in due momenti del film. Il primo, all’inizio della vicenda Arnò è in casa a lavorare, è notte e nella stanza dove compone i suoi rebus è solo. In quel momento ha come una visione mentale, un flash di un uomo, un guardiano notturno, che viene colpito alla testa. Pochi istanti dopo nell’istituto di ricerche genetiche Terzi, che si trova in linea d’aria di fronte a casa di Arnò, vediamo la mano guantata dell’assassino colpire alla testa il guardiano notturno dell’istituto. Un altro esempio di questa “simbiosi” mentale si ha subito dopo l’omicidio del fotografo. Arnò è in macchina con la sua nipotina Lory, attende Giordani che è salito in casa di Righetto (dove ne scoprirà il cadavere). In quel momento l’assassino esce dal portone, vede Arnò in macchina e cambia strada. Ma Arnò si irrigidisce e sente distintamente i passi del maniaco mentre si allontana. Tutto intorno a lui diventa silenzioso in quell’istante, solo i passi arrivano alle sue orecchie.

    Le azioni dell’assassino sono sempre precedute dal dettaglio dell’occhio, ma in una scena in particolare è il regista che anticipa le mosse anche dell’assassino, e lo suggerisce allo spettatore. Siamo nell’appartamento di Bianca Merusi, che ha appena scoperto l’identità dell’assassino, è al telefono con Arnò. La stanza in cui si trova ha una carta da parati particolare: bianca con ampie macchie di vernice dorata che sembrano colare. L’effetto della vernice dorata sembra quasi essere dato da un colpo alla parete. In effetti l’assassino colpirà Bianca in casa, tenterà di strangolarla e dopo, una volta che la donna è a terra, le sbatterà più volte, con violenza, il volto sul pavimento, lasciando anche scie di saliva mista a sangue. Il rimando agli schizzi decorativi sulle pareti è forte. Quasi una previsione a favore del pubblico…
    Il gatto a nove code è un film sull’ambiguità. In realtà tutti i personaggi hanno una doppia faccia, un lato oscuro, sia vittime che carnefici. Ad un certo punto proprio Arnò pronuncia una frase che ci da una chiave di lettura della pellicola: “C’è qualcosa di poco chiaro nel passato di tutti noi…”.

    Tutti nascondono qualche cosa: Bianca Merusi (fidanzata diel dottor Calabresi, prima vittima del maniaco) vendeva le formule create nell’istituto ad altre aziende farmaceutiche, con l’aiuto del ricercatore Braun (che si scoprirà essere anche gay) che all’apparenza sembra un uomo dai principi ferrei. Calabresi, l’uomo che conosce l’identità dell’assassino e proprio per questo lo ricattava. Anna (Catherine Spaak) figlia del direttore dell’istituto, ma in realtà da lui adottata e amante. Ma anche lo stesso Arnò e sua nipote Lory di otto anni, non ci viene mai detto veramente se il legame di parentela sia reale, in quanto Arnò ad un certo punto dichiara che sono entrambi rimasti soli, e che lui non ha parenti. Questo getta sul loro dolce rapporto una forte ombra di dubbio. Poi alla fine c’è l’assassino, il medico Casoni (interpretato da Aldo Reggiani).

    Un omicida inusuale nella filmografia di Dario Argento, in quanto il suo movente non nasce da traumi scatenanti, ma sembra quasi voluto dallo stesso assassino. Scopre lui stesso di avere una triade cromosomica che sarebbe alla base di un comportamento deviato e omicida; per questo inizia a uccidere chi potrebbe scoprirlo, vuole mantenere segreto quello che per lui è una condanna subita dalla vita, non voluta da lui. Ma se non avesse scoperto di avere la “triade cromosomica” avrebbe comunque ucciso? Nulla lo costringeva ad avere comportamenti violenti. Lui decide che per proteggere il suo segreto deve eliminare gli altri. Alla fine il fatto di possedere la xyy (la triade cromosomica in questione) non lo obbliga ad avere comportamenti criminali, è solamente una sua scelta quella di assecondare tale predisposizione. La sua furia omicida si scatena nel momento in cui deve eliminare chi lo ricatta, chi conosce la sua identità.

    Durante gli omicidi si avventa contro le vittime con una violenza spasmodica, le strangola con un laccio, e su un cadavere infierisce anche sfregiandone il volto. Forse è in quel momento che la sua violenza a lungo controllata esplode e si vuole vendicare del suo essere condannato dalla nascita. Ma sinceramente, è lui che giustifica le sue azioni con la genetica. Si ha quasi l’impressione che quando uccide vuole essere libero di sfogarsi sadicamente sulle vittime. Forse è colpa della genetica, ma in realtà sembra più che Casoni sia un ricercatore di valore, ma sottovalutato e sfruttato dai capi che gli sono intorno. Non gode della reputazione di Braun o di Calabresi. E le sue frustrazioni, legate al terrore della scoperta della devianza genetica, potrebbero aver scatenato in lui un vero odio per chi gli è intorno. Quindi è più una giustificazione, magari per poter godere di un’attenuante in caso di processo? O è vera l’influenza dei cromosomi?

    Un film teso, che sfoga tutta la sua ambiguità nel finale, quando Casoni e Giordani lottano sui tetti dell’istituto Terzi. Si affrontano come due bestie, colpi pesanti sottolineati da effetti sonori potenti. Due animali coperti di sangue che in quel momento, spinti nella disperazione, combattono solo per sopravvivere, d’istinto. E qui il doppio esce allo scoperto: non ci sono maschere nella violenza che circonda questi due corpi diventati solamente due forme disperate. Unico barlume che divide l’uomo civile dalla bestia è il gesto di Giordani quando, parando il colpo di coltello che Casoni voleva calare sulla piccola Lory, presa in ostaggio, dimostra di chiudere in se l’animo razionale che tende al bene e alla difesa della vita. Casoni invece rimane inevitabilmente vittima della ferocia, che si sublima nel faccia a faccia risolutivo con Arnò, quando gli mente dicendogli di aver ucciso la nipotina. E sarà Arnò che nel finale punirà mortalmente l’assassino precipitandolo nella tromba dell’ascensore (con un effetto di soggettiva particolarmente sensoriale per quello che riguarda la vista ma anche sopratutto per l’udito: è terrificante sentire il suono delle mani dell’assassino che sfrigolano lungo le corde dell’ascensore, fumando anche per l’attrito, verso l’inevitabile sfracello finale), ma rimanendo virtualmente impunito per tale gesto. Arnò compie l’atto finale a condanna dell’assassino, ma la pietà dello spettatore nei suoi confronti è forte e quindi lo immunizza automaticamente dall’essere considerato un carnefice alla stregua di Casoni.
  • Fauno • 24/10/17 11:19
    Contratto a progetto - 2743 interventi
    L'unico personaggio al di fuori di qualsiasi doppia vita in quanto fedelissimo di Terzi è Mombelli, ma poteva benissimo essere a conoscenza di tutti questi doppi giochi che hanno creato tanti sottoinsiemi in questo film-.

    Fra l'altro Casoni era il classico enfant prodige che aveva bruciato molte tappe, eppure guarda caso era stato espulso dal laboratorio precedente...

    E certo che il sesto senso di Arnò raggiunge il top nell'intuizione sull'importanza che può avere il medaglione, quando come reazione schizza addirittura l'acqua sul tegame delle uova che aveva appena fritto, ma già l'esordio nell'allacciarsi la scarpa e chiedere alla bambina di guardare chi c'è dentro l'auto non è davvero male.

    E' uno di quei film da cui è facile restar pervasi e volerlo vedere più volte fino a non dimenticare nulla ed elogiarlo anche dopo mezzo secolo. E c'è una musica straordinaria di Ennio Morricone, che rende addirittura scioccante soprattutto l'omicidio di Moretto (e non ti dico la velocità dei cambi immagine come a tormentare la mente dello spettatore, come a dire "tu speri di rilassarti ma io amplifico il tuo terrore"), come anche nei titoli di testa, con una melodia che ti vorrebbe dire "Torino può essere calma e bella di notte, ma qui ti sta per piombare addosso una situazione che ti sfuggirà di mano"...

    Alla fine di tutto quello che io posso ripetere per l'ennesima volta è che il valore di Argento è assoluto, e l'abbiamo avuto noi, per nostra fortuna...
  • Zender • 10/07/18 18:47
    Capo scrivano - 47787 interventi
    Sì, questa c'è già sul nostro libro con tanto di aneddoti vari di Dario. Un giorno la metteremo in location segnalazioni.
  • Alex75 • 25/11/19 19:03
    Call center Davinotti - 709 interventi
    Nipo ebbe a dire:
    Il Gatto a nove code secondo film di Dario Argento, voluto dal produttore Goffredo Lombardo a seguito del travolgente successo ottenuto da L’uccello dalle piume di cristallo. In realtà Argento avrebbe voluto girare un altro tipo di film, ma alla fine decide di scrivere la storia di questo giallo, anche se il risultato non lo convince molto. Per Argento questo è un film che rimane un po’ incordato nei binari dei polizieschi americani, e già il volto dei due attori protagonisti, James Franciscus e Karl Malden potrebbero far pensare a questa direzione di vedute. In realtà il film risulta riuscito nella trama, impreziosito da trovate e situazioni che risultano un’evoluzione del film precedente.

    La tecnica della soggettiva diventa dilagante in questa pellicola. In realtà si potrebbe parlare di un contrappunto narrativo: il protagonista Arnò (interpretato da Karl Malden) è cieco, mentre dell’assassino ci viene mostrato un dettaglio a tutto schermo della pupilla, enorme e immanente. Un occhio che tutto vede, che controlla i movimenti dei personaggi, li segue e a volte li precede, quasi senza alcun senso logico: si veda a proposito l’omicidio del fotografo Righetto. L’assassino arriva in casa di Righetto mentre lui ha appena parlato con Giordani (il giornalista co-protagonista della vicenda). Come faceva il maniaco a sapere che i due parlavano di una fotografia compromettente? Ma al momento il pensiero non nasce nella mente dello spettatore in quanto la tensione nella costruzione della scena è alta.
    Arnò e l’assassino sembrano anche uniti da uno strano legame mentale. Forse la cecità ha dato ad Arnò una dote particolare, un sesto senso notevolmente sviluppato. Lo possiamo notare in due momenti del film. Il primo, all’inizio della vicenda Arnò è in casa a lavorare, è notte e nella stanza dove compone i suoi rebus è solo. In quel momento ha come una visione mentale, un flash di un uomo, un guardiano notturno, che viene colpito alla testa. Pochi istanti dopo nell’istituto di ricerche genetiche Terzi, che si trova in linea d’aria di fronte a casa di Arnò, vediamo la mano guantata dell’assassino colpire alla testa il guardiano notturno dell’istituto. Un altro esempio di questa “simbiosi” mentale si ha subito dopo l’omicidio del fotografo. Arnò è in macchina con la sua nipotina Lory, attende Giordani che è salito in casa di Righetto (dove ne scoprirà il cadavere). In quel momento l’assassino esce dal portone, vede Arnò in macchina e cambia strada. Ma Arnò si irrigidisce e sente distintamente i passi del maniaco mentre si allontana. Tutto intorno a lui diventa silenzioso in quell’istante, solo i passi arrivano alle sue orecchie.

    Le azioni dell’assassino sono sempre precedute dal dettaglio dell’occhio, ma in una scena in particolare è il regista che anticipa le mosse anche dell’assassino, e lo suggerisce allo spettatore. Siamo nell’appartamento di Bianca Merusi, che ha appena scoperto l’identità dell’assassino, è al telefono con Arnò. La stanza in cui si trova ha una carta da parati particolare: bianca con ampie macchie di vernice dorata che sembrano colare. L’effetto della vernice dorata sembra quasi essere dato da un colpo alla parete. In effetti l’assassino colpirà Bianca in casa, tenterà di strangolarla e dopo, una volta che la donna è a terra, le sbatterà più volte, con violenza, il volto sul pavimento, lasciando anche scie di saliva mista a sangue. Il rimando agli schizzi decorativi sulle pareti è forte. Quasi una previsione a favore del pubblico…
    Il gatto a nove code è un film sull’ambiguità. In realtà tutti i personaggi hanno una doppia faccia, un lato oscuro, sia vittime che carnefici. Ad un certo punto proprio Arnò pronuncia una frase che ci da una chiave di lettura della pellicola: “C’è qualcosa di poco chiaro nel passato di tutti noi…”.

    Tutti nascondono qualche cosa: Bianca Merusi (fidanzata diel dottor Calabresi, prima vittima del maniaco) vendeva le formule create nell’istituto ad altre aziende farmaceutiche, con l’aiuto del ricercatore Braun (che si scoprirà essere anche gay) che all’apparenza sembra un uomo dai principi ferrei. Calabresi, l’uomo che conosce l’identità dell’assassino e proprio per questo lo ricattava. Anna (Catherine Spaak) figlia del direttore dell’istituto, ma in realtà da lui adottata e amante. Ma anche lo stesso Arnò e sua nipote Lory di otto anni, non ci viene mai detto veramente se il legame di parentela sia reale, in quanto Arnò ad un certo punto dichiara che sono entrambi rimasti soli, e che lui non ha parenti. Questo getta sul loro dolce rapporto una forte ombra di dubbio. Poi alla fine c’è l’assassino, il medico Casoni (interpretato da Aldo Reggiani).

    Un omicida inusuale nella filmografia di Dario Argento, in quanto il suo movente non nasce da traumi scatenanti, ma sembra quasi voluto dallo stesso assassino. Scopre lui stesso di avere una triade cromosomica che sarebbe alla base di un comportamento deviato e omicida; per questo inizia a uccidere chi potrebbe scoprirlo, vuole mantenere segreto quello che per lui è una condanna subita dalla vita, non voluta da lui. Ma se non avesse scoperto di avere la “triade cromosomica” avrebbe comunque ucciso? Nulla lo costringeva ad avere comportamenti violenti. Lui decide che per proteggere il suo segreto deve eliminare gli altri. Alla fine il fatto di possedere la xyy (la triade cromosomica in questione) non lo obbliga ad avere comportamenti criminali, è solamente una sua scelta quella di assecondare tale predisposizione. La sua furia omicida si scatena nel momento in cui deve eliminare chi lo ricatta, chi conosce la sua identità.

    Durante gli omicidi si avventa contro le vittime con una violenza spasmodica, le strangola con un laccio, e su un cadavere infierisce anche sfregiandone il volto. Forse è in quel momento che la sua violenza a lungo controllata esplode e si vuole vendicare del suo essere condannato dalla nascita. Ma sinceramente, è lui che giustifica le sue azioni con la genetica. Si ha quasi l’impressione che quando uccide vuole essere libero di sfogarsi sadicamente sulle vittime. Forse è colpa della genetica, ma in realtà sembra più che Casoni sia un ricercatore di valore, ma sottovalutato e sfruttato dai capi che gli sono intorno. Non gode della reputazione di Braun o di Calabresi. E le sue frustrazioni, legate al terrore della scoperta della devianza genetica, potrebbero aver scatenato in lui un vero odio per chi gli è intorno. Quindi è più una giustificazione, magari per poter godere di un’attenuante in caso di processo? O è vera l’influenza dei cromosomi?

    Un film teso, che sfoga tutta la sua ambiguità nel finale, quando Casoni e Giordani lottano sui tetti dell’istituto Terzi. Si affrontano come due bestie, colpi pesanti sottolineati da effetti sonori potenti. Due animali coperti di sangue che in quel momento, spinti nella disperazione, combattono solo per sopravvivere, d’istinto. E qui il doppio esce allo scoperto: non ci sono maschere nella violenza che circonda questi due corpi diventati solamente due forme disperate. Unico barlume che divide l’uomo civile dalla bestia è il gesto di Giordani quando, parando il colpo di coltello che Casoni voleva calare sulla piccola Lory, presa in ostaggio, dimostra di chiudere in se l’animo razionale che tende al bene e alla difesa della vita. Casoni invece rimane inevitabilmente vittima della ferocia, che si sublima nel faccia a faccia risolutivo con Arnò, quando gli mente dicendogli di aver ucciso la nipotina. E sarà Arnò che nel finale punirà mortalmente l’assassino precipitandolo nella tromba dell’ascensore (con un effetto di soggettiva particolarmente sensoriale per quello che riguarda la vista ma anche sopratutto per l’udito: è terrificante sentire il suono delle mani dell’assassino che sfrigolano lungo le corde dell’ascensore, fumando anche per l’attrito, verso l’inevitabile sfracello finale), ma rimanendo virtualmente impunito per tale gesto. Arnò compie l’atto finale a condanna dell’assassino, ma la pietà dello spettatore nei suoi confronti è forte e quindi lo immunizza automaticamente dall’essere considerato un carnefice alla stregua di Casoni.


    Un'ottima disamina, che bene spiega l'ambiguità che si percepisce lungo tutto lo svolgimento del film.
  • Alex75 • 25/11/19 19:05
    Call center Davinotti - 709 interventi
    Lucius ebbe a dire:
    Diciamo che c'è una sequenza rattoppata o mancante in tutte le edizioni presenti sul mercato e soprattutto un'intera scena che è assente da tutte le edizioni, quella che vede James Franciscus ferito e col torace fasciato a letto.Inoltre Cozzi ha suggerito ad Argento di togliere il primo finale (col lieto fine) realizzato per il film.Questo libro contiene delle rivelazioni incredibili.
    C'è pure una foto della sequenza assente...


    Argento fece bene a seguire il suggerimento di Cozzi. Trovo che il finale che tutti conosciamo sia perfetto.