Intervista allo sceneggiatore Dardano Sacchetti

1 Giugno 2007

In questa lunga intervista lo sceneggiatore Dardano Sacchetti (tra i più noti soprattutto nell'ambito del nostro amato cinema di genere e nel periodo che va dagli Anni Settanta ai Novanta) racconta molti retroscena su tanti dei film a cui ha partecipato come soggettista, sceneggiatore, talvolta anche solo consulente in virtù della stima guadagnatasi nel mondo del cinema durante gli anni. Si noti che, per la natura stessa di alcuni aneddoti, potrebbero essere svelati i finali di alcuni film.

UNDYING:
Quali sono le circostanze che ti hanno avvicinato al mondo del cinema e come hai affrontato la tua prima "sceneggiatura"?
DARDANO SACCHETTI:
Conoscevo della gente che cercava di fare cinema. Erano amici. Si andava al cinema, poi si mangiava la pizza e si parlava per ore a volte per tutta la notte. In questo modo mi sono accorto che ero una specie di memoria vivente: conoscevo quasi tutti i film usciti, li avevo visti almeno tre o quattro volte, ricordavo i cast, le trame, i risvolti, i dettagli avvantaggiato da un poderosa memoria visiva (il mio cervello ragiona per immagini) e da una capacità di cogliere i dettagli, anche i più insignificanti. I miei amici mi usavano per avere informazioni e a me piaceva che un mio hobby potesse essere utile, poi un giorno Luigi Collo, un ragazzo di Torino con il quale avevo molto legato in epoca '68 all'università, mi portò con lui a conoscere Dario Argento che stava finendo di montare L'uccello dalle piume di cristallo. Era l'autunno del '69 circa. Luigi voleva fare cinema. Dario gli chiese di scrivere un soggetto. Luigi non ci riusciva. Mi chiese di dargli una mano. Scrivere mi è sempre piaciuto, ho fatto degli ottimi studi e letto tantissimi libri, possiedo attualmente una biblioteca di 14000 volumi, ma soprattutto avevo una madre accanita lettrice di gialli, per cui ho letto sin da piccolo tutto ciò che è stato pubblicato in Italia in tema di giallo. In dieci minuti scrissi il soggetto del Gatto a nove code. Erano sette, otto paginette. A Dario piacquero, le trasformò in 45 pagine di trattamento, ricevette l'okay da Lombardo (il produttore, n.d.a.) e il mio primo soggetto divenne un film. Poi ci fu una incomprensione con Dario e una lite tra lui e me, una delle tante, ma abbiamo sempre fatto pace.

UNDYING:
Ecologia del delitto è una delle mie pellicole preferite, non soltanto perché rappresenta un Bava ai massimi livelli, quanto perché, effettivamente, nel panorama italiano è stata la prima pellicola splatter che andava in coda a successi tipo Blood Feast (1963) di H.G. Lewis, ma con una sceneggiatura e una trama decisamente superiore... In fase di script, come è nata l'idea di rappresentare scene così truci e violente per l'epoca? E perché tutti i personaggi del film sono negativi, carnefici e vittime al tempo stesso? L'idea conclusiva dei "bambini", tutt'altro che innocenti, che ritorna anche nella sceneggiatura per il film di Fulci Quella villa accanto al cimitero (1981), è una tua costante: da cosa deriva questo pessimismo di fondo?
DARDANO SACCHETTI:
  Ecologia del delitto è il film a cui sono più affezionato. Perché, dopo Il gatto a nove code, è stato il primo lavoro. Perché ho potuto esprimere la mia poetica (in molti miei film si parla di bambini, di case strane, di horror quotidiano, laico... ). Perché ho conosciuto un uomo fantastico, un vero genio con una grande creatività: Mario Bava. A vederlo, Mario, sembrava banale, non aveva nulla di carismatico, anzi era schivo, si nascondeva, non si metteva in luce, ma poco a poco, sul lavoro, scoprivi la sua personalità, soprattutto il suo mondo, la sua visionarietà, la sua paura; perchéMario aveva paura, la sentiva come una cosa reale e la rappresentava. Le scene truci nascevano per divertimento, per paradosso, per creare sorpresa e angoscia nello spettatore, quindi erano studiate accuratamente. I due che fanno l'amore e muoiono fiocinati insieme è un'idea che Mario aveva da tempo. La vecchia che s'impicca sulla carrozzella è tutta mia, il finale con i bambini è tutto mio (il titolo originale doveva essere: Così imparano a fare i cattivi). Il polipo che da sotto il telo tocca la spalla è di Mario. Il film è molto compatto perché ha un'anima, semplice ma ha un'anima. Nelle mie lezioni di sceneggiatura non mi stanco di ripetere che per prima cosa bisogna trovare l'anima del film. Un film senz'anima è come un Golem senza l'Aleph sulla fronte. Non vive. L'anima di Ecologia del delitto sta nella totale distonia tra sentimenti e moralità: i genitori per il bene dei figli, per assicurare loro un avvenire tranquillo, non esitano a uccidere, ma i figli questo non lo capiscono perché vogliono un'altra cosa, quindi uccidono a loro volta… E' un film nero, cupo, senza speranza (non ci sono buoni, neanche i bambini ne lieto fine, quello c'è solo in Pretty Woman) ma con grandi dosi di ironia per stemperare l'amarezza, di qui lo splatter... è il primo film che usa lo splatter per alleviare lo spettatore".

UNDYING:
Schock (1977), di Mario Bava, ti vede coinvolto nella realizzazione del soggetto. Si dice, in relazione a questo film, che buona parte del lavoro possa essere ascrivibile a Lamberto... Conosci altri particolari in proposito?
DARDANO SACCHETTI: 
E' il secondo film che ho scritto per Mario. Fu scritto nel ‘71 subito dopo Ecologia del delitto. Mentre girava Ecologia del delitto, Mario mi disse che a lui sarebbe piaciuto fare un film su una casa, dove i protagonisti fossero gli oggetti (Mario non ha mai amato molto gli attori e per lui fotografare cose e situazioni era il massimo, poteva sperimentare). Io ho sempre subito il fascino delle case, sia perché ho avuto il privilegio di nascere in una casa magica, sia perché ho letto tanti racconti sulle case e visto tanti film sulle case. Le case sono sempre piene di misteri. Basta grattare i muri. Se proprio ti va male trovi un dentino da bambino, quelli da latte, che si conservano e poi si perdono. Che fine fanno i dentini? e poi siamo sicuri che siano caduti da soli? Così scrissi il soggetto, quindi la sceneggiatura insieme ad un mio amico, Franco Barberi. Lamberto non c'era. All'epoca Lamberto, padre da poco e sposo giovanissimo, aveva altro a cui pensare. Ma il film non fu realizzato subito perché il produttore fallì. La sceneggiatura finì nel fallimento e venne acquistata nel ‘76 da un altro produttore. In quella circostanza il mio "amico" Lamberto si guardò bene dal dirmi che stavano per realizzare il film. Me lo disse Montefiori, un vero amico. Poi, trovai con mia grande sorpresa che sui titoli di testa Lamberto non solo si era messo in sceneggiatura, ma si era messo anche come primo nome e grande il doppio rispetto agli altri.

UNDYING: Di Zombi 2 che mi dici?
DARDANO SACCHETTI:
Per quanto riguarda Zombi 2 c'era un problema fiscale: il commercialista aveva consigliato di dividere i guadagni fra me e mia moglie (Elisa Briganti, a cui è ascritta la sceneggiatura, n.d.a.). Oltretutto non ero convinto che il film si facesse. Infatti per sei mesi la sceneggiatura giacque sulla scrivania del produttore fino a quando non arrivò Ugo Tucci che prese in mano la cosa e la fece diventare operativa. Tucci voleva Castellari, ma Castellari voleva 40 milioni. Erano troppi per il budget a progetto, che nasceva come piccolo film per racimolare un po' di soldi dall'estero. Il titolo originale era L'isola degli zombi. Fu Tucci a intitolarlo Zombi 2 proprio per inserirsi nella scia del film di Romero distribuito da Dario, a cui Dario aveva cambiato il titolo originale. Io ero contrario. Avevo da poco recuperato il rapporto con Dario. Avevo assistito al rimontaggio del film di Romero (Dario tagliò genialmente 40 minuti dando un ritmo al film che prima non c'era). Alla fine fu chiamato Fulci che era in disgrazia. La moglie tedesca era scappata fregandogli soldi e casa, Camilla (una figlia, n.d.a.) era caduta da cavallo e stava male, Antonella era irrequieta come tutte le adolescenti. Fulci aveva bisogno di soldi e accettò di fare il film per soli sei milioni di lire. Non sapeva che l'avevo scritto io e girò la sceneggiatura esattamente come era scritta, senza modificare neanche una virgola. Conservo ancora sia la versione italiana che inglese. Compresa la famosa sequenza dell'occhio che era descritta fotogramma per fotogramma, come tutte le mie sceneggiature che sono molto all'americana. Fulci si limitò a metterci la tecnica. E tecnicamente era molto bravo, inferiore solo a Mario Bava, col difetto di essere poco visionario.

UNDYING: Apocalypse domani rappresenta l'escursione di Antonio Margheriti (celebre regista di horror d'epoca) nello splatter... Il film mi ricorda molto la tua affermazione sulla "contaminazione dei generi" citata in merito a Zombi 2. Come è nata l'idea di miscelare zombi, cannibali e guerra in questo viscerale splatter?

DARDANO SACCHETTI: Apocalypse domani è un film che mi piace molto, e piace anche a Tarantino. Margheriti si era specializzato in finti "Rambo" girati nelle fillippine. Il produttore Amati, visto che c'era un discreto margine di guadagno, chiama lui e me per un film di genere. A me non piace eseguire i compiti. Mi sta bene che mi dicano ispirati a questo o quel film, ma ci devo mettere qualcosa di mio. Così portai dei reduci dalla giungla in città e m'inventai che una prigionia con costrizione al cannibalismo potesse generare una specie di virus... Era una metafora in cui credevo molto, e ci credo tuttora (basta darsi un'occhiata in giro), e mi ha dato la possibilità sia di contaminare i generi, cosa che adoro fare, sia di introdurre allora delle devianze forti rispetto ai codici narrativi. Mi sono divertito a farlo e lo rifarei; si può scegliere Irak, Kossovo, Darfur, Cecenia...

UNDYING:
Nelle sceneggiature non accreditate, di cui abbiamo trattato, è rimasto escluso Inferno di Dario Argento... come sei stato coinvolto nella realizzazione del film, al quale anche Mario Bava ha prestato il suo estro per la realizzazione di alcuni effetti visivi?
DARDANO SACCHETTI:
 
La mia presente partecipazione non accreditata a Inferno è venuta fuori di recente; da quando, avendo qualcuno scoperto che La chiesa è mio, ho deciso di svelare tutti i film ai quali in qualche modo ho preso parte. Per quanto riguarda Inferno  si tratta di una collaborazione amichevole del tutto ininfluente. Dario aveva lavorato per sei o sette mesi sul copione. Lo aveva finito da poco. Doveva iniziare le riprese e aveva, come accade quando si finisce, una serie di dubbi. Suo padre e suo fratello (il produttore Claudio, n.d.a.) mi chiamarono e mi chiesero se ero disposto a passare qualche giorno con Dario per fargli da sparring-partner. Il patto era che potevo chiedere i soldi che volevo, ma non avrei dovuto firmare la sceneggiatura, qualunque cosa fosse accaduta. Lessi la sceneggiatura e per circa una settimana passai sette, otto ore con Dario chiuso in una pensione davanti a ponte Matteotti. Lui mi esponeva i suoi dubbi. Ne parlavamo. Alla fine Dario si convinse che la sceneggiatura andava bene così com'era, tranne una scena. Ipotizzammo dei cambiamenti, poi Dario, riscrivendola, cambiò solo un piccolo dettaglio. Niente di più. Quindi, per una settimana ho dato a Dario la mia disponibilità professionale, e questo è un fatto, ma nel film alla fine, di mio, non c'è niente. Ma sono stato viziato, avevamo ogni genere di conforto.

UNDYING:
Paura nella città dei morti viventi è l'horror più crudo di Fulci. In sceneggiatura erano riportate (come per Zombi 2) tutte le sequenze splatter (ancora oggi è incredibile l'efficacia della trapanazione della mascella di Giovanni Lombardo Radice)? Che significato attribuire al "frame" in chiusura con lo strano sguardo (seguito da un urlo) del bambino?
DARDANO SACCHETTI: Dopo il grande successo, soprattutto economico, di Zombi 2 Fulci mi chiamò e mi disse: “A sacche' vedrai faranno 'a fila, nun ciavremo da da' li resti”... e per sei bei mesi non accade un... come direbbero i francesi? Un cazzo? Ebbene sì, non accadde un cazzo e noi avevamo il soggetto pronto. Ho ancora la copia. Sulla prima pagina, a matita, di suo pugno, Fulci scrisse: un film di Lucio Fulci, Paura nella città... Soggetto di Elisa Briganti e Dardano Sacchetti; poi, se vai a vedere i titoli, ti accorgi che è diventato un'altra cosa... Il film alla fine si fece perché Fulci convinse il suo amico Jaboni, terzo socio di minoranza della Medusa, che il film era un guadagno sicuro e Jaboni convinse i due soci più forti. Come è nato il film? A me piacciono le scariche improvvise di adrenalina, quando ti si apre il cervello e tiri fuori cose che manco sapevi di avere, mentre i compitini fatti a tavolino mi lasciano freddo. Fare cinema è come fare sesso. Se ti capita una situazione imprevista, e ti viene una bella eccitazione, dai il meglio di te, ma se cerchi di organizzare una cosa sa sempre di telefonato... Fulci s'era riletto Lovecraft; voleva fare un film con quell'atmosfera, stava muovendo i primi passi nell'horror e si sentiva più sicuro tra le pareti confortevoli della letteratura classica. Dammo invece libero sfogo ai cattivi pensieri dove Fulci, Beatrice Cenci docet, non aveva problemi. Il finale: mi chiedi il significato del frame finale... Sta nel fatto che, contrariamente agli americani, che devono sempre chiudere un film, qualsiasi film, con una immagine positiva e una fine esaustiva, noi che non amiamo il lieto fine e tutta la storia del nostro cinema neorealista è imbevuta di finali aperti, abbiamo preso l'abitudine di non chiudere neanche i film di genere... ma c'è un precedente clamoroso, che è proprio americano, ed è Carrie di Brian De Palma, solo che gli americani se la cavano col fatto che è un incubo.

UNDYING:
Il miglior Fulci è quindi quello che, a ridosso degli anni '80, realizza la famosa "quadrilogia" degli zombi... Una delle pellicole apprezzate anche dalla critica più ostica (L'aldilà) presenta molte somiglianze con i classici dell'horror nazionali e internazionali (Suspiria, Inferno, Shining)... Quanto è dovuto al caso, e quanto invece è da ascrivere a imitazione (seppur originale e riuscita)?
DARDANO SACCHETTI:
E' vero, gli anni ‘80 sono stati gli anni in cui Fulci ha dato il meglio di sé. La cosa curiosa è che Lucio non sapeva di essere un grande autore horror. Ancora quando lavoravamo insieme lui desiderava solo tornare nel "salotto buono" del cinema italiano. Tanto è vero che fece Manhattan baby (una delle opere definite da Fulci, “alimentari”, n.d.a.) con la mano sinistra in quanto aveva già in tasca il contratto per fare Conquest, film nel quale credeva molto. Lucio ha capito di essere un grande regista di horror solo dopo, quando il momento magico era passato. Il suo problema era la sua fragilità. Lucio era aggressivo con tutti, aveva un brutto carattere, ma in realtà era una maschera dietro la quale celava insicurezza e timidezza. Non aveva la personalità di Dario, così si fece "gestire" dal produttore che tagliava i budget. I miei scontri con lui nascevano dal fatto che io spingevo verso un horror moderno, mentre lui voleva ancorarsi ai classici dell'Ottocento (tipo Lovecraft) ma anche dal fatto che non difendeva le sceneggiature dal produttore. Se avesse avuto una personalità più decisa invece che rimanere confinato nel ghetto di una piccola produzione avrebbe anche potuto tentare una carta più ambiziosa, magari con gli americani. 
Lui soffrì una crisi di gelosia nei miei confronti quando nell'80 andai a lavorare in America (mi aveva chiamato Dino, per il quale avevo scritto Ogre da un mio soggetto originale insieme a Colin Wilson, quello di Space vampires, a sceneggiare Man wolf e Ghost rider). I nostri rapporti si interruppero e lui, per dispetto, chiamò uno sceneggiatore di commedie che si limitò a fare qualche danno. L'aldilà l'ho scritto nel ‘79 prima di vedere Shining, che vidi in America solo l'anno dopo. Avevo però ovviamente letto il romanzo, che a me continua a piacere più del film, troppo spostato sulla follia. Suspiria è un film che amo insieme a Profondo rosso, vero capolavoro dal mio punto di vista e antesignano dei film sulle case con misteri. Certo ci sono assonanze (la casa, l'albergo ecc... non solo, la morte, l'Inferno...) ma è come dire che Ombre rosse e tanti altri western sono simili perché ci sono gli indiani, i cavalli, la Death Valley, il ranch o il fortino assediato. L'aldilà, che è un po' più scarno, senza fronzoli nella storia, volutamente senza plot perché voleva essere un incubo di emozioni e basta, avrebbe meritato un budget migliore. In origine aveva un finale diverso, senza zombi (è una balla che lo abbiano voluto i tedeschi, quel finale è stato inserito da Fulci, e dal produttore, come garanzia di vendita su certi mercati); il vero finale era un luogo strano, una specie di zona morta, tutta bianca, simile a quella, tutta rossa, ipotizzata da David Linch in Twin Peaks. I film di Fulci, allora, furono molto boicottati. Non c'è stata nessuna indulgenza nei suoi confronti. Si lavorava quasi clandestinamente, con molte sofferenze e pochi soldi. Ancora adesso c'è gente che non mi saluta perché ho scritto quei film. Ai piccolo borghesi benpensanti non piace che qualcuno scopra i loro orrori. Peccato. Quegli anni furono incredibilmente creativi. Fulci ed io avremmo potuto dare ancora qualcosa.

UNDYING:
L'ultimo squalo, per la regia di Castellari, ebbe grane legali perché, all'estero, ottenne il medesimo successo de Lo squalo, pur essendo stato realizzato con un budget ristretto... Eppure il film funziona e rende, anche sul piano visivo, quanto il modello a cui si ispira... Cosa puoi dirci di Castellari?
DARDANO SACCHETTI:
Era una brutta sceneggiatura di Mannino, che sembrava, non so quanto volutamente, la copia carbone dello Squalo di Spielberg e per di più non funzionava. Il produttore era lo stesso di Zombi 2: Tucci. Tucci mi chiamò perché mi stimava e voleva che ci mettessi le mani. Avevo meno di una settimana. La mia preoccupazione fu di discostarmi il più possibile dal film di Spielberg. Mi ero inventato che era tutto frutto della tv, c'era uno che voleva riprendere in diretta, come in un reality show, l'attacco di uno squalo, attacco che poi era sfuggito di mano. Non girarono, non so per quali motivi, il mio copione. Ripresero quasi tutto l'originale e il risultato fu che gli americani massacrarono il produttore che tornò, persa la causa, dicendo che gli avvocati americani sono i più cattivi del mondo. Credo che ancora adesso non possa andare negli Usa.

UNDYING: Di Assassinio al cimitero etrusco che mi dici?
DARDANO SACCHETTI:
Gianni Saragò, amministratore di Luciano Martino, mi dice che ha un'idea: vuol fare un giallo su un cimitero etrusco. Scrivo un soggetto di una decina di pagine. Gianni me lo fa comprare e pagare da Martino; poi, con grande dispiacere perché oltre ad essere un amico è un uomo onesto, mi dice che Luciano ha affidato il film a suo fratello Sergio e Sergio, che non mi conosceva, aveva il suo sceneggiatore di fiducia e voleva farlo solo con lui. Credo che fosse Gastaldi (Ernesto, regista di molti film di genere).

UNDYING:
Nel 1982 Fulci realizza il giallo più violento della storia del cinema italiano (Lo squartatore di New York). Secondo il mio parere il film merita una rivalutazione perché è una delle rare volte che presenta una motivazione del killer plausibile... Fulci gira con una tecnica superiore a qualsiasi media e realizza un piccolo gioiello della nostra cinematografia. La violenza dei delitti, in particolare quello finale eseguito con una lametta, era così dettagliata anche nella sceneggiatura? Si è detto, inoltre, che lo stesso soggetto è alla base di Un delitto poco comune (1987) di Ruggero Deodato. Cosa c'è di vero in questa affermazione?
DARDANO SACCHETTI:
Una settimana prima della partenza per andare a girare il film in America, mi chiama De Angelis, perché Fulci non aveva il coraggio di farlo. Avevano una sceneggiatura di Clerici e Mannino, bravi sceneggiatori voluti da Fulci, che non li convinceva. Tutto ruotava intorno alla figura di un assassino malato di progeria, malattia degenerativa che colpisce i bambini intorno ai dieci anni e che fa loro invecchiare le cellule talmente rapidamente da farli morire di "vecchiaia" nello spazio di pochi anni. La scena clou era quella in cui l'assassino entrava giovane e usciva più vecchio, molto più vecchio e irriconoscibile (il modello era ovviamente Miriam si sveglia a mezzanotte, dove si parla per la prima volta della progeria - badate gente un film "originale" nasce sempre dalla costola di un altro film originale uscito prima, aver frequentato Dario per trent'anni mi ha insegnato qualcosa). Era un film che usava i mezzi del giallo, ma in realtà si interrogava sulla vecchiaia, sulla decadenza umana. Fulci non l'aveva capito. Pensava al giallo, pensava alle morti e quelle non gli tornavano perché erano state costruite per un altro scopo. In cinque giorni dovetti stravolgere un copione. Agendo non sulla struttura generale, né sul plot ma sulle situazioni, ovvero sulle morti e sui meccanismi del giallo. Operazione che, secondo me, è riuscita solo in parte per mancanza di tempo. Avessi avuto dieci giorni di più, in modo da poter intaccare anche le strutture, Lo squartatore di New York poteva essere davvero un piccolo capolavoro. Clerici e Mannino, che erano convinti di aver scritto un bel film, non furono avvertiti di essere stati sostituiti e si offesero. Protestarono e ottennero di potersi riprendere il loro copione originale, che poi, con qualche cambiamento, diedero a Deodato e divenne Un delitto poco comune.

UNDYING:
Damiano Damiani è stato un regista che ha dato il massimo nel cosidetto cinema d'impegno. Eppure credo che resterà famoso per la realizzazione di Amityville possession. Quel film, proposto come Amityville 2, supera in effetti splatter e gore il precedente capitolo e si amalgama con sequenze che richiamano alla memoria L'Esorcista. Puoi svelare alcuni retroscena del progetto?
DARDANO SACCHETTI: E' un film che ricordo malvolentieri perché in qualche modo ha fatto naufragare la mia carriera americana, altrimenti sarei andato a Las Vegas a giocare a dadi con Dennis Etchison e poi saremmo andati da King, questo era il programmma. Dunque, avevo venduto a Dino De Laurentiis il soggetto The ogre, a Londra, dove stavo lavorando a Flash Gordon II, Man Wolf e Ghost rider; feci il polish insieme a Colin Wilson. Dopo sei mesi mi trasferii a New York perché Dino, a seguito del flop sia di Ragtime che di Flash Gordon, chiuse gli uffici londinesi. Io mi stavo trasferendo con la famiglia, avevo già preso casa a Londra. Andai a New York, conobbi Sharon Stone che aveva appena fatto una particina su un film di Woody Allen, Stardust memories, e andai a cena con lei ed altri per festeggiare il suo esordio. Parlai tutta una mattina con John Milius, che aveva appena finito di girare Conan, avevo il mio ufficio al 15simo piano del grattacielo della Universal in Lincoln Center, stavo a due passi dal palazzo di “Rosemary's baby”, che vedevo dalla finestra del bagno della mia stanza d'albergo e mi sentivo a casa, finché una mattina Dino arriva con Damiano e mi dice che sarà il regista del film, che nel frattempo stavo revisionando per spostare l'ambientazione dall'Inghilterra a Nantucket Island. Restai di sale. Conoscevo Damiano, con lui avevo scritto un trattamento, "Il re della mafia", tratto da un romanzo americano. Lo stimavo e lo stimo come regista di film impegnati. Non ce lo vedevo a dirigere un horror. Lo dissi a Dino, che in quel momento stravedeva per me fino a nominarmi vicepresidente della sua compagnia. Dino mi disse che era compito mio obbligare Damiano a fare il film che volevamo noi. Damiano, che usufruiva di un vecchio contratto, voleva in realtà fare un film porno. Lui era stato in America un paio di anni prima ed era stato folgorato da Gola profonda (ancora adesso ne parla). Mi disse che lui avrebbe fatto cambiare idea a Dino, che io dovevo stare dalla parte sua. Così cominciò una situazione kafkiana. Di giorno lavoravamo insieme nello stesso ufficio alla sceneggiatura e ogni giorno che passava lui diceva, con forza crescente, che quel film non poteva farlo perché rischiava di giocarsi la faccia con la critica impegnata italiana. Damiani, di sera, mi trascinava in giro per tutti i locali a luci rosse di New York. Ho fatto un’indigestione di filmetti porno, spettacoli dal vivo, topless bar e locali tipo girls girls girls, ma ho anche visto suonare dell'ottimo jazz, ho sentito cantare Leonard Cohen nel bar dove aveva esordito, ho attraversato con Damiano Harlem di notte, abbiamo visto la sede del musulmani neri, siano stati in quello che una volta era il Cotton Club, ma al momento del dunque Damiani rifiutò di fare l'horror, puntò i piedi. Voleva fare il suo film inchiesta sul mondo del porno. Dino disse no. Poi, qualche settimana dopo, morì Federico, l'unico figlio maschio di Dino: cadde con un aereo in Alaska durante una tormenta di neve. Dino cadde in depressione e chiuse l'ufficio. Per sei mesi restò chiuso in una stanza al buio col suo dolore. Non voleva parlare con nessuno. Tornai in Italia. Sbagliai. Dino ha sette vite. Si riprese dopo un anno e il primo film che andò a realizzare fu il mio, solo che nel frattempo era stato riadattato da un americano e la casa maledetta che aveva un Orco in cantina divenne Amityville II - The possession. Damiano fece il film onestamente e ci diede dentro.

UNDYING:
Cosa ricordi del progetto La casa con la scala nel buio, di Lamberto Bava? Sul set era presente, in veste di attore, il futuro regista Michele Soavi. Durante la lavorazione del film il tuo ruolo era "attivo" (voglio dire: eri presente sul set)?
DARDANO SACCHETTI: Il produttore Martino aveva comprato una bellissima villa con un bellissimo parco nel cuore di Roma; per recuperare dei soldi l'aveva affittata al suo ex organizzatore che l'ha usata come uffici e set per il film Zora la vampira (quello voluto da Carlo Verdone, n.d.a.). Un giorno Martino mi chiamò e mi disse che aveva una villa e voleva girare un film a basso costo tutto dentro la villa. Me la fece vedere e mi chiese di scrivere una storia. Si trattava di affrontare una di quelle sfide nelle quali, poi, mi sono specializzato di fare le nozze coi fichi secchi. Il problema è che spesso ai bassi budget si accompagnavano, mentre si girava, dei prelievi indebiti. Qui bisognerebbe aprire una parentesi sui registi. Gli autori sono quelli che difendono il copione e soprattutto il film. I mestieranti sono quelli che subiscono le violenze economiche dei produttori, sperando di continuare a lavorare se chiudono un occhio, senza rendersi conto che si danneggiano e basta. Per questo Dario è un autore, non solo per la sua visionarietà, ma perché difende la sua opera. Comunque, quando consegnai la sceneggiatura Martino mi disse che non aveva un regista. Lamberto era un mio amico. Dopo Macabro (opera d’esordio ufficiale di Lamberto, n.d.a.), che non era malvagio, non aveva avuto fortuna. Era tornato a fare pubblicità. Io suggerii a Martino il suo nome e Martino fu subito d'accordo. Il film entrò quasi subito in preparazione. Andavo spesso sul set perché la sceneggiatura era costruita su quella casa e bisognava adattarla momento per momento. Conobbi Michele Soavi che, durante le pause, riparava la sua Triumph Dolomite e faceva pesi con una sbarra infilata in due bidoni pieni di cemento. Lui aveva fatto un film con Deodato, dove Lamberto faceva l'aiuto. Credo che fosse il film su Atlantide (I predatori di Atlantide, n.d.a.), film molto sfortunato a causa dei produttori che si erano avventurati in un genere a loro sconosciuto. Era obiettivamente un film non riuscito a cominciare dalla storia. Al contrario, considerando che La casa con la scala nel buio costò meno di duecento milioni, quello fu un piccolo miracolo. Gli mancava poco, come spesso accade ai film di Lamberto, per essere di categoria superiore. Solo con Dario che lo sprona a dare il meglio, Lamberto fa vedere le sue qualità, anche se è debole nella scelta del cast e nella direzione degli attori.

UNDYING: E per quanto riguarda Dèmoni invece?
DARDANO SACCHETTI:
Dèmoni è un mio soggetto e una mia sceneggiatura, ma è stato un progetto travagliato. Piaceva a Lamberto, dovevamo produrlo insieme per conto di Martino; poi Dario, che aveva fatto Phenomena e aveva bisogno di fare un film di recupero, chiamò Lamberto. Dario aveva una sceneggiatura di fantascienza di Cozzi che non lo convinceva. Lamberto gli raccontò Dèmoni, che aveva un altro titolo (Dèmoni fu inventato da Dario) e Dario disse sì. In quel periodo ero di nuovo in rotta con Dario. Lui mi stimava ma non si fidava di me. Io lavoro con un metodo completamente diverso. Prima pretese l'inserimento di Ferrini (Franco, poi regista di Caramelle da uno sconosciuto, n.d.a.), che non capiva il film e cercava solo di accontentare Dario. Poi, dato che come tutti sanno ho un caratteraccio, Dario mi pagò e mi fece fuori, salvo poi essere richiamato a distanza di qualche mese per un polish finale, ma il deus ex machina del film ormai era diventato Stivaletti con i suoi effetti speciali (apro una parente, come direbbe Totò: durante la preparazione di Dèmoni Michele Soavi, col quale non sono mai andato d'accordo purtroppo per lui e per me, dando retta alle lamentele di Deodato e Lamberto, mi espresse la sua poca stima nei miei confronti. Peccato che lui non sappia che Luigi Montefiori, grande amico e mio estimatore, ha scritto la scaletta definitiva di Deliria nel mio studio prendendo a modello lo schema di Dèmoni (lì un cinema, qui un teatro). La conseguenza di tutto ciò fu che a firmare soggetto e sceneggiatura di Dèmoni siamo in quattro).

UNDYING: Parlaci di Morirai a mezzanotte.
DARDANO SACCHETTI: 
Ecco, questo è un film che a me provoca sentimenti di rabbia e delusione. A me piaceva molto. Ero convinto, e lo sono tutt'ora, che la sceneggiatura, il plot giallo fossero precisi. Ma il film è moscio, o meglio è monocorde, tutto su un tono senza variazioni, un film girato da Lamberto, come gli è capitato spesso, più pensando a rispettare i tempi di lavorazione e risparmiare sul budget per far contenta la produzione che al film, al risultato. Cosa che Dario, che è un autore, non fa. Dario pensa solo al suo film e non gliene frega un cazzo, scusate il francesismo, della produzione. Anche Soavi è fatto così. Durante le riprese di Deliria ha fatto ammattire Massaccesi che a un certo punto lo voleva sostituire perché da quattro settimane erano già arrivati a dieci, dodici di lavorazione. Ma è così che si fa se vuoi ottenere il tuo film. Lo difendi a tutti i costi, mentre se il tuo pensiero è non dispiacere al produttore, allora finisce che “morirai a mezzanotte” col tuo film.

UNDYING: Camping del terrore di Ruggero Deodato può essere visto come "chiusura" del cerchio: Ecologia del delitto - Venerdì 13Camping del terrore... Il film è molto efficace in termini di "effetti", ma termina in maniera molto ambigua... Quel finale era tipico delle produzioni horror. Veniva imposto dalla produzione?
DARDANO SACCHETTI: Era un copione di Alessandro Capone (celebre per la regia di Streghe, n.d.a.), che voleva debuttare alla regia. Il produttore però, pur amando il progetto e stimando Capone, pensò di offrire il film a Deodato e chiese a me di fare una revisione... Lavorammo in condizioni molto difficili… La troupe, raggiungendo la piana del Gran Sasso alle due di notte, fu investita da una tormenta di neve che la bloccò per dodici ore; il resto fu obbligato ad andare a chiudersi in un albergo a Penne a cento chilometri di distanza. Per tutta la prima settimana si girò all'interno di una tenda piazzata nel garage dell'albergo; poi, quando arrivammo sul set, non c'era niente che corrispondesse al copione e al piano di lavorazione, fu licenziato lo scenografo e ne arrivò uno nuovo alla seconda settimana, che si inventò dei camper. Tutto ciò (mentre Deodato faceva la corte alla Brilly) comportava la riscrittura del copione durante la notte, anche durante le riprese. Sono stato sul set per tutte e quattro le settimane anche perché il piccolo Ben, figlio di Mimsy Farmer nel film, è mio figlio Davide. Ricordo che avevo una Saab turbo e impiegavo 55 minuti per fare duecento km d'autostrada sotto la pioggia; ma allora fumavo quattro pacchetti di Marlboro, bevevo due bottiglie di vodka al giorno e... mi sono divertito, ma il film poteva venire meglio, comunque è del tutto casuale che risulti come pezzo finale di un percorso.

UNDYING: Di Spettri cosa mi dici?
DARDANO SACCHETTI:
Rappresenta il debutto alla produzione di Maurizio Tedesco e alla sceneggiatura di Andrea Purgatori, il giornalista del caso Ustica, e il ritorno alla regia di Marcello Avallone. Tre amici che avevano tre grosse moto e facevano gite insieme tuttte le domeniche. Avevano scritto insieme il copione e ci credevano molto. Ci credeva meno Mediaset che finanziava l'impresa e Mediaset mi impose come doctor, ovvero dovevo garantire il film. Quelli erano gli anni in cui la mia firma sotto un copione voleva dire un mucchio di dollari. I giapponesi, che andavano pazzi per i miei film e mi hanno dedicato un festival a Tokio proiettandone 12, erano capaci di pagare cifre cospicue e in dollari! Il copione funzionava poco, ma aveva un'idea affascinante: la misteriosa Roma sotterranea, i mitrei, i colombai, la cloaca, i sotterranei del Colosseo, ecc. Discutemmo anche in modo animoso per una settimana e più, poi un giorno mi dissero: è il nostro film, ci crediamo, lo vogliamo fare così. Avallone era innamorato della scena in cui lo spettro abbraccia la ragazza e delicatamente la tira sottoterra senza paura, senza sangue, senza niente. A lui piaceva così e così l'avrebbe girata. Mi dissero: ti paghiamo tutto il tuo contratto, ma lasciaci il nostro film. A volte ho l'animo dello straniero dei film di Leone.

UNDYING: Il maestro del terrore vede al centro della storia la "vendetta" di uno sceneggiatore nei confronti di un regista: è sbagliato vederne una metafora di Sacchetti vs Fulci? Voglio dire: quel soggetto è molto autobiografico, vero?
DARDANO SACCHETTI:
Fa parte del ciclo televisivo chiamato "Alta tensione", da associare in qualche modo a quello chiamata "Brivido giallo" . E' ovviamente un film autobiografico ed è ovviamente una specie di vendetta; ma non contro Fulci, bensì contro Lamberto che, regista e produttore, spadroneggiava troppo e si dava un mucchio di arie. Il bello è che Lamberto non si è neanche accorto d'essere lui il bersaglio. Ma con quel film si interruppe anche la mia collaborazione con Bava, che infatti non mi ha mai più chiamato, anche se ci siamo rincontrati per caso alla PAC per un giallo, che poi è stato realizzato da Aldo Lado, Alibi perfetto.

UNDYING: Due parole su
Quella villa in fondo al parco, di Carmineo (famoso per la presenza di un vero freak).
DARDANO SACCHETTI: C'era un pacchetto di sei film da fare con De Angelis, Larry Ludman; film di guerra e due sul coccodrillo (quelli diretti da Giannetto De Rossi, Killer Crocodile, n.d.a.). Di fatto, poi, per come si è comportato De Angelis, sono stati gli ultimi film miei con lui e gli ultimi di fatto, perché bruciò i clienti internazionali, che da allora si sono tenuti alla larga dai film italiani di genere, interrompendo i finanziamenti. Tornando da un sopralluogo a Santo Domingo, De Angelis mi fece vedere una rivista locale con un articolo su un tizio chiamato uomo topo e mi disse che voleva farci un film sopra. Mi dette le sue coordinate: una casa, una spiagga e nient'altro. Non ho mai visto il film, so che Carnimeo s'era preso una sbandata per la Grimaldi (Eva, interprete principale della pellicola, n.d.a.) che al provino, ero presente, se lo rigirò come un pedalino. Qualche anno più tardi le ho visto fare la stessa scena con Marione. Ricordo poco della storia (stavo litigando con De Angelis che aveva fatto promesse e non pagava) se non che era indecisa, in bilico tra il serioso e lo splatter, una specie di ibrido.

UNDYING:
Hai menzionato la serie di film diretti da Bava "Brivido giallo" e "Alta tensione"... Del primo uno dei film più riusciti è La casa dell'orco, che presenta molti punti in comune con Quella villa accanto al cimitero; si tratta dello stesso soggetto?
DARDANO SACCHETTI:  La casa dell'orco e Quella villa accanto al cimitero non sono lo stesso soggetto, ma fanno parte della mia poetica casa-bambini: un tema ricorrente che ho affrontato varie volte con sfumature diverse, ma anche con assonanze. Sono storie che nascono da un mio vissuto in questa grande casa di campagna che aveva una strana fama ed ara abitata da una presenza inquietante. Diciamo quindi che l'emozione che c'è alla base di questi film è la stessa: il mio rapporto con una presenza che avvertivo, con la quale avevo avuto un contatto diretto quando la persona era ancora in vita e che poi ho percepito dopo la sua morte, ma sono stato testimone diretto di incontri tra questa persona e "malcapitati" che hanno avuto la ventura di dormire nella sta stanza, dove mio padre e suo fratello non osavano entrare da soli. Ma il fatto è che oltre a questa presenza (un uomo, un prete, a causa di una gamba rotta ha vissuto per 40 in una stanza senza mai muoversi da lì e dopo la sua morte la stanza non è stata più toccata) io percepivo netta un’entità. Ma la casa aveva una una prima cantina, dalla quale scendeva per oltre quindici mettri, scavata nella roccia una scala che portava ad una seconda cantina. Rotto l'impianto elettrico, quella scala e quella seconda cantina sono rimaste buie per l'eternità. Nessuno sapeva cosa ci fosse lì sotto. Solo mia nonna, al buio, osava scendere quelle scale. Io rimanevo sui primi gradini con una candela accesa e la vedevo sparire nel buio. Sentivo solo rumori. Quindi i film nascono diversi, ma dietro c'è la stessa emozione da me vissuta in momenti diversi e con stati d'animo diversi.

UNDYING:
Per sempre (ciclo "Brivido giallo") è noto per via di un'incomprensione nata con Fulci perché si era attribuito la "paternità" del soggetto (peraltro molto simile al Postino suona sempre due volte). Puoi chiarire questo mistero?
DARDANO SACCHETTI:
E' uno dei momenti più dolorosi del mio rapporto con Fulci. Le cose sono andate così: da diversi anni non ci parlavamo. Poi un giorno lui mi chiamò. Stava cercando con Roberto Gianviti di mettere in piedi una storia di sesso e fantasmi. Volevano una mano a stendere un soggetto che non riuscivano a far quadrare. Erano entrambi molto confusi perché non sapevano dove andare a parare, se più sul sesso o più sui fantasmi. Partecipai a riunioni per circa una settimana. A me la storia che mi raccontavano non piaceva. Non girava. Lo dissi e allora Fulci mi chiese a cosa stavo lavorando. Gli dissi che avevo scritto un soggetto ispirato a una sorta di seguito del “Postino suona sempre due volte”. Fulci lo volle leggere. Gli piacque moltissimo. Trovò un produttore che mi fece un contratto di acquisto di soggetto e incarico di sceneggiatura per me ed Elisa Briganti (contratto che ho, dove si vede che Fulci non c'entra). Consegnata la sceneggiatura, il produttore non pagò e disse che non era in grado di fare il film. Fu onesto perché mi ridette la disponibilità. Fulci portò la sceneggiatura da un altro produttore, che non mi fece alcun contratto e che per qualche tempo andò in giro nel tentativo di montarla senza riuscirci. Era passato il momento magico sia dell'horror italiano che, soprattutto, di Fulci dopo la catastrofe di Conquest e altri errori. Fulci continuò a portare in giro la sceneggiatura, che era bellissima. Io ero contrario perché così rischiava di sputtanarsi, oltretutto per me era un lavoro fatto in totale perdita e mi dovevo tutelare. Così gli dissi di non portarla più a finti produttori. Lui, a mia insaputa, fece fare una traduzione in inglese a un attore, Brett Halsey (interprete di Il miele del diavolo, n.d.a.), promettendogli la parte da protagonista se riusciva a montargli il film. Halsey addirittura mise il suo nome come autore della sceneggiatura. A quel punto la rottura divenne totale. Mi incazzai e ruppi definitivamente i miei rapporti con Lucio. Un paio di anni dopo, nell'ambito della serie “Brivido giallo”, mancava una sceneggiatura per completare la serie. Lamberto, che conosceva il progetto, mi chiese se era libero. Dissi di sì e glielo diedi. Fulci, geloso che Lamberto (che non stimava) realizzasse un film a cui teneva molto, tentò di dire che il progetto era suo perché, quando un regista presenta una storia, automaticamente diventa sua e nessun altro può farlo. Tesi molto debole. Il fatto è che in quel momento era malato, in disgrazia, con problemi di soldi, reduce da pessime esperienze tipo Zombi 3. Ci siamo riparlati con Lucio solo pochi mesi prima che morisse. Fu naturale far pace, eravamo due reduci delle stessa guerra. Ci mise in contatto Dario per un film. Lucio era felicissimo di tornare a lavorare con me e poi sotto il patronage di Dario era convinto che avrebbe fatto un film epocale che lo avrebbe rilanciato. Scrissi per Lucio un trattamento bellissimo su una sua idea: rifare la mummia. Mandammo il trattamento della mummia a Dario che era in America, Dario mi insultò per telefono dicendomi che non mi dovevo permettere di mandargli simili storie. Ruppi con Dario e da quel momento non ho più collaborato con lui (siamo alla quarta lite). Fulci cominciò a lavorare con Stroppa sulla Maschera di cera, ma morì prima e il film fu realizzato da Stivaletti. La cosa curiosa è che tre anni dopo gli americani fanno La Mummia e, guarda caso, la prima parte del film è identica al mio trattamento inviato a Dario in America!

UNDYING: Parlaci della genesi di La chiesa.
DARDANO SACCHETTI:
Inizialmente doveva essere Demoni 3. Ho partecipato sia al soggetto, che è un mio spunto, che a più di una versione di sceneggiatura. Il film doveva girarlo Lamberto. Lamberto aveva un problema: aveva firmato con Fininvest la sua prima produzione (Fantaghirò, n.d.a.). Doveva cominciare per contratto a girare entro ottobre. Eravamo già a luglio. Lui voleva fare a tutti i costi il film e contava su di me per accelerare i tempi, accusandomi poi di averci messo troppo tempo e di avergli impedito di completare la trilogia. Ci fu la solita discussione. Dario mi dette un mucchio di soldi a patto che io non firmassi e non dicessi in giro che avevo scritto il film. Il film cambiò titolo e cambiò la scena iniziale. Michele si ricordò dell'inizio di Conan (interpretato da Arnold Schwarzenegger) , che ho conosciuto a Londra mentre girava il film, e fece arrivare i templari al posto dei barbari, ricordandosi anche del film di Mann The Keep, La fortezza.

UNDYING: Ti chiedo maggiori dettagli sulle varie versioni della sceneggiatura di Dèmoni 3 (poi La chiesa, da non confondere con il Dèmoni 3 diretto da Umberto Lenzi). Ricordo che nel 1987, al programma tv Giallo, Dario Argento e Lamberto Bava parlarono di un aereo e di un vulcano...
Era uno dei primi trattamenti su cui hai lavorato?

DARDANO SACCHETTI: Sì. Demoni 3 originariamente era ambientato su un aereo che, per una perturbazione, andava a finire in uno strano universo dove, in una delle varie ipotesi affrontate, c'era anche un vulcano. L'idea era quella di finire in una sorta di strano Inferno. L'aereo fu preso in considerazione perché cercavamo un luogo chiuso, isolato, in una situazione totalmente avversa con un pericolo anche dentro. Diciamo una specie di Alien, con l'aereo al posto dell'astronave e i demoni al posto del formicone cattivo. Scrivemmo un paio di soggetti e anche dei trattamenti (alcuni li conservo ancora da qualche parte). Non era una storia malvagia, ma non girava bene. Aveva un errore d'impostazione. In più Dario, che in un primo momento era entusiasta dell'idea, si disamorò, così la mettemmo da parte. Trovammo subito l'alternativa nella Chiesa, che ci sembrò vincente. Passammo direttamente alla sceneggiatura da un soggetto piuttosto semplice. Ho partecipato a due stesure di sceneggiatura della Chiesa, fino a quella pressoché definitiva. Poi Soavi ha sostituito Lamberto che iniziava la sua carriera di produttore con otto film tv per la serie Alta Tensione tipo il Gioko, il Maestro del terrore, ecc. (dei quali approfondiremo, visto che le migliori sceneggiature sono proprio di Sacchetti, n.d.a.). Michele ha cambiato l'inizio introducendo come prologo la scena dei cavalieri templari, soprattutto ha cambiato lo stile narrativo. Michele è più "moderno" di Lamberto, usa di più i toni freddi, i blu, ha un modo di narrare più essenziale e nello stesso tempo più coinvolgente.

 

INTERVISTA RACCOLTA DAL BENEMERITO UNDYING

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