L'horror del 2000
10 April 2008
PREMESSA - IL MILLENARISMO E LA VIOLENZA NEL NUOVO CINEMA DELL'ORRORE
Ormai è riconosciuto essere stato, il dramma dell’11 settembre, uno dei motivi principali per cui il genere horror è riaffiorato, inatteso, più crudo, cinico e spietato che mai.
Il percorso della nuova ondata di cinema estremo (che può essere avvicinato a titoli pressoché girati a cavallo della fatidica data nera del nuovo millennio) sembra essere inizialmente sancito da sporadiche scene, limitate ad un’unica sequenza, tipo quella proposta da Steve Beck nel suo Ghost Ship: una fune d’acciaio, opportunamente manomessa, è la causa principale d’una mattanza di gruppo. I passeggeri della Antonia Graza vengono letteralmente triturati: i particolari non ci vengono risparmiati, a cominciare da arti e busti segati a metà per proseguire con la sconvolgente scena d’un viso dimezzato (già proposta, sempre da Beck, nel precedente Thir13en Ghosts).
Senza dubbio questa può essere identificata come prima scena derivata (fors’anche solo a livello inconscio) dai fatti di cronaca che, pochi mesi prima, avevano sconvolto il mondo intero.
Di conseguenza, il fantasma del terrorismo e della pendente azione di guerra sembra affiorare nella pellicola (di chiara denuncia sociale) Deathwatch di Michael J. Bassett, regista che dimostrerà (nell’esplicito Wilderness) come la violenza, il sangue e la morte, possano giungere inaspettate a causa del sospetto e della sfiducia verso il prossimo. La guerra che fa paura non è più quella mondiale, condotta con fucili, cannoni e bombe “intelligenti”; la guerra si è spostata su un piano più viscido, a livello sociale, tra individui della stessa estrazione religiosa, politica e geografica. Cosa ancora più paurosa: non sono chiari gli obiettivi (se mai lo sono stati quando si parla di guerra) né tanto meno chi sia il nemico.
La nuova ondata di horror, infatti, sembra suggerirci che il nemico è uno di noi, come dimostrano opere estremamente inattese e sorprendenti. Quanti si sarebbero aspettati, ad esempio, un remake crudele e spietato come quello diretto da Nispel (Non Aprite quella Porta) nel 2003?
Tutti gli horror degli anni ‘90, messi assieme, non raggiungono una tale concentrazione di cinismo, disperazione, esplicita sofferenza (a suo modo esternata da fatti reali) come quella che traspare dalla sporca fotografia del remake: ambienti tetri (ma ottimamente illuminati) nei quali traboccano parti di corpi umani (ormai oggetti, al pari di un soprammobile), pareti tinte di viscidi liquami quali sangue, vomito, urina e forse sperma (quello di Leatherface).
Non tanto tempo fa, simili prodotti sarebbero stati banditi dal circuito mainstream, relegati al mercato home-video e visti con circospetta sfiducia e moralistica denuncia.
Cosa è dunque cambiato, rispetto a prima?
Come fanno notare Pulici e Gomarasca, nel prezioso speciale Nocturno (Dossier n. 67 -Torture Porn) l’horror più esplicito, quello che è stato recentemente definito gorno (fusione tra gore e porno) o torture porn non è altro che una summa, portata a livelli estremi, di tematiche affrontate dai b-movies (limitati al circuito indipendente) degli anni ‘80-‘90. Con la differenza che adesso ingenti capitali permettono di realizzare effetti speciali al limite del realismo, ed è verso questa nuova tendenza (ovvero del disgusto e dell’eccesso visivo) che le grandi case di produzione (New Line, MGM, Lionsgate solo per citarne alcune) si spingono alla ricerca di profitto.
Sfugge però il fatto che dietro a pellicole quali - ad esempio - Hostel, Saw (l’intera serie), Haute Tension e Creep vi siano elementi di lettura (ad un piano più profondo) che trascendono dal facile approccio sensazionalistico, in grado di eccitare folti gruppi di adolescenti, ammaliati dalla violenza fine a se stessa.
La morte, come (in)naturale conseguenza della vita, la filosofia demiurgica dietro l’atto criminale e la tortura nell’horror del nuovo corso (tematiche che in questa sede non è dato approfondire e che, per una maggior conoscenza , consigliamo di approfondire sul già citato Dossier di Nocturno) sono temi universali che sembrano legare - in un filo di comune affinità narrativa e stilistica - diversi autori, dotati di personalissimo stile ma apparentati da intenti narrativi che sembrano ricadere in temi universali ed archetipi legati alla notte dei tempi.
Persino un mediocre regista come Uwe Boll indovina (non è dato sapere quanto per incoscienza e casualità) un film dalle atmosfere disturbanti (le violenze sui cani) e dai contenuti ingiustificabili (la bimba strozzata) nell’allucinato, doloroso, ed estremo Seed (2007) da noi proposto al solo Ravenna Nightmare Film Festival.

Il percorso della nuova ondata di cinema estremo (che può essere avvicinato a titoli pressoché girati a cavallo della fatidica data nera del nuovo millennio) sembra essere inizialmente sancito da sporadiche scene, limitate ad un’unica sequenza, tipo quella proposta da Steve Beck nel suo Ghost Ship: una fune d’acciaio, opportunamente manomessa, è la causa principale d’una mattanza di gruppo. I passeggeri della Antonia Graza vengono letteralmente triturati: i particolari non ci vengono risparmiati, a cominciare da arti e busti segati a metà per proseguire con la sconvolgente scena d’un viso dimezzato (già proposta, sempre da Beck, nel precedente Thir13en Ghosts).
Senza dubbio questa può essere identificata come prima scena derivata (fors’anche solo a livello inconscio) dai fatti di cronaca che, pochi mesi prima, avevano sconvolto il mondo intero.


Tutti gli horror degli anni ‘90, messi assieme, non raggiungono una tale concentrazione di cinismo, disperazione, esplicita sofferenza (a suo modo esternata da fatti reali) come quella che traspare dalla sporca fotografia del remake: ambienti tetri (ma ottimamente illuminati) nei quali traboccano parti di corpi umani (ormai oggetti, al pari di un soprammobile), pareti tinte di viscidi liquami quali sangue, vomito, urina e forse sperma (quello di Leatherface).
Non tanto tempo fa, simili prodotti sarebbero stati banditi dal circuito mainstream, relegati al mercato home-video e visti con circospetta sfiducia e moralistica denuncia.

Come fanno notare Pulici e Gomarasca, nel prezioso speciale Nocturno (Dossier n. 67 -Torture Porn) l’horror più esplicito, quello che è stato recentemente definito gorno (fusione tra gore e porno) o torture porn non è altro che una summa, portata a livelli estremi, di tematiche affrontate dai b-movies (limitati al circuito indipendente) degli anni ‘80-‘90. Con la differenza che adesso ingenti capitali permettono di realizzare effetti speciali al limite del realismo, ed è verso questa nuova tendenza (ovvero del disgusto e dell’eccesso visivo) che le grandi case di produzione (New Line, MGM, Lionsgate solo per citarne alcune) si spingono alla ricerca di profitto.
Sfugge però il fatto che dietro a pellicole quali - ad esempio - Hostel, Saw (l’intera serie), Haute Tension e Creep vi siano elementi di lettura (ad un piano più profondo) che trascendono dal facile approccio sensazionalistico, in grado di eccitare folti gruppi di adolescenti, ammaliati dalla violenza fine a se stessa.
La morte, come (in)naturale conseguenza della vita, la filosofia demiurgica dietro l’atto criminale e la tortura nell’horror del nuovo corso (tematiche che in questa sede non è dato approfondire e che, per una maggior conoscenza , consigliamo di approfondire sul già citato Dossier di Nocturno) sono temi universali che sembrano legare - in un filo di comune affinità narrativa e stilistica - diversi autori, dotati di personalissimo stile ma apparentati da intenti narrativi che sembrano ricadere in temi universali ed archetipi legati alla notte dei tempi.
Persino un mediocre regista come Uwe Boll indovina (non è dato sapere quanto per incoscienza e casualità) un film dalle atmosfere disturbanti (le violenze sui cani) e dai contenuti ingiustificabili (la bimba strozzata) nell’allucinato, doloroso, ed estremo Seed (2007) da noi proposto al solo Ravenna Nightmare Film Festival.
L'ORRORE NON CONOSCE CONFINI
Senza perdere di vista la partenza del nostro discorso, ribadiamo come l’11 settembre sia stato il Dèmone principale della nuova ondata di incomprensibili (ai più) “porno horror”.
Dal 2002 ad oggi, senza soluzione di continuità, al fianco di pellicole amatoriali si sono avvicendati blockbuster destinati a sconvolgere lo spettatore per l’insistita dose di brutalità commesse sul corpo umano.
Se il cinema orientale, a suo modo (e solo parzialmente, ché Takashi Miike rientra nello splat-pack) sembra essere rimasto a temi ancestrali e non ancorati al presente (il fantasma con pelle emaciata dai capelli corvini, la casa maledetta, il ritrovato tecnologico - cellulare o fotocamera - posseduto da forze sovrannaturali) l’intera produzione americana (ed europea) sembra afflitta dal “fantasma della cronaca”.
FRANCIA
Dalla Francia irrompe una nuova classe di giovani autori che non lesina sui contenuti. Il regista più significativo risponde al nome di Aja, in grado di sconvolgere le platee del mondo (anche se da noi approda solo dopo tre anni) con il truce Haute Tension, nel quale un killer dagli istinti animali (il blow-job con testa decapitata) si appresta ad infierire con inaudita ferocia su corpi umani all’interno di una casa spettrale e molto più spaventosa di qualunque altra magione infernale.
Il giovane regista dimostra di fare sul serio anche quando pone mano al rifacimento di un film (mediocre, diciamolo pure) quale Le Colline hanno gli Occhi. Ne esce un concentrato di deviazioni - sospinto da un secondo tempo inatteso e genialoide - in grado di far impallidire intere somme di splatter date dalla visione di più capisaldi dell’estremo e dell’horror.
C‘è da dire che la Francia, già nel 2000 con In Fondo al Bosco (Lionel Delplanque), sembra essere la nazione deputata a prevedere questa rinascita (e rivisitazione) del genere: lo dimostrano opere citazionistiche (a Fulci ed Argento) tipo quelle di Laugier (Saint Ange), dei fratelli Canepa (Dead End) e di Moreau/Xavier (Them o Ils che dir si voglia).
Come che sia, l’accoppiata di registi (che sembra caratterizzare le produzioni di questo tipo) si consolida anche di recente, con un titolo “torture porn” (attenzione: non nell’accezione negativa che questa etichetta può suscitare) recentissimo e - purtroppo - tutt’oggi inedito da noi: A l'interieur (diretto da Alexandre Bustillo e Julienne Maury).
INGHILTERRA
In Inghilterra Smith (prima con Creep e poi con Severance) infonde un minimo di ironia al girato, che ha però - alla fine - un effetto opposto, essendo i titoli infarciti di inaudita violenza grafica.
Sembra essere, questa nazione, quella più incline a dare corso al filone demenziale (tipo Shaun of the Dead di Edgar Wright) per via di una commistione d’ironia spesso fuori luogo (come ai tempi dei modesti Nightmare). Ma a ben vedere quel che risalta agli occhi è la componente di splatter e gore, estremamente alta rispetto ai film di qualche anno precedenti. Ci sono poi corretti e pessimisti registi inglesi ancorati alla serietà che il tema impone: come il già citato Bassett che, in Wilderness, non risparmia nulla a nessuno, mettendo in cantiere un tale campionario d’atrocità (l’uomo sbranato dai cani e preso di mira da una balestra) in grado di far chiudere gli occhi, per istinto naturale di conservazione, in più d’un contesto.
SPAGNA E AUSTRALIA
La Spagna sembra, invece, avere fatto inversione di tendenza: rispetto a pellicole storiche, che facevano dell’esplicito e della violenza la loro bandiera, stile Il Mostro dell’Obitorio, i nuovi registi del brivido sembrano ossessionati da una tematica complottistico-familiare, con pellicole fotocopia indistinguibili tra loro (Nameless, Darkness, Second Name). Sembra esserci una revisione grazie a Rigoberto Castañeda (Km 31), ma le produzioni targate Julio Fernàndez (Filmax) paiono essere assopite su clichè ormai inefficaci, noiosi e cerebralmente contorti.
Persino l’Australia sembra risentire di questo clima opprimente che, come un morbo, appesta l’intero pianeta: Wolf Creek diventa, a suo modo, un primo esemplare basato sul contrasto che genera l’immenso spazio naturale e la paura prodotta da uno sconosciuto, spesso un degenerato (figlio illegittimo di Leatherface). Ci sono molte affinità, tra il titolo di Greg Clan e quello di Ringan Redige (non a caso ambientato in Australia) dal titolo Gone (2007).
ITALIA
Restiamo noi italiani, in questo mare di sangue, gli unici che stanno sulla sponda e guardano (male), anche se nel sottobosco degli indipendenti qualcuno tenta di dire la sua (Il Bosco Fuori, Bad Brains, No More… Eva!).
Anzi, per paradosso (dati i precedenti illustri), siamo talmente restii ad accettare la tematica che, oltre a proporre edizioni edulcorate dei film in questione (cifr. le versioni cut per le sale di Saw, Hostel, Turistas, ecc.) probabilmente lasceremo giacere nel limbo piccoli capolavori stile Hatchet (2006, Adam Green) o A l'interieur (2007).
ULTIMI ESEMPLARI (Resoconto annata horror 2007)
Quello che è oggi, sotto agli occhi di tutti, lo si deve alla corposa filmografia che, di anno in anno, va a nutrire un numero sterminato di pellicole (se teniamo conto anche delle modeste realizzazioni tipo Live Feed, pedestre imitazione di Hostel).
Sembra non esserci, rispetto al passato, nulla di simile, perché se è vero che l’andamento del genere horror assume - con il trascorrere degli anni - un’andatura sinusoidale (con picchi massimi nei periodi socialmente critici) è anche vero che, dal 2001 in poi, i film di questo filone si sono fatti sempre più crudi, spesso con finali sconsolanti, accentrati sulle violenze corporali, focalizzate sulla paura dell’individuo cagionata da una società instabile e corrotta.
Il mostro non è più uno schizofrenico in senso stretto (à la Psycho) ma è piuttosto il poco conosciuto vicino di casa (Disturbia), il gentile e disponibile soccorritore occasionale (Wolf Creek)...
Chi dovrebbe rappresentare la legge e l’ordine costituito diventa un'entità malefica ed astratta (la città con pupazzi, frutto di esperimenti radioattivi del Governo americano in Le Colline hanno gli Occhi, i poliziotti assassini di Cellular, lo sceriffo di Non Aprite quella Porta) e lo spettatore percepisce, in queste semplici argomentazioni, un fondo di verità, qualcosa che sembra rimandare ad un substrato reale, qui ed ora, presente insomma (la Uno bianca, genitori che uccidono i figli, o viceversa, e mariti che accoppano le mogli).
Quando l’orrore scaturisce da elementi quotidiani e concreti, quando si rompe il rassicurante aspetto di un simbolo (legge, famiglia, amicizia) a garanzia di tranquillità e sicurezza, allo spettatore viene a mancare un’ancora di salvezza, crolla il pavimento (per dirla in metafora) sotto ai piedi.
Anche nel 2007, anno appena passato, l’horror ha mantenuto un livello di produzione decisamente inatteso, anche se, rispetto agli anni precedenti, la quantità ha avuto la meglio sulla qualità.
Dai tre filoni principali (Hostel, Saw e remake) si sono affacciate nei cinema (ma a volte in home video sono uscite le cose migliori) tiepide (ri)proposizioni senza stimoli: così Le Colline hanno gli Occhi 2, eccezion fatta per la cruda scena dello stupro inziale, si attesta sulla mediocrità, garantita dalla presenza di Craven come sceneggiatore; I Segni del Male affronta, in maniera ruffiana, i classici in stile Omen con sconfinamento nel biblico e nelle dieci piaghe; Hostel 2, pur essendo stato poco apprezzato dal pubblico, resta un buon esemplare (per via di sottotrame criptiche) del torture porn; una terrificante scemata come Catacombs piomba con violenza (sullo spettatore) nelle sale, a discapito di gioiellini come Wilderness, Dead Silence o Wind Chill (trio di pellicole essenziale per l‘amante del genere, distribuito solo in DVD). The Messengers ci offre la scadente performance di un regista orientale cooptato in occidente, mentre Forest of Death (solo home video) sta a indicare come i fratelli Pang siano stati sin da subito (The Eye) sopravvalutati.
C’è pure un inutile esempio di (pessimo) stile che sembra un ibrido tra Wolf Creek e Hostel, quel Turistas che si limita ad esporre, con dovizia di particolari, l’operazione su un corpo femminile (in bikini) pagando pegno a registi illustri (Lewis ed il suo Blood Feast) e sperando che il tutto possa essere sufficiente a giustificare un film - a poco dire - brutto.
Su Disturbia meglio non fare il nome del regista che lo ha ispirato (onde evitare che si rivolti nella tomba), mentre Zombies - La Vendetta degli Innocenti è un filmetto mediocre, che gode di una bella ambientazione naturale, ma con trama sviluppata in maniera derivativa da inutili zombie-movies.
Tra i remake va inoltre segnalato - affinchè chi non lo ha visto possa starne alla larga - il pessimo rifacimento diretto da Morgan (Black Christmas - Un Natale Rosso Sangue) da noi mal distribuito (sia tempestivamente sia come versione, ch’é cut all‘inverosimile).
In Italia abbiamo avuto il discreto ritorno di Bava (Ghost Son) caratterizzato da un buon cast ed una bella messa in scena; l’ottima regia di Argento per i Masters of Horror (Pelts), il contorto capitolo conclusivo de La Terza Madre e la modesta realizzazione di un Avati sotteso e d’atmosfera (Il Nascondiglio).
Del 2007, insomma, quel che resta di memorabile è un Saw 3 cinicamente girato e con taglio nichilista, forse in grado di spostare il limite del filmabile su grande schermo; un Dario Argento ossessivo-compulsivo, stranamente attratto dal corpo femminile nudo (La Terza Madre), una serie di pupazzi con sguardo (e voce) inquietante, portati sullo schermo da quel genio di James Wan (Dead Silence) ed una sperduta (d’animo) compagnia di reclusi, decimati su un’isola di riabilitazione (Wilderness).
Ci sarebbe, numericamente, parecchio altro da aggiungere (roba tipo 28 Settimane Dopo, Apartment 1303, Altered, Retribution, Il Mistero del Bosco, Nightmare Detective, SMS: 3 Giorni e sei Morto, la serie dei Masters of Horror) ma questo è ininfluente, dato che quello che qua ci premeva era constatare lo stato di “salute” di un genere che sembra tutto, fuorché in crisi.
Senza perdere di vista la partenza del nostro discorso, ribadiamo come l’11 settembre sia stato il Dèmone principale della nuova ondata di incomprensibili (ai più) “porno horror”.
Dal 2002 ad oggi, senza soluzione di continuità, al fianco di pellicole amatoriali si sono avvicendati blockbuster destinati a sconvolgere lo spettatore per l’insistita dose di brutalità commesse sul corpo umano.
Se il cinema orientale, a suo modo (e solo parzialmente, ché Takashi Miike rientra nello splat-pack) sembra essere rimasto a temi ancestrali e non ancorati al presente (il fantasma con pelle emaciata dai capelli corvini, la casa maledetta, il ritrovato tecnologico - cellulare o fotocamera - posseduto da forze sovrannaturali) l’intera produzione americana (ed europea) sembra afflitta dal “fantasma della cronaca”.

Dalla Francia irrompe una nuova classe di giovani autori che non lesina sui contenuti. Il regista più significativo risponde al nome di Aja, in grado di sconvolgere le platee del mondo (anche se da noi approda solo dopo tre anni) con il truce Haute Tension, nel quale un killer dagli istinti animali (il blow-job con testa decapitata) si appresta ad infierire con inaudita ferocia su corpi umani all’interno di una casa spettrale e molto più spaventosa di qualunque altra magione infernale.

C‘è da dire che la Francia, già nel 2000 con In Fondo al Bosco (Lionel Delplanque), sembra essere la nazione deputata a prevedere questa rinascita (e rivisitazione) del genere: lo dimostrano opere citazionistiche (a Fulci ed Argento) tipo quelle di Laugier (Saint Ange), dei fratelli Canepa (Dead End) e di Moreau/Xavier (Them o Ils che dir si voglia).
Come che sia, l’accoppiata di registi (che sembra caratterizzare le produzioni di questo tipo) si consolida anche di recente, con un titolo “torture porn” (attenzione: non nell’accezione negativa che questa etichetta può suscitare) recentissimo e - purtroppo - tutt’oggi inedito da noi: A l'interieur (diretto da Alexandre Bustillo e Julienne Maury).

In Inghilterra Smith (prima con Creep e poi con Severance) infonde un minimo di ironia al girato, che ha però - alla fine - un effetto opposto, essendo i titoli infarciti di inaudita violenza grafica.
Sembra essere, questa nazione, quella più incline a dare corso al filone demenziale (tipo Shaun of the Dead di Edgar Wright) per via di una commistione d’ironia spesso fuori luogo (come ai tempi dei modesti Nightmare). Ma a ben vedere quel che risalta agli occhi è la componente di splatter e gore, estremamente alta rispetto ai film di qualche anno precedenti. Ci sono poi corretti e pessimisti registi inglesi ancorati alla serietà che il tema impone: come il già citato Bassett che, in Wilderness, non risparmia nulla a nessuno, mettendo in cantiere un tale campionario d’atrocità (l’uomo sbranato dai cani e preso di mira da una balestra) in grado di far chiudere gli occhi, per istinto naturale di conservazione, in più d’un contesto.

La Spagna sembra, invece, avere fatto inversione di tendenza: rispetto a pellicole storiche, che facevano dell’esplicito e della violenza la loro bandiera, stile Il Mostro dell’Obitorio, i nuovi registi del brivido sembrano ossessionati da una tematica complottistico-familiare, con pellicole fotocopia indistinguibili tra loro (Nameless, Darkness, Second Name). Sembra esserci una revisione grazie a Rigoberto Castañeda (Km 31), ma le produzioni targate Julio Fernàndez (Filmax) paiono essere assopite su clichè ormai inefficaci, noiosi e cerebralmente contorti.
Persino l’Australia sembra risentire di questo clima opprimente che, come un morbo, appesta l’intero pianeta: Wolf Creek diventa, a suo modo, un primo esemplare basato sul contrasto che genera l’immenso spazio naturale e la paura prodotta da uno sconosciuto, spesso un degenerato (figlio illegittimo di Leatherface). Ci sono molte affinità, tra il titolo di Greg Clan e quello di Ringan Redige (non a caso ambientato in Australia) dal titolo Gone (2007).

Restiamo noi italiani, in questo mare di sangue, gli unici che stanno sulla sponda e guardano (male), anche se nel sottobosco degli indipendenti qualcuno tenta di dire la sua (Il Bosco Fuori, Bad Brains, No More… Eva!).
Anzi, per paradosso (dati i precedenti illustri), siamo talmente restii ad accettare la tematica che, oltre a proporre edizioni edulcorate dei film in questione (cifr. le versioni cut per le sale di Saw, Hostel, Turistas, ecc.) probabilmente lasceremo giacere nel limbo piccoli capolavori stile Hatchet (2006, Adam Green) o A l'interieur (2007).
ULTIMI ESEMPLARI (Resoconto annata horror 2007)
Quello che è oggi, sotto agli occhi di tutti, lo si deve alla corposa filmografia che, di anno in anno, va a nutrire un numero sterminato di pellicole (se teniamo conto anche delle modeste realizzazioni tipo Live Feed, pedestre imitazione di Hostel).
Sembra non esserci, rispetto al passato, nulla di simile, perché se è vero che l’andamento del genere horror assume - con il trascorrere degli anni - un’andatura sinusoidale (con picchi massimi nei periodi socialmente critici) è anche vero che, dal 2001 in poi, i film di questo filone si sono fatti sempre più crudi, spesso con finali sconsolanti, accentrati sulle violenze corporali, focalizzate sulla paura dell’individuo cagionata da una società instabile e corrotta.

Chi dovrebbe rappresentare la legge e l’ordine costituito diventa un'entità malefica ed astratta (la città con pupazzi, frutto di esperimenti radioattivi del Governo americano in Le Colline hanno gli Occhi, i poliziotti assassini di Cellular, lo sceriffo di Non Aprite quella Porta) e lo spettatore percepisce, in queste semplici argomentazioni, un fondo di verità, qualcosa che sembra rimandare ad un substrato reale, qui ed ora, presente insomma (la Uno bianca, genitori che uccidono i figli, o viceversa, e mariti che accoppano le mogli).
Quando l’orrore scaturisce da elementi quotidiani e concreti, quando si rompe il rassicurante aspetto di un simbolo (legge, famiglia, amicizia) a garanzia di tranquillità e sicurezza, allo spettatore viene a mancare un’ancora di salvezza, crolla il pavimento (per dirla in metafora) sotto ai piedi.

Dai tre filoni principali (Hostel, Saw e remake) si sono affacciate nei cinema (ma a volte in home video sono uscite le cose migliori) tiepide (ri)proposizioni senza stimoli: così Le Colline hanno gli Occhi 2, eccezion fatta per la cruda scena dello stupro inziale, si attesta sulla mediocrità, garantita dalla presenza di Craven come sceneggiatore; I Segni del Male affronta, in maniera ruffiana, i classici in stile Omen con sconfinamento nel biblico e nelle dieci piaghe; Hostel 2, pur essendo stato poco apprezzato dal pubblico, resta un buon esemplare (per via di sottotrame criptiche) del torture porn; una terrificante scemata come Catacombs piomba con violenza (sullo spettatore) nelle sale, a discapito di gioiellini come Wilderness, Dead Silence o Wind Chill (trio di pellicole essenziale per l‘amante del genere, distribuito solo in DVD). The Messengers ci offre la scadente performance di un regista orientale cooptato in occidente, mentre Forest of Death (solo home video) sta a indicare come i fratelli Pang siano stati sin da subito (The Eye) sopravvalutati.

Su Disturbia meglio non fare il nome del regista che lo ha ispirato (onde evitare che si rivolti nella tomba), mentre Zombies - La Vendetta degli Innocenti è un filmetto mediocre, che gode di una bella ambientazione naturale, ma con trama sviluppata in maniera derivativa da inutili zombie-movies.
Tra i remake va inoltre segnalato - affinchè chi non lo ha visto possa starne alla larga - il pessimo rifacimento diretto da Morgan (Black Christmas - Un Natale Rosso Sangue) da noi mal distribuito (sia tempestivamente sia come versione, ch’é cut all‘inverosimile).
In Italia abbiamo avuto il discreto ritorno di Bava (Ghost Son) caratterizzato da un buon cast ed una bella messa in scena; l’ottima regia di Argento per i Masters of Horror (Pelts), il contorto capitolo conclusivo de La Terza Madre e la modesta realizzazione di un Avati sotteso e d’atmosfera (Il Nascondiglio).

Ci sarebbe, numericamente, parecchio altro da aggiungere (roba tipo 28 Settimane Dopo, Apartment 1303, Altered, Retribution, Il Mistero del Bosco, Nightmare Detective, SMS: 3 Giorni e sei Morto, la serie dei Masters of Horror) ma questo è ininfluente, dato che quello che qua ci premeva era constatare lo stato di “salute” di un genere che sembra tutto, fuorché in crisi.
ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO UNDYING