Dopo la memorabile interpretazione del picciotto Rocco in MILANO CALIBRO 9, Fernando Di Leo richiama Mario Adorf e lo promuove a protagonista. Scelta quanto mai azzeccata, perché il suo Luca Canali, di professione gestore di bordelli, è uno dei personaggi più veri e ben disegnati dei noir d’ogni tempo. Come in MILANO CALIBRO 9 (che resta comunque il capolavoro di Di Leo) l'origine letteraria sta nei racconti di Scerbanenco, ma sceneggiatura, dialoghi e soggetto sono tutti farina del sacco del regista; la stessa farina che sarà l'ingrediente...Leggi tutto principale dei futuri successi di Quentin Tarantino, che riconosce in LA MALA ORDINA un film base per la propria formazione. E infatti, vedendo la coppia di sicari composta dal bianco Henry Silva e dal nero Woody Strode, non possono non venire in mente i John Travolta e Samuel Jackson di PULP FICTION. Certo in Di Leo c'è molta meno ironia, rispetto ai capolavori di Tarantino, così la figura di Luca Canali (Adorf) si carica presto di un pieno di cattiveria destinato ad esplodere circa verso metà film. Fin lì, a onor del vero, LA MALA ORDINA faticava a decollare, perso in un noir senza troppa verve e piuttosto banale. Poi, dopo il furioso inseguimento di Canali che comprende la famosa scena dell'assalto al parabrezza (sono i dieci minuti più intensi del film), finalmente c'è una sterzata verso l'azione pura, con grandi momenti di tensione e un Adolfo Celi che sale sugli scudi. Di Leo dirige con la consueta abilità, concedendosi qualche virtuosismo in più rispetto a MILANO CALIBRO 9 ma perdendo in originalità. Silva e Strode non convincono del tutto e il finale al cimitero delle auto non è così “forte” come ci si aspetta.
Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po' sbruffone, che viene incastrato dal boss locale. Il film si trasforma quasi subito in una caccia all'uomo, soprattutto quando arrivano i due sicari per eliminare Canali (Adorf). Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi. Da vedere.
Adorfiano ed alterno. Adorf supera se stesso di Milano Calibro 9. Il film no, per snodi di trama assai meno logici rispetto a MC9, che si perdonano perché Adorf è fantastico, la fotografia è un gioiello etc. Si trovano temi presenti nell’opera di Di Leo: le cose che altrove funzionano, pure qui lo fanno egregiamente, mentre ciò che altrove non convince, non convince neppure qui (il mondo giovanile poi ripreso in Avere vent’anni). Inoltre la Dublin non strappa manco un sorriso, analogo risultato del tremendo Colpo in canna.
Mario Adorf nelle vesti di "un uomo di casino" è insuperabile e la sua prova, unita al ritmo incalzante del pezzo di Badalamenti come colonna sonora, rendono questo film un capolavoro del noir italiano. Una storia crudele e violenta che non risparmia niente e nessuno! Da vedere e rivedere!
Viscerale, crudo, violento, il film viaggia al ritmo forsennato di una fantastica colonna sonora. Anche se rispetto a Milano Calibro 9 prevale il cinema d'azione con sequenze ai limiti della credibilità, la storia rimane impressa per la sensazione di autenticità che conferisce al mondo della mala italiana. Magistrale la scena dell'inseguimento, da seguire avvinghiati alla poltrona. Nonostante alcune forzature di troppo, rimane un film di riferimento per il cinema di genere di cui Di Leo si dimostra maestro.
MEMORABILE: La scena dell'inseguimento, con Adorf aggrappato al parabrezza.
Storia di un piccolo macrò della mala milanese che si ritrova braccato da due spietati killer americani senza un motivo apparente... Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui, gira scene d'azione di tutto rispetto e tratteggia con cura anche i personaggi secondari. Se aggiungiamo l'interpretazione di un eccellente Mario Adorf, credo di aver reso l'idea di un grande film, senz'altro tra i migliori del regista pugliese.
Del glorioso terzetto realizzato in sequenza, è degno di stare alla pari de Il Boss, con Milano Calibro 9 un gradino sotto. Ben diretto da un Di Leo in forma strepitosa (e la sequenza di Adorf attaccato al parabrezza lo dimostra in pieno) che conduce la pellicola su un ritmo elevatissimo, con momenti di violenza efferata. Magnifici personaggi che gli attori interpretano da par loro. Indimenticabili sopratutto Adorf e uno splendido Celi. Rapido cameo di un giovane Renato Zero.
Grandissimo film di Di Leo che ci regala uno dei più straordinari noir italiani di sempre. Livido, violento e spietato come pochi altri e per questo degno di autori più quotati come Don Siegl e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Musiche di Trovatoli che si fondono efficacemente con le immagini. Maestosa la prova di Adorf che ci regala uno splendido personaggio ed un finale assolutamente memorabile.
Strepitoso film di Di Leo grazie ad una straordinaria interpretazione di Mario Adorf. Dopo la grande prova d'attore data in Milano calibro 9, qui Adorf si supera e dona momenti veramente sensazionali. Pellicola molto dinamica che tiene ben sveglia la curiosità nello spettatore. Ottimo anche Henry Silva nella parte del killer americano. Infine stupende anche le musiche. Da non perdere assolutamente.
Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato. L’immenso Adorf tratteggia un macrò leale con gli amici, tenero con la sua famiglia, ma spietato con gli avversari, che vengono abbattuti dalla furia delle sue testate vendicatrici. Silva è insolitamente plastico, esuberante e parolaio e cede la sua granitica impassibilità al collega Strode. Scelta ottimale di volti (Cusack. Celi, Paluzzi, Coluzzi, Fabrizi, Berling…) e attori-stuntmen (Capanna, Galimberti).
Tosto film di Di Leo, che sa affrontare i polizieschi all'italiana sempre con una marcia in più. Adorf perfetto nella parte del disonesto ma buono. Il film si avvale di ottime scene d'azione. Non all'altezza di Milano calibro 9, comunque un dignitosissimo lavoro. Silva è molto più credibile quando fa il cattivo piuttosto che il poliziotto (vedi Milano odia): qui ne abbiamo un'ennesima conferma.
Piccolo magnaccia si trova braccato da dei killer... dopo Milano Calibro 9 Mario Adorf diventa assoluto protagonista e ci conquista, malgrado le sue espressioni si riducano a denti mediamente scoperti e denti molto scoperti... Il film, invece, ha alcuni snodi irrisolti e alcuni personaggi poco curati (la prostituta troppo caricaturale, i due killer, a differenza del promo in Italia, parlano come il cantante Mal) e parte,in realtà, dopo il famoso inseguimento sul parabrezza. Fra i comprimari, grande come al solito Adolfo Celi.
MEMORABILE: L'inseguimento di cui sopra, inverosimile ma di grande effetto; le apparizioni della Coluzzi e di Renato Zero.
Tenuto in piedi da un Adorf come sempre grande e sottovalutato, oltre che da momenti top (il migliore è la scena del furgoncino), il film contiene pregi e difetti di un ex sottovalutato regista ora sopravvalutato (anche da se stesso: la modestia difettava a Di Leo). Bella l'idea della coppia di gangsters (ripresa da Scerbanenco), le scene in discoteca, il finale e tutto il milieu milanese di Parco Lambro. Brutti gli hippies, soprattutto un'incredibile Francesca Romana Coluzzi.
MEMORABILE: Renato Zero tra gli amici della Coluzzi; la grande scena del furgoncino; i manifesti pubblicitari.
Il modesto macrò Luca Canali (Adorf) viene utilizzato come capro espiatorio dal padrino Don Vito Tressoldi (Adolfo Celi): a lui è attribuita la mancata consegna di un carico di droga pari a 3 miliardi delle vecchie lire. L'americano Corso (Cyril Cusack), che ha subìto il contraccolpo economico, invia due killer con lo scopo di dare una vistosa lezione al protettore, in colpa di defezione. Eccezionale noir, ispirato alla larga da Scerbanenco, ma frutto d'una sceneggiatura puramente ascrivibile al grande Di Leo (Ingo Hermes è imposto dalla co-produzione tedesca). Adorf domina e buca lo schermo.
MEMORABILE: L'inseguimento di Luca Canali al killer che ne ha ucciso moglie e figlia, investendole con un camioncino...
Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo. Girato con grande ritmo non appare mai patinato e artefatto, ma sempre efficacemente realista e spietato, con sequenze d'azione che, sebbene a volte siano un po' "forzate", appaiono sempre efficacissime. Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora.
Grandissimo film di Di Leo. Livido, violento, spietato, degno di autori di fama mondiale come Don Siegel e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante. Adorf, dopo la prova offerta in Milano Calibro 9, diventa il protagonista e nei panni di Luca Canali, un pappone milanese incastrato dal boss locale, è l’oggetto di una implacabile caccia all'uomo, con memorabili inseguimenti per la città anche ad opera di due sicari giunti appositamente dagli States per eliminarlo. Ferito negli affetti più cari si trasforma in vendicatore inarrestabile, fino ai vertici della dell’organizzazione criminale.
MEMORABILE: Indimenticabile è la sequenza di Adorf aggrappato al parabrezza per le strade di Milano.
Inferiore al bellissimo Milano calibro 9, anche se ne segue lo stile. Godetevi le ambientazioni milanesi, l'interpretazione di Adorf e le musiche di Trovaioli; un po' meno le figure dei due killer (legnosi e caricaturizzati, con un accento ridicolo, indottrinati dal megaboss come fossero bambini delle elementari) e quel Celi iniziale, con lupetto arancione, che comunque cresce di intensità quando si trova a quattr'occhi con Canali. Inizio con luci e ombre, parte centrale bella carica per merito di Adorf, finale abbastanza banale. Tre pallini.
Di Leo non si differenzia di molto dagli altri registi del genere di quel periodo. Violenza allo stato puro. Personaggi intelligenti ed originali, ma forse cade un po' nella storia. Il finale sembra un tantino improvvisato anche se accettabile. Onore comunque a Di Leo che è stato capace di suscitare inspirazione ad un Tarantino molto in vena di creare una storia come quella di Pulp Fiction. Bravi Adorf, Silva e Woody Strode.
MEMORABILE: "Sono così perché è la paura che mi ha fatto così", dice Canali al boss Tressoldi.
Tarantino ha visto giusto: se non è un buonissimo film lo è quasi. La storia all'apparenza può sembrar banale e scontata, ma si lascia godere come poche. Le inquadrature di Di Leo sono ottime così come gli inseguimenti. Gli attori sono bravi. Forse la coppia dei killer americani è meno "comica" di quella tarantiniana, ma è pur sempre simpatica. Bella la colonna sonora.
Uno dei film che giustificano la passione di Tarantino per il cinema italiano di genere (vedi la coppia bianco/nero di killers venuti dall'America). Scattante, iperviolento, con una sceneggiatura stringente e un cast di facce da duri, su cui giganteggia un ottimo Adorf, prima piccolo malavitoso smarrito in un gioco più grande di lui, poi implacabile nella sua vendetta. I punti deboli sono quelli in cui l'azione rallenta (la rappresentazione degli hippies è quasi imbarazzante), ma per fortuna ciò succede di rado.
MEMORABILE: L'inseguimento del furgoncino; la "presa" finale
Non il miglior film di Di Leo, anche se pieno di buone intenzioni. Molto azzeccata la scelta di Woody Strode, mentre uno come Henry Silva stona nella parte del killer più bonaccione. Meglio di Indiana Jones la scena dell'aggrappamento al furgone che ha appena schiacciato moglie e figlia, anche se non è l'Adorf di Milano calibro 9. Niente male i festini ai night club, meravigliosa la colonna sonora del grande Trovajoli.
MEMORABILE: Silva che sfotte il gorilla della malavita a suon di museruole e di ossa.
Occasione sprecata: azzeccati soggetto e svolgimento, ma Di Leo stavolta ha a che fare con attori svogliati e fuori ruolo, soprattutto Silva che non sembra neanche lo stesso di Milano odia. L'indiscutibile professionalità salva in corner un Adolfo Celi che pare persino demotivato. Grande prova per il solo Adorf, probabilmente galvanizzato dall'assegnazione del ruolo principale. Il "pesce piccolo sacrificato per coprire quello più grande" è un "tòpos" sempre funzionale nel gangster-movie.
Uno dei noir all'italiana giustamente diventato un cult. C'è la mano del miglior Di Leo e si vede; cast eccezionale coi granitici Silva e Stroode, l'ottimo Adorf e la bravissima Paluzzi. Belle scene, ottima trama, tensione, sentimento... C'è tutto: un filmone!
Purtroppo decisamente inferiore a Milano calibro 9, soprattutto per la storia più semplice e con meno acuti. Però il film è godibilissimo e Di Leo conferma di avere due o tre marce in più degli altri. Di Leo sta al noir come Leone al western: gli altri si avvicinano, ma mai eguagliano. Talvolta la narrazione sembra quasi un pretesto per far girare quella meravigliosa macchina che è il cinema di Di Leo e questo è un po' riduttivo, per un artista di questo spessore. Qualche piccola caduta di stile, ma un prodotto molto al di sopra della media. ***½
MEMORABILE: Incredibile vedere Silva con delle espressioni: fantastico, è un attore e pure bravo! Eccellente l'idea di chiamare Strode. Erculeo e sanguigno Adorf.
Scabro e prototipico. Di Leo insegue un’essenzialità che rasenta l’astrattismo: il “mascolino” è talmente esasperato e rude da tradurre in ruoli i personaggi, svuotandoli di ogni psicologismo. Il film assurge ad uno status geometrico persino retorico nella sua perentoria dimostrazione di genuinità. La sequenza dell’inseguimento, con Adorf che consuma il dolore della perdita nella furia e nell’affanno, è un bel pezzo di cinema, e così il duello finale, implacabile e spettacolare. Il respiro è internazionale e Adorf, costellato da attori in funzionale immobilismo plastico, lascia il segno.
Una partita di eroina rubata, un pesce piccolo a cui addossare la colpa, una vendetta cieca e rabbiosa. Tutti elementi noti al genere noir, che Di Leo usa con mestiere confezionando un altro film "scerbanenchiano" dopo Milano Calibro 9 (curiosamente, quello è il titolo del racconto da cui viene l'idea di partenza del film). Meno intenso e più fiammeggiante, mette in prima linea un grande Mario Adorf, pappone con una sua dignità che non accetta compromessi e si fa giustizia da solo. Qualche tributo al gusto pop dell'epoca. Il finale è eccessivo. ***½
Raoul Montalbani, Ugo Piazza, Luca Canali, ecc.. ecc... Tutti nomi rimasti nel mito del cinema di genere gangsteristico italiano anni '70; nomi che, anche oggi, i ragazzi delle nuove generazioni ricordano, in omaggio a quel fantastico periodo che porta oggi la maggior parte di quelle pellicole ad essere definite "cult-movie" da parte di grandi registi contemporanei di action, dandone lustro in tutto il mondo e dando così possibilità a molti di riscoprirle nella loro bellezza. Magistrale Adorf, grade pellicola, influenzerà il cinema contemporaneo.
MEMORABILE: La faccia iperseria di Woody Strode, inseguimento Adorf-Killer nella zona dei navigli a Milano, Adolfone Celi.
Esemplare momento di semplicità cinematografica che diventa culto. La storia è lineare, senza sorprese o colpi di scena particolari. Il sangue è mostrato poco, anche se i morti ammazzati al termine saranno parecchi. Ci sono alcuni bei nudi, con Femi Benussi nella parte di una prostituta organizzata, ma niente exploitation. Eppure alla fine tutti rendiamo omaggio a questo prodotto, gustosamente di genere italiano, ben diretto ed ottimamente interpretato. Incredibile l'apparizione di un notissimo cantante, qui con bombetta, che corre a comprare da fumare!
A tratti sembra anche meglio di Mc9, ma nel complesso è meno secco. Adorf la promozione a protagonista se l'è guadagnata tutta; Silva & Strode validi. Quello che qui non mi convince è invece Adolfo Celi, che sembra rifare il Valmont di Diabolik. DiLeata pura l'incursione tra i giovani hippy (che fanno sesso di gruppo tra foto di Che Guevara e Kennedy) dipinti ai margini mondani del mondo criminale. Comparsata cult di Renato Zero, che sembra anticipare il personaggio di Mastelloni in Avere vent'anni.
MEMORABILE: Il giovane freak trovando il pappone Adorf alla porta: "C'è uno con la faccia da poliziotto".
Solido noir del maestro Di Leo in cui emerge un valido Adorf che interpreta magistralmente il suo personaggio, inizialmente smargiasso poi vittima della vendetta malavitosa che lo priva degli affetti più cari in una drammatica sequenza. Silva interpreta un killer donnaiolo e gaudente tipico del cinema del regista pugliese. Finale memorabile.
Dopo la superba interpretazione del Rocco Musco di Milano calibro 9 Di Leo promuove Adorf come protagonista assoluto e gli cuce addosso un ruolo perfetto. La storia riprende il canovaccio noir ma qui c'è ancora più azione e ritmo (memorabile la lunghissima sequenza dell'inseguimento al furgoncino), anche se la storia è meno avvincente. La coppia di killers Woody Strode/Henry Silva ispirerà 20 anni dopo il Tarantino di Pulp fiction (Samuel L. Jackson/John Travolta). Bellissima Femi Benussi nel ruolo della prostituta, spettacolare Adorf.
MEMORABILE: "Tiene 'a capa pe spàrtere 'e recchie!"
Secondo capitolo della "Trilogia del milieu" firmata Di Leo, forse il più debole, di sicuro quello più trucido, sovraccarico e di grana grossa, in equilibrio sul filo di una (presumo) volontaria parodia. Nondimeno, non si lesina sul body-count (muore persino il micio!). Adorf è l'anima della pellicola, grazie alla sua interpretazione fisica, straripante, sempre credibile anche quando il tono è tenero (la breve sequenza in cui gioca con la sua bambina) o impaurito; nel cast pure Woody Stroode, già ottimo caratterista per John Ford, Kubrick e Leone.
MEMORABILE: La celebre sequenza in cui Canali/Adorf insegue, prima in auto e poi a piedi, l'uomo che ha investito sua moglie e sua figlia.
Uno dei noir italiani più cruenti e spettacolari, ma meno convicente rispetto a Milano calibro 9 e Il boss. Sequenze d'azione e di violenza di altissimo livello e una morale inequivocabile: la malavità può essere sconfitta solo facendo ricorso alle sue stesse armi. Mi sembra però poco credibile che in mezzo a questa serie di ammazzamenti non si veda neppure una divisa! Ottimo Adorf, bravi Celi, Fabrizi e Macchia, molto in parte (e anche belle...) le attrici, ma imbalsamati Silva e Strode.
MEMORABILE: L'inseguimento di Adorf; la Paluzzi quasi commovente nel finale...
Pietra miliare dileiana, liberamente tratta dalla vena noir di Scerbanenco, qui con un "uomo di casino" braccato come nelle più sadiche delle cacce all'uomo. Adorf colora così bene il personaggio che a sprazzi pare di vederlo trasfondere in un vero e proprio superuomo, invincibile e d immortale, soprattutto allorché si cimenta nelle "zuccate liberatorie". Tutto funziona alla grande ma il punto forte resta l'inseguimento al furgone che ha appena fatto fuori i cari: semplicemente spettacolare, questo è cinema!
Ennesima grandissima opera firmata Fernando Di Leo. Questa volta la storia narra le vicende di un magnaccia (l'eccellente Mario Adorf) che viene perseguitato, apparentemente senza motivo, dalla malavita. Splendide le scene d'inseguimento e il finale. Tutti gli attori si esprimono alla grande e seguono al meglio il regista. Forse non impeccabile come Milano calibro 9, ma siamo giù di lì.
MEMORABILE: Mario Adorf che a testate spacca il parabrezza.
Scatenato e fumettoso, costruito sull'irruenza di Adorf che prova a fare sul noir un'operazione simile a quella di Milian nel tortilla-western, cioè tratteggiare una figura animalesca, di puro vitalismo anarchico. Manca però il contrappunto alla Van Cleef, e anzi Di Leo si lascia prendere la mano dal suo spiritello più sguaiato, e qua e là la butta un po' in caciara, sicchè sembrano tutti esagitati. Il che non nuoce allo spettacolo (anzi), ma tiene il film distante dalle cime di Milano calibro 9 e del Boss
La coppia Silva/Strode, che si subodora antesignana di quella tarantiniana Travolta/Jackson, di questa non ha sicuramente l'esilarante facondia surreale e l'incisività. Cose forse superflue nel contesto di quest'altra bella prova dileiana di grande impatto, emozionale, serrata, cruda, spietata e variegata con spruzzate di folklore hippy più di contorno che di peso descrittivo. Adorf pennella un macrò mezza tacca, messo in mezzo ingiustamente dalla mala che conta, che farà vedere di che pasta è fatto. Si tiferà (non scontatamente) per lui.
Luca Canali è fisiognomicamente animalesco: la fronte bassa ha l'ottusa impenetrabilità di quella di un muflone, e infatti, all'occorrenza, si difende meglio a testate che a pistolettate. Dell'animale, ha l'elementarietà della psicologia, la fondamentale purezza, l'istinto di sopravvivenza e quello di difesa della prole. E' un cavallo pazzo, un orso ferito, una volpe che si stacca la zampa presa nella tagliola (vedi sequenza nel parco auto), è una mosca che si mangia il ragno che ha tessuto una tela viscida di raggiri. Un noir... zoomorfo!
MEMORABILE: Gli stacchetti nell'ambiente degli hippies, molto di maniera, che però alleggeriscono il film al momento opportuno. L'inseguimento del furgoncino.
Un noir italiano che ammicca allo stile d'oltreoceano con efficacia non priva di penetrazione psicologica. Adorf è un eroe tormentato e chiaroscurato, Celi (con voce di Antonio Guidi) un subdolo boss, la coppia di gangster spietata come si conviene. Apprezzabili nudità della Benussi in un ruolo di fianco. Qualche ovvia ingenuità, come il percorso dell'inseguimento di Adorf, che non rispetta la carta geografica di Milano (ma solo i milanesi possono accorgersene). Cameo di lusso di Fabrizi, efficaci le solite "facce" di complemento.
Decisamente inferiore rispetto al primo capitolo, vero capolavoro della trilogia firmata Di Leo. Dopo una buona premessa (grazie all'usuale partecipazione di Cyril Cusack in area italiana) non acquista credibilità e realismo a causa di una serie di eccessi, perlopiù scenici, rappresentati in primo luogo dalle figure dei gangster troppo smaltati, nonché menomati di quella fredda atrocità che caratterizzava invece i personaggi di MC9. Mancano poi sviluppi interessanti della trama, che non sorprende sino al finale poco studiato e sterile.
Bisogna aspettare quasi un'ora per assopare e gustare l'ottima vena registica di Di Leo; la prima parte infatti, colma di dialoghi superficiali e scenette risibili, è alquanto noiosa e mal eseguita. Poi entra in scena l'adrenalico Adorf e le carte in gioco cambiano sensibilmente per una ventina di minuti (l'inseguimento è degno del miglior Friedkin). Il finale, così e così, sintetizza alla perfezione le due anime contrastanti della pellicola.
Nel caso ci fossero dubbi sgombriamo subito il campo: non è equiparabile a Milano calibro 9. Eppure questo secondo capitolo ha una forza non comune, un impeto che ti inchioda alla poltrona e non ti fa respirare. Monumentale Adorf, una roccia, una scheggia impazzita che non può più essere controllata. Era cinema diverso, crudele, spietato, realizzato in anni di grandi mutamenti sociali, ma era comunque grande cinema. Vivamente consigliato. ***1/2
MEMORABILE: L'inseguimento di Canali al killer, con un furore e una disperazione da spavento. Canali a Don Vito: "A me è la paura che mi ha fatto forte!"
Altro grande noir per Ferdinando Di Leo, che ancora una volta si avvale dell'interpretazione, in questo caso davvero eccezionale, di Mario Adorf. La trama non è al livello di Milano Calibro 9 ma il ritmo è sempre altissimo e il film risulta davvero coinvolgente, grazie anche a quel tocco di drammatico e crudo realismo tipico del regista; ancora una volta da segnalare diverse scene assolutamente memorabili.
Splendido noir firmato dal maestro Fernando Di Leo. Più diretto e immediato rispetto a Milano Calibro 9, con una trama più semplice e meno psicologica. Mario Adorf letteralmente straordinario forse supera la sua già strepitosa interpretazione di Rocco Musco in MC9, ma nel complesso il film è un gradino sotto al precedente capitolo della Trilogia del Mileu. Resta di grande impatto il personaggio Luca Canali e le scene d'azione sono stupende, con un finale veramente ben girato. Davvero notevole.
Bel noir di Di Leo, non all'altezza degli immortali Milano calibro 9 o Il boss, ma comunque buono. Principalmente è la prima parte a non convincere troppo, non dissimile da film analoghi del periodo, poi dalla scena clou dell'inseguimento in avanti il film diventa particolarmente intenso ed avvincente. Adorf, promosso a protagonista, è bravo, seppur leggermente sopra le righe in certi frangenti drammatici; granitici come sempre Silva e Strode. Nel complesso merita sicuramente la visione, specialmente per i fan del regista e del genere.
MEMORABILE: Adorf all'inseguimento; Tutta la parte finale.
Godibilissimo gangster-movie all'italiana, ricco di sequenze interessanti, ma purtroppo per certi aspetti rivedibile. Non convince molto l'inserimento di una comicità spicciola e fuori luogo in quello che avrebbe potuto essere un film di ben altro spessore, dato che la seconda metà della pellicola regala momenti di adrenalina pura (come quello del folle inseguimento) alternati a scene profonde ed amare, che immergono lo spettatore in una realtà prettamente mafiosa. Bella la colonna sonora, ottima la prova di Adorf.
MEMORABILE: Il folle inseguimento, con testate al parabrezza annesse.
Oggi piu di ieri sono evidenti alcuni strafalcioni che conferiscono alla pellicola un premio per la simpatia. Al di là del surplus di spot poco occulti (ma questo sappiamo che accadeva a tantissimi film italiani dell'epoca) e di alcuni dialoghi un po' ambigui nonchè di alcune scazzottate che nulla han da invidiare ai film di Bud Spencer, sono anche tante le cose notevoli; partendo da una particolare struttura narrativa che per un attimo ci inganna su chi sia il protagonista a talune simpatiche inquadrature. Grezzo, trucido, spietato ma simpatico.
MEMORABILE: Niente sangue quando qualcuno spara sulla gente, ma una macchia rossa sul torso di un gatto morto; Inseguimento; Un quesito: ma il mandante?
Il migliore della trilogia e probabilmente il migliore Di Leo. La storia è davvero ottima, i personaggi tutti giustissimi e azione a go go. Splendide sequenze girate in velocità (inseguimento) e buona dose di humor nero sparso per tutta la pellicola! Adorf, straordinaria faccia da schiaffi, regala una perfetta interpretazione; per non parlare della coppia Silva-Stroode, ispiratrice della successiva accoppiata Travolta-Jackson. Di Leo stupisce sempre, regista che sa davvero il fatto suo! Noir ad altissimo livello! Magistrale!
MEMORABILE: L'inseguimento di Adorf; Il finale nella demolizione d'auto!
Eccellente. Solo Di Leo sa dare vita a film noir in cui una commistione di suggestioni ci catapulta in un mondo fatto di eroi della malavita, di mezzi uomini che si misurano attraverso regolamenti di conti senza tralasciare però gli aspetti umani. Alla cieca furia vendicatrice del protagonista, spesso mostrata con una spietatezza unica, si affianca il lato "debole" della persona con i suoi affetti familiari. L’imprevedibilità dell’azione dona freschezza e attualità al film.
Il più debole capitolo della trilogia dileiana, nettamente, assurto a un culto meritato ma forse un po' esagerato. Momenti di ottimo cinema (l'inseguimento del furgoncino e il bel finale) non possono coprire del tutto uno script lineare quanto gonfio, più che ricco. La prima parte annaspa, ma non per colpa del cast (tutti in ruolo, da Adorf a Celi, anche Silva) e nemmeno dei dialoghi, che saranno precursori di un genere, poi ripreso da Tarantino. Lo spettacolo non manca comunque. Buono, ma lontano da Milano calibro 9.
Noir pieno d'azione, veloce e coinvolgente, diretto da un Di Leo in gran forma, che riesce a caratterizzare bene personaggi e situazioni. L'inizio è lento ma il film ingrana poco a poco, regalando una seconda parte davvero adrenalinica e mozzafiato, con inseguimenti e sparatorie girate in modo convulso ed emozionante. Belle le musiche di Trovajoli, ottimo Mario Adorf come protagonista. Notevole.
Uno dei migliori film di Fernando Di Leo nel suo periodo migliore, anche se non ai livelli d'eccellenza di Milano Calibro 9 e Il boss, La mala ordina si segnala per l'intensa interpretazione di Mario Adorf, il magnaccia Luca Canali che si trasforma in uno spietato giustiziere quando gli uccidono la moglie (Sylva Koscina) e la figlia. I due killer americani Silva e Strode sembra abbiano ispirato Tarantino. Una curiosità: il ballerino che si vede in un locale è Renato Zero!
MEMORABILE: L'inseguimento di Luca Canali al killer che gli ha ucciso moglie e figlia.
Morti a non finire in questo boss-movie che dagli Usa muove i suoi tentacoli a Milano alla ricerca di un malandrino da poco. Molte scene sono dedicate a inseguimenti a piedi o in auto, aizzando gli istinti più bassi dello spettatore. Bravi Mario Adorf e Adolfo Celi, seppure clamorosamente doppiati. Null'altro da aggiungere, se non sopravvalutato.
MEMORABILE: Comparsate multiple di Renato Fiacchini in arte Renato Zero!
Nel suo genere, che non non è il mio, il cinema di Di Leo ha il merito di offrire un quadro della malavita milanese anni '70 diretto, senza fronzoli, incalzante. Qui però il regista non riesce a eguagliare Milano calibro 9, in particolare nella prima parte, soporifera e grossolana. Il film migliora nella seconda, con scene d'effetto come l'ormai famoso inseguimento lungo i navigli, spettacolare ma poco autentico. La coppia di gangster avrà pure ispirato Tarantino, ma è fasulla e improbabile.
Il noir italico non ha la cupa malinconia di quello francese né la scabra linearità di quello americano, ma una sua peculiare vena sanguigna che qui si rivela come eminente. La forza delle caratterizzazioni, la mancanza d'ogni scrupolo politically correct, la galleria indimenticabile di ceffi patibolari e bellezze muliebri, la cura della regia nelle scene d'azione annullano qualsiasi difetto (le scene con gli hippies) o caduta di tono. Adorf è incontenibile come un cinghiale, Silva quasi spigliato; Trovajoli al top.
Secondo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu. È il più debole dei tre ma raggiunge comunque vette di potenza notevoli per il genere criminale all'italiana; è facile capire perché sia ammirato oltreoceano. Ha una scrittura non limpidissima ma in compenso è girato con piglio estroso, energico e inventivo, ottimamente sviluppato nelle scene d'azione violente, che colpisco per realismo e gusto nelle scelte visive e strettamente tecniche. Un inchino al grande Mario Adorf, in un ruolo sentito e padroneggiato.
Un classico del noir, diretto con maestria da Di Leo, fresco del magnifico Milano Calibro 9. La mala ordina parte in sordina, ma dopo una mezz'ora si entra nel vivo della vicenda e tra sparatorie, inseguimenti e dialoghi da cineteca si resta incollati alla poltrona. Grande Mario Adorf, che a suo malgrado finisce in un vortice più grande lui; seguono a ruota Henry Silva e Woody Strode (coppia a cui si ispirerà Tarantino in un "certo film pulp"). Piccola parte per Franco Fabrizi. Finale duro, ma ci sta. Nel suo genere, notevole.
MEMORABILE: Adorf all'inseguimento del furgone; La sparatoria finale.
Ottimo secondo capitolo della trilogia del Milieu di Di Leo. Una storia ai limiti del verosimile fornisce ad Adorf lo spunto per impadronirsi di un personaggio fra i più intensi del cinema del maestro pugliese. I duelli di sguardi col bravissimo Celi sono da manuale del cinema. Ancora una tragedia dagli svolgimenti shakespeariani, con un finale prevedibile fino a un certo punto. Silva si conferma interprete ideale di certo cinema di Di Leo, che ne valorizza la maschera fissa. Buone le musiche di Trovajoli. Vale senz'altro la visione.
MEMORABILE: Lo scambio di vedute sulla serietà delle rispettive intenzioni fra Celi e Silva...
Un bel film sicuramente, ma inferiore al precedente Milano calibro 9 (primo capitolo della cosiddetta "trilogia del milieu"). Davvero ottimo Adorf, capace di una strepitosa metamorfosi lungo il film (da criminale di mezza tacca a killer implacabile e con più vite di un gatto). Il problema forse è la storia, un po' monocorde e con pochi colpi di scena. Il cast di contorno lascia poco il segno, anche se l'idea della coppia di killer bianco/afro-americano è indovinata (Tarantino ci farà un intero film...). Buon cinema di genere, nel complesso.
Un Adorf in gran forma viene coinvolto in un giro malavitoso più grosso del suo, che lo costringe a vedersela con degli americani e un boss (un bravissimo Celi). La regia e il montaggio di Di Leo sono fantastici, così come le scene di azione di cui il film è zeppo. La sceneggiatura è meno potente rispetto al primo film della trilogia del milieu, ma è ugualmente coinvolgente. Le musiche e i continui effetti sonori, dovuti agli scontri tra gli scagnozzi, sono inseriti sempre al punto giusto e non sfociano mai nel banale. Davvero eccellente.
Una monumentale interpretazione di Mario Adorf, diretto responsabile di un pallino e mezzo e molto intenso anche il personaggio da lui interpretato, che vince la sua pavidità non avendo più niente da perdere. Poco altro da salvare: la bellezza della Paluzzi, uno tra i due o tre migliori inseguimenti della storia del cinema. Molto sciatte le interpretazioni di Silva e Stroode: con questo biglietto da visita mai avrei pensato che il primo sarebbe diventato in seguito uno dei miei beniamini.
MEMORABILE: Il cammeo del Renato nazionale in discoteca...
Minore rispetto all'ottimo Milano calibro 9, anche se le atmosfere restano comunque centrate in pieno (tolto il mondo della protesta giovanile, che pare stereotipizzato da un moralista reazionario). L'enorme difetto sta in una trama che ha troppi buchi da farsi perdonare: decisioni dei personaggi che sembrano prese in uno stato di costante ebbrezza, una minaccia subito attuata così da farne perdere ogni senso, etc... Ottimo Mario Adorf, azzeccate le facce dei caratteristi.
Ennesimo, solido noir made in Di Leo, regista capace di lasciare sempre il segno con le sue opere. A cominciare dal cast: sceglie due nomi sinonimo di garanzia per questo genere, Adorf e Silva e gli affianca un marpione come Adolfo Celi. Senza contare Strode o i camei di Fabrizi e della Koscina. Sceneggiatura interessante e per nulla scontata con un finale in perfetta linea con tutta la narrazione. Silva bravo ma Adorf superlativo, qui forse alla sua migliore performance di sempre in questo genere di film. Insomma, un film da vedere sicuramente.
MEMORABILE: Il tizio con la bombetta che balla alla festa a casa di Trini - Francesca Romana Coluzzi - è Renato Zero!
Di Leo continua l’esplorazione dell’universo criminale di Scerbanenco ma il livello cala rispetto a Milano calibro 9. Adorf è un protagonista costantemente sopra le righe, le scene d’azione scadono spesso nel ridicolo (il parabrezza sfondato con due testate come se niente fosse) e le scazzottate sono degne della coppia Spencer-Hill. Discreto il finale nell’auto-demolitore, ma il Siegel di Charley Varrick resta un modello tecnicamente irraggiungibile. Silva e Strode sono mediamente statici. La cosa migliore resta la colonna sonora di Trovajoli.
MEMORABILE: Strode che schifa le avance della Coluzzi; Il gattino ucciso nella sparatoria finale; La prostituta Benussi che vuole l'appartamento di proprietà.
Un film noir notevole, con malvivente presunto traditore da eliminare, due sicari sulle sue tracce, un boss della malavita che trama nell’ombra... Giganteggiano i personaggi di Luca Canali, il magnaccia da sopprimere e di don Vito Tressoldi, il boss di Milano che gli dà una caccia spietata. Regia con mano ferma e spiccia da parte di Fernando Di Leo, ritmo che decolla lentamente ma che poi vola fino a quota diecimila, vicenda chiara e lineare, sceneggiatura un po’ didascalica e con qualche sbavatura, tecniche di ripresa di assoluto livello, attori superbi.
Secondo capitolo della Trilogia del milieu di Di Leo, tratto da un racconto di Scerbanenco. All'apparenza il più solare dei tre, ma in realtà un noir duro e violento come pochi, un perfetto meccanismo a orologeria. Cast da urlo con Adorf e Celi in testa e naturalmente la coppia di killer Strode-Silva (antenati dei tarantiniani Jules e Vincent). Ormai un classico.
Straordinario quadro al contempo pop e verista, ritratto d'ambiente e saggio sulla violenza cinematografica, il film ancora spaura e avvince per la sua intrinseca natura di fumetto metafisico che trascende tutti i suoi singoli elementi (alcuni dei quali evidentemente dissonanti o persin pressapochisti - leggasi i dialoghi minimali) in un ensemble iconografico che rende sacro il profano e viceversa. Adorf, morso dalla taranta recitativa, (tra)suda e detona, Strode e Silva totemici, il divertito mischiar le carte del gineceo (i ruoli di Romana Coluzzi/Koscina). Obbediamo Fernando.
MEMORABILE: L'inseguimento al furgone; Il finale; I balletti di Renatino; La parrucca della Coluzzi; L'eleganza di Luciana Paluzzi.
Procacciatore di donnine è accusato di aver rubato una partita di droga. Noir criminale nel quale i pesci grossi vengono sconfitti dalla voglia di vivere di uno rimasto incastrato. All’inizio il duo americano sembra faccia fuoco e fiamme, invece resta spuntato e la sequela di ammazzamenti, con ovvie soffiate, è accattivante solo nelle sequenze action. Gli inseguimenti son notevoli come soluzioni stradali e Adorf che distribuisce testate ovunque è meglio delle sparatorie. Musica discreta, anche se la parentesi degli hippy danzanti è male caratterizzata. Tra i tanti si fa notare Celi.
MEMORABILE: Renato Zero sull'altalena; L'inseguimento sui navigli; Adorf che sfonda a testate il vetro del camioncino.
Una delle vette del noir italiano. A rivederlo oggi ci si accorge quanto sia invecchiato ben poco e di come rimanga piacevolissima la visione: merito di una trama molto semplice, efficace anche per questo. Dai personaggi Tarantino trarrà ispirazione per Pulp fiction e anche questa è una medaglia al valore. Unico neo la povertà di alcuni dialoghi inseriti in apparenza quasi a caso. Comunque da vedere e rivedere, destinato ad appassionati del cinema anni '70 così come ad amanti di altre atmosfere.
Un malavitoso di basso rango (Mario Adorf, alias Luca Canali), nella Milano di inizio anni 70 diventa improvvisamente protagonista di una caccia all’uomo da parte della mafia americana e del capomafia meneghino (Adolfo Celi). Tutta la vicenda narrativa ruota attorno all’obiettivo Canali. E Adorf ne restituisce magistralmente le paure, l’angoscia ma anche la furbizia e l’astuzia. Accompagnato da un Celi in grande forma, che sopperisce alla cronica staticità espressiva di Silva (gangster americano). Regia perfetta di Di Leo e bellissimo commento sonoro. Imperdibile.
MEMORABILE: Canali che insegue un assassino per le vie di Milano, con ogni mezzo.
Interessante noir. Dopo un primo tempo troppo lento, lo spettatore verrà premiato con inseguimenti, scontri e azione a non finire. Bravissimo Adorf, attore ingiustamente sottoutilizzato, abile nell'espressività e nelle scene d'azione nonostante il fisico massiccio. Interessante, anche se di contorno, il riferimento ai locali e ai look dei "freak" dell'epoca (fa una comparsata anche Renato Zero). Celi, solitamente compassato, emerge in una scena pre-finale da antologia. La Paluzzi stavolta fa da tappezzeria. Fiacchi i due killer (Silva e Strode) e il finale, abbastanza scontato.
Partendo da uno spunto un po' pretestuoso Di Leo racconta l'evoluzione di un pappone pavido che diventa per ragioni di sopravvivenza una spietata macchina per uccidere, in un mondo dove la giustizia ufficiale è assente e l'innocenza è destinata a soccombere. La prima parte si dilunga in una presentazione un po' caricaturale dei personaggi ma la seconda rasenta il capolavoro, con scene d'azione girate e montate magistralmente sostenute dalla OST di Trovaioli. Il ricchissimo cast offre nella sua interezza una prova convincente, con menzione speciale per Adorf e Celi.
MEMORABILE: L'inseguimento con Canali appeso al furgoncino; Il dialogo tra Canali e Tressoldi; La sequenza dallo sfasciacarrozze.
Il secondo capitolo della Trilogia del milieu è la dimostrazione che non tutte le ciambelle escono col buco; comunque non una gran colpa per Di Leo, poiché anche solo avvicinarsi alla perfezione di Milano calibro 9 sarebbe stato impossibile. Manca qui quel senso tragico che sottende al capitolo precedente e che lo rese epico, mentre il registro vira sempre più verso l'opera buffa, col ricorso a parti comiche e una ricerca della violenza a buon mercato. Cast ovviamente pieno di facce care al regista, con Adorf mattatore e Celi che gigioneggia.
MEMORABILE: Il pestaggio della Benussi con "Un'ora sola ti vorrei" in sottofondo.
Penalizzato da una partenza a rallentatore, il film recupera nella parte centrale fino a un lunghissimo finale che tiene lo spettatore incollato allo schermo. Adorf domina la scena, Silva stranamente pluriespressivo, anzi si diverte pure (!) mentre Celi, pur vedendosi poco, regala un paio di espressioni a dir poco terrificanti. Da ricordare la telefonata con Adorf e le tragiche conseguenze scaturite da essa. Colonna sonora discreta.
MEMORABILE: "Allora, me li porti questi fiori, o li porti a qualcun'altro? Per me fa lo stesso"!; Il furgoncino bianco.
Robusto noir di un Di Leo ispirato. In questi lidi è sicuramente passato Tarantino per la coppia di sicari interpretati da Stroode e Silva (quest'ultimo più granitico del previsto). Più in generale, il film si fa ricordare per la performance febbrile di Adorf e l'ambivalenza del suo personaggio, ben inserito in una Milano soleggiata quanto tiranneggiata da "pesci grossi" dediti a traffici criminali e doppiogiochismi. La prima parte fatica a carburare; dopo subentra un buon ritmo e tutta la carica drammatica esplode in alcune sequenze memorabili. Ottimo lo score di Trovajoli.
MEMORABILE: L'inseguimento con il furgone bianco; La corsa nel Luna Park; Il cadavere allo spioncino; Lo scontro finale nel cimitero di macchine.
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HomevideoXtron • 20/10/13 10:27 Servizio caffè - 2192 interventi
DVD RAROVIDEO Durata 1h31m40s
BLURAY RAROVIDEO Durata 1h35m38s (immagine a 49m29s)
vorrei un giudizio (magari più esaustivo di quello ufficiale) e il pallinaggio specifico del grande Buono Legnani sul film in questione, ed in generale sulla Trilogia del Milieu (Milano Calibro 9 e Il Boss).
e se secondo lui, Milano Odia di Lenzi può reggere il confronto
con il tris di Di Leo
Rogerone ebbe a dire: vorrei un giudizio (magari più esaustivo di quello ufficiale) e il pallinaggio specifico del grande Buono Legnani sul film in questione, ed in generale sulla Trilogia del Milieu (Milano Calibro 9 e Il Boss).
e se secondo lui, Milano Odia di Lenzi può reggere il confronto
con il tris di Di Leo
Per i tre di Di Leo, il mio pallinaggio è **½ (=discreto, vale a dire sopra la media, ma non ancora degni del "buon film"). Ritengo i film molto interessanti, con cose molto buone (incipit e ultimi minuti di MC9, per esempio) ed altre decisamente meno buone (il personaggio di Pistilli, che lo stesso Di Leo si pentì di aver costruito così), il che li tiene un poco sotto il "buon film". Fra i tre preferisco MC9.
Milano odia mi pare un poco sotto i tre film di Di Leo, non certo dal punto di vista spettacolare, ma da quello contenutistico, di compattezza di trama, di originalità dell'intreccio, di momenti di culto e di personalità registico-narrativa.
p.s. troppo buono...
grazie Buono, a mio avviso La mala ordina è inferiore agli altri due, quest'ultimo è un film godibile, forse anche più spettacolare, ma la complessità della sceneggiatura è nettamente superiore nelle altre due pellicole.
Anche per me il migliore è MC9, con il Boss a fianco.
Io credo però che Milano Odia sia (o possa essere) sullo stesso livello de La mala ordina (io li considero notevoli, ma forse ho degli standard un po inferiore ai tuoi :)
HomevideoRocchiola • 18/08/19 18:38 Call center Davinotti - 1278 interventi
Confermo l'ottima qualità del BD della Raro Video. L'immagine è decisamente pulita, brillante nei colori e ben definita. Buono anche l'audio mono in dolby digital 2.0. Il DVD gira un po' più veloce della pellicola cinematografica per questo dura sempre qualche minuto in meno della durata ufficiale del film. Mentre il bluray viaggia alla stessa velocità della pellicola per cui la sua durata deve coincidere con quella dichiarata in sala. Qui comunque ci deve essere un errore in copertina che riporta la durata di 100 minuti, ma quando si inserisce il disco il lettore legge una durata di 95 minuti e qualche secondo. In ogni caso il film fù vietato ai minori di 18 anni per cui in TV può circolare solo tagliato, quindi per gli estimatori di questo titolo consiglio assolutamente l'acquisto del BD summenzionato !!!