Uno dei migliori film di Sergio Leone, con una trama decisamente non banale ma non per questo inutilmente intricata. Leone ha anche l'ottima intuizione di far interpretare a Henry Fonda, eroe di tanti film, la parte del cattivissimo. Si sente la partecipazione di Dario Argento nella stesura del soggetto per certi sviluppi narrativi della vicenda. Interminabile e bellissima la sequenza di apertura. Leone è riuscito ad imporsi, anche all'estero, come un re in un genere che è tipicamente americano.
Beh, di un film così si può solo parlar bene. Un film magnifico, reso ancor più bello da quel capolavoro musicale che è la colonna sonora creata dal maestro Ennio Morricone. Nonostante in alcuni punti possa risultare un tantino lento, il film è un piacere da assaporare fino in ultimo. Non saprei dire se è il miglior film di Leone ma sicuramente è il più importante. Una curiosità: per una frazione di secondo compare Fabio Testi.
È il crepuscolo del selvaggio West, con la ferrovia che avanza facendo sparire la frontiera e ciò che rappresenta. Fonda (killer assoldato dal magnate delle ferrovie) è freddo, spietato e statuario (fantastica interpretazione). I suoi occhi di ghiaccio rivelano una totale mancanza di pietà. Anche Bronson (vive per vendicarsi), con la sua armonica, disegna molto bene il personaggio, come Robards "Con quelle rotaie ti lasci la bava dietro come le lumache". Qua e là arranca un po', ma grazie al talento di Leone e alle splendide musiche di Morricone resta notevole e da vedere.
MEMORABILE: Stivale letale; La perfetta fusione di tra immagini e colonna sonora nella scena dell'impiccagione; Il malinconico finale, con la fine di un'era.
Capolavoro. Leone punta all'epica, alla dilatazione, al Mito (non prima, nelle intenzioni, di aver "liquidato" la trilogia del dollaro: nel progetto iniziale i tre che aspettano Bronson dovevano essere Eastwood, Wallach e Van Cleef, ma Clint rifiutò!), e ci regala la sua personale Nascita di una nazione. Personaggi archetipici (ognuno col suo tema musicale), maschere superbe (immenso Robards), e al contempo un omaggio ai militi ignoti dello spaghetti western (nel film compaiono Zuanelli, Conversi, Stefanelli e altri). Tutti in piedi.
Magnifico. A mio avviso il miglior western di Leone in assoluto, e l'unico con una donna in una parte di rilievo... La storia è di per sè archetipica, anche se la sceneggiatura la complica forse un po' troppo. In particolare la ben nota simbiosi tra le immagini del regista e le musiche di Morricone raggiunge in quest'opera un livello altissimo; numerose sono le sequenze entrate nella storia del cinema e citate (quando non plagiate) a destra e a manca. Anche se a restare maggiormente impresso è forse l'inizio, 15' completamente senza musica...
Forse il film più originale di Leone, con frequenti incroci temporali e di personaggi, ma non tutti propriamente azzeccati. Su tutti J. Robards, prova di forte umanità. La Cardinale è donna di carattere ma un po' ripetitiva. L'enigmatico Bronson funge da battitore libero, sembra avulso ma alla fine dà sale alla storia. Fonda no, non è credibile e quasi imbarazzato. Come volti minori, oltre all'inizio, mi piace ricordare la famiglia sterminata e la miserrima fine del boss. Ottimo sincrono tra musiche ed epica. Qualche taglio avrebbe giovato.
Un po' più che buono. Il miglior western di Leone, ma non capolavoro. Il talento, la visionarietà, alcune caratterizzazioni (l’oceano...), il favoloso incipit, cento frasi che bisognerebbe segnarsi una per una e la musica compensano, ma non cancellano, l’abuso delle parentesi. Azzeccate le scelte di Fonda, di Bronson e della Cardinale. Il doppiaggio di Robards (Carlo Romano) non mi pare adatto. Indimenticabile Strode. Paurosamente fuori ruolo, al limite del pacchiano, Paolo Stoppa. Rapido primo piano per Fabio Testi, dopo il rilancio a 5.000 $.
L'opera più completa di Sergio Leone porta la firma di Argento al soggetto e resta celebre per la diatriba tra il cineasta del brivido e lo sceneggiatore Sergio Donati: quest'ultimo, insieme a Leone, unico titolare dello script finale. Il film è un perfetto esempio di cinema, che trova massima collocazione negli annali dei capolavori grazie all'utilizzo razionale e puramente emotivo di spazi immensi, parole (sot)taciute in favore di primi piani che valgono, da soli, intere frasi e interi pensieri. La musica di Morricone è, come sempre, ottima.
Per molti è lento, per me è epico. La lunghezza dilata l'attesa e la curiosità per il personaggio di Bronson (bellissimo e bravissimo); Robards è una saggia, adorabile canaglia; la Cardinale è bella e avida al punto giusto. Fonda ripesca da dentro di sè il fondo di cattiveria che tanti film avevano nascosto (nella vita non era proprio un santo) e i suoi occhi mettono a disagio. Flashback stracitati anche ultimamente.
Altro che 500 caratteri... Tutti i pregi e difetti di Leone sono in questo film: monumentale nelle ambizioni, spregiudicato e intensissimo nelle scene madri (indimenticabili), grossolano e presuntuoso nello svolgimento della trama. Un grande regista tiene tutti i fili dai particolari ai momenti topici. Leone non ci riesce sempre, preso da un desiderio di grandezza che è solo megalomania. Però questo film ha dei momenti davvero affascinanti, dei bei personaggi-archetipi, la Cardinale bonissima.
MEMORABILE: Frank: "Solo un uomo". Armonica: "Una razza vecchia ormai".
Come giustamente tutti fanno notare, è il malinconico affresco dell'epopea western inaugurata da Leone. L'elemento nuovo è l'importante presenza nel racconto di una donna, la splendida e brava Cardinale (oggi abbiamo la Chiatti...). In questa occasione, poi, Morricone diventa ancora più sceneggiatore che in passato, riempiendo minuti e minuti di film con le sue meravigliose musiche, facendo toccare all'opera vette molto emozionanti e toccanti, come in pochissime altre pellicole io abbia mai visto.
MEMORABILE: Il flashback pre-duello finale e le sei note sei di Armonica.
Vibrante nella sua ripetuta immanenza. Alcune scene sembrano interminabili eppur abbagliano. Grossolano come si conviene ad un western, polveroso e tenebroso. Lascia quel senso di sabbia sugli occhi, non so se perché è un anelito di sogno o per il desiderio di piangere. Malinconicamente poetico, con un Morricone al solito divino. Imperdibile. PS: oltre ad Argento ha partecipato al soggetto Bernardo Bertolucci.
MEMORABILE: -... Io sarei rimasto, ma non posso! -
Leone non è un narratore, non sa o non vuole raccontare. E’ un poeta, lavora di cesello sui dettagli e le atmosfere. Ed è un pittore, concepisce le inquadrature come quadri, non come parti di un discorso. Così, quasi tre ore di ritmo lento, sguardi, silenzi risultano estenuanti, più di un film di Bergman dove però silenzi e sguardi sono il senso stesso del film. A valere qui sono solo i frammenti (come la sequenza iniziale dell’attesa quasi beckettiana), non il film, che alla fine risulta noioso. Un poeta scrive poesie, non “Guerra e pace”.
Tra i migliori film del grande regista romano, ha il passo e il linguaggio cinematografico della grande epica del genere. Pregevole l'uso degli spazi per un autore che appare particolarmente a suo agio nei luoghi del grande cinema americano. Molto curata la descrizione dei personaggi, affidati ad attori di grandissimo spessore (Fonda tra tutti), tecnica cinematografica sublime ed uso come sempre personale della bellissima colonna sonora di Ennio Morricone.
Ottimo western firmato da Leone che, dopo un inizio letteralmente esplosivo, prosegue con buona lena per tutta la sua durata, toccando apici tecnici ed emozionali davvero notevoli. Bello e coinvolgente, non solo grazie alla regia di Leone, ma anche per merito di molti altri ingredienti tra cui il montaggio, le belle prove degli attori (specie Bronson e Fonda) e, ovviamente, la colonna sonora scritta da Morricone, che è semplicemtente indimenticabile, come d'altronde tutte quelle composte per i western del regista romano.
Western titanico che ci mostra l'idea di un Far West (e di un'America) più vicina a quella che Sergio Leone deve aver avuto da bambino, piuttosto che alla realtà storica. Certo è che il mito della frontiera, la nostalgia del vecchio West e l'odio per il progresso (rappresentato qui dal balordo magnate delle ferrovie, interpretato da Ferzetti) sono temi che non possono che far apparire il film del regista romano un po' retorico e provinciale; insomma meglio il western politico di Quien sabe? o Faccia a faccia. Ford è ancora lontano.
Dopo la trilogia in cui mette a punto, con successo, la sua personale visione del film western, Leone si trasferisce nella Monument Valley e gira questo film che contiene, sublimate, tutte le sue peculiarità affiancandosi così, a buon diritto, a tutti i maggiori rappresentanti del genere. 164 minuti di pellicola dove ogni scena è quasi un episodio a sé, con un cast rappresentativo, privo però dei suoi attori feticcio proprio per puntualizzare maggiormente la distanza dalle sue, pur pregevoli, opere precedenti.
Che dire, stupendo. Sono tante le cose memorabili: le musiche di Morricone, la scena d'apertura, la Cardinale... Le parole mancano di fronte a un film del genere, girato con perizia tecnica elevatissima. Entra di diritto nell'Olimpo dei migliori film di sempre. Ottimo.
Ahimè che delusione! All'epoca che mi dettero la vhs mi aspettavo il non plus ultra e invece il film è di una noia mortale. Leone vuol rifare gli americani e questo è un male, perché solo gli italiani sanno fare i western, sanno divertire senza parentesi romantiche o indiani. Invece il film è lento e pomposo; neanche i grandi attori possono salvarlo. Non ho mai capito perché la Cardinale dovesse essere una bella donna!
Il quarto western di Leone rinuncia ad eccessi e goliardia – questa reca traccia solo nel prologo e nella figura di Cheyenne, peraltro doppiato da Carlo Romano come Wallach – per assumere i toni elegiaci della decostruzione del mito e del tramonto di un'epopea: il treno sta per soppiantare i cavalli e Fonda, da sempre emblema dell’uomo probo del West, diventa ora in toto un cattivo. La pienezza delle immagini è investita da una regia d’autore con accorgimenti ed ellissi di montaggio e dall’epica colonna sonora di Morricone. Moltissime le citazioni dagli oaters classici. Ferzetti sublime.
MEMORABILE: L’incipit; la strage della famiglia e lo sparo che sfuma nel fischio della locomotiva; l’ellissi del duello tra Cheyenne e Morton; il flashback.
Incredibile summa che avrebbe la pretesa di dire tutto e contemporaneamente chiudere un genere: e si può dire che l'opera sia riuscita. Sotto l'aspetto puramente cinematografico, viene superato da Il buono, il brutto e il cattivo, superiore per storia, ritmo, personaggi ecc... ma anche questa è un'opera da incorniciare, davvero bella, epica, tragica come solo Leone sapeva fare.
MEMORABILE: Il finale: forse la migliore scena western di sempre; il motivetto suonato da Armonica.
Più che un film, un'esperienza. Va accettata con i suoi eccessi, le sue smodatezze, il barocco sfrenato di un film girato per sfregio ai produttori che ostacolavano il progetto di "Hoods" pretendendo da Leone un ultimo western. E Leone li accontenta, girando l'ultimo western possibile, alla fine della prateria, dove comincia la ferrovia, sorgono le città e la leggenda diventa cronaca. Tutti i cliché del genere hanno un posto, grande o piccolo, nella summa personale che Leone compila. Omaggio estremo o profanazione? Cinema assoluto.
MEMORABILE: Ogni ingresso di Cheyenne, accompagnato dal suo tema. E ovviamente il celeberrimo dolly a salire sulla stazione insieme al crescendo della musica.
Lento, enfatico, ma indubbiamente magnifico e malinconico western di Sergio Leone, che chiude un'epoca con l'avvento del treno a vapore (e dando l'addio al genere). Grandissimi attori utilizzati in modo sopraffino; Henry Fonda appare meno cattivo di quel che dovrebbe essere. Splendida la giovane Cardinale. Musiche maestose di Morricone, con l'impagabile tema dell'armonica.
È sicuramente, tra gli spaghetti-western, il film più intenso e più intriso di emozioni che io abbia mai visto. Complici il cast, la Monument Valley e lo sguardo di un bambino che conosce il suo destino. La crudeltà e la voglia di rinascita sono i sentimenti opposti che trasudano nel film. Le inquadrature, ben immortalate, scandite e trascinate sino all'esasperazione fanno di questo film un vero e proprio capolavoro della cultura del western italiano; quello con tanta umanità e pochi indiani. Un Grazie maiuscolo a Sergio Leone "the best".
Un film maestoso, sarebbe il capolavoro del regista se 14 anni dopo non fosse arrivato C'era una volta in America. La fine dell'epopea western vista con gli occhi di Sergio Leone, che forse in questo film dimostra maggiormente la sua capacità dietro la macchina da presa, soprattutto nei molti primi piani che inquadrano gli sguardi dei personaggi. Monumentale.
MEMORABILE: Vattene! Non mi va che mi guardi mentre muoio.
Velleitario tentativo di chiudere con il genere western recuperando la lezione classica e "fordiana": con cadenze da ballata, Leone vuole raccontare la fine dell'epopea della Frontiera, girando intorno a personaggi destinati ugualmente a morire. Ferrovia, metafora fin troppo facile del progresso che avanza. L'interesse dello spettatore cala: tempi fin eccessivamente dilatati e personaggi troppo laconici. Ha dalla sua uno scavo psicologico più approfondito affidato ad attori bravi e funzionali. Morricone fa guadagnare all'opera qualche punto.
La visione di un film di Leone è sempre una sfida: una giostra per gli occhi ma anche un "cimento" critico. I presupposti storico-socio-psicologici infatti, pur essendo nitidamente presenti, son soverchiati dalla particolate epica mitologica connaturata al suo stile, dimodochè unico parametro della percezione, come la sola griglia per il commento, resta il Cinema. Qui del west(ern) viene al contempo celebrata l'epopea e commemorata la fiaba tragica con un magistrale utilizzo di tutti gli artifici della 7a arte: attori, musica, montaggio. Omerico e chimerico.
L'era dei pistoleri volge al termine, adesso arriva un'arma più forte di quella d'acciaio: la mazzetta. Tutto racconta la fine di un'epopea, un'aria di dismissione perfettamente raccontata dalla musica di Morricone. Non il mio preferito di Leone, per via di alcuni tratti un po' troppo lenti, ma sicuramente un altro pezzo di storia del cinema.
Cinema dell’essenziale saputo innalzare a fondamentale, con un’architettura gotica che raggiunge valore epico e una (eccessiva) dilatazione che gli fa acquisire un respiro meditativo. Silenzi, spazi sconfinati, inquadrature che si soffermano su sguardi ed espressioni di ogni attore. Uno stile che Leone ha saputo far diventare scuola. La Cardinale è una meraviglia, cosa che rimarca lo stesso Robards quando le sussurra: “Tu non immagini quanta gioia mette in corpo ad un uomo una donna come te, anche solo a vederla". Musiche fantastiche. ***!
Il primo passo falso di Leone, a cui ormai il genere che l'ha reso famoso inizia a stare stretto. Il film, infatti, è un ibrido riuscito piuttosto male tra l'epicità fordiana e la tensione da spaghetti western, tipicamente leoniana. Il risultato non è dei migliori e l'eccessiva durata abbinata a una lentezza gratuita non aiuta affatto. Le musiche di Morricone e la fotografia sono eccezionali, ma non bastano assolutamente a salvare un film che non è mai in grado di coinvolgere lo spettatore.
C’era una volta il West ma ora non c’è più perché ucciso dalla ferrovia. Il mito della nuova frontiera come tale vivrà, d'ora in poi, solo nella leggenda e il film-favola che lo racconta in realtà celebra un funerale. Il passo lento accompagna il rito delle esequie, la cerimonia contemplativa dell’estremo saluto cristallizza una volta per tutte la memoria di quel mondo in un presente immobile e senza tempo. I tempi morti sono “le azioni” da filmare non delle mere morfologie delle stesse. Un film mausoleo. Bellissimo ma freddo, marmoreo e inaccessibile.
MEMORABILE: L'interminabile, silenziosa prima scena con i tre pistoleri in attesa della loro vittima è già un piccolo film giocato tra gag visive e stile epico.
Un Leone magistrale che rasenta la perfezione firma un altro capolavoro western, il quale non condivide lo stesso pathos, la stessa carica emotiva che accompagna gli scontri armati (basti pensare al triello) della trilogia del dollaro; qui, infatti, le pistolettate passano in secondo piano: elemento fondamentale diviene la diegesi, resa più complessa in un processo che culminerà con C'era una volta in America. L'eroe, dunque, acquista un'introspezione psicologica rilevante e non è più animato dalla gretta bramosia di denaro. Bravo il cast!
MEMORABILE: "Li chiamano milioni..." "Almeno lo fai buono il caffè?" "Come si fa a fidarsi di uno che porta insieme cinta e bretelle?..."
Grande film che sancisce la fine delle storie di frontiera, dei mesquite che rotolano al vento delle grandi pianure: il west sta cambiando in maniera inesorabile. Cheyenne muore come sta morendo il suo west con la consapevolezza dell'inevitabilità. Leone coglie alla grande le atmosfere, i personaggi di questo processo. Il racconto è perfetto anche se talvolta scade un po' nella cartolina, le musiche non hanno bisogno di commento. Da vedere almeno tre volte per capire tutto.
Al suo primo film americano, Leone avrebbe dovuto ricordarsi di Carosone: "siente a me, chi t'o fa fa'?". Il regista romano rinnega clamorosamente gli aspetti migliori della sua poetica (quella di un west mitologico umanizzato solo da un dissacrante cinismo) per misurarsi con l'epica storica (e l'esattezza paesaggistica) del western canonico. Il risultato non è certo disprezzabile, ma comunque al di sotto di ambizioni fastidiosamente megalomani (mentre il barocchismo non nuoceva al capolavoro precedente). Film faticoso, e infine solo discreto.
Spettacolare marcia funebre, epopeica, favolistica e antimitica che ritrae con modalità profondamente malinconiche la fine di qualcosa e la rinascita di un’altra, magari disincantata e non necessariamente ricca di speranza. Formalmente e tecnicamente sublime, di calibratissima attesa; lo score musicale del maestro Morricone ne impreziosisce lo sguardo elegiaco e al contempo il valore dei personaggi e le loro implicazioni. Narrativamente il solito Leone, ma qui l’immagine dona forma e contenuto.
C'è tutto Sergio Leone in questo film, nel bene (imponenza della messa in scena, narrazione di grande respiro, perfetto connubio tra musica e immagini) e nel male (lentezza a tratti esasperante, una certa tendenza alla megalomania). Splendida fotografia di Tonino Delli Colli e cast formidabile (Robards il mio preferito, ma a sorprendere in positivo è la Cardinale) al servizio di un western classico e crepuscolare, dove l'avvento del progresso (simboleggiato dalla ferrovia) sancisce la fine di un'epoca. Quasi una pietra tombale del genere.
MEMORABILE: Il primo incontro tra Robards e la Cardinale; La sparatoria sul treno; L'asta; Il finale.
Se John Ford ha raccontato La conquista del west da parte dei pionieri, Sergio Leone, aiutato dalla sceneggiatura di Bernardo Bertolucci e Dario Argento, si occupa della sua fine. Si parla dell'avanzare della ferrovia e del fatto che il west come lo conosciamo volge al declino. Charles Bronson rinuncia ai suoi baffoni per impersonare il vendicativo Armonica e lo fa bene, ma la grande sorpresa è Henry Fonda nel ruolo del perfido Frank (lui, uno dei buoni di Hollywood per antonomasia). Grande la prostituta di Claudia Cardinale. Ritmo lento.
MEMORABILE: Le performance del baffuto Jason Robards che dice alla Cardinale: "Hai fatto il caffé?"; Il disabile ma ricco mister Morton di Gabriele Ferzetti.
Un meravigioso addio a un'epoca, a un modo di vivere, a uomini condannati a sparire dal progresso, dalla corruzione e da una nuova violenza portata dal capitalismo simboleggiato dalla ferrovia destinata a congiungere il Pacifico con l'Atlantico. Film profondamente poetico, malinconico, non privo delle idee di Dario Argento che nella sceneggiatura, riveduta più volte, lascia qualche sprazzo. L'affresco è perfetto, i tempi diversi dai film della prima trilogia e per questo molto potenti ma poco adatti a un pubblico "immaturo". Immenso Morricone.
Maestosa ed epica celebrazione della fine di un mondo, tecnicamente perfetta (Leone si dimostra un virtuoso dei primi piani e dei paesaggi immensi, che ben si sposano con una delle migliori colonne sonore di Morricone). Malgrado i tempi dilatati, le vicende raccontate sono coinvolgenti, grazie anche alle caratterizzazioni dei personaggi, interpretati da un ottimo cast (memorabili Henry Fonda in un ruolo per lui inconsueto, Bronson, Robards e la Cardinale).
Il western più ambizioso di Sergio Leone, omaggio a John Ford, tutto girato nella Monument Valley. Il soggetto dei giovani Dario Argento e Bertolucci porta una vena anticapitalista. La figura della Cardinale, atipica nel genere, risalta nel suo splendore accanto a un cast maschile che vede Henry Fonda per la prima volta "cattivo". Celebri le musiche di Morricone e il tema con la voce della soprano Edda Dell'Orso.
MEMORABILE: La strage dei McBain; L'arrivo della Cardinale alla stazione; Il duello finale.
Nel cinema-mondo di Leone ci si può perdere, ci si può trovare a proprio agio, ci si può annoiare, ci si può divertire: pur sembrando una parodia del Cristo verdoniano, questa breve introduzione serve per dire che C'era una volta contiene tutto quello che il caro Sergio era e tutto il suo modo di fare cinema. E quindi ci sono i tempi dilatati e le parti non necessarie che fanno addormentare ma poi ci sono anche i personaggi, il mondo morente del west divorato dal ferro, la mdp che regala godimento (ciao Quentin!). Per il genere, totale e definitivo.
Filmone lunghissimo, formato da numerose inquadrature e sequenze spesso interminabili, per fortuna almeno accompagnate dalla meravigliosa colonna sonora di Morricone, che da sola costituisce metà del successo del film. La storia, appunto tirata per le lunghe, poteva durare decisamente meno senza perdere in fascino. Costumi e location mozzafiato, con lo sporco e la polvere presenti in tutta la pellicola. Non mi è piaciuto per niente Charles Bronson. Inadatto per quel personaggio. Dialoghi magnifici e battute brillanti.
MEMORABILE: Ho visto tre spolverini proprio come questi tempo fa. Dentro c'erano tre uomini. E dentro agli uomini tre pallottole.
Netta virata dallo spaghetti western, che qui è solo una veste di scena, al poema epico immortale. Ambizioso e molto lento, si basa sulla costruzione della ferrovia che deve arrivare fino al Pacifico e si fa strada distruggendo il mondo del west narrato nella precedente trilogia del dollaro. I personaggi sono fantastici (forse il migliore è proprio Morton) e recitati benissimo, ottima l'idea di associare una certa musica a ognuno. Anche il duello finale si fa più epico rispetto a quelli di Clint Eastwood.
MEMORABILE: Norton, che voleva raggiungere le onde dell'oceano, si ritrova a sguazzare in una pozzanghera.
La lentezza è solo apparente; in realtà è meno immediato ma più sofisticato di quanto Leone aveva fatto vedere nelle tre precedenti opere. Il pathos c'è in tutti i personaggi, ma Cheyenne si distingue per una saggezza e un'autoironia che lo rendono quasi un "unicum" e non solo nel genere western. Anche perché quello che fa capire come stia per nascere una nazione da una selvaggia terra di conquista son proprio le parole che dice a Jill prima di esser costretto ad accomiatarsi da lei, ed è una frase che fa dimenticare molta della crudeltà vista prima.
MEMORABILE: "Tu non immagini quanta gioia mette in corpo a un uomo una donna come te, anche solo vederla" (e anche il seguito, se non si sbanda dal contesto!).
Primo capitolo della cosiddetta "trilogia del tempo" di Sergio Leone. Un film lirico, triste, un affresco sulla fine dell'epopea western e l'inizio dell'era moderna e del progresso. Ma anche un grande omaggio del regista al western classico e ai suoi autori, primo fra tutti John Ford (la Monument valley, Fonda). Cast straordinario e malinconiche musiche di Morricone.
Il western più ambizioso di Leone, che abbandona parzialmente gli aridi paesaggi nostrani a favore della Monument Valley, affida il ruolo del cattivo all’integerrimo Fonda e si accoda alla corrente crepuscolare del genere evocando il passaggio dalla frontiera selvaggia alla civiltà moderna. Certo alcune sequenze sono capolavori di regia e montaggio e la fusione tra immagini e musica è altamente suggestiva, ma l'insieme appare poco scorrevole e narrativamente contorto; e poi certe macchiette come quelle di Stoppa sono decisamente fuori luogo...
MEMORABILE: L’iniziale sequenza muta dell’arrivo di Armonica; Il flashback sulla morte del fratello di Armonica; Jill che porta l’acqua ai lavoratori ferroviari.
Film indimenticabile, rappresenta la fine di un'epopea e di un genere che dopo non sarà più lo stesso. La musica di Morricone è da nodo alla gola e sulle sue note danzano al (lento) ritmo del film alcuni tra i più grandi attori dell'epoca, tra cui primeggia Charles Bronson, forse alla sua prova migliore. È però vero che alcuni momenti sono inutilmente lenti e che ci sono passaggi di scena poco chiari e approssimativi. Da brividi il flashback. Una perla, anche se non la più bella.
Uno di quei (pochi) film per i quali ha molto senso cercare di approfondire: qui siamo al cospetto di una opera d'arte, di una poesia, di una sinfonia (in tutti i sensi, considerando la fantastica colonna sonora) che rimarranno eternamenti scolpiti nella storia dell'uomo. Leone prende per mano il concetto di vendetta, di rivincita e lo accompagna per mano nella vastità del leggendario west, lungo la strada per il futuro e tutti i cambiamenti che esso porterà. Ogni visione è pura estasi per i sensi.
MEMORABILE: Le riprese nella Monument Valley, assolutamente pazzesche; Bronson; La colonna sonora di Morricone, tra le cinque più belle mai scritte per il cinema.
Notevole spaghetti western firmato Sergio Leone. Quello che colpisce di più, oltre alla storia (discreta), sono i momenti di silenzio, gli sguardi dei personaggi, i primi piano e i dialoghi. Non siamo ai livelli dei tre precedenti western diretti da Leone, ma come si può rimanere indifferenti di fronte a un film del genere? Ottimo il cast, su tutti Jason Robards.
Leone, dopo la nota trilogia, regala un affresco magniloquente, ieratico e soprattutto perfetto in ogni momento, a cominciare dal magnifico inizio. Certo, la lunghezza può penalizzare, ma con un cast monumentale si realizza qualsiasi cosa. Fonda e Bronson gestiscono la situazione, ma Robards e soprattutto la Cardinale finalizzano la narrazione in maniera eccelsa. Probabilmente non un capolavoro ma un film che è tutto del grande regista romano.
Non l'ultimo western di Leone, ma probabilmente il suo testamento cinematografico. I tempi sono dilatati in maniera maniacale (notare l'interminabile incipit alla stazione) e il racconto assume i contorni del poema epico, mostrando la fine di un'epoca in cui la ferrovia avanza inarrestabile e il progresso non lascia vincitori, ma solo vinti. Leone perde Eastwood (e non è poco), ma Bronson è all'altezza, mentre Fonda, ben oltre la maturità, regala una delle sue interpretazioni migliori. Musiche di Morricone mai così congeniali alla narrazione.
MEMORABILE: "E di questo che ne facciamo, Frank? " "Ora che hai fatto il mio nome...".
Un appezzamento di terreno è ambito per il passaggio della futura ferrovia. Western stavolta senza indiani in cui protagonista è la cupidigia umana. La parte iniziale è un capolavoro per l’originalità dell’utilizzo dei suoni ambientali che danno quasi un senso musicale. La trama viene svelata lentamente e in qualche frangente risulta frammentata nei vari passaggi. Il migliore è Fonda nel ruolo atipico di cattivo, Bronson è il calmo jolly, la Cardinale bellissima. Chiusura "progressista" che lascia poco in sospeso.
MEMORABILE: L’inquadratura dall'alto della cittadina; Lo sparo dal tetto del treno; L’impiccato appeso in piedi sulle spalle; L’asta a 5.000 dollari.
Incipit fulminante, epilogo struggente, nel mezzo un racconto esemplare del momento di passaggio dal vecchio west delle praterie sconfinate percorse da cavalli al galoppo al nuovo west della strada ferrata in cui c'è poco posto per i pistoleri solitari. Se i tre film della trilogia del dollaro erano ballate, questo è epico, con quel che comporta anche in termini di rischi di ridondanza retorica. Ma bastano gli occhi chiari di Fonda, il sorriso sghembo di Robards, lo sguardo a fessura di Bronson per rendere indimenticabile il film, insieme all'imprescindibile ost di Morricone.
MEMORABILE: Il motivo dell'armonica a bocca; Il flashback con l'impiccagione del ragazzo.
Dopo un capolavoro Leone non può abbassare il livello e allora alza il tiro con il proposito di regalare un film epico, narrando in qualche modo la fine di un'era e l'inizio di una nuova. Certo, questo ha dei costi e allora il film si presenta meno immediato del precedente, meno apparentemente lineare (con personaggi che si delineano e una storia che comincia a prendere forma dopo più di un'ora). Però è sempre grande cinema, con attori superbi, scene corali stupendamente "dipinte" e il contrappunto fantastico di un sempre ispirato Morricone.
Dopo una trilogia di avventure indimenticabili per quanto estremamente lineari (e a tratti fumettistiche), Leone si dedica a uno script più complesso e sfaccettato (cui collabora anche Argento). Alle solite atmosfere epiche fondate sulla forza dei silenzi (il prologo) si sommano tocchi di umorismo beffardo che qui costituiscono una sorta di parodia invisibile del western americano classico (Fonda nei panni del super-sadico Frank ne è un esempio). Il ritmo è molto lento e non si raggiunge l'iconicità de Il buono, il brutto e il cattivo, ma resta uno degli titoli più nobili del genere.
MEMORABILE: Le musiche di Morricone; La famiglia massacrata; Ferzetti con grucce e busti; L'ambiguo stupro della Cardinale; Il crudelissimo flashback rivelatore.
Come si spiega il boom europeo e il gelo americano al botteghino? Un western su soggetto di Dario Argento e Bertolucci non poteva certo prevedere solo tòpoi di genere, più graditi al pubblico Usa. La ricca e rifinita storia della vedova McBain è al servizio del puro cinemascope di Leone: i 16/9 schiacciati dalle bande nere confinano i cappelli dalle ampie tese dei pistoleri e il contorno occhi di una Cardinale massimamente pregnante. Il ralenti recitativo fa stile, pesando gesti, rumori, parole. Le musiche di Morricone sposano cielo e deserto.
MEMORABILE: La colonna sonora diegetica delle prime battute; L'asta sotto minaccia.
La visione western di Sergio Leone trova compimento nell'ultima pellicola dedicata al genere. Storia meno avvincente, inesorabilmente più lenta, meno ancorata alla caratterizzazione dei personaggi e ai colpi di scena della trama, quanto più ad una riflessione - visiva, strutturale, iconografica - sul genere, sull'epoca e sul mezzo cinema. Armonica, Cheyenne, Frank: antagonisti e "buoni" una volta tanto gravitanti intorno a Jill, donna forte (ma ancora accessoria) del quale sguardo siamo partecipi. La coppia Leone-Morricone allo zenith creativo, con un grande team di collaboratori.
Un classico del cinema western firmato dal maestro Leone, il film si segnala per una certa lentezza generale che viene compensata dalla bravura del cast: Bronson e Fonda sono i migliori, e le loro espressioni facciali sono di quelle che non si dimenticano; non male nemmeno la prova della bella Cardinale. La vicenda è piuttosto statica nella prima parte, salvo poi riservare parecchie sorprese nel finale. Consigliato ai fan del genere, ma si tratta in ogni caso di un classico da conservare.
MEMORABILE: Il duello finale, con tanto di flashback.
Il maestro Leone si fa prendere la mano e getta alle ortiche un bel pezzo di epica che si era stra-guadagnato facendo ben tre centri uno dopo l'altro, meglio che i suoi eroi dai vistosi cinturoni. Quasi una serie di scimmiottamenti in fila: a partire da quello di Bronson che non è Eastwood, per passare da Fonda che non è Van Cleef, fino a Robards che fa le misere veci dell'impareggiabile Wallach, col doppiaggio di Romano "vagamente" saccheggiato. La Cardinale resta in beIlissima mostra, ma il grande impianto tipico stavolta cede. Dispiace ammetterlo: c'era una volta il western.
MEMORABILE: La pacca che Robards riserva alla Cardinale è quanto di più evitabile si potesse sceneggiare: resta volgarmente impressa oltre la sconcezza del gesto.
Solenne e ieratico, avanza inarrestabile per tre ore di pura maestosità, in ogni inquadratura, in ogni movimento, in qualsiasi sguardo sottolineato da un Morricone epico e definitivo. Scritto da tre geni; Leone, Bertolucci e Argento, raggiunge un equilibrio in fase di sceneggiatura probabilmente irripetibile. Fonda, che inizia sterminando una famiglia con tre minori, è un cattivo mai visto, la Cardinale uno dei rari personaggi femminili che abbia un ruolo centrale in un western. Siamo di fronte a un'opera perfetta; malinconica e allo stesso tempo munita di rotaie verso il futuro.
Inferiore al secondo e al terzo capitolo della trilogia del dollaro ma rimane un eccellente film, pur con una lunghezza non indifferente che comporta qualche calo nel ritmo. Degna rappresentazione del canto del cigno del vecchio West dei pistoleri, destinato a venire soppiantato dalla modernità rispecchiata nella ferrovia in espansione. Bronson non ha il carisma di Eastwood ma il suo volto di pietra resta impresso, così come sono memorabili il malvagio dagli occhi di ghiaccio di Fonda e un Robards che si fa altrettanto valere. Regia, fotografia e OST eccellenti come d'abitudine.
MEMORABILE: La colonna sonora; "Suona qualcosa a tuo fratello".
Leone cambia il suo stile e si rifà al western classico consegnandoci un film lento ma epico, con uno sviluppo importante dei personaggi e alcuni autentici pezzi di maestria registica (come i primi dodici minuti di film). Cast di prestigio, con tutti al posto giusto e un Fonda spietato come non mai. Indissolubili dalla gloria del film le musiche di Morricone, che regala una delle sue soundtrack migliori di sempre. Un must.
Pellicola con la quale Leone va in un certo senso a completare il percorso intrapreso con la trilogia del dollaro sia nei modi che nei tempi, andando a chiudere la sua personale visione del vecchio west. Dialoghi pesati, regia come sempre impareggiabile, perfettamente in parte il cast. Morricone è in stato di grazia con una delle sue migliori creazioni musicali in assoluto, che si sposa al meglio con lo stile del regista romano. Finale da mozzare il fiato.
MEMORABILE: Il flashback esplicativo più volte interrotto precedentemente; Morricone; "Ce ne sono due di troppo".
Western dal sapore più americano, per Leone, tanto che ci sono anche parti girate negli Stati Uniti. Non mancano comunque gli ingredienti classici e più divertenti del regista, come i duelli dai tempi dilatati accompagnati dalle sempre ottime musiche di Morricone. Notevoli pure la trama e i personaggi: Harmonica, con la sua... armonica, è azzeccato per l'ambientazione nel Far West, ed è riuscita pure la sua storia personale. Buon cast di attori, tra cui nomi noti del cinema italiano, oltre a famose star Hollywoodiane.
Lasciando da parte il suo canonico stile, Leone fa un passo indietro, virando verso i flemmatici e pomposi western americani di stampo fordiano. Dal punto di vista registico è un capolavoro assoluto e il miglior western di Leone, che dimostra una tecnica registica magistrale come mai prima aveva mostrato. Ottimo anche il cast affidato ad attori strepitosi come Bronson e Fonda, che tengono in piedi un film ij cui la fluidità è piuttosto lenta. Ottima la colonna sonora di Morricone. Peccato per la scorrevolezza e per la durata poco giustificata.
MEMORABILE: L'epilogo iniziale.
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HomevideoRocchiola • 15/05/19 10:18 Call center Davinotti - 1274 interventi
Di questo film esistono tre versioni: quella integrale cinematografica di 165 minuti, quella ridotta a 145 minuti dalla Paramount per il mercato americano e quella director’s cut di 175 minuti rimersa negli anni 90 per il mercato home-video italiano. Tralasciando la versione scorciata di 145 minuti che è priva di qualsiasi interesse, in quanto rende il film ancor più frammentario e contorto di quanto già non risulti nella versione completa, bisogna precisare che sul mercato italiano è attualmente disponibile solo la versione cinematografica di 165 minuti restaurata nel 2007 da Sky Cinema in collaborazione con la Cineteca di Bologna. Questo restauro fù edito inizialmente solo in DVD dalla Mondo nel 2007 per poi essere utilizzato per la prima pubblicazione in bluray del 2013 a cura di 01 Distribution/Rai Cinema e la riedizione del 2018 nella serie “Gli indimenticabili” curata da Eagle. Inoltre il restauro del 2007 è stato adottato anche in televisione dove ormai da più di un decennio viene trasmessa la versione ufficiale di 165 minuti mentre a partire dalla metà degli anni 90 fù invece trasmessa la director’s cut. Questa versione di 175 minuti è stata appunto restaurato a metà degli anni 90 secondo le indicazioni originarie dello stesso Leone ed edita prima in VHS e poi in DVD dalla CVC. Come precisato nel DVD il restauro venne realizzato da Tonino Delli Colli, Fausto Ancillai, Alessandro Baragli e Patrizia Ceresani con la collaborazione di Ennio Morricone e Nino Baragli e finanziato da Sergio Leone Production, Telepiù, Centro sperimentale di cinematografia e Cineteca Nazionale. I 10 minuti aggiuntivi riguardano brevi inquadrature aggiunte in alcune delle scene principali, nonché alcune differenze di montaggio rispetto alla versione cinematografica. Inoltre la fotografia fu ingiallita mediante filtri per volere del direttore della fotografia originaria Delli Colli. Per chi fosse alla ricerca di questa edizione è pertanto necessario cercare il vecchio DVD della CVC che è ormai fuori catalogo da anni e pertanto di difficile reperimento. In merito è necessaria una precisazione, del DVD director’s cut esitono due edizioni entrambe marchiate CVC. La prima del 2000 presenta un video rimasterizzato nel formato 1.85 con evidente taglio dell'immagine ai lati. La seconda risalente al 2002 ripristina invece il corretto formato panoramico 2.35. In ogni caso il restauro della versione director’s cut è pessimo in quanto l’immagine appare densa d’imperfezioni, piena di grana e piuttosto scolorita e come già precisato tendente al giallo. Mentre il restauro della versione cinematografica del 2007 appare decisamente più risuscito grazie ad un’immagine adeguatamente ripulita e dai colori più naturali e vivi. Quindi bisogna decidere se è meglio avere i 10 minuti in più oppure privilegiare la qualità tecnica dell’edizione cinematografica di 165 minuti.
HomevideoZender • 15/05/19 12:17 Capo scrivano - 48271 interventi
Quindi dovrei proprio avere quella giusta, ovvero il dvd della versione da 175 minuti in formato 2.35:1. L'ho riguardato e in effetti si vede che tende un po' al giallo, ma non l'ho trovata affatto così pessima francamente...
Davvero interessante il tuo intervento Rocchiola. Grazie per le precisazioni sulle varie edizioni.
Devo controllare che edizione ho. Direi quella riportata da Zender, ma non ne sono sicuro al 100%.
HomevideoRocchiola • 16/05/19 10:11 Call center Davinotti - 1274 interventi
Il DVD indicato da Zender è attualmente l'unico supporto home-video che permette di visionare la versione director's cut del film nel corretto formato panoramico 2.35. La qualità dell'immagine non è malaccio ma presenta comunque diverse imperfezioni (macchiette e puntinature) che dopo un restauro dovrebbero sparire, come infatti succede nella versione da 165 minuti proposta in bluray.
Certo meglio della prima versione CVC che non rispettava l'originale aspect ratio e di cui riporto qui la copertina (questo sì è da evitare come la peste!!!):
Ho anch'io il DVD della seconda edizione CVC: l'ho visionato ieri con videoproiettore e devo dire che per essere un SD si difende bene. Ci sono imperfezioni e la luce tende al giallo, ma nel complesso la visione è piacevole.
Rocchiola ebbe a dire: Il DVD indicato da Zender è attualmente l'unico supporto home-video che permette di visionare la versione director's cut del film nel corretto formato panoramico 2.35. La qualità dell'immagine non è malaccio ma presenta comunque diverse imperfezioni (macchiette e puntinature) che dopo un restauro dovrebbero sparire, come infatti succede nella versione da 165 minuti proposta in bluray.
Certo meglio della prima versione CVC che non rispettava l'originale aspect ratio e di cui riporto qui la copertina (questo sì è da evitare come la peste!!!):
Codice sul retro > DS06S256
Codice a barre: 8024607002566
La cosa strana è che, il disco ha la serigrafia identica all'altro!
Durata > 2:50:45
P.S.: All'inizio appaiono dei cartelli con su scritto che è la versione integrale, ecc.
HomevideoRocchiola • 15/06/19 18:43 Call center Davinotti - 1274 interventi
Ho recuperato una copia dell'atra edizione CVC che presenta il corretto formato panoramico 2.35.
Devo dire che non solo il formato è coretto ma anche la qualità è migliore di quella con la copertina giallognola.
A parte qualche puntinatura quasi impercettibile il video è pulito, la definizione è discreta, peccato solo per quella componente giallognola che permea molte scene uniformando la colorazione.
Audio mono discreto o 5.1 di buon livello ed un po' più ricco a livello di soundtrack.
Se si vuole avere la versione integrale di 175 minuti, questo è l'unico supporto in italiano di qualità, altrimenti ci si accontenta della versione da 165 minuti disponibile anche in bluray.
DiscussioneAlex75 • 9/06/20 14:37 Call center Davinotti - 710 interventi
Zender ebbe a dire:
Dupea, copio qui il tuo commento che non è un commento al film ma al cinema di Leone:
Ad un certo punto, durante la visione di C'era una volta il West, è iniziata la panoramica su un primissimo piano di Charles Bronson, cominciata sul suo occhio destro. Sono andato a lavorare e quando sono tornato, dopo 6 ore, la panoramica stava proprio allora arrivando all'occhio sinistro. I concetti di economia espressiva e senso della misura artistica sono evidentemente estranei a Leone. Proprio per questo piace a molti, ma l'unico suo film che io ho apprezzato è stato Per un pugno di dollari, il solo ad ad avere queste qualità.
Premesso che lo considero un ottimo lavoro, devo ammettere che, tra i film leoniani, è stato per me quello più faticoso e impegnativo da seguire. Arrivare ai titoli di coda è stata una grande soddisfazione.
Salve, ho acquistato da poco la seconda edizione CVC: quella con l'A.R. corretto per intenderci, ma trovo due anomalie: - la durata è 170 minuti: cio' è dovuto sicuramente all'accellerazione PAL del 4%, ma in quel caso la durata effettiva a 24fps non sarebbe più 175 minuti bensì circa 177; - all'inizio non ci sono i cartelli indicanti che è la versione integrale. L'EAN è questo 8024607004256. Potrebbe esserci in giro una "quarta versione"? C'e' qualche scena dove potrei accertarmi con precisione che trattasi della D.C.?