Quando Fernando Di Leo decide di fare un bel film, e con IL BOSS tali intenzioni sono evidenti, ne esce un capolavoro, come fu per MILANO CALIBRO 9. Qui siamo al cospetto di uno dei più complessi, psicologicamente perfetti esempi di mafia-movie mai girati in Italia (e non solo). Il ritratto, lo spessore che il regista riesce a dare ad ogni personaggio ha del sublime, tanto che la bravura degli attori sembra quasi secondaria; le loro frasi, i loro gesti, sono studiati fin nei minimi dettagli. Coadiuvato dall'ottimo montaggio di Amedeo Giomini, dalla fotografia sporca e affascinante di Franco Villa e da una colonna sonora (del fido...Leggi tutto Luis Bacalov) che si integra alla perfezione con le immagini, Di Leo inventa (sulla base del romanzo di Peter McCurtin "Il mafioso") un soggetto e una sceneggiatura ammirevoli per la chiarezza con cui spiegano una storia complicata e folta di doppi giochi. IL BOSS non è mai prevedibile, crea notevole suspense proprio in virtù di colpi di scena sempre spasmodicamente attesi. E anche quando sembra che il ritmo freni c'è sempre da seguire qualche straordinario dialogo. Pensiamo alle sequenze in commissariato, dove l'eccellente Vittorio Caprioli si produce forse nella sua più riuscita caratterizzazione, quella del questore sarcastico incapace di porre termine al fenomeno mafioso, e se la prende con Gianni Garko, che a sua volta trova per il suo commissario Torri un’interpretazione quanto mai felice. La capacità di Di Leo sta insomma nel caricare d'interesse ogni scena, arricchendola di quel tocco personale, di quella cura per il dettaglio che ne hanno fatto il più importante esponente del "noir" made in Italy. Henry Silva, da parte sua, offre il volto da freddo gangster per quella che, per lui pure, resta una performance da consegnare agli annali.
La prima scena (la proiezione privata con contorno di lanciagranate) fa già capire con chi si avrà a che fare: un sicario più simile a un cyborg (meno espressivo di Terminator) e perennemente incazzato (ha comunque poco da ridere). Eppure, alla fine si dimostrerà più umano di quelli che gli ruotano attorno e ne muovono i fili. Non convince il rapimento (soprattutto la rapita e il suo atteggiamento), ma a parte questo, la pellicola non delude. Film crudo (i corpi dilaniati), senza via d’uscita. Si respira aria fetida e pesante. Davvero notevole.
Eccezionale prova registica. Già i titoli di apertura sono da antologia, poi la colonna sonora, accompagnata a un montaggio serrato, rende la visione quasi ipnotica. Un Henry Silva come mai si era visto, glaciale e a prova di proiettile! Un noir poliziesco in tinta mafiosa che non sfigura affatto comparato con capolavori del regista come Milano calibro 9 e La mala ordina. Un film crudo e troppo veloce perché la pietà vi faccia breccia. Da vedere e rivedere.
Il noir alla Di Leo: violento, nichilista, cinico accusatore dei connubi tra mafia e politica. Regia magistrale e attori e caratteristi tutti in gran forma: Silva al solito perfetto come killer infallibile e imperturbabile, la Santilli molto brava ed espressiva, nonché al top della bellezza e della disinibizione. Grandissimi Caprioli, Garko, Capponi. Solenni musiche di Bacalov.
Discreto poliziesco di Di Leo, sicuramente però inferiore a Milano calibro nove. Non tutto convince a partire dalla recitazione di Henry Silva, bravo ma troppo monocorde: ha una sola espressione per tutto il film, per finire con alcune parti della trama (il personaggio della Santilli si comporta in modo poco credibile); comunque la mano del regista è felice e riesce a restituire un film teso e godibile.
Grande film di Di Leo, tra i suoi migliori. Alcune ingenuità presenti nella sceneggiatura vengono ampiamente riscattate da una regìa intelligente, che sa valorizzare gli elementi a sua disposizione. Ottimi attori anche nelle parti secondarie (su tutti un Pier Paolo Capponi superlativo nell'interpretazione di Cocchi il calabrese) e una stilizzazione del killer degna di nota. Funzionale in questo senso la scelta di un attore fortemente monoespressivo come Henry Silva. Il finale può spiazzare, ma riflettendoci sopra è un coupe de théatre notevolissimo.
Interessante e confermante l'abilità del regista, pur non assurgendo a livelli eccellenti (il finale è prevedibile, Silva è monotono nella sua atonica inespressività, la Santilli è assai affascinante ma ricopre un ruolo inverosimile, che può essere credibile solo per questioni di... cuore). Su tutti un grande Vittorio Caprioli, sornione, divertente e divertito, che parla spesso per anàfore, il che richiama alla mente quella, celeberrima e tremenda, che chiude Milano calibro 9 ("Tu, uno come Ugo Piazza..."). Da vedere, senza dubbio.
Gemello e complementare -sul piano narrativo- al noir Milano Calibro 9, con particolare attenzione rivolta a tratteggiare loschi (ma a suo modo trasparenti) figuri, resi credibili -in maniera eccellente- da interpretazioni indelebili nella cinematografia di stampo italiano. La glaciale figura di Lanzetta (Henry Silva) e quella -non meno gelida- del potente Don Corrasco (Richard Conte), vengono affiancate dal commissario Torri (Gianni Garko) mediante l'utilizzo di uno script scorrevole, animato, sempre attento alla verosimiglianza psicologica. Eccellenti le disgressioni del bravissimo Caprioli.
Con Milano Calibro 9 e più del precedente, il capolavoro del regista. Basterebbe la scena iniziale, di una violenza inaudita, a consegnare il film alla storia, ma anche il resto non è da meno. Violentissimo, con personaggi tratteggiati benissimo dalla penna di Di Leo, con una tensione altissima, senza cedimenti di sorta e un gruppo di attori di indiscutibile bravura. Silva è impeccabile come sempre, Conte un boss spietato e perfetto, Capponi un killer sanguinario notevolissimo, Caprioli eccezionale come sempre e Garko è eccellente. Cult assoluto.
Bel noir violento, nichilista ed a tratti un po' eccessivo e prevedibile (specie nella parte finale) che fa letteralmente a pezzi il mito dell'uomo d'onore. Decisamente inferiore al precedente La mala ordina ma comunque un gran film, sicuramente superiore alla media di genere, grazie soprattutto alle scene d'azione girate con la solita magistrale bravura dal regista. Silva, invece, come al solito, ha sempre la stessa faccia da stoccafisso.
Splendido questo film di Di Leo: attori tutti in parte, uno spaccato della mafia siciliana e dei suoi rapporti con la politica come raramente si è visto. Caprioli da Oscar quando s'incazza col commissario, complimenti a Di Leo che ci ha visto giusto. Bello anche il cammeo del regista come guardaspalle. Ottimo il documentario allegato al dvd.
L'ultimo capitolo della trilogia sulla mala organizzata si distingue per una profonda negatività che ne pervade la storia e i personaggi. L'onore e il rispetto che pure emergevano nel crudele mondo di Milano calibro 9 sono sostituiti dalla filosofia cinica e anarchica del cane mangia cane. Sconfinando coraggiosamente nelle connivenze tra la mafia e il potere politico ed ecclesiastico, in un disperato atto di denuncia, Di Leo ci dà un quadro sorprendentemente pessimistico dei perversi meccanismi di potere che regolano il nostro paese.
Memorabile. Di Leo più che dei polizeschi firma dei noir in stile americano, ma lo fa con un piglio personalissimo ,tirando fuori il meglio da attori sulla carta non eccelsi ed in più sovvertendo, in fase di sceneggiatura, qualunque regola o codice d'onore della malavita. Stracult la scena d'apertura.
In realtà è un filo miserabile e asfittico; nonostante le buone idee e una regia a tratti efficace e personale. Ma sembra mancare il respiro a questa pur onorevolmente macabra e nichilista storia di successioni mafiose. Ottimo Caprioli come commissario stanco e sarcastico; così Capponi. Silva funzionale ed efficace. In negativo Santilli (che non è neanche tutta sta gran figa) e soprattutto un pessimo Garko sicilianizzato. Sì è vero, si respira aria fetida e questo è un bene. Musiche copiate da Soft Machine 7 dell'omonimo gruppo inglese.
Con Milano Calibro 9 è da ritenere il capolavoro del regista. Violento e con personaggi tratteggiati alla perfezione dalla sceneggiatura di Di Leo, con una tensione sempre altissima e un gruppo di attori di indiscutibile bravura. Silva è il killer infallibile e imperturbabile, Conte l’anziano boss spietato e perfetto, Capponi un calabrese sanguinario e Vittorio Caprioli il questore napoletano, eccezionale quando s'infuria al commissariato. Un vero spaccato della mafia siciliana e dei suoi stretti rapporti con la politica. Imperdibile.
MEMORABILE: La sequenza iniziale, con la proiezione al cinema privato di un film per adulti.
Cinico e mascolino, galoppante una sceneggiatura geniale, piena di ribaltamenti e voltafaccia - in un gioco quasi intellettualistico - appena indeciso se badare all'anima della denuncia sociale o solo a quella ludica dell'intrattenimento (vince quest'ultima) il film è un eccellente esempio di noir all'italiana. Di Leo, grande affabulatore, ha una visione organica e molto razionale del racconto per cui nella tempistica non perde mai un colpo. Fatta salva l'inespressività retorica di Silva e le voglie matte della Santilli, gli altri comprimari son papabili, per quanto definiti a colpi d'accetta.
Un ABC senza precedenti per capire la solidità e le origini della mafia. Impagabile la determinazione del protagonista... non a caso nella giungla sopravvive la specie contemporaneamente più feroce e più scaltra. Non vale la pena di dilungarsi: assolutamente da vedere.
MEMORABILE: "Sono cinque giorni che ti ho tra le gambe e non faccio altro che fotterti. Mi sto rammollendo per una zoccola ninfomane... e fuori succede l'inferno!"
È sicuramente uno dei migliori film italiani del genere che abbia visto. Ha molte assonanze con Il padrino di Coppola, ma forse qui c'è più realismo e meno prevedibilità. Di Leo è pignolo nelle scene (come d'altronde in La mala ordina) e questo sicuramente non è un difetto. Notevoli i dialoghi, specialmente quelli del questore col commissario Torri e con l'uomo dell'antimafia. Il boss è uno specchio dell'andazzo della società italiana di allora, ma anche di oggi. Grande Di Leo.
Di Leo si supera con questa opera. Un film ambientato in Sicilia e quindi di ambiente mafioso, dove si evidenziano, tramite vicende interne a Cosa Nostra, le denunce nei confronti di organi superiori e delle autorità corrotte. Henry Silva convince anche se non si scopre come un bravissimo attore e molte scene sono richiami al cinema americano. Ottimi Capponi e il questore napoletano.
MEMORABILE: Cocchi che fa il suo discorso alla figlia di D'Aniello nel cantiere.
Un capolavoro. Infastidisce vedere questi ottimi prodotti italiani scartati mentre mediocrità americane vengono esaltate. All'inizio farà storcere il naso la scena davvero troppo esagerata di Silva che spazza a suon di granate dei mafiosi, ma poi il film si riporta sui binari della realtà. Superbi gli attori: ottimi Silva, Capponi e Conte, non male i restanti. Azione, criminalità, politica: non manca niente da vedere e apprezzare. Giù il cappello.
MEMORABILE: Il discorso di Cocchi, le uscite di Howard Ross.
Palermo come Milano come New York. Di Leo chiude il cerchio. Ottimo film, macchiato però da una recitazione/doppiaggio in siciliano davvero sconcertante (sembra opera della Gialappa's band!). Tutto ciò svuota di credibilità la storia ed i personaggi. Poi le cose un po' si aggiustano, e alla fine ci si prende davvero gusto. Qualche scorcio del centro di Palermo e poi solo magazzini e vicoli del porto (belli), zone industriali e ville degne de Il Padrino II. Spettacolare e mai banale riflessione sull'uomo sociale, il potere e gli affetti. ***½.
MEMORABILE: Silva giganteggia: un po' Bronson, un po' Eastwood, un po' Schwarzy. Poco credibile e troppo gesticolante Garko. Bona la Santilli. Bravissimo Gàipa.
Ottimo noir che intriga fino alla fine con continui capovolgimenti di scena. Fernando Di Leo si riconferma assolutamente come il maestro del genere suddetto: straordinaria la cura con cui sono caratterizzati i personaggi (tra l'altro il cast è veramente notevole). Grandissima colonna sonora che sottolinea perfettamente ogni situazione. Henry Silva perfetto nella parte del killer glaciale.
Alcuni dicono che il noir assegni alla mala una morale, per quanto ovviamente relativa. Io credo che invece valga l'opposto. Il tradimento è sempre in agguato, trasversale alla famiglia ed agli affetti. La mala è il male e non può essere morale. Come la pensa il regista è chiaro, idee indiscutibili per certi contesti circoscritti, ma pur sempre decisamente opinabili quando si cerca la regola assoluta. La politica è descritta da un soggetto con delle convinzioni classiche per l'epoca ed il ruolo ricoperto. Il film è comunque un grande esempio di cinema.
Un incipit al fulmicotone, notturno, esplosivo e violentissimo, ha il merito di calare immediatamente lo spettatore in una storia di mafia da manuale, grondante ambiguità e corruzione. Eccellente la descrizione dei rapporti all'interno della famiglia mafiosa, ammirevole (soprattutto perché siamo nel 1973) la lucidità di Di Leo nell'adombrare, senza mai cadere nel compitino, i rapporti tra criminalità, politica e persino gerarchie ecclesiastiche. Un po' (tanto) misogino. Notevole Richard Conte, storico interprete del cinema noir durante i '40.
MEMORABILE: La sequenza iniziale, in cui un Henry Silva glaciale irrompe in un cinemino e fa strage degli avversari lì convenuti per godersi un filmetto "zozzo".
Pessimista, crudo, nichilista, una delle migliori opere di Di Leo in senso assoluto. Il killer Lanzetta interpretato da Henry Silva e la sua scalata al potere delle cosche mafiose lasciandosi dietro cadaveri su cadaveri è un personaggio fantastico. Memorabili anche le prove di tutti gli altri attori, dalla disinibita Santilli al calabrese Capponi, dal commissario corrotto Garko all'altro Killer Masè. Un film spesso sopra le righe nel quale lo stile dileiano trova la sua sublimazione. Finale spiazzante e geniale. Gioiello.
MEMORABILE: L'omicidio nel cinemetto e il dialogo tra Lanzetta e il commissario Torri...
Spettacolare ed incendiario (il fido Bacalov fa il suo lavoro al meglio) ma allo stesso tempo credibile anche nelle allusioni civili e nel notevole taglio psicologico dei personaggi: ne esce uno dei film più riusciti del regista, in cui perfino il monoespressivo Silva convince nella sua ineffabilità. Capponi e Gaipa sono semplicemente al top, mentre Caprioli esordisce nella figura (in seguito costante) dell'alter-ego del regista. Dialoghi (uno dei punti di forza dell'autore) memorabili: cult assoluto l'epigrafe "Continua" in luogo di "Fine".
MEMORABILE: Cocchi infila in bocca ad un picciotto un coltello a scatto ancora chiuso: "se lo sai fammi un cenno, sennò guardami fisso"... zac!
Nelle atmosfere, nella valorizzazione del cast, nella scaltrezza dell'uso della macchina da presa, la bravura del regista. Di Leo stratosferico, dirige attori consumatissimi, li plasma, ne tira fuori il meglio. Pensate ad un Marino Masè che ricopre un ruolo bellissimo, in bilico tra lo Steven Bauer di Scarface e il Sylvester Stallone di "Capone". La trama è serratissima, il ritmo tambureggiante, le musiche sempre giuste, l'ispirazione ai massimi livelli. Nel suo genere, un cult!
MEMORABILE: Un coltello a scatto viene inserito in bocca ad un mafioso, a cui si chiede se conosce il nascondiglio della ragazza rapita...
"Il Boss", ovvero "Henry Silva non muore mai". Purtroppo, vedendo questo film dopo Milano Calibro 9 rimane un sapore amarognolo, dato dal confronto con un modello troppo superiore. Soprattutto i personaggi appaiono in parte meno riusciti rispetto al capolavoro meneghino, dove risultavano più articolati, più complessi, meno granitici. Comunque il livello rimane alto e il finale è convincentee.
Di Leo era molto affezionato al coté di denuncia del film, e portava come una medaglia al valore la causa penale. Ma ciò che resterà è invece la sua componente più astratta, di figure e figurine archetipiche che inscenano il copione eterno del gangster-movie. Visto da quest'angolo Silva, nella sua inquietante fissità è perfetto, rappresentando non un umano ma una sorta di nosferatu della mala. Alto livello. Resta per noi imperscrutabile il mistero del culto da taluno tributato all'anonima Santilli.
La figlia del boss Daniello è una studentessa a suo modo coinvolta nel circuito della contro-cultura rivoluzionaria giovanile di quegli anni e quindi gli stereotipi del caso ce li ha tutti: si droga, contesta il padre, ed è sessualmente libera... anzi di più, praticamente una ninfomane che anziché subire come una violenza le ingiunzioni erotiche di coloro che la recluderanno, le accoglie subito con provetta dedizione. Caratterizzazione un tantino reazionaria? Per il resto gran film, narrativamente travolgente, virulento, con tipi memorabili.
MEMORABILE: L' inferno del cinema; il discorso pre-amplessi di Capponi alla Santilli in lingerie; Caprioli che s'incazza con Garko.
Nel periodo del successo di pubblico e critica dei "Padrini" di Coppola e del proliferare delle pellicole sulla mafia dei vari Damiani, Rosi, ecc... questa terza fatica di Di Leo nell'ambito del gangster movie si distingueva per la sua precisa personalità autoriale. Viene scelto deliberatamente un approccio corrosivo, dissacratorio e grottesco per demolire i miti della mafia (codice d'onore) e descriverne gli intrecci con lo Stato. Nel suo parossismo cede in un paio di occasioni al facile gusto delle platee. Ruolo assolutamente adatto per Silva.
Il regista pugliese narra delle vicende ultraviolente che cominciano con un prologo di alto livello. La maschera impenetrabile, o gommosa, di Silva cavalca imperturbabile la narrazione che si avvale di validi caratteristi e situazioni interessanti. Bel noir.
L'ultimo atto della "Trilogia del milieu" è un buon film preso individualmente ma non può essere messo al confronto coi due predecessori. Silva freddo come il ghiaccio convince in pieno in un ruolo tagliato su misura per lui, ma nel complesso si nota una profondità meno azzeccata dei vari personaggi. Non mi ha entusiasmato come gli altri. Peccato, si poteva chiudere in gloria; ma resta comunque un film da vedere non soltanto per completezza, ma anche perché ha molto da dire. ***
Già dal devastante incipit si capisce che ci troviamo di fronte a un film di quelli seri. Di Leo quando decide di far noir lo fa con uno stile superiore e questo film è indubbiamente tra i suoi lavori più riusciti; dalla bella sceneggiatura, complessa ma mai confusionaria, alla prova eccellente del cast (Caprioli bravissimo), al ritmo che non cede mai, alla qualità dei dialoghi. Tutto funziona come un orologio svizzero in questo mafia-movie, che ha sicuramente fatto scuola anche nei confronti del cinema d'oltreoceano. Grande esempio di cinema!
La trilogia del Milieu si chiude con il botto: Il Boss è uno dei più bei film che io abbia mai visto. Meno celebre del rinomato Milano calibro 9, ma secondo me sensibilmente superiore. La sceneggiatura è qualcosa di sublime, più lineare, ancor meglio incastrata, più logica. La perfezione. Henry Silva interpreta il suo più grande personaggio: il granitico, freddo Tanzetta. Richard Conte è sensazionale. La cura nella regia è evidente, la mano del maestro Fernando Di Leo un marchio di fabbrica. 4 palle e mezzo. Chapeau.
Gran film, studiato nei minimi dettagli, con una regia e una sceneggiatura mozzafiato. Di Leo riesce a fornire un ritratto assolutamente completo di ogni singolo personaggio e l'impresa non è affatto semplice, dato che di personaggi rilevanti ce ne sono parecchi. La figura più riuscita è quella del questore, eloquente e allarmante, interpretato da un fenomenale Vittorio Caprioli: subito dopo si piazza Lanzetta, spietato killer arrivista (ruolo assegnato ad un ottimo Henry Silva). Nulla di nuovo per quanto riguarda la trama, ma il resto è ottimo.
Forse il miglior film di Di Leo. Non è solo un gangster movie ma anche una feroce e assai pessimista critica socio-politica che massacra letteralmente tutto e tutti. La mafia è descritta senza il benché minimo lato umano, la polizia è collusa; peggio ancora stampa e politica, quest'ultima vera e propria serva della mala. Inoltre la violenza è elevatissima e il ritmo non è male. Ottimo Silva che incarna alla perfezione il viscidissimo e ipercrudele boss Tanzetta, magistrali Richard Conte e Vittorio Caprioli, benissimo anche Capponi.
MEMORABILE: L'omicidio nel cinemino; Il finale; Il coltello a scatto ancora chiuso infilato in bocca a un picciotto; Caprioli che rimprovera Garko.
Gran film. Difficile stabilire quale sia l'opera migliore di Di Leo, ma questa se la gioca alla pari con Milano calibro 9. Straordinaria rappresentazione di un ambiente mafioso, accurato fin nei minimi dettagli, con una trama finissima che ci regala un intrigo finale memorabile. La faccia di cuoio che ha penalizzato Silva per tutta la sua vita cinematografica, in questo ruolo diventa una spiazzante marcia in più. Caprioli (e i suoi dialoghi) sopra tutto il cast. Un film che se avesse avuto altri mezzi di produzione sarebbe stato straordinario.
MEMORABILE: Il discorso di Torri a Don Corrasco, nel quale gli spiega di aver accettato la collaborazione con lui perché lo considera un uomo d'ordine...
Grande noir alla Di Leo: uscito due anni dopo Milano Calibro 9, questo film è annoverato come uno tra i gangster movie all'italiana più cupi, freddi e violenti in assoluto. La lotta tra clan mafiosi, ai quali la polizia pare assistere inerte, è mostrata attraverso dialoghi freddi e precisi, ben riusciti grazie a magistrali interpretazioni. Il migliore è Henry Silva, ma da segnalare c'è anche una superba interpretazione di Vittorio Caprioli nei panni del questore.
Capitolo conclusione della bella trilogia della mala, incentrato sulla figura di un killer che agisce per conto di un boss palermitano, questo di De Leo è un film talvolta spiazzante per come alterna sequenze di grande cinema ad altre tirate via, ma nel complesso risulta un affresco efficace di un mondo criminale spietato, dove l'"onore" è ridotto ad una foglia di fico per coprire le peggiori nefandezze e la "lealtà" uno specchietto per allodole. Silva esibisce la solita faccia di pietra ma il fatto che così non susciti la minima empatia è funzionale alla definizione del personaggio.
MEMORABILE: L'"infornata" di Gianni Musy, una delle esecuzioni mafiose più terribili mai messe in scena
Non è all'altezza dei precedenti di Di Leo ma è comunque un bel film di mafia, dove tutti tradiscono tutti e la storia sembra non avere mai una fine precisa (come del resto suggerisce la scritta in chiusura). Silva non cambia mai espressione ma per il ruolo è perfetto così; tra gli altri a spiccare è sicuramente Caprioli, divertente e profetico allo stesso tempo. Buone le musiche di Bacalov, un po' lenti alcuni momenti.
Uno dei migliori film sulla mafia mai realizzati. Di Leo si ispira al romanzo di Peter McCurin ma lo elabora a modo suo descrivendo, in modo magistrale, l'ascesa del killer Lanzetta (Silva) alle dipendenze del boss Carrasco (Conte). Come sempre per il regista conta l'ambiguità del cast, dove nessuno è come sembra, vedi il commissario corrotto (Garko) e la bella e spregiudicata Antonia Santilli nel ruolo della vita.
MEMORABILE: Lanzetta che massacra il pubblico in un cinema sparando con un lanciagranate!
Il volto senza espressione di Silva è protagonista di questo mafia movie ben girato dal bravo Di Leo con una buona dose di crudeltà e ben supportato da una valida sceneggiatura sempre curata dal regista. Ben caratterizzati il commissario fatalista, l'avvocato doppiogiochista interpretato da Gaipa e la vogliosa Santilli. Buone le musiche e ottima la confezione. Un bel film.
Ennesimo mafia-movie all'italiana dove al solito bande rivali si fronteggiano a suon di pallottole e lanciarazzi e soprattutto dove regna l'assoluta inaffidabilità in tema di "onore" e lealtà fra i componenti. Colpisce la dozzinalità nella scelta del cast (in primis Silva e Garko), se si fa eccezione per qualche stella sia italiana che d'oltreoceano. Tutto il resto è solo intrattenimento fine a se stesso, un po' sadicamente compiacente.
MEMORABILE: I multipli "amori" di Antonia Santilli...
Killer mafioso fa carriera mettendosi in mezzo a una faida, un po' come il Senza Nome di Per un pugno di dollari. Film che gode di un culto per me inspiegabile, con un protagonista impresentabile e un cast di contorno molto modesto. La storia non è molto originale e ha passaggi tirati via (menzione per il più fulminante attacco di sindrome di Stoccolma mai visto, la sequestrata che in 3 minuti passa dall'orrore all'orgia ridanciana). Su tutto domina il non attore Silva, una specie di Charles Bronson senza fascino e senza intensità.
Film teso, violento, intrigante (tanto che termina con la parola "continua" e non con "fine"). La storia si basa sull'intreccio mafia-politica (denunciato in tempi non sospetti e con acuta preveggenza da Di Leo) visto attraverso le vicende di un caporale mafioso, aspirante boss: questi è un solido Silva, la cui recitazione monoespressiva finalmente trova il suo ruolo più adatto. Ottimi anche gli altri protagonisti, da Capponi (folle) a Garko (viscido), da Conte (vero democristiano) a Caprioli (guascone). Bella ed espressiva la Santilli.
MEMORABILE: La casa di Henry Silva, dove i tavolini sono fatti con casse arancioni di acqua Pejo!
Del trittico mirabile è l'episodio più sottovalutato. A parte la destrutturazione del mito criminale, ciò che impressiona è la plumbea compattezza dell'ispirazione (che difetta a La mala ordina), la ripulsa del facile folclorismo mafioso e, soprattutto, la forza delle caratterizzazioni: eccellenti Capponi (col suo piglio populista), Garko e Silva, il Kitano de' Noantri; eccezionale Caprioli (perfetti i dialoghi con Pisu), funzionario che sfoga nel sarcasmo e nel fatalismo la propria impotenza civile. Brava e naturale anche la Santilli.
Un grande Henry Silva interpreta un picciotto che tenta la scalata nella malavita palermitana, un personaggio violento e particolare, molto cupo, coadiuvato da un cast di attori fenomenali. La regia è ottima, così come la sceneggiatura, che rispetto a La mala ordina risulta più complessa e articolata. Molto intriganti sono le sfumature erotiche che il regista inserisce, insieme a una caricatura del questore di turno e all'eccessiva corruzione dei membri Stato. Per quei tempi è un noir eccezionale, con sfumature di poliziesco.
A mio modesto parere il capolavoro di Di Leo. Quantità di spunti narrativi da costruirci tre film discreti. I primi dieci minuti del film, coronati da un dosato e coinvolgente tema di colonna sonora, sono da antologia. La trama di per sé sarebbe assurda ma gli attori (stupendi fino all'ultimo caratterista) e il ritmo elevatissimo non consentono divagazioni critiche e incollano allo schermo fino all'epilogo. Questo sicario carrierista Lanzetta è la prova più intensa di Silva e oscura se non l'Adorf bersaglio della Mala, l'Ugo Piazza calibro 9.
MEMORABILE: Quanto efficaci saranno le capacità amorose della Santilli per costringere alla "quiete" domestica anche uno come Silva?
La mafia vista dagli occhi di Fernando Di Leo conosce solo cinismo e violenza, senza valori né rispetto, zero scrupoli e pietà per nessuno. L'eccellente sceneggiatura e la minuziosa regia lo inseriscono tra i migliori noir italiani; di supporto, un cast in forma smagliante: Silva trasuda odio, mai cosi perfetto per la parte, Caprioli spavaldo ma disilluso, furioso Capponi, solo la Santilli ha un ruolo inverosimile. Grandiosa chiusura della "Trilogia del milieu" che si rivede sempre con piacere.
MEMORABILE: I dialoghi tra Silva e la Santilli; Le uscite di Caprioli.
Ultimo e forse miglior tassello della "trilogia del milieu" firmata da Di Leo. Un film perlomeno coraggioso e coerente nel denunciare le collusioni tra mafia e politica in un mondo dove tutti tradiscono tutti senza alcun rimorso. Ma ciò non basta a redimere i difetti di sempre, dagli attori mal diretti (Silva inespressivo quanto il peggior Bronson, Caprioli improbabile questore tra il serio e il faceto) alle scene d’azione violente ma senza stile (qualsiasi b-movie americano offre di meglio). Sopravvalutato nella sua crescente rivalutazione.
MEMORABILE: La figlia di Daniello ninfomane e drogata; L’esplosione della baracca in cui si rifugia Lanzetta; Il finale con la scritta “continua”.
Film esagerato, violento, eccessivo, che fa della Sicilia dei primi Settanta un Far West spietato in cui l'eccesso la fa da padrone e non c'è un briciolo di umanità in nessuno, tutti impegnati in una lotta senza esclusione di colpi per il proprio tornaconto personale. Iper-pulp e godibilissimo, senza cedimenti e con un bell'attacco al sistema di collusione mafia/politica che, pur se reso in chiave fumettistica, rende piuttosto bene l'idea di ciò che accadeva in quegli anni. L'inespressività di Silva lo rende un protagonista perfetto. Cult.
MEMORABILE: Silva/Lanzetta che ordina di "ringraziare caldamente" un informatore per una dritta e questo viene prontamente infilato a forza, vivo, in una fornace.
Terzo capitolo della trilogia del milieu del maestro Di Leo. Dopo la Milano autunnale e poi primaverile dei primi due film, qui l'azione si sposta in una Palermo cupa e notturna. Claustrofobica, che non lascia scampo. Come la mattanza mafiosa di inaudita violenza che viene scatenata nel film, con punte di sadismo e ferocia difficilmente raggiunte da altri film del genere. Grande cast con Silva, Conte, Garko, Caprioli, la Santilli e Capponi assolutamente perfetti ed efficaci. Un classico del noir italiano.
Non del tutto convincente; non certo per un'abilità registica che qui si mostra fin dalle prime scene "esplosive", che si ben capisce come possano aver ispirato Tarantino. Il problema è la sceneggiatura, con mille scivoloni e azioni poco convincenti. Rimane quindi un'opera altalenante che offre cose notevoli (il questore di Caprioli!) ad altre deliranti: si conferma la squallida visione del regista sul mondo del '68, che qui ci mostra come con un po' di alcol e marijuana una ragazza possa partecipare con gioia allo stupro dei suoi aggressori.
MEMORABILE: La parlata di Caprioli, che compare leggendo Il Manifesto!
Un film davvero straordinario, con una sceneggiatura che inanella veri colpi di scena che però sono fluidi, coerenti, mai forzati. Colpiscono le interpretazioni di Vittorio Caprioli (che forse si ispira con il suo commissario al Volontè di Indagine su un cittadino...) e di Antonia Santilli, bella da perdere la testa e bravissima nel raccontare il vuoto esistenziale di quella ragazza. E' poi c'è Henry Silva nella sua migliore interpretazione: duro, freddo, senza scrupoli ma al tempo stesso con una sua morale.
MEMORABILE: Come Caprioli tratta Garko durante le riunioni in questura.
Da premettere che l'incipit prima dei titoli vale da solo il prezzo del biglietto! Uno dei noir più spietati (e riusciti) di Di Leo che disegna con molta lucidità una storia lineare, ricca di colpi di scena e di personaggi che non si dimenticano. Il regista pugliese si distingue anche per il gran lavoro sul cast: da Silva, di cui valorizza al meglio la maschera fissa e la duttilità, a Caprioli e Capponi, attori di immenso talento. Ottima la confezione, con un superlativa ost di Bacalov. Un grande esempio di gangster-movie che merita sicuramente una visione.
MEMORABILE: I primi cinque minuti; Il personaggio della Santilli; La resa dei conti fra Capponi e Silva.
La conclusione della trilogia presenta un film che si discosta dai precedenti per ambientazioni e tema: mafia e Sicilia. Il tema mafia presuppone una narrazione più complessa, meno lineare. Tutto questo inevitabilmente nuoce alla comprensione immediata dello spettatore, che deve associare nomi e volti e collocarli nello schema "chi contro chi" e, di conseguenza, tende a perdersi la semplicità e lo schema lineare di La mala ordina, capitolo precedente. In ogni caso il film è ben diretto e interpretato e quello di Di Leo è un gran bel contributo al genere.
Figlioccio di boss mafioso approfitta di una faida. Soggetto che verte sulla mafia palermitana quando, almeno ai tempi, di giochetti e tradimenti ne capitavano ben pochi. Trattandosi di fantasia le varie collusioni fan girare bene la sceneggiatura, anche se a livello politico e di polizia si insinua molto ma con scarsa chiarezza. Sotto l'aspetto noir i vari ammazzamenti son spettacolari o truci a seconda del punto di vista. Silva è la solita maschera mentre è scarso il personaggio della figlia che diventa in pochi istanti una libertina di prima categoria.
MEMORABILE: La strage alla proiezione; I corpi nella fornace; La mitragliata alla porta.
Gran film ingiustamente sottovalutato. Ogni attore è semplicemente perfetto per il personaggio che interpreta, da Silva fino all'ultima comparsa. Due sole cose non convincono: il rapimento e il quasi comico omicidio dell'uomo di Nicastro: Silva gli spara in fronte e lui spira con un "ahia" tenendosi le mani sul viso. Colonna sonora adrenalinica e malinconica al punto giusto. Da vedere.
MEMORABILE: La sfuriata di Caprioli; L'esecuzione di Musy.
Pietra miliare del nostro cinema di genere: un mafia-movie solido, con grandi sequenze d'azione, personaggi a tutto tondo, dialoghi non banali, notevole abilità di mettere in scena la violenza (mai gratuita); ma capace anche di irridere il mito dei mafiosi uomini d'onore, qui descritti come cinici opportunisti privi di qualsiasi valore. Sa usare bene Silva, al solito ben poco espressivo ma funzionalissimo al suo personaggio. Sugli scudi Capponi e Conte; score splendido di Bacalov.
MEMORABILE: I momenti di umanità di Lanzetta; La fornace; "Promettimi che se ti stancherai di me mi ucciderai", "Ascolta, sono già stanco de tia!".
Il capitolo conclusivo della trilogia affonda le radici nel mondo della mafia e vede questa volta Silva protagonista, dopo l'episodio precedente. I limiti rimangono però gli stessi: Di Leo calca parecchio la mano e diversi personaggi risultano fin troppo sopra le righe, da Capponi, a Garko, Caprioli, per finire con l'inverosimile personaggio della Santilli. C'è comunque del buono: l'incipit non si dimentica e Nicastro ha sempre la stessa espressione beffarda e sardonica, mentre Conte si conferma boss come per Coppola. Buone musiche progressive rock di Bacalov.
Detto che come trama presenta un potpourri non proprio esemplare in cui il concetto di faida viene stravolto e anche banalizzato più volte, ha però un buon tasso di godibilità e una felice interpretazione corale, sia nei diretti protagonisti che nei ruoli secondari. Silva presenta qualche variante rispetto al solito ed è divertente il suo battibecco con la disinibita Santilli, personaggio che per quanto poco credibile suscita comunque attenzione. Sparatorie e voltafaccia si sprecano in un meccanismo che pare sfuggire di mano agli sceneggiatori ma che è ben ritmato.
Un film in cui i momenti di azione, quasi sempre associati alla violenza, sono freddi, meccanici, come la maschera di Silva. Una storia in cui prevale il determinismo: il killer che si farà boss inizia la sua guerra contro tutti solo perché obbligato dagli eventi. Uccide per non essere ucciso, anche quando eliminerà l'ultimo rivale. La mancanza di sentimenti è padrona della scena. Chi ne fa mostra (Cocchi, interpretato dall'ottimo Capponi) è destinato a soccombere. Entrano prepotentemente nella storia come veri boss i decisori politici. E una criminalità "di servizio", senza onore.
Splendido noir crudo, diretto e cattivo. Di Leo non racconta la mafia patinata degli uomini d'onore, ma racconta una storia di corruzione, di tradimenti, di regolamenti di conti e di legami politici. Ritmo serrato, incastro notevole con doppi giochi e colpi di scena, eccellente colonna sonora di Bacalov, personaggi estremamente ben caratterizzati e un grande cast (Caprioli migliore in campo).
Chiusura della trilogia del milieu che, pur non raggiungendo le vette stilistiche dei dueprecedenti, conferma la proprietà astrattiva e immanente assieme del cinema di Di Leo, il quale (mal)tratta Palermo come Milano, riducendola, al di là d'ogni folklore, a cinemini postribolo, scantinati, opulenti interni della mafiosità borghese, opachi e sciatti uffici della questura. In tale scacchiera orizzontale, in cui tutte son pedine, si eleva la maschera "autarchica" di Silva ("di questo non esiste manco il certificato di nascita"), il cui duetto con la stupefacente Santili è memorabile.
MEMORABILE: La Santilli apostrofa Silva "Turiddu"; I sempre straordinari monologhi del questore di Caprioli; La strage nel cinemino; Lanzetta uccide Daniello.
Film sopravvalutato. La mano di Di Leo si vede, ma tutto è troppo ingarbugliato e poco credibile per essere veramente godibile. Davvero troppi uomini "d'onore" cambiano casacca e tradiscono ogni due per tre, e poi la Santilli passa dalla paura del rapimento a far ridancianamente "l'amore" coi suoi aguzzini nel giro di un attimo. Lo appesantiscono anche dieci minuti di troppo e l'abuso di idioma siculo. Silva, seppur monolitico, ormai è attore di culto e in questa parte ci sta bene, mentre Garko delude come commissario con santi in paradiso (?!). Il peggiore della "trilogia". Spreco.
MEMORABILE: La sequenza della strage al "cinema"; Silva che mena e insulta la ninfomane Santilli, rea di rammollirlo a suon di troppo sesso... ah, i vecchi tempi!
Conclusione spietata, senza tregua e senza appello, della “trilogia del milieu”: Di Leo toglie ogni aura romantica e morale all’”uomo d’onore”, mostrando una sequela di stragi, esecuzioni e tradimenti, con cui la mafia si fa strumento d’”ordine” attraverso la violenza, in mutuo accordo con certa deteriore politica. Opera senza timori reverenziali, vigorosamente orchestrata (enfatizzata dalle musiche di Bacalov) che valorizza soprattutto due attori dai temperamenti opposti (Silva e Caprioli), ma anche Capponi e Santilli (per quanto quest’ultima appaia inserita piuttosto a forza).
MEMORABILE: La strage nel cinemino; Il coltello a scatto in bocca a un picciotto; Il “caloroso ringraziamento”; La “ricostruzione” finale di Caprioli.
Di Leo chiude la sua trilogia firmando uno dei più dirompenti film sulla mafia mai realizzati: nessun orpello romantico, quello che conta è soltanto il potere e per raggiungerlo (e difenderlo) si possono sacrificare anche gli alleati più fedeli e rinnegare la parola data, alla faccia della lealtà e dell'onore; ma anche le istituzioni ne escono con le ossa rotte (la politica è connivente ai massimi livelli, la polizia se non è collusa è quantomeno impotente). Ottimo il comparto tecnico, perfetti gli attori malgrado qualche personaggio sopra le righe (Caprioli) o infelice (Santilli).
MEMORABILE: Il massacro iniziale; Il "caldo" ringraziamento; La sarabanda di esecuzioni; I dialoghi in questura; Il finale.
Siamo ben lontani dalle arie autocelebrative del Padrino o da quelle di Gomorra, in cui i concetti di bene e male vengono capovolti; questo mafia movie di Di Leo, qui ai suoi massimi, non salva nessuno, a partire dalle istituzioni pubbliche confuse e impotenti tra commissari corrotti, questori arresi a vivacchiare (un magnifico Caprioli sopra le righe ci regala i pochi sorrisi), i soliti politici e, a completare il quadro, anche la Chiesa che come minimo offre sicuro riparo a chi di dovere. Film spietato, duro, ritmato, con una colonna sonora memorabile. Magnifico.
MEMORABILE: Le onnipresenti pubblicità (ben poco) occulte; La fornace; Il gattopardesco finale col “continua”.
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personalmente te lo consiglio. Non saranno lavoroni, ma per MC9 il salto di qualità è notevole, e anche per I padroni della città... il dvd è letterbox, due mondi diversi.
Per La mala ordina e il Boss (io li posseggo anche in dvd) sinceramente la resa è quasi identica
L'ho rivisto di recente. Non so voi ma a me fa sbellicare dalle risate; non lo dico in senso dispregiativo ma anzi: ha proprio delle situazioni comiche aiutate anche dal doppiaggio. Stessa cosa, leggermente inferiore, vale anche per "milano calibro 9".
DiscussioneZender • 25/06/16 08:28 Capo scrivano - 48956 interventi
Non so a quali in particolari ti riferisci, ma per certi Di Leo s'è parlato a lungo di scene comiche che non tutti apprezzano perché spezzano la drammaticità. Io personalmente le adoro e me le togliessero apprezzerei Di Leo la metà di quanto faccia ora...
Zender ebbe a dire: Non so a quali in particolari ti riferisci, ma per certi Di Leo s'è parlato a lungo di scene comiche che non tutti apprezzano perché spezzano la drammaticità. Io personalmente le adoro e me le togliessero apprezzerei Di Leo la metà di quanto faccia ora...
Nel "boss" tante:
- l'incipit nel cinema privato con le battutacce
- all'obitorio Garko che tratta male un Musy disperatissimo, il reporter e poi sfotte Capponi ed i suoi discorsi socialisti.
- tutte le scene della Santilli coi suoi rapitori (Capponi, Musy e Ross)
- Sempre la Santilli che fa diventare matto Silva, con quest'ultimo che non ne può più lamentandosi che lo sta rincoglionendo.
- Caprioli che sfotte la faccia di Buzzanca
In "calibro 9" invece, alcuni momenti con Adorf son comicissimi e pure il commissario interpretato da Wolf. Ovviamente grande merito a doppiatori quali Satta Flores e Sergio Rossi (non per niente quest'ultimo sarà voce azzeccatissima di Nielsen nel ciclo della "pallottola spuntata").
DiscussioneZender • 26/06/16 07:35 Capo scrivano - 48956 interventi
Ah Sergio Rossi è grandissimo doppiatore comico, senza dubbio. Comunque sì, è anche per queste scene che trovo veramente riusciti i film di Di Leo.
HomevideoRocchiola • 19/08/19 18:27 Call center Davinotti - 1320 interventi
Confermo l'ottima qualità del BD della Raro Video. L'immagine è decisamente pulita, brillante nei colori e ben definita. Buono anche l'audio mono in dolby digital 2.0. Un prodotto indispensabile per gli manti di questo film che essendo vietato ai minori di 18 anni in TV può circolare solo tagliato.
Zender ebbe a dire: Non so a quali in particolari ti riferisci, ma per certi Di Leo s'è parlato a lungo di scene comiche che non tutti apprezzano perché spezzano la drammaticità. Io personalmente le adoro e me le togliessero apprezzerei Di Leo la metà di quanto faccia ora...
Nel "boss" tante:
- l'incipit nel cinema privato con le battutacce - all'obitorio Garko che tratta male un Musy disperatissimo, il reporter e poi sfotte Capponi ed i suoi discorsi socialisti. - tutte le scene della Santilli coi suoi rapitori (Capponi, Musy e Ross) - Sempre la Santilli che fa diventare matto Silva, con quest'ultimo che non ne può più lamentandosi che lo sta rincoglionendo. - Caprioli che sfotte la faccia di Buzzanca
In "calibro 9" invece, alcuni momenti con Adorf son comicissimi e pure il commissario interpretato da Wolf. Ovviamente grande merito a doppiatori quali Satta Flores e Sergio Rossi (non per niente quest'ultimo sarà voce azzeccatissima di Nielsen nel ciclo della "pallottola spuntata").
nel boss mi hanno dato l'impressione di essere grottesche in MC9 sono cariche di tensione, perlopiù fatte da Rocco, che me lo ricordo sempre col sorriso ma coi denti serrati/digrignanti