Con operazione spudoratamente felliniana Sorrentino aggiorna LA DOLCE VITA esibendo visioni di una Roma ammaliante (spesso notturna) popolata da volti intercambiabili e vuoti, specchio di un'epoca consacrata a una superficialità un tempo inimmaginabile. Gli occhi del nuovo Marcello sono quelli dello straordinario Toni Servillo, maschera irrinunciabile per certo cinema d'autore moderno, in possesso di una naturalezza nella recitazione che regala perfetta aderenza temporale al suo Jep Gambardella ricordando in più occasioni il miglior Volonté. Scrittore di successo ma per lo spazio di un unico libro, è l'emblema...Leggi tutto dell'uomo mondano, la quintessenza stessa della mondanità romana: la mattina non sa quasi nemmeno cosa sia, vive di notte e conosce tutti; si apparta con gli amici sui divani di splendide terrazze a pontificare sull'inutilità e l'effimero, divertendosi a distruggere le convinzioni di chi crede di vivere "impegnato"; vaga solitario tra i tavolini di bar chiusi o incontra conoscenti in night equivoci, si lascia adulare dagli amici (Verdone e Buccirosso in particolare) e visita i monumenti grazie a speciali permessi, sempre con un sorriso beffardo stampato sulla faccia e l'ironia sommessa del filosofo che gli altri guardano con rispetto. Sorrentino sceglie per il suo racconto uno stile frammentario, fonde musica e immagini alla ricerca di una sintesi d'effetto che non di rado indubitabilmente colpisce, ma si paralizza troppo presto tra scene che a molto ambiscono ma poco dicono, diluite in tempi doppi e tripli che addormentano, come incubi lynchiani (c'è pure il nano, in versione femminile) cui manchi però la spinta del genio in grado di giustificarli pienamente. Non c'è chi demeriti, ma tranne il protagonista e in parte la Ferilli nessuno lascia il segno, forse proprio perché figure di passaggio subordinate, volti anonimi che animano un chiacchericcio da cui Jep tende sovente ad astrarsi. Qualche buona battuta qua e là, un dialogo brillante che carpisce l'attenzione, poi il ritorno nel liquido ondeggiare della cronaca schizofrenica, in cui i flashback d'infanzia si tuffano nel presente per cucire gli strappi di una sceneggiatura fellinianamente abbozzata, gonfiata da suggestioni oniriche e musica ossessiva. Più che un film un viaggio, interiore ed esteriore, stimolante ma anche incredibilmente prolisso.
Non tutto è splendido, ma molte cose lo sono. Servillo prodigioso, ma tutti, fino all'ultima comparsa, sono perfetti. Indimenticabile il massacro della radical-chic in terrazza (a proposito: ha ragione Rondi nel citare, oltre al debito con Fellini - c'è pure un riferimento al mostro sulla spiaggia! - quello con Scola). Ai giovani poco dirà, probabilmente, il finale col protagonista che vede sé stesso col primo amore: pròvino, allora, a riguardare il film fra qualche decennio... Meno funziona il pedale calcatissimo sul grottesco, come accade con Herlitzka, che però esce dal film maestosamente.
MEMORABILE: "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare"
Nonostante le ambizioni, un episodio minore della filmografia di Sorrentino. Il racconto postfelliniano della Roma sospesa tra bellezza abbacinante e mondanità neocafonal, benché a volte visivamente suggestivo, è troppo spesso una brodaglia indigeribile ed eccessivamente prolissa. La presenza di Servillo nobilita il tutto e rende potabile l'operazione, ma di certo si tratta di un passo falso del regista, lontano anni luce dalle sue opere migliori. Apprezzabile la colonna sonora.
La grande bellezza è quella di Roma, opima di cupole e anfratti, rorida di fontane e cunicoli, attraversata da corridoi e cunicoli, popolata da una fauna umana nottambula a cui le iniezioni botuliniche di una mondalità autoreferenziale donano una fissità da rigor mortis. Alla sua scoperta ci guida Gambardella (grandissimo Servillo), un Virgilio che ha scelto di vivere nell'inferno futile. Fra le tante critiche mosse a Sorrentino, c'è quella di aver voluto ricalcare le orme felliniane, ma non c'è niente di male nell'emulare un genio, se lo si fa con talento ed immaginazione come qui accade.
Ha un gran fascino questo affollato affresco di una Roma e una classe sociale narcisista e festaiola di intellettuali da basso impero, tra satira e caricatura, malinconia e grottesco. Sarà l’eccellente cura estetica (riprese, fotografia, scenografia, musica kieslowskiana), o l’artificiosità (un po’ Fellini, un po’ Greenaway) con cui si descrive un ambiente artificioso (ma ben riconoscibile), o gli sprazzi visionari che alludono a un livello simbolico-profetico. Ma la grande bellezza della confezione è molto più forte della sua necessità.
Se si votasse solo la regia, il film sarebbe eccellente: Sorrentino gira con consumato
mestiere e ci regala delle inquadrature di rara bellezza, impreziosite da una
fotografia di Bigazzi che merita ogni elogio possibile. Però c'è anche una sceneggiatura che è ben poco originale nelle sue tesi e che scivola più volte su dialoghi abbastanza banali. A volte sarebbe stato meglio lasciar parlare le sole immagini. Evidenti le influenze felliniane (le suore su tutto). Ah poi c'è Servillo, ma ormai spendere parole sulla sua bravura è tempo perso. Bene anche il resto del cast. Bello ma non bellissimo.
MEMORABILE: Jep che "polverizza" verbalmente l'amica impegnata di sinistra. Ovviamente lo splendore di Roma, specie certe inquadrature che sono una delizia.
Tra Fellini, Garrone e Vanzina, un grottesco ritratto della Dolce vita romana contemporanea che alterna cadute nella scontatezza (troppi dialoghi banali) e lampi di genio. La capacità di sintesi e la compattezza abitano altrove e certi virtuosismi cadono nel vuoto, ma complessivamente il senso di malinconia e rigetto colpisce nel segno. E poi il corrosivo quarto d'ora iniziale in pista da ballo vale più di qualsiasi scavo programmatico alla ricerca del vuoto: si ride amaro constatando la sua verosimiglianza e si vorrebbe non finisse mai.
MEMORABILE: L'inizio in pista da ballo; La fantasmatica apparizione di Venditti.
Ben riconoscibili, le memorie de La dolce vita si raccolgono in una Roma mondana e vacua tra personaggi stravaganti, nicchie aristocratiche, angoli onirici e circensi. I paragoni con Fellini si fermano al citazionismo, ma Sorrentino sa distinguersi dall’anonima massa dei colleghi per la superiore qualità registica – già palpabile nell’euforico inizio in discoteca - e per la scelta di un soggetto non ordinario. Servillo continua a risollevare l’onore degli attori italiani e Herlitzka indovina la macchietta di un prelato gastronomo. Distensivo, come l'atmsofera di una notte di mezza estate.
MEMORABILE: L’inizio in discoteca; la cena con il prelato; la piccola pittrice; la veneranda Suor Maria.
Non è il film definitivo che Sorrentino avrebbe voluto suggellare, ma è l'opera nella quale tecnica virtuosa e fluidità narrativa trovano compimento. In un mood ruffiano e postmoderno, l'incanto sboccia dall'indecenza, il sacro contrappunta il disinganno e l'arte elargisce bellezza dal tumulto mortifero della mondanità: la polifonia frastorna e ammalia, lambisce il trash e il finale cede al bozzettismo, vacilla per timore di fraintendimento. Offerto al nostro occhio troppo critico e partecipe rischia di apparire ovvio e compiacente, ma forse è nei posteri che troverà un pubblico oggettivo.
Fugaci sprazzi di bellezza in un mare di vuoti umani a perdere. Sorrentino qua e là è registicamente un po' maldestro, soprattutto quando calca la mano (la ragazzina pittrice; la giraffa), va verso il misticismo (la santa e i fenicotteri), o tenta un approccio quasi Felliniano (i personaggi groteschi). Dalla sua parte ha però un'indubbia sensibilità e un certo talento visivo, che gli consentono di portare avanti un concetto ben oltre il tempo sufficiente a renderlo già chiaro. In questo viene decisamente aiutato da un grande Servillo, con la sua lenta ma inesorabile presa di coscienza.
MEMORABILE: Servillo smonta a colpi di verbo le certezze dell'amica supponente; Come ci si comporta a un funerale; L'unico momento di vera bellezza che ricorda.
La Grande bellezza sta nell'innocenza e nel candore del primo amore, che permette all'uomo di far esplodere la creatività e di donare al mondo l'intimismo del vero sè. Jep, travolto dal vortice della vacua mondanità, si è trasformato in uno zombi metropolitano incapace di dare sfogo alla propria vena artistica, fino a che... L'apice della poetica sorrentiniana condita dal giusto ermetismo sfocia in un capolavoro assoluto di rara potenza universale, per l'incredibile verità del messaggio. Per una volta non parlo di tecnica, perché Paolo ha pochi rivali al mondo. Semplicemente, grazie.
Forse Jep, che non è più riuscito a scrivere nulla dopo il fortunato romanzo d'esordio con cui si è sistemato a vita, è Sorrentino stesso che dopo L'uomo in più non è mai riuscito a replicarne la compostezza. Il film è tronfio, ipertrofico, ma si lascia guardare come una continua conferma, nel senso che è talmente corrispondente a quanto ci si aspetta che sembra di averlo già visto (al punto che se ne potrebbe proprio fare a meno). Peccato per Verdone, che accetta coraggiosamente un personaggio squallido ma viene sprecato come una macchietta.
MEMORABILE: "Roma ti fa perdere un sacco di tempo".
Sorrentino porta in scena l'antimateria. Un grande senso dell'immagine, un grande senso della bellezza permeano il suo lavoro, mescolato talora al grottesco, tra personaggi e dialoghi che strappano anche risate oscene in sala (il vescovo che pontifica sulla cucina, l'artista con la falce e il martello sulla vagina che si schianta di testa contro l'acquedotto romano). Ma questo ostentare il vuoto delle attitudini mondane diventa antimateria cinematografica: anche dinanzi a tanta bellezza ci si rende conto della necessità di un'ossatura. Un conflitto, una tensione. Una storia, insomma.
Un Sorrentino ficcante e ironico che fin dalla prima scena avvisa lo spettatore sul tipo di pellicola che lo attende, con festa e musica assordante su sostrato di esibizionismo e apparenza allo stato puro. Servillo è eccellente nel suo ruolo, criptico ma affascinante, così come resta impressa la piccola parte di una seducente Ferilli. La poesia e il surreale vanno a braccetto tra gli scorci della Roma classe A e gli intrighi che essa cela. Assolutamente consigliato a chi ama il cinema.
MEMORABILE: "La povertà si vive, non si racconta".
Le ambizioni sono chiare, palesi: Sorrentino punta in alto, girando la cartolina dall'Italia che gli americani vogliono sentirsi raccontare (ma le fonti di ispirazione sono denunciate a chiare lettere e, per chi sa leggere, sono a portata di mano). Echi di un mondo che non c'è più, il grottesco e il fiabesco, lunghe prospettive panoramiche di una Roma sottilmente decadente che racconta il paradosso della vita umana. Nulla sconvolge davvero, ma tutto è dove deve stare: ultima volta nell'opera sorrentiniana. Per nulla ingombrante la durata.
MEMORABILE: L'osceno party iniziale: Gambardella-Servillo giustiziere dell'autoreferenziale radicalchicchismo da salotto; Il rapporto fra Jep e Ramona-Ferilli.
Cavaliere “farabutto” errante solitario per il giorno e la notte effimeri e spettrali di Roma. Echi felliniani per una diapositiva della (dolce) vita romana patinata e sfarzosa, velleitaria e (pseudo) intellettuale, chiacchierona e “faunesca”: oppure solo vuota, persa nell’infinità di un piattume oceanico. Strabiliante il registro grottesco messo in atto da Sorrentino e Jep è un personaggio potente; i virtuosismi ammantano però un assunto che non ha l’incisività necessaria, che strada facendo si sfilaccia collimando verso un finale dignitoso.
Da un lato, le suggestioni felliniane filtrate attraverso un'estetica del brutto (i festini orgiastici sulle note dei remix più burini in circolazione hanno un certo fascino grottesco), dall'altro una ruffianeria che porta a scegliere bersagli facili e a sviare da una critica sociale e politica davvero efficace. Un ottimo cast, guidato dal malinconico Servillo, vaga per Roma in lungo e in largo, ma poco in profondità. Come evidenziato dalla fotografia carica di ombre e dalle battute lapidarie, qui la grande bellezza è quella formale.
MEMORABILE: "Volevo avere il potere di farle fallire"; Le critiche alla radical chic; I consigli su come comportarsi a un funerale.
A parere dello scrivente un oscar immeritato. Il film non è certo brutto: ha una fotografia bellissima, buona colonna sonora e l'interpretazione di Servillo è, al solito, degna di plauso; però da qui a vincere un così ambito premio il passo è lungo assai. Quello che più pesa è la lunghezza della pellicola, con tempi eccessivamente dilatati nei quali rischia di far capolino la noia (soprattutto nella seconda parte). Sorrentino si conferma comunque regista valido e l'opera merita la visione.
Il sorrentiniano Enter the void in un'amara vita post-felliniana post-esistenzialista post-postmoderna post-mortem e post-tutto, annegata e abnegata in una Roma che fa la stupida tutte le sere, più triste di una bestia randagia dopo il coito del boom60's. Celine apripista per un viaggio senza termine della notte, festini (e destini) coreografati come fossero totentanz, un Servillo sublime ai limiti dell'ineffabile svuota e riempie la scena a piacimento, trasudando charisma anche quando sta immobile e silente. Il perfetto film di un regista imperfetto, l'imperfetto film di un regista perfetto.
Lo dico subito: per me, un Oscar strameritato. 15 anni fa si è vinto con un grande mattatore, stavolta si è vinto con un film, anche se la straordinaria performance di Servillo non può essere trascurata. Al di là degli apparenti luoghi comuni, nella parabola di Sorrentino c'è molto più di quanto sembri. Jep è il re indiscusso della mondanità, eppure la sua visione del mondo - e del suo stesso mondo - si proietta su spazi ultramondani, e la riflessione tutta affidata ad immagini potenti e suggestive fa perdonare anche qualche dialogo banale.
Arduo concentrare in poche righe lo stupore e lo stordimento che le immagini di questo grottesco dipinto, tra luci e oscurità, riescono a provocarti negli occhi. Un ritratto di vita ed emozioni, di vagabondi personaggi tragici e abbandoni nichilisti, sullo sfondo delle nuove rovine di Roma. Regia e fotografia strepitose, cast perfetto (persino la Ferilli, a me spesso invisa), con il solo Verdone forse schiavo della sua stessa maschera: è l’unico difetto oltre l’eccessiva lunghezza, che nella parte finale porta una diluizione. Gran spettacolo.
Il più noto, ma non certo il migliore, Sorrentino. Servillo è, al solito, gigantesco e a lui sono affidati la narrazione nonché i monologhi più ispirati. Cinico, disilluso, ma ancora capace - e disperatamente desideroso - di qualche slancio emotivo, si aggira per festini e salotti intellettuali popolati da personaggi che hanno tutto e dunque non hanno niente. Efficace la rappresentazione della fila (con tanto di numerino) per il botox, e simbolica la scomparsa del diario della ex che lo ha amato segretamente per anni. Nel cast molte facce note, perlopiù ben dirette. Buon film.
L'Oscar rischia di rendere in qualche modo obbligatorio (si fa per dire) discuterne e fuorviante interpretarlo oggettivamente (per ciò che vale). Dal mio punto di vista Sorrentino si conferma (con Garrone) l'unico regista italiano capace (per convinzione ideologica ancor prima che per qualità tecnico/intellettuali) di reinventarsi un immaginario del presente, conscio di confrontarsi con un passato (pure cinematografico) ingombrante e un oggi in malinconico disfacimento. Il rischio è certa presunzione solipsistica, ma la strada verso Roma (e il Cinema) è stretta.
Sorrentino celebra il fallimento di una generazione prossima al collasso, mettendone in mostra la vacuità in cui ha cercato rifugio. Per esprimersi ricorre a immagini di una forza indiscutibile a cui associa un linguaggio poetico e profondo ed allo stesso tempo malinconico e decadente. Trova in Servillo un interprete superlativo convinto che soltanto la bellezza può salvare l’uomo dall’oblio. Si nota un filo sottilissimo con alcune opere di Fellini (8 e mezzo in primis) delle quali sembra la naturale evoluzione e prosecuzione concettuale, sebbene abbia una personalità distinta.
Sorrentino ci regala una cartolina di Roma da togliere il fiato, con le sue solite immagini curatissime e dalla fotografia impeccabile. Per contro, ci racconta una parte di chi questa bellezza la abita, tra dissolutezza, noia e stordimento giornaliero. Una vita vissuta guardando solo avanti, senza vedere. Qualche volta il regista indugia un po' troppo, ma il suo racconto convince e tratteggia, grazie al grande Servillo, un personaggio complesso e memorabile.
La Roma balocca del generone, volgare e compiaciuta, vacuamente mondana e tristemente decadente. Fellini più che un'ispirazione è una presenza ingombrante: suore, feste, grandi palazzi semi abbandonati, via Veneto. Che Sorrentino sia tecnicamente forse il migliore lo sappiamo un po' tutti: luci, carrellate, primi piani, tutto traspira Cinema. Ma tutto questo sfoggio di virtuosismo finisce per annacquare le sue capacità di narratore rendendo il viaggio di Jep verso se stesso inutilmente prolisso e, per buona parte, superfluo. Ben diretto il buon cast.
Il grande rischio è quello di arrivare a questo film con alle orecchie critiche di molti che lo hanno visto (o tentato di vedere) solo perché vincitore agli Oscar. Il film merita una visione scevra da tutto ciò. Si tratta di un'opera di altissimo livello che mostra ahimé ciò che non vorremmo vedere, o forse ciò che fingiamo di non vedere. Non è solo un film di star in decadimento ma in generale la fotografia di un mondo che sta spirando lentamente fagocitato dal nulla che ci impedisce di accorgerci dell'altro. La nostra metà oscura.
Sorrentino is back; si riappropria dei suoi magnifici balocchi e confeziona un racconto imperfetto ma estetizzante, sempre magnetico nonostante la lunghezza e il ripetersi ossessivo dei temi. Ma la mano è unica nell'assemblare icone classiche e moderne, sacre e profane e nel rappresentare Roma al suo meglio, tanto che riuscirebbe a rendere significativo pure lo sguardo di Totti. Rischia di crogiolarsi nella sua visione estetica ma, ripeto, oltre allo stile non mancano le emozioni ed è un'opera da portare all'estero con sincero orgoglio.
La vita di Jep Gambardella mostrata da Servillo ha sicuramente molti richiami al cinema felliniano (in particolare alla Dolce vita), ma è ancor più legato alla commedia all'italiana anni settanta: con le sue feste gioiose ma in fondo amare, con qualche momento umoristico buttato lì a stemperare la tristezza. Un grande film, sicuramente con alcuni difetti (gli animali in CGI, la lunghezza) ma che non lo sminuiscono. Ottimo Servillo, sorprendente la Ferilli, corretto Verdone e simpaticissimo Buccirosso. Bella colonna sonora.
La dolce vita cinquant'anni dopo. Sorrentino non è Fellini, Servillo non è Mastroianni e l’Italia non è più quella gioiosa e di moda del 1960 (il “boom”). La grande bellezza si segnala come pungente allegoria di un paese imbambolato che non ha più nulla da dire, che convive con un grande passato che diventa un imbarazzante fardello da sopportare e che evidenzia ancor di più la pochezza dei nostri giorni. Un decadimento culturale che il film riassume concettualmente nella constatazione che il protagonista non scrive più perché esce spesso.
Accantoniamo subito i paragoni blasfemi, ché i fellinismi di riporto sono fra le cose peggiori di un film che non manca di momenti imbarazzanti (i flashback sull'isola, la recitazione (?) della Ferrari, i fenicotteri, un po' tutto il finale). Per rifare la Dolce vita manca il senso del tragico che... Aspetta, ma certo: con tutte le sue pretese, è una commedia! Non è Fellini, è un Vanzina high-brow e in bella grafia! Visto così funziona abbastanza, e per la prima volta ci è piaciuto Servillo.
MEMORABILE: L'intervista all'"artista concettuale" che "tira 'e capate al muro"
Didascalico, ricorre a continue spiegazioni di ordine psicologico/sociologico e narrativo, incapace di giungere a delle definizioni senza l’uso eccessivo della parola, unicamente votato al narcisismo registico, riflette la voglia di stupire con fraseggi da copia-incolla enciclopedico e chiede alla sopravvivenza estetica (non male la fotografia) di mettere delle pezze formato gigante sulla sventurata sceneggiatura. Il cast si inerpica in rigide acrobazie attoriali ereditate perlopiù dai macchiettisti del varierà televisivo. Da evitare.
Un'operazione dichiarata di metacinema che coniuga il peggio di noi con il meglio di Roma. A parte le "citazioni" felliniane e il cast di rilievo in cui spicca ovviamente Tony Servillo e un'inaspettata bravissima Pamela Villoresi, il film manca di una sua identità e ha in sé concetti filosofici pessimisti di chi dipinge la vita e gli anni che passano come un avvicinamento al primo girone infernale e la vecchiaia come anticamera della decadenza morale e civile. Troppo autocompiacimento e una Roma che risplende, nonostante tutto.
Una pellicola decadente, visionaria e ispirata al cinema di Fellini. La città eterna nel suo assoluto splendore lontano dal solito caos che l'attanaglia. Ottime immagini notturne che si miscelano con la vita di un gruppo di snob e intellettuali delusi dalle esperienze vissute. Un monumentale Servillo attraversa la narrazione con maestosità ben coadiuvato da Verdone, la Ferrari e la Ranzi. Valida colonna sonora e poco velate critiche all'imperante moda radical chic in voga in certi salotti di sinistra. Da vedere.
Il racconto a immagini della bellezza romana contrapposta alla vacuità e allo squallore della upper class nostrana. Un omaggio a Fellini ma anche un preciso atto d'accusa verso la società che scivola sempre più verso la solitudine e il degrado morale. Oscar meritato ma che Sorrentino deve obbligatoriamente dividere in tre: con Bigazzi, immenso direttore della fotografia, e con Servillo, che offre una performance irripetibile. Deludente Verdone, che spreca la prima vera occasione di cinema serio, mentre è indovinatissima tutta le serie di personaggi.
MEMORABILE: Tutte le volte che Servillo parla da gagà napoletano; Tutta la fauna che gira attorno a Jep Gambardella.
La felliniana Dolce vita qui è solo un'eco, un riverbero concettuale, ma nulla più. La luce che là si dischiude sulla capitale è intinta nell'astrazione magica; qui disvela, seppur con fascinosità di colori e sapienti umori raffigurativi, una città reale. E il personaggio di Mastroianni, a tu per tu con quello di Servillo, tradirebbe come un'evanescenza di fantasma immaginario, dissolvendosi al tocco della disincantata marpioneria, ormai addomesticata, dell'altro. Là il filo di recupero della speranza scivola via, qui si intravede. Ammaliante.
MEMORABILE: La nana, più alta di tutti gli altri nella personalità che esprime; Il personaggio della sorprendente Ferilli.
Rirtratto felliniano della Roma bene, visto dal regista de Il divo. Fra commedia agrodolce e dramma, feste, festini e discussioni, con un annoiato scrittore partenopeo (Servillo) trapiantato a Roma. Film decisamente strano, almeno per i miei gusti, dove il regista ha avuto il coraggio di riportare in sala anche un'irriconoscibile Serena Grandi. Toni Servillo è molto bravo, ma anche Carlo Verdone, che,diretto da un regista diverso da Veronesi torna a essere drammatico come ai tempi de Compagni di scuola. Sabrina Ferilli è sempre in forma.
La città? Eterna. Il poeta Céline. Il turista, Giapponese. Il peluche della nana? È ciclopico, ovvio. La musica? Sempre classica per giardini, massime e suore. Puntualmente truzza per ricchi, potenti, cubiste e prostitute. L'artista-indie è fasulla in quanto criptica. Poi però le frasi si troncano a metà, la donna-fine si limona il trippone. Nulla si crea e ancor meno si disattende in questa fiera che arriva con tre anni di ritardo sulle Lupercalia al Colosseo Quadrato, dove giovani ancelle si lasciavano palpare da voracissimi porci-antropomorfi.
La grande bellezza di Roma, nei suoi paesaggi mozzafiato, negli scorci poetici e dalle terrazze altolocate dalle vedute stupende; è il piatto forte di questa eclettica opera di Sorrentino, dal sapore felliniano e dal carattere decadente. Il film però indugia troppo sull'autocompiacimento, mettendo al fuoco un po' troppo, con il risultato di diventare prolisso e dispersivo. Toni Servillo continua a replicare sé stesso fino alla noia.
La Grande Bellezza quella che si cela e conserva nel profondo, che ci salva e rende grottesca e insopportabile la vacuità della vita contemporanea o le parole inutili di chi ci circonda. Immagini e suoni di grande e rara bellezza, un viaggio discontinuo e senza sosta che ammalia e stupisce, così riuscito e inaspettato che vorresti non finisse mai. Servillo è superlativo e la Ferilli una sorpresa. Sorrentino questa volta sfiora il capolavoro.
Sorrentino rappresenta la Roma moderna con la potenza delle immagini. Opulenza, ostentazione a gettone, sacralità, vacua arte contemporanea, espresse nella pigrizia dei movimenti. Si critica addosso nei dialoghi di un Servillo che ha presenza da vendere e nelle battute scolpite di una fauna assortita. Lato profano facile da rappresentarsi, più deludente il richiamo al clero. Un amalgama che esplode come una maionese, lasciando un buon gusto, ma il tentativo è evanescente.
"Vedo gente, faccio cose"... potrebbe essere il motto del protagonista (che strascica qualche battuta), il quale cerca la grande bellezza in mezzo a facce davvero mostruose (complimenti a Serena Grandi per il coraggio di essersi mostrata) e in genere alla vacuità imperante di gente cosiddetta "su", seppur collocate entrambe nei bellissimi palazzi romani, ma con troppa lentezza. Non male la Ferilli e a suo agio Bucirosso. Le citazioni felliniane, checchè se ne dica, sono spudorate (quante suore) e i CGI sono fuori posto. Verdone fa Verdone.
MEMORABILE: La porta di Piazza Cavalieri di Malta aperta (i romani e coloro che amano Roma capiranno).
Un astante defluendo esclama: "In fondo, la vita, non va presa sul serio"; mi sono sentito in obbligo di aggiungere: "ma Sorrentino sì". È stato come bere una birra con un vecchio amico col quale non ci si vedeva da anni, portando con sé il bagaglio di chissà quali mirabolanti avventure intercorse nel lasso di tempo incriminato. Sorrentino, alla strenua ricerca della grande bellezza, assembla una serie di sketch-cult dal perenne retrogusto, mantenendo un flebile fil rouge pronto a sterzare in qualunque istante. Elisa, però, non doveva proferir verbo. ****1/2
Nelle prime battute si cita Ammanniti e da questi paiono mutuate le scene dei party mondani (Che la festa cominci), andando scivolando verso lussuose, impegnate, impegnative notti di niente. Jep ha carisma, è sfacciato, arrogante, triste ma cattura. La pellicola su questo ruota, ci ammalia con una fotografia da togliere il fiato, con musiche raffinatamente estasianti eppur poco o niente ci dice. Ci lascia, tuttavia, un senso di delusione, di sconfitta, di futilità. Abbiamo tutto, eppur ci manca la grande bellezza che non si può acquistare.
MEMORABILE: La fotografia; L'ottima interpretazione della Ferilli.
È evidente che Sorrentino si sia fatto ispirare da Fellini; senza nemmeno volerlo nascondere, forse volendo evidenziare quante poche cose siano cambiate in più di cinquant'anni nella capitale, negli uomini e nelle donne che della grande bellezza fanno parte. Detto questo e con uno sguardo più approfondito, le diversità tra le opere ci sono e non solo in virtù dei nuovi mezzi tecnici, ma proprio nella sostanza, nell'approccio. Ci sono alcuni flash, inserti quasi subliminali, di frasi in romanesco che sdrammatizzano con efficacia, alla Flaiano.
La bellezza di Roma rimane indifferente e non cessa di esistere dinanzi alla decadenza della società romana. Sorrentino si fa rispettare più come regista che come sceneggiatore dato che la storia, a fasi alterne, fa un po' acqua, mentre il film è girato veramente bene. Toni Servillo è la colonna, tutti gli altri (Ferilli, Verdone, Buccirossi) sono da dimenticare.
Un film che si ama o si odia. Di certo non lascia indifferenti il superbo lavoro del direttore della fotografia Luca Bigazzi, che regala inquadrature deliziose dai colori stupendi. Si può scegliere se perdersi dolcemente fra i meandri della grande bellezza che Roma offre con i suoi scorci interni ed esterni, fotografati in maniera impeccabile, se contestare la sceneggiatura "vuota", se fare una lista dei momenti in cui Sorrentino cita spudoratamente Fellini o se semplicemente godere di un'opera sincera, con i sentiti omaggi al maestro di Rimini ma onesta.
MEMORABILE: L'artista che si è fotografato una volta al giorno da quando è nato; La bimba costretta a fare performance artistiche; La "santa" missionaria.
Analisi in chiave moderna della "Dolce vita" Felliniana, la Grande bellezza è un viaggio alla scoperta della mondanità romana, rappresentata al meglio da Jep Gambardella (un ottimo Toni Servillo), un personaggio difficile da inquadrare, a metà tra il soddisfatto e il nostalgico. Andrebbe guardato più volte per capirne il messaggio nella sua interezza. Nel complesso un buon film, probabilmente l'opera della definitiva consacrazione per Sorrentino, ma ha il difetto di essere prolissa e a tratti divagante. Bravi anche Verdone e Buccirosso.
MEMORABILE: Il party iniziale; Jep smonta l'encomio che un'amica fa di se stessa.
Racconto di una stantia borghesia simil-acculturata che va a braccetto con le mode del momento e si specchia nella propria cafonaggine tramite il Jep interpretato da uno strepistoso Servillo. Roma rimane quella felliniana, ma una incisiva Ferilli la riporta ai tempi moderni, con tutte le contraddizioni del suo personaggio. La grande bellezza è probabilmente quella di cui si circonda il film grazie alle strepitose scenografie e alla fotografia superba; i personaggi sono emblematici, la storia è un triste ritratto quanto mai reale e decadente.
Film presuntuoso che si vuole far bello ammantandosi di una fotografia ricercatissima, senza dimenticare la colonna sonora, ma che pecca nel mancare al primo fondamentale comandamento dello spettacolo: intrattenere lo spettatore. Non basta, infatti, un collage di situazioni e personaggi, tenuti insieme da un esile filo narrativo, a evitare una noia di fondo che attraversa costantemente una narrazione svolta attraverso un insieme di flash disperati di una Roma in cui permane l’onda lunga del decadentismo tardo impero. Pollice verso.
Film apprezzabile per lo sforzo di partorire un prodotto d'autore; si stenta a trovarvi i connotati dell'opera "da oscar", ma è una gran bene per il cinema italiano che l'abbia vinto. L'occhio registico di Sorrentino ha maturato un senso artistico di grande (e rara) bellezza e cerca di far emergere una visione di vita che oscilla tra nostalgia e rimpianti, contrapponendo al gusto del bello esteriore una visione intimista che porta avanti con riflessioni a volte ermetiche e altre azzeccate.
Piuttosto delusa. Sarà che mi sono avvicinata a questo film carica di aspettative, tanto è stato osannato e che Sorrentino ha sempre sfoderato in gran parte ottimi lavori. Eppure è stata dura arrivare alla fine: sceneggiatura lenta, prolissa, onirica, in un'atmosfera caotica e scombinata a volte ed eccessivamente calma altre. Servillo regge l'intero film, spalleggiato da una brava Ferilli. Fotografia di alto livello, ma i troppi orpelli finiscono per diventare macigni.
Da quanto tempo un Regista (con la R maiuscola) non si impegnava così a fondo nel creare una piccola opera d'arte contemporanea! Per una volta le fonti (Fellini) non sono mascherate, ma citate alla luce del giorno. Per una volta il cinema torna a farsi pittura, musica e teatro. Un film che trabocca di ogni cosa: dall'angoscia alla speranza.
Un'opera immaginifica e debordante, che ritrae una Roma ostaggio della volgarità e della superficialità. Tantissimi i personaggi e le storie che si sovrappongono e si intrecciano, senza una precisa sequenza narrativa. Al centro Jep Gambardella (uno strepitoso Servillo), spettacolare dandy decadente dalla camminata mollemente disinvolta, in abiti dal gusto personale e ricercato, attorno al quale ruota un universo umano impietosamente alla deriva. Dalle parti del capolavoro, se non fosse per una compiaciuta tendenza a eccedere nel grottesco.
MEMORABILE: Il monologo di Jep che zittisce Stefania sulla terrazza.
Ritratto fedele di un certo tipo di società, di personaggi che purtroppo esistono davvero nel loro disperato e irritante vuoto. Grandissimo Servillo di cui si può condividere, forse per la prima volta in un film, la totalità del suo parlare caustico. Un film felliniano nelle citazioni, ma anche molto morettiano, registi che vengono entrambi elaborati con finezza e intelligenza anche se gridare al capolavoro, guardando i film precedenti di Sorrentino, mi sembra eccessivo: spesso sembra di vivere in un cafonal esteso di dagospia. Ed è stancante.
Struggente per la sua bellezza, per la sua raffinata capacità di prendere la vita, metterla a nudo e in ridicolo, ma allo stesso tempo consacrarla e renderla il dono più bello di cui si possa godere. Sorrentino sfrutta al meglio le ambientazioni, potenziate al massimo da movimenti di macchina incredibilmente coinvolgenti, così come le musiche, in pieno accordo con la storia. L'intero cast è in stato di grazia e Servillo fornisce una prova eccezionale.
Ebbene sì, ha vinto l'oscar! Più che la grande bellezzza mi sembra il gran caos, abbastanza deludente. Roma è bellissima certo, ma allora perché non esaltare To Rome with love? Roma forse non è ancor più affascinante? Sarà poi che la babilonia felliniana nel cercare l'inarrivabile felicità e aspirazioni qui è solo ben fotografata. Toni Servillo decisamente bravo, come Verdone. La Ferilli vestita da vittoria scudetto mi fa sorridere. La Ferrari meglio se rimaneva ai "box". Ottima fotografia e storia così così.
Il vero protagonista non è Roma con la sua bellezza, come molti sostengono, ma il vuoto ideologico e morale che al suo confronto e in contrasto con essa rappresentano i personaggi che vi si muovono. In questo senso il film può essere a sua volta un mero esercizio stilistico senza disturbare, anzi proponendosi come ritratto neorealistico di certa borghesia radical chic di oggi. Eccellente prova attoriale di Verdone, così così Servillo, spesso sopra le righe.
Un film notevole, non eccelso ma che è riuscito a sbaragliare la concorrenza e ad aggiudicarsi l'ambito oscar. La grande fortuna del film è l'ambientazione, che pur con tutto il budget del mondo non sempre è acquistabile. Qui c'è Roma in tutto il suo splendore, ma c'è anche un Servillo che sa il fatto suo, in grado di sostenere il film senza problemi e un ottimo Sorrentino capace di confezionare un prodotto magistralmente. La trama mi è piaciuta meno. Un film che comunque parla del nulla ma allo stesso tempo riesce a parlare di tutto.
Un grandissimo film, che riconferma la bravura e la delicatezza dello sguardo di Sorrentino dopo il mezzo scivolone (ma sempre con classe) di This must be the place. Torna da Mamma Roma, torna da Servillo, torna all'italianità più pura, si rifà a Fellini, icona di un cinema italiano che forse sta cercando di risuscitare. Atmosfere surreali, carrelli lenti ma sinuosi e la luce indimenticabile che batte sulla città Eterna. Peccato per quegli effettacci digitalizzati e quel finale mistico, al quale continuiamo a preferire la bambina della Dolce Vita.
MEMORABILE: L'arringa contro la radical chic Galatea Ranzi...
Roma decaduta più che decadente, a tratti deceduta, vittima di una modernità che la venera ma la esclude a priori. Il superficialismo intellettuale come massimo apice della mondanità per nascondere il vuoto assoluto interiore; ma il velo è troppo sottile e per capire basterebbe non vedere, metaforicamente (Jep) o letteralmente (la Santa). L'importante è esserne consapevoli, ma a diventarlo si muore lentamente. La pretenziosità è accolta, ma Sorrentino si mostra a tratti troppo esplicito seppure visivamente incantevole. Oscar ereditato.
Desolato e desolante (ma volendo anche accorato) sguardo alla vacuità della borghesia romana a firma Sorrentino. Viaggio nella solitudine moderna, spesa tra feste squallide con musica da due soldi e fiumi di cocaina, mentre sullo sfondo si agita la grande bellezza della Città Eterna. Sorrentino fonde benissimo musica e immagini dando un senso a quello che, effettivamente, a prima vista può sembrare un grande baraccone confuso. Paga purtroppo uno script deboluccio ma la bellezza di alcune singole scene è ragguardevole. Ottimo cast con citazione per Buccirosso.
MEMORABILE: La festa iniziale; Servillo che demolisce l'amica; La cena con la Santa; Herlitzka; I consigli su come comportarsi a un funerale.
Diciamoci la verità: è una grande boiata. Al netto della bella fotografia e dei magici luoghi capitolini, è un film tedioso, sciatto e finto. Sorrentino si atteggia a Fellini, ma naufraga in un mare di scene interessanti come lo sono le previsioni meteo della marmotta di Punxsutawney. Ma negli States, il maestro ha raccolto 4 statuette e fama imperitura allora perchè non scimmiottarlo?
Per far vedere le bellezze della città eterna sarebbe stato sufficiente uno dei tanti documentari. Sorrentino invece ci propina un film che sembra diretto da un Fellini distratto e a corto di idee; per carità, il film ha un suo fascino, Servillo è molto bravo, ma non basta come smonta la femminista snob per giustificare il tutto. Interessante quando dice che arrivati a una certa età ci si rende conto che non si ha più tempo per fare quello che non piace. Film interessante, ma non lo rivedrei.
Sorrentino dirige con solerzia e mestiere questo film, direi riuscito, dal sapore felliniano e che descrive in maniera anche cinica e grottesca, talvolta, la Roma bene, fatta di molte contraddizioni, personaggi effimeri e che pensano solo a come appari e non a come e cosa sei, di tanti o forse troppi vizi e poche virtù. Il tutto viene visto attraverso gli occhi di uno "spettatore interno", ossia lo scrittore magistralmente interpretato da Toni Servillo. Molto bene anche la Ferilli, Verdone invece un po' sottotono.
Un Tree of life all'amatriciana, sì Felliniano ma più proiettato al futuro di quanto possa sembrare. La doppia sequenza iniziale con giapponese infartato (sindrome di Stendhal?) e il compleanno del protagonista (che sembra un geronto-Spring Break) vale già da sola tutto il film, poi c'è il solito perfetto Servillo, l'ottima scelta delle musiche (e qui torna Malick, ma anche il sodale Garrone), la fotografia crepuscolare e una regia in toto eclettica e personale. Peccato per la morale finale un po' troppo semplicistica.
Discreto film di chiara ispirazione felliniana che però ha delle pecche nella caricatura forzata di alcuni personaggi e nella presenza di lunghe e criptiche sequenze fini a se stesse. Sorrentino ha comunque il merito di mettere ben a fuoco un “mondo a parte“ popolato da soggetti frivoli e meschini svelandone i loro rituali e le loro ossessioni. Ottimo Servillo e discreto Verdone, seppur relegato in secondo piano.
A mio modesto avviso il peggior film di Paolo Sorrentino. Con questo non intendo sostenere si tratti di un film inguardabile, scadente o malriuscito; anzi, è fin troppo importante per il cinema italiano un’opera simile; coraggiosa, ambiziosa, che profuma e si impregna della grandezza “classica” del nostro cinema, ma che nella filmografia di Sorrentino rappresenta l’opera con più problemi, con vette altissime e altrettanti inciampi.
La (grande) bellezza è negli occhi di chi guarda... gli scorci di Roma. Perché per il resto il microcosmo di personaggi che ruota attorno al protagonista è poca cosa e l'unico guizzo, riprese della città eterna a parte, è dato dai battibecchi tra il personaggio del buon Servillo e la domestica in quella che potrebbe essere una riproposizione "filmica" del Giovin signore del Parini. Tutto fumo e niente arrosto.
Una fantastica caramella, con una splendida confezione che, una volta scartata, delude e appare priva di gusto. Sopravvalutato se lo si giudica guardando ai riconoscimenti ottenuti, rappresenta l'immagine che all'estero si associa o si preferisce associare all'Italia, quella felliniana. Meraviglioso nel rappresentare una società vacua, conta su una fotografia d'eccellenza e straordinarie prove attoriali (Servillo chiaramente su tutti). Per il resto, nel guardare un film non occorre solamente soffermarsi sull'estetica, e così il risultato si affloscia e non ripaga le premesse.
Film complesso e, a tratti, ermetico. La trama ruota attorno al protagonista e alla sua resa dei conti, tutta interiore, con una vita che ha cercato e ottenuto ma, con gli occhi della piena maturità, inizia ad apparire vuota e futile. Così i pensieri di Jep emergono nelle sue lunghe camminate solitarie attraverso la magnificenza di Roma, divisa tra caos e ordine, sacro e profano. Notevole la prova di Servillo. Pellicola affascinante ma non priva di qualche sbavatura che fa la differenza tra un buon film e un capolavoro.
MEMORABILE: Jep alle prese col card. Bellucci; Il protagonista che scardina tutte le certezze di Stefania; La scoperta dell'identità del misterioso vicino di casa.
Pur mancando una vera trama, il bravo regista sfrutta benissimo la fotografia di una splendida Roma per una rappresentazione dolceamara. Buona la regia, bravissimo Toni Servillo. Il dolce è la bellezza di Roma a tratti imbarazzante, la parte amara è affidata ai nobili decaduti, che vivono in case museo ammuffite e alla gente bene di Roma tra feste e tristezze familiari. Non poteva mancare un tocco di anticlericalismo, per certi aspetti condivisibile, bilanciato con la presenza della religiosa silenziosa. Bello.
Film sulla decadenza di Roma e della vita. Noioso, infarcito di dialoghi insignificanti. Oltremodo lungo per essere basato praticamente sul nulla. Discreta invece la prova degli attori, ma alla fine l'unica cosa che resta è la domanda sul perché abbia vinto l'Oscar.
Ultima prodezza di Sorrentino, che con il fidato Servillo propone quello che forse è il suo film più riuscito. Uno spaccato crudo e talvolta onirico sulla vita di un ricco che vive a Roma e ne frequenta la vita mondana. Storia di per sé piuttosto piatta ma ben sfaccettata grazie alle discrete interpretazioni degli attori e a una buona sceneggiatura. Notevole - come al solito - la tecnica di Sorrentino, così come la fotografia.
La bellezza, ovviamente, è quella degli uomini miserabili che popolano la città. Loro rappresentano la vita. La Roma di pietra è invece simbolo di morte, ferma e seria. "Una donna bella alla mia età non è abbastanza". Sorrentino lo sa, ma lascia forse credere il contrario. Manovra dolly e steadicam come mazze da biliardo, avanti, indietro, ravvivando il colpo a ogni nuovo pensiero messo in scena. A Servillo manca solo un passo per essere davvero il Jep Gambardella immaginato dal suo autore.
MEMORABILE: "Senza pioggia, agosto non finisce e settembre non comincia".
Non siamo di fronte a un capolavoro, ma senza dubbio a un ottimo film. Con alcuni tocchi lirici Sorrentino raggiunge vette importanti e il tutto è impreziosito da un'interpretazione memorabile di Toni Servillo, che si conferma un attore di altissimo livello. Insomma, la "Grande bellezza" è un film che in definitica va visto, centellinato e gustato fino all'ultima scena.
La dolce vita post-felliniana travolgente e a tratti anonima verrà giudicata a posteriori, perché il giudizio attuale può essere inficiato dalla realtà quotidiana e dalle facili allusioni alle maglie della nostra società civile. Sicuramente ha messo in risalto l'aspetto paesaggistico, ma anche la morte dello stesso incastonato in una visione di superficialità e di scarsa autostima. Il desiderio di celebrità ha intrappolato i personaggi e non ha permesso la loro crescita. Ma tutto finisce con la morte e tutti si rendono conto di averla di fronte!
Difficile darne un giudizio complessivo, seppur qualche anno e opera di distanza. Ci si divide tra bellissimi quadri notturni che ospitano levigate deambulazioni esistenziali alternate a banali cartoline romane tenute insieme da una retorica insopportabile. I punti di riferimento principali sono pesanti (Celine, Fellini e Scola) e il confine tra citazionismo e parodia è piu fragile di quanto sembri; come risulta difficile capire se alcune sequenze siano volutamente (solo) abbozzate o inconcludenti per mancanza di un vero messaggio di fondo. Onirico, generoso e pretenzioso.
MEMORABILE: La sequenza delle iniezioni di botox; Servillo che appare nella festa iniziale; Le musiche.
Film molto ambizioso, in cui regia e interpretazione del protagonista sembrano rincorrersi in una gara a chi è più bravo. Ma la sinergia tra le due performance funziona e anche se durante la visione il film può sembrare lento e pesante alla fine lascia il segno (e vince l'Oscar), non solo per la meravigliosa fotografia della città eterna. La malinconia nel subire, impotenti, lo scorrere del tempo è nitidissima e pungente. Buonissima l'interpretazione di Sabrina Ferilli e questa è una sorpresa, mentre Servillo, come al solito, è magnifico.
Immane necropoli di mondana nullità, tumulo di un indicibile altrove. Ci si astenga dal connotare il lavoro sorrentiniano con fatui provincialismi nazionali. E' un mal de vivre che attraversa il tempo, lo taglia e ferisce a morte, ed è così destinato alla censura del mondano, dell'escrementizio sociale. Una bellezza, quindi, che ha invero il sentore mistico della morte. Bellezza alle cui forme lo stesso Sorrentino, suo malgrado, rimane fatalmente avvinghiato. Tanti ossequi a Fellini, ma quante immagini al vento! Nonostante tutto, coraggioso.
MEMORABILE: I pesci in faccia tirati alla sedicente élite e ai suoi simboli, tra i personaggi/interpreti: Jep, Dadina, Stefania, Egidio, il cardinale.
Non un film avvincente ma un viaggio, un'esperienza affascinante... questo è "La grande bellezza". Roma è la cornice magnifica e guarda dall'alto tutto il chiacchericcio, le vite vuote de protagonisti del film. La struttura narrativa deve molto alla Dolce vita di Fellini con un racconto praticamente a episodi, in tempo reale, della vita nella Roma bene. Nobili decaduti e in affitto, preti esperti di gastronomia, intellettuali o presunti tali sono, fra gli altri, il simbolo del decadimento morale della società. Bellissime le musiche.
MEMORABILE: Servillo che smonta la sua amica fino a quel momento convinta di fare una vita esemplare; La festa di compleanno; Herlitzka esperto di gastronomia.
Film molto alla Sorrentino, anche troppo. Forse volutamente - in questo caso sarebbe un capolavoro - tantissimo fumo ma poco arrosto. Eccellente la prova di Verdone che potrebbe ambire a diversi ruoli. Magnifiche molte scene ma nel complesso mi sembra che siamo nel gigionesco, anche per Servillo, che si vuole - bene - dipingere. Magnifico il secondo uomo più ricercato d'italia che dichiara: "Siamo noi che teniamo a galla questo paese".
Film crepuscolare quel tanto che basta per narrarci di una Roma che nel terzo millennio ancora non riesce a trovare una sua anima e una propria identità. Paolo per meglio rappresentarla utilizza tre icone di lusso: Verdone che non recita finalmente Verdone, la Ferilli pure e Venditti con un cameo. Ma Roma non si risveglia e continua a perdersi nelle sue serate mondane mentre Jep Gambardella sulla soglia dei 65 anni capisce che la sua vita è stata tutto un fallimento. Grande Servillo.
MEMORABILE: A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: la fessa. Io, invece, rispondevo: L'odore delle case dei vecchi. La domanda era: Che cosa ti piace di più veramente nella vita?
Regia di fattura sartoriale per una racconto piccolo piccolo sproporzionatamente gonfiato da un persistente vento dal basso Lazio ammantato di tradizione partenopea. Premere sempre sugli stessi tre toni alla lunga stufa e richiama il "piripì" già sentito in versione autoironica da Tosca D'Aquino. Il film che ha riportato l'immagine al centro della cinematografia e non solo dei profili social, è però troppo pieno di parole e scaltro saper vivere di ricchi fannulloni che non sapendo creare arte criticano ciò che fanno gli altri per mantenere privilegi nobiliari in democrazia.
MEMORABILE: La nana; Ferilli nuda morta; La minestrina; Le rinsecchite vecchiette nobili nel palazzo vuoto (!).
Sospeso tra bellezza (della città) e decadenza (morale), il film si lascia apprezzare soprattutto per i particolari, dalla fotografia alle (splendide) musiche. La storia infatti appare poco convincente: si parte bene con un party che mischia nobiltà, borghesia e popolo. Dopodiché la "lettura" della città è affidata a un (bravissimo) Servillo, il cui stile di vita è lontano anni luce da quello del romano contemporaneo (anche se ricco o intellettuale). Purtroppo la realtà è molto più cafona e arrogante, così come la città più sporca e malandata.
MEMORABILE: La scena del botox; La "Santa" e il cardinale a cena da Servillo.
Sorrentino dipinge un affresco di inapparente complessità, le cui tinte vengono solo gradualmente comprese: se da un lato mostra una Roma stupenda a tutte le ore del giorno, essa come una donna algida e consapevole della sua bellezza guarda sprezzante l'affannarsi dei vari buzzurri nelle notti di festa. La Ferilli sembra una bimba fragile e perfino il suo "romanesco" fa tenerezza, unica forse a salvarsi in una crisi di valori che, purtroppo, è reale e ci rattrista.
MEMORABILE: Il ballo sul remix della Carrà; La solitudine che coinvolge, nessuno escluso, tutti i personaggi.
Elegiaca rappresentazione della decadenza italica, complice una certa borghesia snob e autoreferenziale e una finta sinistra riformista e salottiera. L'intento di Sorrentino rimane buono e alcune trovate sono decisamente riuscite ma mi domando quale poteva essere il livello del film senza uno straordinario Servillo e senza le stupende inquadrature della città di Roma. Inutilmente prolisso nella fase onirica, si trascina stancamente nel finale. Verdone fuori luogo, bravi Ferilli e Buccirosso.
MEMORABILE: Il ballo iniziale in terrazza con la prima inquadratura di Jep; Jep che demolisce verbalmente l'amica radical chic in terrazza.
Dolce vita in chiave XXI secolo per questa pellicola un po' ruffiana di Sorrentino. Una Roma bella e decadente viene osservata dagli occhi del protagonista, Jep Gambardella, scrittore e giornalista disilluso dell'alta borghesia romana, interpretato da un sempre perfetto Toni Servillo, immenso sia quando apre bocca, sia quando tace. Tra feste, alcool, droga e botulino, appaiono tanti personaggi minori: lo sfigato Verdone, il simpatico Buccirosso, la decadente Grandi. Brava e bella la Ferilli, sempre! Fotografia eccellente e regia da manuale, ma prolisso e un po' noioso. Da Oscar?
MEMORABILE: Il monologo di Jep in cui fa letteralmente a pezzi l'amica Stefania; Gli inquilini del superattico; I balli di Buccirosso; Le suorine felliniane.
Alla fine non è che una caricatura dei film eccezionali girati in Italia fra i '60 e gli '80. Non c'è niente che valga la pena d'applaudire e Sorrentino, come al solito, si perde nei meandri della malinconia senza coinvolgere granché. Un gran carrozzone di cosiddetti grandi attori che svolgono il loro "compitino".
La differenza tra Tornatore e Sorrentino sta tutta nell'operazione "omaggio alla nostra terra," messa in atto con Baària e La grande bellezza. Nostalgico il primo, decadente il secondo. Vince ai punti Sorrentino che merita molti premi per quanto fatto vedere, ascoltare e pensare. Mi devo ricredere persino sulla Ferilli: una bambola triste e delicata. Incantevole. Roma però è la donna più bella. Fotografata con garbo e colore, tra sole accecante, albe delicate e notti vivide. Unica nota dolente, i fenicotteri in CG, inutili. Da cineteca.
MEMORABILE: Le feste cocate di Jep, con una Serena Grandi più grassa che mai.
Sarà perché è il primo film di Sorrentino che ho visto e quindi non mi ha del tutto convinto. Particolarmente bella la fotografia per una Roma quasi sempre da cartolina e con un Servillo un po' (troppo) sopra le righe. Qualche personaggio eccessivamente stereotipato e un'aura felliniana non proprio nascosta. Comunque un film apprezzabile su cui si deve sospendere il giudizio complessivo sperando che porti a casa qualche Oscar (non si sa mai, ma è molto probabile che non ci sia di meglio in circolazione...).
MEMORABILE: Il mare sul soffitto; La scelta del vestito per il funerale.
Questo non è un film. Questa è un'esperienza audiovisiva, nel senso più puro del termine. Le luci, i suoni, i rumori di una Roma ai confini della realtà e drammaticamente vera al tempo stesso si mescolano, proponendo un catalogo di umanità varia difficilmente ripetibile. Qualche tempo dilatato nella regia di Sorrentino e l'assenza di una trama omogenea negano il voto massimo alla pellicola, ma sono pur sempre 150 minuti di estasi su pellicola. Servillo mostruoso, il cast di contorno funziona e assiste il mattatore, musiche, fotografia e scelta delle ambientazioni strepitose.
MEMORABILE: L'inizio; L'intera interpretazione di Servillo; La discussione sulla terrazza.
Straordinaria interpretazione di Toni Servillo che, ancora una volta, riesce a immedesimarsi nel personaggio geniale e nostalgico di Jep Gambardella, completamente immerso nel caos della capitale che si contrappone alla solitudine e al vuoto che il giornalista sente dentro sé. Una riflessione sulla vacuità del presente, accompagnata dal costante ricordo di un amore adolescenziale che rammenta i fallimenti di Jep. Positivamente sorprendenti Verdone e la Ferilli, decisamente all'altezza.
MEMORABILE: Lo sai che la massima ambizione di Flaubert era di scrivere un romanzo sul niente? Se t'avesse conosciuto avremmo avuto un grande libro, che peccato!
Toni Servillo, il miglior attore italiano in vita e tra i migliori di sempre, interpreta, in maniera sublime, uno scrittore di successo (ma con un solo libro all'attivo) che intraprende un viaggio alla ricerca di se stesso in una Roma abitata da personaggi vuoti che badano solo all'apparenza e a festini a base di droga e musica da discoteca. Bella la scenografia e gli attori sono tutti bravi, compresa la Ferilli. In alcuni momenti il ritmo scema, ma in generale il film è buono e merita di essere visto.
MEMORABILE: Il ballo del festino iniziale; La sala dove tutti vanno a rifarsi le labbra; Toni Servillo.
Più dramma esistenziale (di Capitan Jep Gambardella e del suo popolo romano) che commedia grottesca. Parte molto bene, con ottime idee (anche se gli omaggi a Fellini a tratti sono invadenti) per perdere un po' di fascino strada facendo. Nonostante ciò resta un buon film, ben strutturato e montato, con i personaggi che rimangono in testa e i relativi attori tutti bravissimi, a eccezione di Servillo che è grandioso.
MEMORABILE: La festa iniziale, con i frammenti di frase che sembrano campioni inseriti nel brano techno in sottofondo; "È stato bello non fare l'amore".
A parte l'inevitabile richiamo all'insuperato capolavoro felliniano, il lungometraggio appare lento, monotono e, a tratti, anche soporifero. La grande bellezza è soltanto quella della Città eterna e dei suoi monumenti e, in tale quadro documentaristico, i personaggi arretrano sullo sfondo senza suscitare alcuna emozione nello spettatore. Servillo appare quasi imbalsamato, gli altri sembrano delle comparse. Sceneggiatura banale. Regista autoreferenziale e priva di buone idee.
Meraviglioso affresco di un mondo popolato da persone per lo più orride, inserite in una cornice di inarrivabile bellezza. Più che una trama il film dipinge il ritratto di una decadenza descritta attraverso il vissuto del protagonista, uno scrittore interpretato dal grande Toni Servillo, che vede spegnersi progressivamente tutto ciò che lo circonda, amici che muoiono o che se ne vanno... tutto questo riaccende in lui l'ispirazione di tornare a scrivere. Fotografia eccezionale e musiche emozionanti. Un grande film!
MEMORABILE: "Io non volevo solo partecipare alle feste, ma avere il potere di farle fallire" (Jep Gambardella).
In una fotografia di fondo davvero impareggiabile, si è di fronte a una metafora del decadimento dei nostri tempi, in netto contrasto con la magnificenza architettonica, culturale e storica di Roma. Le feste fatte per sentirsi vivi, ma senza divertimento, le considerazioni condivise delle propria insoddisfazioni, la lentezza di chi è senza stimoli veri, la consapevolezza che la gioventù è passata e che questo tempo è vacuo e la società involgarita. C'è tutto questo e tanto di più in questa pellicola di Sorrentino. C'è tanta amarezza di fondo, accompagnata da musiche perfette.
MEMORABILE: La tenda che svolazza sulla finestra aperta dopo che Jep lascia la donna da sola; Sorriso con sigaretta del protagonista nella prima apparizione.
Un film memorabile. Pieno di difetti ma memorabile. Al netto del plagio a Fellini, del dolly che non sta mai fermo e del finale disastroso è un film memorabile perché è sentimentale. E poi anche cinico, umano, grottesco: Gambardella ha le stesse qualità del film di cui è protagonista.
Anime perse, rappresentazioni del sè, mascheroni urlanti, cadaveri parlanti si muovono, ancheggiano, strepitano e urlano nel teatro surreale, per sfacciata bellezza e immobilità imbarazzante, di Roma. Sorrentino vola su una Roma deserta, una Roma così bella e crudelmente distante. Morte e vita, senso e nulla, carne e simulacri, icone sacre e icone post-moderne. Si rimane attoniti e con una sensazione di perdita profonda. Dopo poco capisci che Sorrentino ha lanciato una bomba e ha fatto strage dell'essere umano, così, a ritmo di trenino.
MEMORABILE: "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare".
Ci sono scene in questo film che entreranno a far parte della storia del cinema italiano. Precise, reali, dissacranti. Più del film stesso che resta un po' troppo lungo. La storia a un certo punto si perde tra mille rivoli e l'atmosfera va sfumando. Servillo mostro; Ferilli brava; Buccirosso molto bravo; Verdone sottotono, comunque a pieno nel personaggio. Sceneggiatura debolissima. Regia spettacolare. Fotografia magica. Da vedere almeno due volte per cogliere tutte le sfaccettature.
MEMORABILE: Intervista con l'attrice trans, dissacrazione ex sessantottina.
Strizza l'occhio al cinema felliniano senza poterne vantare i galloni. Incredibilmente lungo, anche considerato il poco che ha da dirci di nuovo: la società dello spettacolo e la borghesia poltroniera sono vacue e cafoncelle. Un oscar americano a colui che ha mostrato ciò che oltreoceano avevano voglia di vedere. Ancora. Servillo teatralmente attore, Verdone penoso nel solito ruolo castrato da cavallone sgualdrineggianti. Fotografia adatta per il prossimo Expo di Roma capitale.
Il marketing da esportazione è ben riuscito (prova ne è la vittoria dell'Oscar), il film molto meno. Strizza l'occhio a Fellini (le monache, la nana, l'asceta) e alla sua Dolce vita, di cui però non ha il genio e la profondità. Sicuramente bella la fotografia - grazie alla Città Eterna e ai suoi monumenti - e bravo Tony Servillo pur se alle prese con un personaggio poco credibile, ma pesa la totale assenza di una trama degna di questo nome. L'intreccio gira a vuoto: banale, lento, ripetitivo.
Davanti a questo film mi sento come Fantozzi davanti a La Corazzata Potemkin... La grande bellezza è solo quella della fotografia, delle scenografie, della Roma fotografata in mille angoli bellissimi ma senza la presenza di alcuno dei tre milioni di persone che la mattina vanno a lavorare. Esiste una casta di "intellettualoidi" che fanno bla-bla-bla: sai che novità! Ci volevano due ore e passa di film per parlare di loro? Grandissimi gli attori, ma il film è inutilmente estetizzante.
MEMORABILE: Gambardella descrive in un ambiente rarefatto l'ipocrita comportamento che si deve mantenere ai funerali. Poi, lo mette in pratica. Embè?
L'aggettivo giusto per definirlo è "pariniano": l'ottima fotografia, l'attenzione ai dettagli, le scene delicate e di contorno tentano di abbracciare valori che non esistono. Una splendida Roma, nascosta, quieta, fa da sfondo a feste eccentriche, spesso chiassose, in cui la borghesia romana celebra il nulla. Il Colosseo incornicia salotti esclusivi tenuti da individui velleitari di cui vengono rivelate le meschinità e le delusioni. Il film guida a un'introspezione su noi stessi, sull'invecchiare, sul lasciare un'impronta nel mondo.
MEMORABILE: "Finisce tutto così, con la morte. Prima però c'era la vita, nascosta dal bla bla bla..."
Non c'entra nulla Roma, l'Italia, la bellezza degli attori e delle attrici su cui era inutile fare un film. La vera grande bellezza cui intende riferirsi Sorrentino è l’amore puro, quello che viene dall'innocenza. Il film è un inno malinconico alla perdita dell'innocenza (Servillo quando guarda dall’alto i bambini che corrono, le loro risate, oppure la cancellata piena di bambini vestiti di bianco, il bacio amorevole di una monaca). Dolcissima la musica, grande Sorrentino.
Percettibile e a tratti sovrabbondante influsso felliniano per il film che, forse anche per altrui demerito, ha riportato nel Bel Paese l'agognata statuetta. Caratterizzato da dialoghi a tratti surreali ma anche da una trascinante lentezza, ci regala tuttavia un grande monumento alla fotografia. Jep/Servillo una spanna sopra, ma oggettivamente interessanti altre interpretazioni. Una polaroid dei nostri tempi, caratterizzati da una società senza speranza di crescita morale e spirituale...
MEMORABILE: La scena di Servillo col panama in testa inquadrato da dietro vale da sola il prezzo del biglietto.
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DiscussioneGugly • 27/11/16 00:36 Archivista in seconda - 4712 interventi
Grandissima sequenza.
DiscussioneNeapolis • 27/11/16 10:32 Call center Davinotti - 3288 interventi
E già.. grande sequenza. Il cinema non ti regala mai nulla. Devi essere tu capace di osservare e rappresentare senza mai tirare la riga cercando che sia il pubblico a decifrare e decidere il tutto. L'analisi di Jepp per quanto cinica e spietata rappresenta quello che siamo diventati ma l'amarezza maggiore sta nella convinzione che nessuno abbia veramente voglia e forza di uscire dal degrado morale da cui ci lasciamo lentamente disgregare.
...non è invece mai uscita in bluray (almeno in Italia, ma anche all'estero non mi pare). E' uscita purtroppo solo in dvd (attualmente fuori catalogo):
Visto stasera, due volte di fila, perché mi è parso non facile da interpretare. Alla prima visione alcune cose distraggono un poco (come la Ferilli che s'aggira nei palazzi e pare venuta da Il segno del comando), alla seconda l'impressione iniziale ("film fatto per piacere agli americani") resta sì, ma assai più debole rispetto alla prima visione. --- Nel cast c'è Brogi, ma il suo ruolo è stato tagliato. Forse andrebbe tolto e citato insieme alla Baralla (tagliata pure lei) nelle note. --- Per Brainiac. Confesso che non ho capito la frase "arriva con tre anni di ritardo sulle Lupercalia al Colosseo Quadrato, dove giovani ancelle si lasciavano palpare da voracissimi porci-antropomorfi".
Leggo su wikipedia che la scena tagliata con la Baralla è stata reintegrata nella versione estesa del film (quindi andrebbe integrata nel nostro cast). Di Brogi non saprei