Rivedendolo oggi fa sorridere soprattutto lo scoprire come funzionava all'epoca il telefono, strumento di comunicazione sottinteso dal titolo italiano (ma anche originale, SORRY, WRONG NUMBER) che nell'economia della storia rivendica un'importanza non da poco. Protagonista è infatti una donna, Lena Stevenson (Stanwyck, Leona in originale), costretta a letto da una malattia; nell'imminenza della notte si ritrova in casa da sola con il telefono sul comodino come unica compagnia. Chiama dapprima suo padre, ricco proprietario di un'azienda farmaceutica (lei viene per questo definita dalla stampa "la reginetta delle pasticche"), poi il marito (Lancaster), fuori per lavoro; ma per motivi non chiari s'inserisce...Leggi tutto sulla sua linea una telefonata nella quale due uomini sembra stiano accordandosi per un delitto, riferendo l'ora in cui dovrà avvenire e descrivendo a grandi linee l'abitazione della vittima. E' la prima delle ripetute intrusioni durante le comunicazioni, ancor più evidenti quando successivamente in piena, tesissima chiamata, le centraliniste intervengono per dire "Signora ha esaurito il tempo, inserisca un nuovo gettone se vuole continuare". Un mondo tecnologicamente distantissimo da noi, che invece ancora si può riconoscere come simile nel resto della storia, un thriller in cui la povera malata scopre, telefonando allo studio, che il marito è uscito nel pomeriggio dallo studio con "una signora piuttosto carina" (la segretaria non sa con tutta evidenza mantenere la giusta riservatezza...) di nome Doris (Richards). Lena capisce che si tratta di una vecchia fiamma di lui e dà il via, ricordandola visto che la conosceva, al primo dei tanti flashback (talvolta addirittura inseriti uno nell'altro!) di cui il film si compone. Non spostandosi quasi mai dal letto della protagonista, infatti, l'azione rivive attraverso i ricordi o i racconti delle persone con cui Lena entra in contatto telefonico: l'intera storia viene quindi ricostruita frammentariamente componendo un quadro sempre più preciso e illuminante. C'è perciò da seguire tutto con molta attenzione, per comprendere appieno l'intera vicenda, anche perché non sempre i dialoghi spiegano col massimo della chiarezza l'intreccio. Quel che fin dall'inizio si capisce è che il marito di Lena è invischiato in affari piuttosto loschi. Lancaster a dire il vero offre una prova onesta senza brillare particolarmente, mentre è evidente che la scena se la prende in gran parte la Stanwyck attraverso una prova maiuscola (l'attrice si guadagnò una nomination all'Oscar), pur se a tratti un po' lagnosa. Per quanto oggi parzialmente datato, il film ha comunque il merito di saper coinvolgere grazie all'abile regia di Litvak, che chiude il cerchio con un finale beffardo e riesce a creare tensione pur costretto dalla teorica unità di luogo (dalla quale esce "virtualmente" quasi solo via flashback).
Thriller dalla struttura narrativa complessa – sette lunghi flashback di cui due interni agli altri – richiede allo spettatore un livello di attenzione inedito per un film volto al puro intrattenimento. Gli elaborati movimenti di macchina all’interno dell’abitazione, che sottolineano il senso di isolamento e immobilismo della vittima, ricordano le evoluzioni acrobatiche di Fincher in Panic Room. La tensione si mantiene alta e la chiusura brutale genera certo sconcerto. Barbara Stanwyck rende ottimamente le paturnie e le isterie di una protagonista alquanto scomoda. Moderno.
Incredibilmente moderno per l'epoca in cui venne girato, questo thriller centra il bersaglio, tenendo sempre viva l'attenzione dello spettatore e stimolando egregiamente le sue cellule grigie come pochi riescono a fare. Un po' labirintica, in certi punti, la trama, ma niente di grave. Bravo Lancaster, anche se è la Stanwyck a reggere il filo (non solo del telefono) con le sue idiosincrasie e uno speciale rapporto dinamico-statico.
Cardiopatica costretta a letto, una donna intercetta involontariamente una conversazione telefonica in cui due uomini progettano un omicidio, di cui lei stessa potrebbe essere la vittima. Comincia una corsa contro il tempo, con un epilogo inatteso ed inconsueto per l'epoca in cui il film venne girato. L'artigiano Litvak confeziona un ottimo thriller, di raffinata struttura a flashback, con una implacabile progressione. Attrice di classe, Barbara Stanwyck riesce a rendere partecipi della sua angoscia, senza bisogno di sottolineature patetiche.
MEMORABILE: Il finale, con la battuta che costituisce il titolo originale: "Sorry, Wrong Number"
Tratto da un dramma radiofonico, sceneggiato per lo schermo dalla stessa autrice (Lucille Fletcher), Il terrore corre sul filo è un film di impianto teatrale, quasi sperimentale per l'epoca, tutto "giocato" su flashbacks e su una serie di elementi che progressivamente si concentrano portando al progressivo chiarimento che coinvolge emotivamente al massimo lo spettatore. Ottima la regia di Litvak e trascinante l'interpretazione della Barbara Stanwyck, efficacemente "spalleggiata" da Lancaster.
Bel thriller venato di noir che riesce a sfruttare efficacemente l’intrigante idea di partenza in cui, con anticipo rispetto all’hitchcockiano La finestra sul cortile (ovviamente di tutt’altro spessore), gli eventi sono legati all’immobilità della protagonista. Ottima la regia di Litvak che, grazie anche alla sceneggiatura, riesce a mantenere alta la tensione per tutta la durata della pellicola. Splendida la prova della Stanwyck che ottenne una meritatissima nomination all’oscar.
Superba interpretazione di Barbara Stanwyck che sfortunatamente ebbe solo una candidatura all'oscar di quell'anno, nel ruolo usuale di bad girl che alla fine desta simpatia e partecipazione. Essendo tratto da un dramma radiofonico, il film può anche essere solo ascoltato, ma il ghigno sarcasticamente malvagio della protagonista aggiunge valore al tutto. A tratti un po' fermo, diluito.
Il telefono, oggetto ritual-feticistico del cinema thrilling, e la donna malata e in pericolo tengono le redini di una suspense che, massima nel prologo in medias res e in un epilogo decisamente controcorrente per la sua (sarcastica) tragicità, si allenta nell’ardito montaggio di digressioni a flashbacks che grava sull’intera parte centrale. La macchina da presa si muove agile negli interni, disegnando il cerchio d’isolamento cui è confinata l’inquieta Stanwyck e le musiche per archi suonano cupe e angosciose. Il losco Morano è il corpulento William Conrad, futuro Cannon in TV.
Impasticcata reginetta delle pasticche, malmaritata e isterica, la Stanwyck è reclusa in una stanza piena di oggetti familiari e rassicuranti ai quali la semioscurità regala contorni indefiniti e sinistri. E' legata al mondo esterno attraverso un filo di voce, anzi di voci, ognuna delle quali le consegna la tessera di un puzzle. Quando l'ultima tessera è al suo posto, un colpo di mano sconvolge tragicamente il tutto. Più Delitto perfetto che La finestra sul cortile: più che osservare, la protagonista è osservata da uno sguardo misterioso. Pauroso!
MEMORABILE: L'ombra che attraversa il giardino e sale le scale...
Film-congegno, un po' artificioso (e con un piccolo imbroglio all'inizio... ) ma interessante e girato con grande perizia. Crimini quasi romantici, in epoca di smartphone e consimili diavolerie. Gli attori (su tutti l'odiosissima ape regina Stanwyck) fanno il resto: ancora regge. Grandi voci d'epoca: la Pagnani, Cigoli, Stoppa, Albertone.
Abbastanza riuscita la trasposizione in pellicola del dramma radiofonico, attraverso una struttura un po' tortuosa a flashback avanti e indietro nel tempo, mentre tutto avviene quasi in tempo reale. Curato, come sempre in questi casi, il bianco nero, pieno di ombre nell'interno dove è confinata la protagonista, con la finestra aperta sulle luci di un modo esterno lontano, cui essa è collegata solo dalla linea telefonica. Risultano altrettanto misteriosi gli esterni pieni di luce di Staten Island, come misteriosi, fino alla fine, i personaggi.
Film non per tutti i palati (incluso il mio) perché pur avendo gustato tutto il lavoro di Litvak e l'interpretazione della Stanwyck, sono rimasto con un pugno di mosche, come se il regista abbia voluto di proposito lasciare interdetto lo spettatore; non è un film malriuscito (anzi, ce ne fossero di girati e interpretati con questa perizia), ma forse la struttura, intricata di suo e fitta di flashback, mi ha impedito di imbastire un percorso temporale personale che ne sostenesse la logica (pur chiara). Una seconda visione non mi farà male.
Tra thrilling e melodramma. Una ricca signora, costretta a letto da una malattia invalidante e totalmente fuori dal mondo delle passioni e dei crimini, ricompone, attraverso il feticcio comunicativo del telefono, i frammenti di mosaico di una vicenda di cupidigia senza limite. Implacabile, faticoso, concentrato, sviluppato su tre strati narrativi (presente, passato prossimo, passato remoto) che mai, però, ostacolano la coerenza e la chiarezza della vicenda, il film possiede il ghigno beffardo, disagevole e spiazzante di un pessimismo senza speranza.
MEMORABILE: Barbara Stanwyck, con la strepitosa interpretazione della ricchissima signora invalida, si conferma tra le più grandi attrici della storia del cinema.
Tratto da un dramma radiofonico di Lucille Fletcher, parte subito in quarta questo originale e avvincente thriller che nonostante una struttura a flashback che a lungo andare può risultare faticosa, riesce a mantenere buoni livelli di tensione fino all'epilogo, sorprendentemente cattivo per gli standard dell'epoca. Pur se lagnosa in qualche momento, la Stanwyck offre un'ottima prova, il cast di contorno è notevole, ma il vero protagonista è il telefono, strumento di minaccia ma anche ancora di salvezza. Litvak dovrà attendere La notte dei generali per fare di meglio...
MEMORABILE: La battuta sull'università; L'inizio e il finale.
Disseminato di numerosi flashback a incastro, usati come fossero quasi una matrioska dell’orrore, il film di Anatole Litvak rivela fin da subito la sua anima torbida e angosciosa. Splendido l’uso delle luci, usate per sottolineare lo status di estrema paranoia in cui vive la protagonista. Barbara Stanwyck conferma ancora una volta di possedere un carisma e una potenza espressiva fuori dal comune. Bellissimo.
Una conversazione ascoltata per errore non è che l'inizio di un incubo hitchcockiano per un’inferma Barbara Stanwyck, destinata a una serata di sorprese e rivelazioni. Notevole noir telefonico, seducente nei suoi sinuosi movimenti di macchina, ora puramente descrittivi ora sottilmente minacciosi, costruito su flashback che vanno a immettersi l'uno nell'altro per dar forma a una vicenda più complessa (anche nella definizione dei protagonisti) di quanto il semplice setup lasciasse intendere. Il finale non è inaspettato, ma l'inquadratura conclusiva e l'ultimo dialogo non si scordano.
MEMORABILE: Il povero Lancaster parla col suocero dopo il primo "attacco" della moglie; La scala a chiocciola nella semioscurità; Dal medico; L'ombra nel finale.
Un esagitato e pretenzioso esercizio registico oppure un raffinato thriller femminile? Poco importa, perché tutto - dagli oggetti, i suoni, gli arredi, le luci urbane provenienti dalla finestra - esprime l’universo psicotico della protagonista; tutto è inchiodato a una suspense vertiginosa e impattante, tutto - dai repentini flashback al finale quasi da film horror - difende e riflette un modo di fare cinema assolutamente impeccabile e sinceramente appassionato. Invasata, perfetta Barbara Stanwyck.
Interpretazione strepitosa di Barbara Stanwyck. L'attenzione non cala mai e i flashback si integrano molto bene nella trama, grazie a un'ottima sceneggiatura (opera dell'autrice del radiodramma da cui è tratto il film) e a una fotografia in bianco e nero a dir poco sensazionale. I dettagli sono curati alla perfezione, come il particolare della tenda che svolazza mentre la protagonista è al telefono e la finestra è aperta. Quasi ci si dimentica di Lancaster, sino al finale ad altissima tensione quando lo spettatore si identifica terrorizzato con entrambi i protagonisti.
MEMORABILE: Il titolo originale, che è anche l'ultima battuta pronunciata nel film.
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