Il cinema di Winspeare è sangue vivo, intriso di folklore salentino, dove la terra brucia sotto l'arsura del sole.
Il suo è un cinema sincero, trascinante, ipnotico, sanguigno (come gli splendidi pezzi dei balli al ritmo della pizzica) dove il tempo pare essersi fermato ad una cultura contadina, fatta di superstizioni, credenze popolari e patriarcato.
Se la storia melò è classica (l'amore ostacolato di una ragazza promessa sposa al figlio di un propietario terriero, che sfocerà nella cieca gelosia e nel sangue), passa in secondo piano a caspito della bellezza suggestiva delle immagini (straordinaria la fotografia di Paolo Carnera), della pizzica che entra subito nelle vene, delle feste contadine, dell'andare a ritroso nel tempo per riscoprire un mondo ormai scomparso, delle tradizioni di una terra contadina come solo Avati o i fratelli Taviani hanno saputo valorizzare.
Praticamente parlato quasi tutto in dialetto salentino (ma facilmente comprensibile), con attori non professionisti (escluso Cosimo Cinieri, quì straordinario) con quell'atmosfera dell'entroterra meridionale non poi dissimile da quella del
Demonio di Rondi, che pulsa di veemente passionalità.
Le donne possedute dalla tarantola, con indosso una vestale bianca, che si contorcono in spasmi e convulsioni come se fossero prese dal demonio, davanti al sagrato della chiesa, ricorda da vicino l'intro dell'
Anticristo, e Cosima (bravissima Chiara Torelli) anch'essa impossessata dal morso della tarantola (con rilascio delle urine), per poi essere "esorcizzata" dal gruppo di "taranti" a suon di taranta è un notevole pezzo di cinema suggestivo e , al contempo, disturbante.
Il casolare, le notti placide, il mare, il sole che brucia la pelle, le donne che lavorano nei campi cantando, la serenata e la gelosia furiosa di Immacolata (Anna Dimitri) verso la sorella Cosima contesa da due uomini, il funerale dai sapori herzoghiani, in un (neo) realismo ricercato e rispettoso, dove Winspeare (al suo primo film) scava nei sofferti volti degli anziani, nelle espressioni delle bellissime donne salentine, inquadra i piedini di Cosima che danzano (o la bellissima sequenza dei piedini femminili in primo piano, durante la festa di Cosimo e la preparazione della pizzica poi , Winspeare sale con la MDP fino a riprendere il volto corrucciato di una giovane e seducente paesanella) il sudore, l'rrefrenabile e travolgente ritmo della pizzica, l'importanza degli sguardi (in chiesa), la danza delle spade dove si sfidano i due rivali in amore, l'arida bellezza delle location.
Un esordio coinvolgente, da noi passato quasi inosservato , distribuito poco e male, all'epoca (il film ebbe un certo richiamo nei festival europei, nonchè un eco di culto in Francia e negli Stati Uniti), che trasuda di passionalità e dell'amore del regista verso la terra salentina.
Forse un pò ingenuo nella scrittura, ma pervaso da un'ardore focoso difficilmente riscontrabile nel panorama del cinema italiano degli anni 90.
Di sicuro sarebbe piaciuto al Giuseppe De Santis di
Riso amaro.
Ovviamente consigliato a chi ama la cultura e la musica tradizionale salentina e per chi ha apprezzato il secondo film del regista,
Sangue vivo.