Quintessenza della poetica refniana (in un opera su commisione alla fine) che trasuda , in ogni momento e in ogni fotogramma, la visione prettamente personale dell'autore di
Solo Dio perdonaA cominciare da una Los Angeles notturna carpenteriana (come è carpenteriano lo score di Cliff Martinez), dagli interni rosso sangue dei corridoi dei palazzi e degli ascensori, dalle luci al neon (demon) della città, fino ai silenzi introspettivi di un Gosling nel ruolo della vita, alle silenti e ipnotiche corse in macchina per seminare la polizia.
Dalle ceneri del dimenticato
Amos Poe, Refn cita i maestri (Mann, Friedkin, Hill, Woo) con una prospettiva e un'ottica del tutto personalizzata che prende dentro tutto il suo cinema (dai tre
Pusher in poi), e nel suo mondo ovattato da noir postmoderno ci infila una delicata e intensa storia d'amore mai consumata (fatta di sguardi, mani che si stringono, mute sofferenze) spezzetata da improvvisi scoppi di feroce violenza scorsesiana (teste fatte saltare a fucilate, eye violence con forchetta, coltellate alla gola che nemmeno gli schizzi psicotici sanguinosi di
Joe Pesci, mani fratturate a martellate, facce spappolate a pestoni, rasoiate "indolori", sangue che sprizza e imbratta visi e giubbotti ), lambisce l'horror con le maschere
hooperiane della vendetta (tutta la straordinaria parte notturna dell'inseguimento al tamarro "gangster" Mino di Ron Perlman che finisce sul bagnasciuga di un mare agitato e burrascoso), fino a regalare pezzi di regia mozzafiato (le porte dell'ascensore che si chiudono sul volto di una terrorizzata Irene, la tesissima e spasmodica rapina al banco dei pegni con il driver che aspetta fuori in macchina, la mattanza nella stanza di motel che sta tra la
Bigelow e
Eastwood, e il pre
Neon demon con le spogliarelliste in topless, nel camerino, che assistono, indifferenti, alle sevizie al loro capo pepretate da drive con martello).
Il cinema di Refn nella sua più pura concezione (con tanto di ringraziamento a Alejandro Jodorowsky sui titoli di coda), con quel finale mesto e sospeso sulla strada notturna che porta in nessun luogo, così evoticativamente
milleriano.
Albert Brooks avrebbe almeno meritato una candidatura all'Oscar come attore non protagonista (il suo gangster cafonissimo, ex produttore di b-movie-
Europei li definiva la critica, in realtà era tutta merda (cit)-, è ai livelli dei migliori criminali scorsesiani e tarantiniani), un pò scipita, al contrario, l'irene di Carey Mulligan.
Ma è il Refn più di pancia, viscerale, nel più puro concetto del termine di cinema di genere, senza la spocchia autoriale che si avvertiva nel meno potente, e incisivo,
Solo Dio perdona, dove non solo la tecnica e la sua personalità travolge nella visione, ma anche la storia in sè, seppur legata a stilemi convenzionali (tratta da un romanzo pulp) riesce a coinvolgere fin dai titoli di testa.
Quando la banalità del gangster/noir viene filtrara attraverso l'ottica luminosa, cupa e sanguigna di un autore tra i migliori e più esclusivi nel panorama cinematografico degli ultimi vent'anni.
Dopo
The neon demon la sua opera più dirompente.