(BABY VINTAGE COLLECTION) Li chiamavano polar. Erano i noir alla francese, di cui Jean-Pierre Melville fu riconosciuto maestro. LE SAMOURAI è uno dei suoi film più celebri, con un ritratto di sicario solitario che ha fatto epoca. Ha il viso d'angelo di Alain Delon, Jeff Costello (in Italia ribattezzato inspiegabilmente Frank), e non parla praticamente mai. Di una freddezza agghiacciante, non cambia espressione se un testimone di un suo delitto lo fissa negli occhi né se un nemico gli punta in fronte una pistola. Un noir estenuante, di una lentezza insostenibile, che si concentra sull’atmosfera cercando di rendere in primis la solitudine del protagonista, che vive nel suo appartamento con un uccellino...Leggi tutto che pigola saltuariamente rompendo eterni silenzi. La polizia bracca Costello, lo pedina incessantemente (con Melville che ne segue gli spostamenti infischiandosene di risultare terribilmente ripetitivo e noioso), interroga la ragazza che gli fornisce l’alibi per l'ultimo delitto. Il soggetto del film si potrebbe raccontare interamente in due frasi, a dimostrazione di quanto poco importante esso sia nell'economia complessiva dell'opera. Girato in gran parte al buio, in interni, LE SAMOURAI si distingue per una staticità impressionante al giorno d'oggi francamente irritante; anche se poi c'è chi, come Jim Jarmusch, ne gira comunque un remake con tanto di riferimento ai samurai (GHOST DOG - IL CODICE DEL SAMURAI). Delon è un automa: gira per il set in perenne catalessi, lanciando ombre sulle pareti bianche e compiendo ogni operazione con il medesimo stato d'animo. Le indagini della polizia (in secondo piano) sono un salutare intermezzo di vita. Sfiancante.
Buon polar diretto da uno specialista del genere. Freddo e glaciale ma piuttosto lento, anche se i dialoghi sono ottimi e la storia è convincente. Eccellente l'interpretazione di Delon e bravi anche gli altri attori. Discrete le musiche.
Poliziesco e noir si alternano e si fondono alla perfezione, lasciando campo libero ad un Delon glaciale, laconico, robotico e imperturbabile che, su modello di un personaggio western, uccide le sue vittime solo dopo che queste hanno estratto per prime. Nessun sentimentalismo. Ottimo anche Périer nel ruolo dell'instancabile ispettore esperto nel far cadere gli alibi; belle le bellezze opposte e complementari della Delon e della Rosier.
Splendido noir girato con maestria e cura maniacale per le immagini, per i movimenti studiati del protagonista e degli altri personaggi, che ricordano i gesti rituali dei guerrieri orientali. Girato in una Parigi piovosa e fredda, in interni che variano dallo squallore della periferia alla raffinatezza dei locali chic della capitale, un film fatto di poche parole e, appunto, di gesti eloquenti. Delon, bellissimo nel ruolo del killer di ghiaccio, dà vita ad una delle sue migliori interpretazioni.
MEMORABILE: Delon seguito dalla Polizia nella metropolitana di Parigi.
Il processo melvilliano di astrazione, anzi di scarnificazione dei clichè del noir si fa radicale, sconfina nella metafisica. Sfruttando appieno un Delon al massimo della sua potenza iconica Melville realizza un capolavoro di magistrale rigore, più orientale degli orientali, compatto come un haiku. Un uomo solo non ha molte chances contro uno, anzi due sistemi organizzati: può solo restare fedele alle proprie regole, cercare di fare bene il proprio lavoro. E aggiustarsi la tesa del cappello. Cinque pallini per il mio millesimo film.
Capolavoro di Melville, distaccato e feroce come il suo protagonista, un Delon praticamente perfetto. Gli inganni di un sicario prezzolato non son diversi da quelli che la polizia, guidata da un tenace e prevenuto commissario (sempre grande Perier) tende al sospetto omicida. Musica eccezionale di De Roubaix, una delle migliori mai scritte per un noir, atmosfere sempre eccezionalmente azzeccate, cupo nichilismo senza redenzione. Come un noir deve essere!!! Grande ed imitata la scena nel metrò.
MEMORABILE: Il canarino che tiene compagnia a Jeff.
Meraviglioso noir di Melville, raffinato, delicato e crepuscolare così come lo è il suo protagonista, uno straordinario e solitario Alain Delon, che sembra muoversi in maniera "meccanica" ed immotivata ma che in realtà "nasconde" un'etica di ferro in un mondo come il suo che invece non conosce più il significato di quella parola. Tante le scene memorabili come l'inizio muto, così come pure mute sono molte altre sequenze. Per questo motivo alcuni lo potrebbero trovare noioso e non apprezzarlo come invece merita. Gioiello di rara bellezza.
Da molti, forse da troppi considerato un grande esempio di noir e il miglior film di Melville. Delon è bravo nella parte del silenzioso e solitario sicario, ma il resto è davvero poca cosa e persino il così tanto decantato regista francese non riesce a risollevare una pellicola abbastanza noiosa. Sicuramente fondamentale per quei registi che da Melville hanno preso ispirazione e ampliato il suo discorso (John Woo su tutti) ma quasi del tutto privo di interesse per noi comuni mortali spettatori che crediamo e guardiamo solo e sempre alla confezione.
Ammetto di averlo trovato noioso, anche se ben costruito. Che Melville ci sapesse fare non è in dubbio, purtroppo però le sue scelte spesso hanno messo la mia pazienza di spettatore a dura prova (Delon entra in casa, sappiamo già dove hanno piazzato una microspia, e lui la cerca per 5'). Torrenziali scene descrittive e momenti propriamente action quasi assenti, e comunque risolti in pochi secondi. E non manca il solito vezzo del regista di mettere le didascalie temporali, totalmente inutili.
Poliziesco d'alta scuola che si costruisce lentamente ma marcatamente il suo interesse. Conta molto l'atmosfera più che la trama che, a parte il suo intrecciarsi nel finale, propone semplicemente le costanti del genere: assassinio e ricerca del colpevole. Ma tutto il mix dell'ottima regia e degli ottimi attori e la cura nel dare al film un'impostazione di calcolata freddezza lo rendono una pellicola di interesse. Delon è perfetto per il suo personaggio freddo e solitario, quasi paragonabile a Tom Cruise in Collateral. ***
Questa pellicola ha la pretesa di parlare attraverso i visi di cera, le schiene mute, i giochi di luce notturni squarciati da una manciata di colpi di pistola. Non è azione poliziesca, neppure intreccio narrativo giallistico, è una combinazione rara (e rarefatta) tra incombenze stilistiche e audace sperimentazione oltre i confini del genere. Il risultato è, a mio avviso, una piccola perla incatalogabile.
Il capolavoro assoluto di Jean-Pierre Melville mostra l'algido killer Frank Costello (un Alain Delon asssolutamente perfetto per il ruolo) che, nell'esplicare la sua... ehm... professione, sembra seguire l'etica del "Hagakure" di Jocho Yamamoto (un po' come farà in seguito Forest Whitaker in Ghost Dog - il codice del samurai di Jarmush). Non a caso il film, peraltro penalizzato da un titolo italiano cretino e da un montaggio diverso dall'originale, in francese s'intitola semplicemente "Il samurai". Cult-movie ma, "per pochi"...
Buon noir francese, il cui protagonista è un solitario sicario in fuga dopo un omicidio su commissione. Pregi del film, l'ottima ricostruzione ambientale con una splendida fotografia metropolitana (il film è ambientato a Parigi) e la ricca caratterizzazione psicologica del personaggio principale. Una delle migliori prove cinematografiche di Delon.
Autentico segno del capolavoro di Melville è un silenzio che non abbandona mai la pellicola e accompagna questo dolente, melanconico killer fino al suo "sacrificio" finale. Certamente contribuiscono alla particolare fattura il clima esistenziale parigino e francese e una delle migliori interpretazioni del non troppo espressivo Delon. La vicenda di Costello scorre via verso l'inevitabile e pur sorprendente conclusione finale, senza fronzoli e appesantimenti narrativi. Asciutto, teso e incredibilmente struggente.
Un polar di tipo Zen, non a caso con riferimento nipponico nel titolo originale e orrendamente stravolto in italiano: perché? Un film per chi apprezza le azioni della mente, il dinamismo del pensiero, Alain Delon in uno dei suoi ruoli più belli. Stile, dettaglio, un buio interiore che dilaga e penetra ovunque sotto la musica di Eric Demarsan, che vive in osmosi con la sceneggiatura. Grande Melville.
Splendido esempio di polar, che mostra in pieno l'indipendenza del noir francese dai canoni statunitensi. Il parallelo tra il freddo sicario interpretato da Delon e la figura del samurai è evidenziato dall'atmosfera rarefatta, dalla fotografia glaciale e dalle interpretazioni struggenti ma sempre compassate, che non lasciano spazio a lirismi e sentimentalismi. La migliore opera di Melville è un film siderale e lineare, fra noir e western, con l'evidente influenza del cinema giapponese, sicuramente difficile da catalogare.
Il polar dall’alto della sua minimale espressività, della dilatazione temporale, della scarnificazione degli snodi narrativi, dei silenzi ostentati, dell’atmosfera bucolica composta da attese imperturbabili ricche di pathos, della glaciale aura antieroica, della ritualità solenne dei gesti. Film cupo e notturno; è una disillusa cavalcata sulla solitudine esistenziale che sfrutta gli stilemi del poliziesco arricchendola con elementi western ed una forte influenza dalla cultura giapponese; sprigiona una dignità e un’etica morale che lasciano il segno.
MEMORABILE: La citazione iniziale di Jean Pierre Melville.
Una sceneggiatura scevra ed essenziale, che accompagna nel mondo gelido di un assassino tanto intelligentemente superiore da non comprendere come degli inferiori possano tentare di scardinare un mondo perfetto. Lineare e agghiacciante nella sua somma spietatezza, Melville instilla il dubbio o la certezza dell'invincibilità di Frank, del suo sapersi districare in ogni situazione e tende il filo della tensione fino alla fine con uno stile rarefatto, all'origine della tensione delle scene in auto.
L'ultimo "contratto" di un gelido killer parigino: chiuso in un angolo tra la polizia che lo bracca e i mandanti che lo vogliono eliminare, tenta di difendersi per poi accettare il suo destino con l'impassibilità di un samurai. Più estremo e programmatico del successivo I senza nome, che concede di più allo spettacolo, "Le samurai" (dimentichiamo per pietà il titolo italiano) trova il suo punto focale in un senso di ineludibile fatalità che percorre la vicenda dall'inizio alla fine. Arduo ma intenso; per soli cultori di Melville, però.
La perfezione fatta cinema. Sotto la sapiente mano di Melville (forse mai come qui inclinato a una visuale mistica quasi ascetica, spirituale, metafisica del protagonista) il grande Delon prende definitivamente in mano il testimone passatogli da Lino Ventura quale perfetta maschera del noir francese ed europeo tutto. Fin dal primo minuto il film appare muoversi sotto una costante e opprimente cappa di nebulosa sfiducia, apatia, rassegnatezza, in cui il destino (l'unico possibile) non può che rivelarsi nefasto. Osceno il titolo italiano.
Il più famoso film di Melville (anche grazie alla prova iconica di Delon) tuttavia un filo sotto la perfezione de I senza nome, rispetto al quale sconta una maggiore prevedibilità. Dialoghi all'osso, fotografia monocromatica, sospensioni zen (il titolo originale "le Samurai" è molto più adatto al solitario protagonista). Impressiona scoprire quanto il film abbia ispirato Fernando Di Leo nel look, nelle location e nell'uso della musica (senza contare che anche Milano calibro 9 doveva essere scandito da didascalie con date e orari poi tagliate).
MEMORABILE: La maniacale ritualità di Delon nell'aggiustarsi la falda del cappello.
Un noir essenziale come un osso di seppia. Più che un film di genere sembra una gelida tragedia greca; senza dei e passioni però, dove il protagonista muove verso la propria fine guidato da un fato ineluttabile a cui, infine, si rassegna. Come in molte produzioni francesi del periodo è l'atmosfera a creare la sceneggiatura (uno script privo di qualsiasi didascalismo o colpo di scena).
Da molti considerato il capolavoro di Melville, personalmente lo reputo inferiore a I senza nome, che pur riproponendo lo stile caratteristico del regista risulta meno esangue e stringato. Un meccanismo di precisione chirurgica, girato con indiscutibile classe, ma freddo e glaciale come il suo protagonista, che infatti suscita ben poca empatia (decisamente meglio Périer nei panni di un ispettore di polizia intelligente e tenace). Chi ama il noir (francese e non) deve vederlo, ma accettando il rischio di poterlo trovare estremamente tedioso.
Polar perfetto (con killer in guanti bianchi, un Delon glaciale, elegante, astratto) dalla compostezza e semplicità orientale e dominato da suggestivi silenzi. Ambientato in una Parigi anch'essa astratta, grigiastra, che non è mero scenario e contribuisce ad arricchire l'atmosfera di un non so che di metafisico. Coinvolge sequenza dopo sequenza, con i suoi tempi e il suo andamento misterioso e fatale.
Dopo aver freddato il proprietario di un night-club, un killer professionista si trova preso fra due fuochi: la polizia gli ha messo gli occhi addosso, i mandanti vogliono eliminarlo per il timore che li tradisca una volta arrestato. Anche se non si tratta del più bello fra i polar melvilliani, film mirabile per il rigore della messa in scena, l'essenzialità di gesti e parole, l'eleganza del protagonista interpretato da Delon perfetto nel ruolo. La sua stessa perfezione formale rischia di renderlo troppo algido, ma lo stupendo epilogo, per quanto fulmineo, ne riscatta la freddezza. Capolavoro
MEMORABILE: La lunga sequenza quasi muta della preparazione del primo omicidio.
Uno dei vertici concettuali di Melville che inventa la figura del killer esistenziale silenzioso, solitario ed estraneo persino all’ambiente criminale in cui opera. Da Drive a Collateral, passando per Léon e Ghost dog, sono molti gli autori che hanno riproposto il senso d’ineluttabile sconfitta che pervade l’opera del regista francese. Un film freddo e stilizzato, pervaso da un rigore quasi bressoniano, in cui conta di più l’atmosfera che l’azione. Malgrado la laconicità del contesto resta una delle opere melvilliane più coese e appassionanti.
MEMORABILE: L’incontro con il mandane sulla passerella ferroviaria; Il lungo pedinamento nella metropo; Il mazzo di chiavi; Il tamburo della pistola vuoto.
Un film lento, rarefatto e di poche parole (quello più ciarliero è lo sbirro) in cui il titolo italiano non rende giustizia al protagonista: Delon non è certo brutto ma a risaltare è il personaggio, "il sicario" per eccellenza che ha la sua missione da svolgere senza tanti orpelli (l'appartamento di Costello è di un raro squallore); se si cerca action non ci siamo (inseguimenti sparatorie sono ridotti al minimo), chi vuole conoscere l'archetipo di tanti personaggi futuri si accomodi.
Nonostante una storia che offre pochissimi spunti narrativi di livello, Melville è unico nel rendere appassionante ciò che sulla carta non è. Gran merito va pure alla fotografia, che con colori sbiaditi (in certi tratti sembra di assistere a un'opera in bianco e nero) dona alla pellicola una atmosfera rarefatta che intriga. Poi c'è lui, un Delon con un volto imperscrutabile, perfetta maschera del killer dedito al lavoro e al codice. Si respira aria di cinema orientale per la maniacalità dei dettagli e della cura formale. Finale indimenticabile.
MEMORABILE: La cura con la quale Delon si sistema il cappello; Il mazzo di chiavi per rubare le Citroen DS; La conoscenza della rete metropolitana.
Sicario viene braccato dai mandanti e dalla polizia. Noir di genere e grigio per i colori monotòno di ogni ambiente, come a togliere calore e emozioni. Delon impersona un killer glaciale che ha fervida attenzione per i particolari e toglie alla polizia ogni appiglio. Regia di rigidità stilistica: anche il pigolio di un uccellino può fare la differenza. Buona soluzione finale, anche se svolta in un locale pubblico. Meno bene i conflitti a fuoco tra i singoli individui.
MEMORABILE: La cimice in casa; La pianista che non lo riconosce al confronto; Il mazzo di chiavi per i furti.
Grandiosa rivoluzione del cinema noir. Un film fatto di silenzi, in cui solo il commissario sembra aver voglia di sprecare parole, eppure guai a perderne un secondo: ogni inquadratura, ogni movimento di macchina vogliono dire qualcosa, portano avanti la narrazione. Delon ha la stessa espressione per un'ora e quaranta (la cambia solo, sorpreso, nel finale), creando un personaggio che ha bisogno di poche spiegazioni e ciononostante rimane nella storia del cinema. Bellissima fotografia plumbea nello stile francese, chiarissime influenze sull'opera di Friedkin prima e Michael Mann poi.
MEMORABILE: Il minuzioso racconto in tempo reale delle azioni di ogni personaggio, dal ritmo lentissimo e formidabile; Il finale.
Film d'atmosfera, buia e sporca (come il genere vuole) e costruita su misura per farci svolazzare l'algido Jeff (Delon). La trama è asciutta e funzionale. I silenzi iniziali e le fughe in metro sono da anatologia. Con uno stile fluido ed epurato di eccessivi fronzoli, Melville continua il dialogo sulla solitudine (Léon Morin prete, Tutte le ore feriscono..., l'ultima uccide) e dà nuova linfa a un genere largamente esplorato, ma inesauribile come il mondo sotteraneo e le pulsioni che lo abitano. Ha ispirato numerosi film (The killer,Ghost gog, Drive, Heat), ma resta misconosciuto.
MEMORABILE: La gabbia del passerotto; Le fughe in metro.
Polar polare di maître Melville: una lunga, dolente e silenziosa peregrinazione per le vie e i metro di Parigi che si trasforma in una quasi inevitabile catarsi. Protagonista è un killer solitario, interpretato da par suo da un Delon forse al suo top. La trama noir è in fondo solo un pretesto per mostrare una solitudine spaziale, accentuata dalle ambientazioni che oscillano tra lo squallido, il quotidiano più liso e le luci artificiali del centro. Incedere lento, molto bressoniano anche nella pulizia formale, ma inesorabile. Tagliente.
Art-noir di ghiaccio dai colori blu, verde e grigio, in cui il sole non si vede mai; un po' tragedia greca, un po' noir statunitense anni '40, un po' teatro kabuki. Il risultato è un film che sembra provenire dal futuro, talmente gelido che sembra girato in digitale, opera iper-minimale ma che contiene al suo interno un mondo intero che influenzerà il nuovo cinema d'azione orientale, Di Leo e la New Hollywood degli anni '70. Senza dubbio alcuno il più seminale, se non il migliore, film di Melville, con un Alain Delon fantasma/angelo della morte in uno dei ruoli della vita.
Samurai, tigre nella giungla o uccello in gabbia? Per Melville l'etica solipsista, inflessibile di Costello si radica in uno scenario schizofrenico, in cui l'agire definisce un destino già scelto, per quanto non riconosciuto. Le geometrie esatte che configurano azioni, strategie, sotterfugi, non smarcano l'individuo, tracciano semmai il perimetro entro il quale è confinato. L'algore scenografico è tutto nelle luci di Decaë, un acquario in cui annega il volto di Delon, come un riflesso. Cinema di alta vocazione concettuale prima ancora che esercizio di astrazione sul cinema di genere.
MEMORABILE: La sequenza sui titoli di testa; Il rituale del cappello prima di uscire di casa; La medicazione del braccio ferito; L'uccello in gabbia.
La dilatazione dei tempi di narrazione, regola registica di Melville, estesa quasi fino al parossismo. Al fine, come sempre e più di altre volte, di concentrarsi sull'aspetto esistenziale del personaggio da rappresentare. Il samurai è un uomo che vive una solitudine obbligata in modo rituale, quasi maniacale. Per essere in grado di conservare precisione nel suo lavoro di killer e freddezza nel garantirsi impunità. È perciò il modo in cui viene ripreso Delon, esaltandone il fascino, la vera essenza della storia. Non resta che decidere se amarlo oppure detestarlo. Lui e il film.
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Cotola ebbe a dire: Grazie mille per l'informazione.
P.S.
Ovviamente il dvd della criterion non ha la traccia in italiano? oppure no? ed i sottotitoli ?
No: audio francese, sottotitoli inglesi, interviste d'epoca, una video intervista a due studiosi di Melville e un fascicolo con vari contributi tra cui quello di John Woo
Ohibò, arrivata anche a Firenze la collana con i film di Melville: è la "Noir collection" della Hobby&Work (da non confondersi con l'omonima della Master), nella quele sono effettivamente previsti I SENZA NOME, LE SAMOURAI e NOTTE SULLA CITTÀ (yum yum!) oltre a diverse altri film franzosi succulenti.
Scusate,volevo delucidazioni sul finale di questo magnifico film. Come tutti ricorderete nell'epilogo Jeff va incontro alla morte con la pistola scarica. Io l'ho visto per la prima volta su rete 4 saranno 6,7 anni fa, e mi ricordo che in una brevissima scena (2 o 3 secondi circa) si vede Jeff che toglie i proiettili dalla pistola direttamente in macchina,prima di entrare nel locale,mentre nella versione del dvd questa scena è stata tagliata. La mia domanda è questa: qual'è la versione originale?
Grazie,sarebbe interessante sapere com'è la versione del dvd criterion..
HomevideoRocchiola • 14/11/19 10:48 Call center Davinotti - 1314 interventi
Io posseggo il vecchio DVD della Perseo che è piuttosto buono. L'immagine è pulita anche se non molto incisiva. I colori sono decisamente sbiaditi, ma credo si tratti di una scelta autoriale, visto che qualcuno lo ha definito "un film a colori in bianco-nero". Nel maggio 2019 è uscita la nuova edizione A&R rimasterizzata in alta definizione che non ho ancora avuto occasione di visionare. In ogni caso dando un'occhiata sui siti specializzati agli screenshots del bluray americano della Criterion, posso dire che il nostro DVD è effettivamente un tantino pallido, Il BD in questione, che ovviamente non ha l'audio italiano, pur senza snaturare la colorazione invernale del film, appare un po' più vivo ed equilibrato nei colori di fondo. C'è anche un BD francese ritenuto meno buono rispetto all'edizione Criterion.
Il mio precedente e meno generoso pallinaggio era basato sull'edizione italiana (che sto riguardando su Iris in questo momento cogliendone poche ma significative differenze di doppiaggio e montaggio).
Uno dei molti dettagli con cui viene caratterizzato il personaggio di Jef Costello (in italiano Frank) è di fargli portare l'orologio a destra (abitudine che Delon non ha mai avuto) e girato al contrario, col quadrante rivolto all'interno del polso.
L'orologio in questione è un sobrio Baume & Mercier con meccanismo svizzero al quarzo, cinturino di pelle nera, quadrante a numeri romani senza datario e cassa in acciaio o più probabilmente in oro bianco da 18K.
In ogni caso si tratta di un pezzo elegante ma non ascrivibile alla fascia top della marca, un modello che per l'epoca era considerato quantomeno "unisex", se non addirittura prettamente femminile.
L'edizione italiana stampata da Perseo Video è priva della didascalia iniziale scritta da Melville (e attribuita al Bushido) "Non c'è solitudine più profonda di quella del Samurai, eccetto quella della tigre nella foresta, forse...". Inoltre presenta un montaggio leggermente diverso con la perdita di circa cinque minuti, un tema musicale spurio su alcune sequenze originariamente mute e una fotografia luminosa e sbiadita che annulla l'effetto acquoso e azzurrino voluto da Decaë. La cosa è particolarmente evidente nella scena iniziale: nella versione italiana, dalle finestre del soggiorno, entra la luce di una giornata di sole, in quella restaurata piove a dirotto.