La vita in fabbrica, alla catena di montaggio. Il lavoro a cottimo, lavorare di più per guadagnare di più: Lulù Massa (Volonté) ci crede, è il migliore, suscita invidia e irritazione nei colleghi, che non accettano di vedersi messi a paragone con chi sembra schierarsi totalmente dalla parte dei padroni. E' lui stesso una macchina, concentratissimo su quell'unica operazione da ripetere infinite volte (ma ha una tecnica: “mi fisso col cervello... penso a un culo... il culo dell'Adalgisa... un pezzo, un culo... un pezzo, un culo..."), finché qualcosa si spezza: il suo dito, certo, ma non solo. Da quel giorno la visione di Lulù cambia...Leggi tutto e gradualmente c'è il passaggio dalla parte dei sindacalisti che coi megafoni strillano dai cancelli della fabbrica la loro rabbia per trasmetterla ai lavoratori. Poi il tempo passato al manicomio con il collega diventato matto (Randone), la crisi familiare con la convivente (Melato), una confusione mentale che abbatte ogni certezza e conduce a una lotta di classe chiusa nella sua prima fase con la sconfitta e il licenziamento. Ma non è finita. Il film di Petri, impegnatissimo, feroce nella sua denuncia allo sfruttamento ma anche all'estremismo, ai rischi di una reazione disorganizzata, è un film urlato, trascinato dalla veemenza di un Volonté senza freni, sopra le righe come nel CITTADINO ma anima vera e imprescindibile dell'intera operazione. La totale immedesimazione - dialetto compreso - con l'operaio di Novara resta tra le più significative nella carriera dell'attore (che lo stesso anno, al suo apice, vedeva il film premiato a Cannes ex aequo con IL CASO MATTEI di Rosi, in cui regalava un'altra interpretazione memorabile): i primi piani costanti sui volti, il vociare confuso, i rumori di fondo della fabbrica, la colonna sonora di un Morricone sicuramente ispirato... Un turbinio di suoni e immagini rovesciati in faccia allo spettatore che a tratti finisce tramortito, confuso a sua volta. Un film forse sopravvalutato eppure ancora oggi vivo, pulsante, tra le testimonianze chiave di un'epoca e di un modo di vivere; travolgente per la carica del suo protagonista, più debole nel trovare i momenti giusti in cui ritrarne la quotidianità. Il meglio lo dà nella prima parte, alle macchine, prima di seguire una prevedibile parabola in cui l'egemonia conquistata fin lì da Volonté vuol riprendersela Petri, facendo rientrare l'attore nei ranghi. Non è la scelta migliore ma quella necessaria: la parabola deve completarsi.
Già non m'aveva convinto all'epoca. Rivederlo ora è ancora più gonfio e grottesco. Urlato, eccessivo. Testimonianza che anche nei film politici la misura è quella dote (si pensi a Le mani sulla città) che poi permette la navigazione nei decenni. Certo, Volonté è fantastico. I macchinari paiono più obsoleti di quelli che si vedevano nei documentari di inizio Novecento. Nel cast secondario c'è Lorenzo Magnolia, poi regista di hard (come Petunia Hamilton). Magnolia, Petunia...
Bersagliato all'epoca da critiche ferocissime da sinistra, un altro botto di Petri e Pirro ("Palma d'Oro" a Cannes), con un Volonté forsennato e incredibile. Se l'accusa era la spettacolarizzazione, è fuori bersaglio. Siamo al cinema (e che cinema!), "that's entertainment". Gli eccessi (indubbi: si finisce la visione frastornati, esausti) lo preservano dalla ruggine, anzi fanno risaltare il grottesco e il trash di diatribe che si trascinano, annose, ancora al giorno d'oggi. Altro tema geniale di Morricone.
Film "d'epoca", urlato, eccessivo, sporco, realistico. Il lavoro in fabbrica visto inizialmente come strumento di "liberazione" da una vita povera e angusta, e che piano piano gli mangia anima, sentimenti, pulsioni, dita delle mani. Segue la ribellione estrema, il rigetto di tutto, il tentativo di liberarsi dalla schiavitù della fabbrica, dalla famiglia, dagli obblighi, che porta solo altro dolore e rifiuto. Infine l'accettazione della "via di mezzo", la rassegnazione, ma anche l'affetto degli amici e della famiglia. Bellissimo. E duro.
Film più che altro grottesco, che vive sulla faccia e gli istrionismi di Volontè ma che non riesce a veicolare completamente il messaggio. Degna di nota la denuncia del consumismo che dilaga e travolge anche la classe operaia, ma le urla eccessive travolgono la narrazione e lasciano più confusione che indignazione.
Non è all'altezza di Indagine..., ma anche qui Petri ci dà una sua visione (peraltro più che sostenibile) del mondo operaio. Cristallizza il momento storico, ma non ne rimane imprigionato, per quella che potrebbe essere un'istantanea del momento. Qui si mostra una certa sinistra che nella sua presunta ideologica ricerca del benessere operaio persegue una propria sete di potere. Al centro la figura del cottimista Lulù e la sua parabola sia lavorativa che familiare. Volontè ottimo, brava anche la Melato.
MEMORABILE: La dimostrazione sui tempi di lavoro raggiungibili da parte di Lulù.
Un film necessario per quegli anni in cui essere "moderati" non aveva quasi senso e che ora lo è altrettanto per ricordare conflitti, esasperazioni, soprattutto le fazioni e le conseguenze di una mentalità che qui è fedelmente ritratta con tutte le sfaccettature possibili. Petri dirige un film perfetto riuscendo a citare senza infastidire anche i luoghi comuni di allora. Perfetto nei tempi, nella fotografia e soprattutto nel commento musicale di un immenso Morricone che, tra l'altro, compare come ultimo operaio prima dei titoli di coda.
MEMORABILE: L'inventario di Lulù, il paperino, il colloquio col Militina, la frase "Sembrate operai piccoli" detta al figlio all'uscita della scuola.
Per impegno civile e fervore politico (e fu infatti accolto da molte polemiche), tra i migliori film italiani mai realizzati, questo diretto dal grande Elio Petri. Regista e sceneggiatori non concedono nulla allo spettacolo e forniscono un quadro duro e veritiero della condizione dell'operaio e della vita nelle fabbriche in un difficile momento della storia recente italiana. Grandissima la prova di Volontè. Brava anche la Melato.
Film sulla macchinazione dell'uomo in fabbrica. L'operaio diventa così oggetto dei padroni al punto di dimenticare di avere dei diritti. La questione sembra semplice. È meglio rimanere in silenzio per riuscire ad andare avanti o ribellarsi e seguire una massa che eventualmente ti lascerà poi a piedi? Gianmaria Volontè, da uomo del Nord, impersonifica con il suo dialetto alla perfezione la propria parte, quello dell'operaio consumato all'estremo, che non riesce a fare sesso neanche con la seconda moglie. Da Oscar.
MEMORABILE: Questa è vita? - dice lo studente al protagonista.
Buon film di denuncia sociale. La storia rappresenta la situazione disagiata degli operai degli anni 60-70. Volontè, come al solito bravissimo, riesce a trasmettere la pazzia che sta passando. Belle le musiche di Morricone, così come la regia di Petri.
Grottesco spaccato sociale sugli operai e su certa sinistra italiana che compie il suo dovere a livello comunicativo ma che cede il passo a troppi momenti urlati, eccessivamente sopra le righe e confusionari. Ottimo Volontè, anche se a tratti la sceneggiatura lo imprigiona in un personaggio troppo esagerato che riesce egregiamente ad esprimere follia (lavorativa/sociale/familiare) ma che alla lunga stufa. Un po'come tutto il film, del resto, e confesso che non è facile arrivare in fondo. Discreto.
Urlato, grottesco all'ennesima potenza, è un film che mi ha profondamente deluso. E di certo non a livello ideologico, sia chiaro. Quando uscì si disse che era il primo film che faceva entrare lo spettatore direttamente nelle fabbriche, e può anche essere un fatto di rilievo, non lo discuto. Ma due ore di personaggi che sbraitano sono troppe per chiunque, e l'affermazione che cambiare lo status quo sia impossibile lascia il tempo che trova. Nella prima parte ci sono alcuni momenti del miglior Volonté, in ogni caso.
Una coraggiosa e lucida disamina dei conflitti sociali in atto, ancora attuale su certi temi (unità sindacale, lotte sociali e responsabilità familiari) meno su altri (l'utopia rivoluzionaria, l'operaio che di notte non "carbura"). Presenta inoltre una buona dose di sarcasmo che ridicolizza certi assunti del tempo. Ma c'è anche troppa carne al fuoco, eterogenea e a tratti ripetitiva, come quei megafoni e quelle urla che alla fine ti fanno venire voglia di accelerare il ritmo. Volontè, come sempre, di buon livello.
MEMORABILE: Lulù sulla moglie: "Lei vota democristiano però in fondo è buona".
Operaista e clinico. La nevrosi del proletariato – cottimo, alienazione, massificazione, lusinghe borghesi – è efficacemente espressa dal personalissimo stile sconnesso e frastornante di Petri, che completa ed esplica il resoconto documentaristico della vita di fabbrica – abbinato ai relativi suoni e rumori riprodotti da Morricone – con bizzarrie da commedia all’italiana (le sfuriate in casa e sul lavoro, il sesso in garage con la collega vergine) e grotteschi presagi (il manicomio). Strepitosi l’infervorata immedesimazione di Volontè e i pregnanti interventi dell’immenso Randone.
MEMORABILE: In preda al furore anticapitalistico, Volontè massacra il pupazzo gonfiabile raffigurante Paperon de' Paperoni.
Negli anni delle tensioni operaie uno stakanovista ha un infortunio, contesta i padroni e è licenziato. La cosa più interessante non è tanto l'egregia scelta del tema della fabbrica e dell'alienazione del lavoro, quanto il fatto che l'alienazione venga narrata con uno stile originale che punta su primissimi piani frenetici, su voci e rumori isterici, su una sintassi filmica frastornante: in breve, sull'alienazione stessa dello spettatore in quanto tale. Spiccano un grande esagitato Volonté, ma anche Melato e Randone, e le musiche di Morricone.
Un film di cruda denuncia socio-politica. Mostra la vita dell'operaio: ci si ammazza per ore ed ore, si ricevono pochi soldi e ci si rischia di far male. Volontè superbo, Melato brava. Da proiettare nelle scuole fino alla rottura del nastro, questo si che è un esempio di cinema con la C maiuscola.
MEMORABILE: "Borghesi, borghesi, ancora pochi mesi!"
Grazie alla magistrale interpretazione di Volonté, il film descrive benissimo l'alienazione dei lavori di fabbrica e la varie tensioni sociali proprie di quell'epoca e non solo! Le musiche di Morricone danno poi al tutto una strana sensazione di inquetudine e vanno a sottolineare la pazzia in cui il protagonista va via via scivolando!
Nonostante il buon cast (Melato, Solari e altri buoni caratteristi del 70 presenti nel film) e la buona prova di Volontè il film non è eccezionale, anzi a tratti stufa e viene voglia di mandare avanti veloce. Buon tema musicale, ritmo forsennato, ma il film non è niente di eccezionale.
Beh, che questo film appartenga al cinema di papà e di sistema nonostante l'argomento, che abbia una cifra espressiva isterica, urlata e senza misure, che prenda ejzenštejnamente lo spettatore alla gola per non farlo riflettere al fine di imporgli sovieticamente la propria tesi, che certe situazioni, certi dialoghi, certi volti appaiono oggi trash se non ridicoli... tutto questo è vero, ma in quel cinema italiano scorreva il sangue nelle vene mentre in quelle del cinema odierno scorre l'acqua minerale. Petri, sconfitto dalla storia, merita l'onore delle armi.
La condizione dell'operaio vista con l'attento e lucido sguardo di Petri, formidabile regista d'impegno civile. La narrazione è fragorosa e financo chiassosa, ma la denuncia arriva al bersaglio in maniera convincente. Volontè è superbo, nella sua interpretazione roboante.
Pura lotta di classe come Karl Marx teorizza e comanda nel quadro di un'apocalisse sociale à la Petri, infestata da urla e strepiti infernali, luci espressioniste di Kuveiller, musica post-industriale di Morricone e un Gian Maria Volontè tanto sanguigno, bilioso e strabordante da farsi irresistibile. Frastornante e privo finezze ideologiche, ma animato da un (eroico) furore che conquista, è votato ad un'astrazione allegorica e patologia che lo svecchia e assolutizza. Bravissima, obliqua, Mariangela Melato. A torto o a ragione, un esempio di cinema civile nostrano imprescindibile.
L'operaio tra l'incudine della fabbrica, il martello dei sindacati e la falce dei movimenti studenteschi. Tutti a urlare cosa deve fare il poveraccio che aspetta l'apertura dei cancelli e una volta entrato non è ancora finita, deve vedersela con i colleghi, i "terroni" amici e i cronometri dei camici bianchi. Volutamente esagerato, fotografa un momento tutto italiano del mondo del lavoro e delle sue conseguenze sociali, familiari e personali. Volonté che fa l'inventario della paccottaglia costata ore di duro lavoro è formidabile e dice tutto.
Le lotte operaie viste con la caustiche lenti di Petri e Pirro, che piazzano colpi assortiti non risparmiando nessuno: la sinistra studentesca ed extra-parlamentare, i sindacati, la moglie dell'operaio che"vota DC ma è buona", il padrone, il cottimista, la fabbrica e la massimizzazione del profitto. Acidamente, il regista opta per uno stile onomatopeico, fatto di suoni alienanti e montaggio frenetico e ci trascina di forza in catena di montaggio. Proprio questa scelta stilistica rende, però, il film faticoso da vedere e troppo frammentario. Grande Volontè.
Strepitoso l’apporto registico di Elio Petri che per buona parte dell’opera riesce nel miracoloso intento di “imprigionare” lo spettatore nella stessa aura soffocante in cui si dimena la classe operaia e soprattutto Massa (febbricitante, immenso Volontè). Volutamente sopra le righe, straniante, antinarrativo, allucinato, è un carro allegorico e una ricognizione in chiave grottesco-metafisica sulla vita del lavoratore con relative (distruttive) conseguenze, divisa tra fabbrica e famiglia, proteste e sottomissioni. Importante e superlativo.
MEMORABILE: La sequenza dell’entrata in fabbrica; Massa che stila le tempistiche del cottimo sulle macchine dei colleghi; Il finale.
Bellissimo film sull'alienazione, interpretato magistralmente da un fenomenale Volontè nei panni di un operaio stakanovista che solo a seguito di un infortunio fisico si sveglia dalla passività del suo ruolo, ma al contempo si trova a sfidare le facce nascoste di studenti e sindacati. Elio Petri riesce a inquadrare bene l'umanità di ogni personaggio e l'alienazione degli operai sia dentro che fuori dalla fabbrica. Un capolavoro accompagnato costantemente da atmosfere curate e una efficace colonna sonora di Morricone.
Rappresentazione delle condizioni degli operai a fine anni '60 tra realtà e finzione; quest’ultima accentua la dura vita quotidiana inserendo un contesto ambientale scomodo: neve a palate, nebbia fitta e perenne, confusione e scarsità intellettuale anche tra le mura domestiche, squallidi rapporti interpersonali. Il messaggio finale è pessimista nel perdurare della situazione di sfruttamento della classe lavoratrice. Solita sanguigna performance di Volontè del quale si ricorda il volto sporco di detriti.
MEMORABILE: La tv presa da dietro sembra ipnotizzare gli spettatori; I pupazzi di Susanna, Mucca Carolina e Paperone (dura per i collezionisti vederlo bucato!).
Grande opera di Elio Petri, è un film teso e duro che dimostra i disagi del mondo del lavoro e il problema legato alla produzione frenetica: giganteggia come al solito Gian Maria Volonté ma anche gli altri (penso a Pernice e a Randone come a Bucci) non sono da meno. Interessante anche vedere come erano le case e le abitudini degli italiani una quarantina di anni fa. A me la Melato è apparsa sottotono. Un film da vedere per riflettere a lungo.
Uno straordinario e immenso Gianmaria Volontè è il protagonista indiscusso di questo vibrante film di denuncia sulla situazione lavorativa nelle fabbriche negli anni settanta. Tanta carne al fuoco (forse troppa) rischia di allungare il brodo e di annoiare. Bene anche il cast di contorno (Randone, Melato, Crivello, Bucci).
Film classico degli anni 70 con impegno politico portato, talora in modo forzato e grottesco, all'esasperazione. Lavoro alienante, organizzazioni sindacali non coese, movimenti studenteschi che all'epoca andavano per la maggiore, slogan logori e inutili urlati in tanti megafoni. Alla fine non si capisce quasi se il film è serio o è un modo sottile e ironico per accusare tutto e tutti. Ottimo cast di attori con Volonté sempre al top.
Dura dimenticare Lulù Massa dopo aver visto il film. Paradigma dell'operaio individualista sballottato a destra e sinistra (in tutti i sensi) e destinato al fallimento personale. Film perennemente sopra le righe che denuncia il forte malessere, personale e politico dell'autore. A volte gioca facile ma le polemiche dell'epoca cadono di fronte all'oggi. Certo non si va per il sottile e questo è in parte un limite, ma fondere spettacolo e denuncia in maniera così viscerale è oggi cosa rarissima in Italia. Volonté era un grande comico.
MEMORABILE: L'incipit (a mio parere base di partenza per l'episodio dell'immigrato in Bianco rosso e Verdone).
Dopo il fondamentale Indagine il duo Volonté-Petri sforna un altro memorabile capitolo di quella che può considerarsi a tutti gli effetti la stagione d'oro del cinema politico italiano. Davvero ottima la rappresentazione della fabbrica come buio e opprimente carcere in cui l'essere umano può solamente degenerare, mentre un po' meno lodabile è il finale in cui il sindacato (e qui è utilissimo il commento del membro di Lotta Continua riportato nel libretto del dvd) fa una figura fin troppo positiva.
Come il povero operaio è martellato da una vita infame, senza soddisfazioni, tirando a campare per pochi spiccioli, così lo spettatore è bombardato da un montaggio frenetico, da un overacting fastidiosissimo e da una regia che indugia spesso sui primi piani. Oggettivamente Petri dona una sensazione alienante fuori dal comune, ma al tempo stesso possiede un'idea di cinema poco avvezza alla mia sensibilità. Il giochetto dura poco più di un'ora, poi subentra l'insofferenza e si prega che il tempo scorra velocemente. Ampiamente sopravvalutato.
Cottimista modello perde un dito in fabbrica e ciò risveglierà la sua coscienza. Prima parte straordinaria grazie a un veemente Volonté che ci fa immergere nel clima senza speranza della fabbrica, dove crea lo scompiglio tra le varie correnti di pensiero. Più confusa la seconda parte, nella quale si apprezza l'idea che il caso singolo non interessa, alla lotta di classe. La parentesi sulla pazzia sembra eccessiva. Melato notevole spalla familiare. Morricone da ricordare per le musiche di alienazione finali.
MEMORABILE: "I bambini sono una truffa"; Il rapporto in macchina; Il ritmo mostrato alla macchina ai neossunti.
Forse l’esempio più esplicito di cinema impegnato politicamente in Italia; disfatta e redenzione di Lulù Massa, simbolo della classe operaia in perenne lotta contro il padrone capitalista e sfruttatore. I contenuti sono ineccepibili e un Volonté mai così in parte danno veramente il senso del malessere e della fatica che caratterizza la vita di un operaio. Da lodare per gli intenti, malgrado sia un film che non sempre scorre via leggero.
Pellicola fortemente impegnata del tandem Petri/Pirro che, nel descrivere il percorso del protagonista da operaio modello ad accanito contestatore, lancia critiche alla classe industriale, al movimento studentesco e ai sindacati. Nonostante l'importanza degli argomenti trattati, risulta invecchiato peggio rispetto al precedente Indagine: troppo urlato, frenetico e frammentario per appassionare completamente. Però c'è un buon cast, in cui primeggia un Volontè ancora una volta grandissimo: mezzo pallino al film lo fa guadagnare lui.
Un'altra situazione parossistica, con venature tragicomiche, illustrata da un Petri audace più che mai. Nel pieno della diffusione dell'alienazione del lavoro teorizzata da Marx viene scagliato questo schiaffo un po' a destra un po' a sinistra che riporta in primo piano, oscurando le chiacchiere, il vero problema: la disumana condizione dell'operaio. La regia forse manca in qualche punto (un pp non messo a fuoco), ma la forza del soggetto e il carisma di un Volonté straordinario permettono di innalzare il film a classico. Portante di un'idea.
MEMORABILE: "Indifferente!" La prima volta in macchina.
Film di grande impegno sociale che parla della condizione degli operai in fabbrica fra lotte sindacali e alienazione quotidiana. Il valore di denuncia del film non si discute, naturalmente, e il messaggio ai tempi doveva arrivare con una certa efficacia, sebbene oggi appaia piuttosto datato. Dal punto di vista tecnico il film cala piuttosto spesso di ritmo e alcune parti sono troppo urlate. Anche l'immenso Volontè sembra talvolta incorrere in atteggiamenti istrionici un po' forzati. Bene la Melato e Randone. Visione impegnativa ma utile.
MEMORABILE: La misurazione dei tempi di produzione in fabbrica; L'amore nella Fiat 850; Il rapporto di Volontè col figlio adottivo; La OST di Morricone.
Elio Petri ci regala un affresco del mondo operaio proletario con un taglio volutamente concitato a tratti debordante. Il film denuncia le lotte intestine tra sindacati, manodopera e padroni dove non si hanno ne vincitori ne vinti. Trovo riuscita anche la parte che vede lo straordinario Volontè dibattersi tra lavoro e famiglia. Appoggiato da una grande Melato che con la sua espressione mimica sia triste che di velata felicità (vedi finale) regala emozioni. Un racconto certo caotico e grottesco che non può lasciare indifferenti.
Lo stile della fase matura di Petri è improntato al grottesco e quindi non ci si può stupire dell'andamento della narrazione: chiassosa, espressionistica, urlata e spesso frastornante; il primo Petri (quello dei Giorni contati) era ben diverso, ma anche A ciascuno il suo, pur avviandosi in quella direzione, era più contenuto e moderato. Però la rappresentazione dell'Italia dei caotici Anni Settanta è centrata, come può ricordare chi ne è stato testimone. Volontè superlativo anche quando gigioneggia; Salvo Randone al solito eccezionale.
Petri rappresenta il lavoro in fabbrica accostando opifici a manicomi, ma offre anche uno sguardo critico sulla sinistra dell’epoca (facendo a pezzi soprattutto il Movimento Studentesco), con una sferzante polemica anticonsumista. Al centro dell’affresco sta il lavoratore-massa, uomo-macchina alienato che è il prodotto perfetto della fabbrica, ben incarnato da un Volonté allucinato e incontenibile, punta di diamante di un cast che, come sempre in Petri, è sontuoso anche nei ruoli minori.
MEMORABILE: Il paragone iniziale tra individuo e fabbrica; "Un pezzo, un culo..."; Il monologo di Lulù in sala mensa; Militina; I pupazzi gonfiabili.
Una sorta di ossessivo compulsivo del lavoro, odiato da tutti per la sua velocità e efficenza, si ritroverà nelle mani di chi chiede maggiore tutela dei lavoratori, ma che non bada alle possibili conseguenze della lotta sulla pelle di chi dovrebbe essere protetto. E' una pellicola che resterà impressa per la prova di Volontè, alle prese con un personaggio quasi macchiettistico, per quanto spinto all'eccesso, come atteggiamento, durante quella che sembra un'inesorabile, triste discesa. Non sempre all'altezza delle aspettative, riesce comunque a chiarire il concetto, soprattutto nel finale.
MEMORABILE: "Te non muori mica nel tuo letto, te muori qui, sulla macchina". "Indifferente"; Valuta mobili e suppellettili in ore di lavoro.
Lulù sempre dalla parte del torto: sia da crumiro prima che da scioperante oltranzista dopo, non potrà mai veramente contare su una solidarietà autenticamente disinteressata dei colleghi, né sull'incondizionato amore della famiglia (e nemmeno sulla simpatia dello spettatore). La sua odissea non è neanche una vera presa di coscienza, ma un incidente di percorso che si risolve rientrando in maniera tristemente impossibile. Petri scontenta tutti, ma il film fece epoca e il suo punto di vista non compiacente si è arricchito di valore con gli anni.
MEMORABILE: Il rapporto sessuale consumato in macchina.
Il "problema" de La classe operaia, al contrario di quanto accaduto a Todo modo e Indagine, sta tutto nell'esser irriducibilmente vincolato alla sua "storicizzazione", nella refrattarietà a farsi apologo tout court. Così la tonitruante alienazione di Lulù (un Volontè smisuratamente bozzettistico) stenta a farsi veicolo cinematografico di schizofrenia proletaria, ingabbiata dalla contesa tra sindacalismo tradizionale, "settarismo rivoluzionario" (gli "studenti"), impotenza sociale. Mitopoietico il Militina di Randone e strepitosa la parrucchiera Melato.
MEMORABILE: "Un pezzo, un culo, un pezzo, un culo..."; Il sesso in macchina tra Lulù e la Adalgisa (Mietta Albertini).
Riuscito ma superiore come messaggio e come strumento rispetto al suo mero valore filmico. Rappresenta un'efficace messa in scena della realtà del periodo, della situazione nelle fabbriche e delle rivendicazioni delle classi lavoratrici. Da un punto di visto della godibilità, al netto delle considerazioni fatte, appare un film troppo urlato. Gran gruppo di attori in cui emerge prepotentemente (ma c'era bisogno di dirlo?) un Volontè straordinario. Brava la Melato. Musiche di Morricone (ed è detto tutto).
Film impegnato sì, ma a far fuori tutti gli stereotipi della sinistra dell'epoca. I sindacati sono minimalisti pavidi che contrattano con il padrone inutili palliativi. La contestazione studentesca si traduce in slogan gracchiati ossessivamente: parole vuote sbraitate da studenti trentenni fuori corso con la piorrea. Stringi stringi gli operai rimangono lì, alla catena di montaggio, sognando un paradiso che è un inferno di nebbia. Volontè monumentale; duetto da brividi con Randone al manicomio.
Il lavoro nobilita l'uomo e il cottimo lo rende agiato. L'operaio Lulù Massa (un immenso Volontè) si trova schiacciato due volte dalle proprie convinzioni. Prima da servo dei padroni come vera e propria macchina da lavoro e, una volta menomato, da compagno in cerca di giustizia attraverso le lotte sindacali e quelle studentesche. L'opera risente dei fervori politici di un'epoca in cui ci si muoveva in massa contro un sistema rigido e crudele. Commoventi i dialoghi tra il protagonista e l'ex operaio finito in manicomio.
Secondo capitolo della trilogia della nevrosi petriana; come nel precedente Indagine troviamo un Volontè (in stato di grazia) nei panni di un individuo disturbato socialmente e simbolo dello zeitgeist che pervase l'Italia nei '70, ma stavolta il protagonista non è l'oppressore bensì l'oppresso, resosi conto d'un tratto delle proprie condizioni di operaio sfruttato. Il regista, nonostante prenda posizione sul tema, fornisce un quadro realista della situazione con una sceneggiatura essenziale che utilizza il cottimo come strumento di potere.
MEMORABILE: I dialoghi e le scene con Randone; Lulù che spiega come fa a tenere il ritmo di lavoro.
Per chi ha realmente vissuto il mondo della fabbrica è un film epocale. Ogni aspetto viene rappresentato senza distorsione alcuna (il rumore, i rapporti con i colleghi, il capo, il direttore..). Buona anche la rappresentazione dei sindacati che, spesso, risultano in conflitto tra loro. Ottima la recitazione di Volontè che ben impersona il mondo operaio tra dissidi, alienazioni, stress psichico, problemi familiari e sociali.
Dopo l’impunità della polizia Petri analizza l’alienazione operaia e sempre sostenuto da un grandissimo Volontè mette in scena un altro grottesco apologo sull’Italia degli anni di piombo. Anche qui, come nel Cittadino, dopo un inizio vigoroso e realistico si vira nel surreale con uno stile un po' troppo gridato. Oggi il passaggio di Lulù da campione del cottimo a ultrà della contestazione appare un po' forzato, ma nel ritratto del servilismo sindacale e del qualunquismo studentesco il film risulta ancora attuale. Bello stuolo di caratteristi.
MEMORABILE: Lulù si presenta ai nuovi colleghi: “Massa Ludovico detto Lulù, Lombardia quasi svizzera”; Il complicato incontro sessuale in macchina; Il Militina.
Operaio metalmeccanico stacanovista malvisto dai colleghi, un giorno perdendo un dito sul lavoro apre gli occhi e si ribella fino alla perdita del posto. Petri dipinge un affresco invernale delle incredibili tensioni sociali degli anni '70, un tessuto in continua fibrillazione tra operai, padroni, sindacati, studenti; la vita dell'operaio/macchina tra lavoro e alienazione calzata perfettamente da un immenso Volontè, tragico e grottesco al tempo stesso (ai limiti del caricaturale). Un mondo di macchine, sfruttamenti e profitti che può condurre fino alla follia (il Militina). Epocale.
MEMORABILE: Militina:"In questo inferno [...] il cervello a poco a poco se ne scappa"; Lulù legge dietro le candele:"Magic moments, the magic of[ ...] ma va da via l'cül".
Ambientato nei primi anni 70, il film è da considerarsi, cinquant' anni dopo, un vero e proprio documentario su un’ Italia che ormai non esiste più. L’Italia che ha bisogno di molta forza lavoro, l’Italia delle lotte operai-padroni, l’Italia dei sindacati. Temi indubbiamente importanti e “pesanti”, ma che diventano alla portata di tutti grazie alla magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè, un attore troppo sottovalutato nel panorama cinematografico italiano, un vero mattatore. Film ormai cult di cui si raccomanda la visione.
Pressato dai problemi economici, Lou Massa è un operaio che lavora a ritmi forsennati su cui i padroni della fabbrica si basano per imporre tempi di lavorazione insostenibili, fino a quando avviene un incidente... Parabola sulla trasformazione di uno stakanovista in un alfiere della lotta di classe, non del tutto convincente per un eccesso di caratterizzazione, evidente nella prova rabbiosa di Volonté, ma che va apprezzato come uno dei pochi tentativi nel nostro cinema per restituire le sensazioni alienanti della catena di montaggio. Opera volutamente problematica, non conciliante.
Petri e Volonté di nuovo assieme per questo secondo capitolo della "trilogia della nevrosi". Non siamo di fronte ad un cult, come nella puntata precedente, ma il film resta comunque godibilissimo, grazie ovviamente al solito, gigantesco, Volonté, nevrotico, sopra le righe, irresistibile nel suo accento lombardo. C'è anche Randone, che seppur per due scene appena, ci regala una delle sue maschere più indimenticabili, quella del Militina. Musiche severe ed austere di Morricone a chiudere il cerchio, per un'opera che resta sempre attuale.
MEMORABILE: Volonté che, impazzito, se la prende col Paperone.
Crudele satira lavorativa che coglie ottimamente il clima tumultuoso, alienante e paradossale dell'epoca in cui fu prodotta: suoni e immagini sballottano il pubblico al ritmo febbricitante delle macchine (che vanno trattate "con amore"), tra il frullio delle routinarie proteste, la progressiva presa di coscienza di un processo di spersonalizzazione in atto e i pessimistici esiti di una rivolta collettiva inestricabilmente legata alla crisi individuale. L'over-acting di Volonté, del tutto adeguato al contesto, è sostenuto dall'efficacissima regia di un Petri più che ispirato. Buono!
MEMORABILE: Le perle "filosofiche" di Militina; Volonté canta; Scontri con le forze dell'ordine; (Non) si sevizia Zio Paperone; Il ben poco rasserenante finale.
Film a cui non manca l'impegno politico e civile - nel cinema di oggi, né l'uno né l'altro -, accompagnato da un Volonté straripante e da una direzione autoriale capace di discendere nell'alienazione della classe proletaria in fabbrica. Petri non fa prigionieri: dai capitalisti ai sindacalisti, passando per gli studenti di sinistra e l'inedia famigliare, ogni componente si rivela vacua di fronte al fine ultimo di riscattare lo spaccato sociale su cui verte la denuncia. Direzione assillante e finanche chiassosa nell'impronta di realismo che insegue; pur rimanendo il tutto voluto.
MEMORABILE: "Un pezzo... un culo"; L'entrata distopica in fabbrica; Il rapporto nella Fiat; I personaggi della Melato e di Randone; Il rendiconto sugli acquisti.
Film di culto e testimone di un periodo nella storia italiana, assolutamente incomprensibile per chi non abbia approfondito le vicende e il pensiero di quegli anni. Sarà forse vero che, come diceva il Fofi-Savonarola, Lulù è un operaio poco credibile, troppo esagerato, così come i giovani estremisti sono dipinti (dai "vecchi") con tratti eccessivamente grotteschi e vigliacchi. Eppure non è il realismo che conta, ma la rappresentazione sublime della nevrosi operaia (Randone eccelso), sia sul piano lavorativo che su quello sessuale. La fabbrica-prigione è tutta lì, in quel gelo invernale.
MEMORABILE: "Lulù, quando ti ricoverano porta le armi!"; "Povera bestia".
La vita alienante in fabbrica e la lotta di classe del periodo sono perfettamente rappresentati dall'esperto Elio Petri, coadiuvato ancora una volta dallo straordinario Gian Maria Volontè. A non convincere è l'aspetto per così dire eccessivo del film, le continue urla, il personaggio principale sin troppo sopra le righe e la sua trasformazione da "servo del padrone" a simbolo delle proteste operaie, che appare per certi versi forzata. Comunque un esempio sicuramente importante di cinema di protesta, da vedere, anche se oggi appare leggermente datato. Ottima la musica minimale. Buono.
Sulla scia del successo ottenuto da Indagine... il duo Petri-Volonté va di nuovo a braccetto in questo secondo capitolo della trilogia della nevrosi. Se nella precedente pellicola il fulcro era l'alienazione del potere vista dal punto di vista di coloro che lo esercitano, qui è visto invece dal punto di vista di coloro che ne subiscono le conseguenze. Un lavoro che sempre più a fatica si comprende e con cui è impossibile identificarsi. Il cottimo è uno strumento di mera sottomissione che finisce per identificare sullo stesso piano lavoratori e macchine.
MEMORABILE: Lulù incalzato dai colleghi si mozza un dito con il flessibile.
Un vero e proprio affresco storico di un contesto sociale, il proletariato della fabbrica, le cui logiche e dinamiche sono perfettamente rappresentate in questo eccellente film di Elio Petri, maestro di cinema di quegli anni tumultuosi. Non la sua migliore opera, ma senza dubbio un prodotto che più di ogni altro ti porta a vivere, anche nei dettagli, la fabbrica nell'epoca del '68, le tensioni, la quotidianità di un operaio che fatica a far coesistere lavoro e affetti familiari. Davvero un documentario di un mondo su cui ha orbitato gran parte della protesta di quei tempi. Da vedere.
MEMORABILE: "Un pezzo, un culo"; Il primo intervento di Massa davanti ai colleghi operai; La descrizione del contesto della fabbrica; L'incontro amoroso in auto.
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DiscussioneAlex75 • 19/02/18 13:46 Call center Davinotti - 710 interventi
Tra i non accreditati c'è Massimo Patrone, che un anno più tardi avrebbe fatto la parte del bidello nel film Sbatti il mostro in prima pagina. Qui è uno degli ospiti del manicomio (quello che crede di essere un televisore). Da anni Patrone è alla guida della Cineteca Griffith di Chiavari.
Alex75 ebbe a dire: Tra i non accreditati c'è Massimo Patrone, che un anno più tardi avrebbe fatto la parte del bidello nel film Sbatti il mostro in prima pagina. Qui è uno degli ospiti del manicomio (quello che crede di essere un televisore). Da anni Patrone è alla guida della Cineteca Griffith di Chiavari.
più che un televisore, ho sempre pensato che fosse completamente annichilito dall'intro di carosello, a furia di sentirlo tutte le sere per chissà quanto tempo prima di sbottare!
HomevideoRocchiola • 7/05/20 13:42 Call center Davinotti - 1278 interventi
In attesa (forse) del bluray c'è ancora disponibile a prezzi contenuti il DVD della Rarovideo che qualche anno fa ha sostituito egregiamente la precedente edizione Minerva nel frattempo andata fuori catalogo. Buono il video 1.85 mediamente pulito e discretamente dettagliato. Audio dual mono dalla buona resa.
Il film non mi piacque granché, quando lo vidi la prima volta. Lo trovai troppo urlato, troppo grottesco. E diedi solo 2 su 5, ben undici anni fa.
Da allora l'ho rivisto più volte, e oggi gli assegnerei il doppio dei pallini. Il lato umoristico del personaggio di Ludovico Massa, i dialoghi tra lui e Militina (un immenso Salvo Randone), ma più in generale tutti i dialoghi di Volonté da quando si sveglia la mattina e paragona l'uomo a una fabbrica.
Raramente cambio idea su un film in maniera così radicale, ma mi è capitato con questo lavoro di Petri.
DiscussioneZender • 29/11/20 08:57 Capo scrivano - 48328 interventi
Se vuoi ripassarmi il commento te lo sostituisco a quello precedente, Renato.
Il film non mi piacque granché, quando lo vidi la prima volta. Lo trovai troppo urlato, troppo grottesco. E diedi solo 2 su 5, ben undici anni fa.
Da allora l'ho rivisto più volte, e oggi gli assegnerei il doppio dei pallini. Il lato umoristico del personaggio di Ludovico Massa, i dialoghi tra lui e Militina (un immenso Salvo Randone), ma più in generale tutti i dialoghi di Volonté da quando si sveglia la mattina e paragona l'uomo a una fabbrica.
Raramente cambio idea su un film in maniera così radicale, ma mi è capitato con questo lavoro di Petri.
Anche io gli ho data una prova di appello, ma non sono riuscito a rivalutarlo.
Inspiegabile l' affermazione di Giusti,il quale nel suo dizionario dice che il film sembra girato nei dintorni di Roma e non al Nord. Il film fu realizzato vicino a Novara e si nota,c'è pure la neve! Casomai è un film come Fantozzi che sembra girato al nord,i futuri coniugi Calboni vanno in vacanza a Courmayeur che disterà non so quanti chilometri da Roma(e ce ne accorgiamo che il film è girato a Roma mediante la scena in cui Fantozzi viene malmenato sulla tangenziale dopo aver preso l'autobus al volo,in lontananza si nota infatti Porta Maggiore).