Il David Letterman e il Maurizio Costanzo Show in mescalina parademoniaca. Favoloso l'intro biografico dello showman (con tanto di iniziazione settaria tra i boschi dai sapori hammeriani e
wickermaniani), irresistibili alcuni dialoghi (il raziocinante e supponente Carmichael Haig-con capatina a Amityville -la ragazzina che fissa in camera e sibilla frasi inquietanti, il cinico e triviale produttore) e situazioni dietro le quinte (virate in bianco e nero).
Ma il tumore ai polmoni della moglie mette più angoscia di qualsiasi possessione (il volto contratto in una smorfia di dolore, la calvizia, nella camera della morte
kubrickiana) e dopo i sussulti del "diavolo probabilmente" di
Capitan Gaio/Mister Guizzo (di incisività impressionante la giovane Ingrid Torelli in calzettoni bianchi e scarpette da bambina) e una robottiniana eviscerazione verminosa (anche
henenlotteriana) orchestrata dagli effetti puramente prostetici di Russell Sharp.
Stacchi pubblicitari, ipnosi, indice degli ascolti, ciarlatani da
Pomeriggio 5, reportage da "facce della morte" (il breve filmato sulla setta satanica e l'intervista al suo guru simil Anton LaVey) il tutto coordinato dall'istronismo di un eccellente David Dastmalchian, fino al delirio surreale di
patti faustiani, tra "
Audrey Rose" dai poteri distruttivi
kinghiani (teste spezzate a 360 gradi, gole squarciate, patetici sudditi del "signore delle mosche" abbrustoliti all'istante in effetti melting degni di
Street trash), il prostrarsi al cospetto del barbaggiani di
Deliria (in una splendida festa di morte dai retrogusti/surrealisti di
madame 'O) in un loop da ade dantesco, arrivando alla chiusa "apocalittico catodica" non poi dissimile da quella del
Signore della notte, e il
Quinto potere sputato dall'inferno è servito.
La claustrofobia dello studio televisivo è asfissiante valore aggiunto, in quella che è un'espansione più adulta e matura del
seconda opera dei fratelli Cairnes.
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