IL PASTO NUDO è un film d'importanza capitale, nell'opera cronenberghiana, quello a cui il regista è più affezionato; perché non è semplicemente la trasposizione di un libro (e infatti “The naked lunch”, di Borroughs, ha un articolo in più) ma la reinvenzione cronenberghiana dell'intero universo di Borroughs, autore della Beat Generation di cui il Cronenberg ventenne era letteralmente innamorato. Confluiscono nel film non solo la storia del libro, ma la biografia stessa di Borroughs: ci sono l'omicidio della moglie, l'amicizia con Kerouac e Ginsberg (che nel film si vedono mentre sono in casa sua con la moglie e che poi lo raggiungeranno...Leggi tutto a Tangeri spronandolo a continuare con il suo romanzo, “Il pasto nudo” per l’appunto) e altri suoi lavori come “The Exterminator” o “Le lettere da Tangeri”. Cronenberg insomma rimescola l'opera di Borroughs e la rilegge attraverso l'occhio, molto cinematografico, di se stesso. Ne dà una reinterpretazione personale che però ha avuto il pieno assenso di Borroughs stesso; ha trasformato in immagini ciò che di più infilmabile potesse esistere nella letteratura contemporanea. E l'ha fatto, tra l'altro, seguendo una logica che invano si ricercherebbe in Borroughs, perché IL PASTO NUDO è un film dalla trama ben precisa, non sconclusionato come potrebbe apparire a un'analisi superficiale: William Lee (Peter Weller, autopropostosi come protagonista dato il suo amore per entrambi i numi tutelari dell'operazione) è un disinfestatore di scarafaggi che finisce per iniettarsi il piretro e provare tremende allucinazioni. Dopo aver ucciso per sbaglio la moglie parte per Tangeri (in realtà Cronenberg, causa Guerra del Golfo, ha dovuto ricostruire esterni e interni africani in Canada) dove, sempre più preda degli allucinogeni, in particolare della “carne nera”, vede a ogni nuova assunzione la realtà trasformarsi radicalmente (le macchine per scrivere in scarafaggi, ad esempio) ed è convinto di trovarsi in un posto fantascientifico chiamato “interzona”. Quando la droga cessa gli effetti il mondo torna (quasi) normale fino all'assunzione successiva. E quindi ci sono continui sbalzi tra realtà verosimili (quando lui è semisano) e realtà caricaturali (quando ha appena preso la “carne nera”). Per capire questo basta seguire la scena esplicativa in cui Tom Frost comincia a parlare a Bill di cose normali per poi passare (causa inizio dell'effetto allucinogeno) a parlare di “interzona”: si vedono le labbra di Tom non in sincrono con le parole. E' un evidente momento di “passaggio”, tra realtà e allucinazione. Letto così il film è chiarissimo, affascinante (anche se tremendamente pesante, per chi non abbia la pazienza di calarsi nel mondo folle di Bill Lee). E’ il film più autoriale di Cronenberg, che si avvale di effetti speciali (opera del “mago” Chris Walas) straordinari, tutti perfettamente coerenti con la storia, di un ottimo cast, di musiche (Howard Shore con inserti jazz di Ornette Coleman) forse un po' troppo soporifere. IL PASTO NUDO e comunque più un'esperienza che un film, sicuramente quanto di più vicino al mondo allucinato della Beat Generation sia mai stato concepito.
Cronenberg è riuscito in un'impresa che credevo irrealizzabile: la trasposizione cinematografica del capolavoro letterario di William Seward Burroughs. Macchine da scrivere che si trasformano in scarafaggi, corpi mutati nella carne e nello spirito. Un lembo dell'Africa che è una non zona. Colui che può apparire sempre non è. Fold in, cut ups che dalle pagine del pasto nudo si trasformano in immagini. Bello, difficile, indecifrabile il finale se non si conosce la vera storia del maestro della Beat Generation. Capolavoro assoluto.
Il limite di questo film di Cronenberg è quello che per essere apprezzato appieno richiede una buona conoscenza dell'opera e della vita dello scrittore William Burroughs. Chi, come il sottoscritto, non ha queste basi, rimmarrà sicuramente spiazzato di fronte a quest'opera che comunque ha un fascino indiscutibile ed è prova autoriale al di fuori di ogni dubbio. Ottimo Peter Weller nel ruolo del protagonista e in generale tutto il cast di attori. Difficile ma bello.
Era un’impresa improba trarre un film da un libro magmatico e frammentario come quello di Burroughs. Cronenberg, ispirandosi ad altre opere dello scrittore americano nonché alla sua vita, ci è riuscito perfettamente dando vita ad una pellicola di notevole impatto visivo e di grande compattezza narrativa. Notevoli gli effetti speciali di Chris Walas. Gustosissima la colonna sonora di Howard Shore e del mitico Ornette Coleman.
Legato indissolubilmente al racconto di William S. Burroughs (tanto che risulta incomprensibile ed ostico se non si è preparati sull'opera omnia dello scrittore in questione). Cronenberg realizza una pellicola simbolica e ricca di metafore, come sempre correlate alle questioni dei limiti "naturali" e dalla privazione di "libertà" che il corpo materiale impone all'essere umano. È un'opera fondamentale, ma difficilmente apprezzabile, poco cinematografica per quanto intrisa di significato. Fa pensare, insomma, ma per nulla diverte.
Quando la poetica della carne di Cronenberg incontra la scrittura allucinata di Burroghs non può che scaturirne un gran film, eccellente trasposizione dell'omonimo romanzo. Dilatato in tempi "da eroina", fotografato splendidamente con colori che si fondono come nella tavolozza di un pittore, un "viaggio" da non perdere.
Era quasi impossibile realizzare una versione cinematografica di un romanzo "infilmabile" come Naked Lunch di William Burroughs. Ci è riuscito alla grande David Cronenberg, senza distaccarsi eccessivamente dalla materia narrativa del romanzo. Pieno di riferimenti ad altre opere dello scrittore ed anche a fatti che caratterizzarono la sua vita (l'incidente in cui il protagonista uccide la moglie, ad esempio), "Il pasto nudo" è uno dei migliori film di Cronenberg, sicuramente il più visionario ed inquietante.
In questa pellicola il sottile filo che separa la realtà cinematografica dalla finzione cinematografica viene costantemente superato. Cronenberg rimuove ogni punto di riferimento per lo spettatore, giocando sulle suggestioni e incentrando il delirio del personaggio attorno agli insetti. Ogni cosa è possibile (come recita la citazione che apre il film) o meglio è resa possibile perché il protagonista è uno scrittore. Quindi tutto può succedere. Efficace traduzione in immagini dell'omonima opera autobiografica di Burroughs. Tre pallini e 1/2.
Burroghs e un po' come Bukonsky: sono autori forse intraducibili sullo schermo, perché con la loro scrittura rendono il lettore spettatore e complice dei loro stili, delle loro visioni. Nonostante questo la pratica de "Il pasto nudo" viene affrontata e risolta in maniera brillante. Logico che le parti più deliranti e criptiche siano da consegnare al leggittimo propietario. Tutto il resto è riportato in immagini e dialoghi suggestivi ed assolutamente efficaci.
Non è certo il film più "facile" di cronenberg, forse neppure è comprensibile e fruibile da qualsiasi spettatore. Ma qui abbiamo tutte le stimmate del capolavoro assoluto, se si condivide con me l'idea che il cinema è anzitutto visione (nel senso etimologico), suggestione, evocazione attraverso immagini e prospettive. Nell'allucinato viaggio lisergico che il regista canadese ci propone sulle orme del romanzo di Burroughs, viene a mancare la terra sotto i piedi a qualsiasi approccio razionalistico. Per me, un'esperienza filmica imprescindibile.
Chi vede questo film conoscendo Burroughs, la sua vita e le sue opere, avrà una comprensione maggiore della vicenda, reale e allucinata, comunque all'apparenza sconclusionata e si godrà, o meno, il film come opera in se stessa e come realizzazione per immagini di sentimenti ed emozioni già precedentemente "digerite". Chi visionerà l'opera di Cronenberg, a "digiuno" delle suddette opere, al di là di un giudizio più o meno positivo, non potrà fare a meno di riconoscere una realizzazione cinematografica originale e di grande impatto.
Da vedere solo dopo attento studio dell'opera omonima di Burroughs. Sicuramente un film dalle tinte forti, con ottimi effetti speciali e ben realizzato dal solito Cronenberg, del quale però ho preferito opere più dirette e meno confuse. Colpa forse della necessità del regista di raccontare l'universo dello scrittore senza filtrare il necessario per renderlo più digeribile allo spettatore qualunque.
Un film con il topos del "body horror" condito con un tocco alla Lynch. Un bellissimo esempio di come il cinema spesso attraversi continuamente la sottile linea tra razionale ed irreale; scatenando un climax ascendente di scene e dialoghi, al tempo stesso sia astratti ed assurdi, ma che si celano dietro a raffinate allegorie e metafore. Splendida la colonna sonora ed il doppiaggio in italiano; vellutati i riferimenti alla droga o alla sessualità: un film che stupisce e stordisce nello stesso tempo, lasciando lo spettatore attonito e stupito.
Cronenberg si cimenta nel deliriogeno mondo di Burroghs trasponendone un'opera alla sua maniera. Ne esce un capolavoro drogastico fuori dalla norma, con macchine da scrivere scarafaggio parlante e tutto un mondo allucinante di visioni. Nell'Interzona Cronenberg darà fondo alle sue capacità rievocando con estrema abilità la sensazione di smarrimento causata dalle opere dello scrittore. Il film infatti è ben più apprezzabile se si conosce un po' la vita di Burroghs; rimane comunque un esempio sublime di trip acido nell'ossessione.
Viaggio allucinato e allucinante tra le labirintiche cavità sibilline della mente di uno scrittore. Macabro e visionario più che mai, David imposta la sua opera addizionando sensazioni per immagini e immagini per sensazioni. Forse programmatico nell’esporre la devianza mentale e finanche artificioso nel dipanare il surrealismo della vicenda, ma la messinscena e il respiro adeguatamente frammentato sanno immergere nel dramma disilluso - potenzialmente infinito - di un uomo che compie azioni senza volerlo, apparentemente. Immaginifico. ***
Un viaggio allucinante e allucinogeno nella mente del protagonista. La storia è caoticamente malata e i suoi significati possono essere molteplici. Non è facile da seguire, ma di sicuro ha un grande impatto visivo. Superbi il montaggio, la regia, la fotografia e la colonna sonora.
Delirio allucinato, affascinante nella sua messa in scena tra effetti speciali ottimi e una bella colonna sonora. Il difetto maggiore sta nella sua scarsa linearità, che lo rende tutt'altro che facile da seguire e sicuramente per nulla divertente. Molto interessanti alcuni dialoghi, ottima l'interpretazione di Peter Weller.
Letteratura estrema, cinema estremo. Al fine di tradurre in immagini le visioni allucinate degli eterodossi romanzi di Burroughs, Cronenberg si prodiga in una scrittura filmica opportunamente atattica e in effetti speciali di prim’ordine (l’artefice è Chris Walas), rendendo concreti e credibili scarafaggi giganteschi e palpitanti, alieni mucillaginosi e varie mutazioni/menomazioni della carne e del corpo. Seppur ardua e spiazzante per chi non conosce Burroughs, l’opera è comunque necessaria, poiché in perfetta continuità tematica e figurativa con l’intero curriculum del regista canadese.
MEMORABILE: La storia del culo parlante, che finisce con il vivere di esistenza propria e ribellarsi al suo “proprietario”.
Atmosfere opprimenti, prevalenza di ambientazioni scure e carne viva in continua mutazione come lo sono i personaggi che popolano questa sorta di storia fatta di forti immagini, sensazioni e riflessioni, nella quale realtà e allucinazione si fondono. Ispirato allo scritto di Burroughs, dal quale vengono riportati alcuni brani, forse a voler sottolineare l’impossibilità di una rappresentazione fedele. Io ci vedo Burroughs più l’interpretazione di Cronenberg e il risultato è straordinario, un completamento, un’appendice all’originale letterario. Difficile ma grandissimo film.
Scarafaggi che istruiscono il nostro "agente" attraverso orifizi anali nascosti sotto le ali, che sono macchine per scrivere, che a loro volta sono alieni in grado di secernere liquido dall'apparenza seminale, metafore della scrittura che possiede, che si fa carne e sangue. Le ossessioni allucinate di Burroughs si fondono agli episodi salienti della sua vita, mescolate attraverso la potenza visionaria di un Cronenberg in grande spolvero. Densa, pesante, del tutto priva di un humour alla portata comune, ma certamente un'opera seminale, che denuncia oltretutto una grande passione per l'autore cui è ispirata.
MEMORABILE: "Se aggiustiamo la tua macchina per scrivere, aggiustiamo anche la tua vita"
Trashone inaspettato, con punte decisamente bislacche (vedasi i disgustosi mostri che parlano dallo sfintere anale), l'opera di Cronenberg fa acqua da tutte le parti, in primis sotto il versante del "droga movie". Visione sofferta per colpa di un ritmo cinematogrfico narcolettico e di una regia ben poco ispirata che scade spesso nel piattume più totale. Weller, davvero poco dotato, non mostra nemmeno un'espressione interessante. Si contende il primato di visione più deludente in assolut, con Splatters di Jackson.
Sfida intrigante portare gli incubi del libro di Borroughs al cinema. Cronenberg sempre affascinato dalle trasposizioni difficili stravince la sfida e fonde la sua visionarietà morbosa con i virus mentali generati dallo scrittore simbolo della beat generation. Ne esce una trama convulsa, per nulla lineare, che tra incubo e realtà fa sprofondare lo spettatore in un intrigo mentale e carnale. Genialmente poco commerciale.
Ovvero come riuscire a rappresentare l'irrappresentabile libro omonimo di William S. Burroughs. Cronenberg cerca di dare una logica al delirio dello scrittore utilizzando al meglio la macchina da presa. Tantissimo di ciò che è presente nel libro è stato lasciato fuori dal film, perché cose talmente spinte e assurde da non essere adeguate per una rappresentazione sul grande schermo. Per poter godere appieno dell'opera è necessario conoscere la storia dello scrittore e aver provato a leggere qualche suo libro. Tutt'altro che un film leggero.
Lo definirei un pezzo unico nella storia del cinema. David Cronenberg ci mostra la capacità di materializzare l'impossibile, di rendere cinema un libro straordinariamente sconclusionato frammentario e bizzarro come "Naked Lunch" di Burroughs. Il risultato che ne consegue è senz'altro un prodotto che riesce a suscitare le emozioni disturbanti del libro. Peter Weller perfettamente calato nella parte della scrittore tossicomane allucinato ma sempre composto, ottima la Davis e perfetto il resto del cast. Eccellenti scenografia e musiche.
La prima sonora delusione nella carriera di un Cronenberg spocchiosamente alla ricerca di uno status autoriale sempre più velleitario. Il romanzo di Burroughs non è molto adatto alla trasposizione cinematografica, così ne esce un film che al di là di qualche simbolismo visivo è privo di qualsiasi logica narrativa. Forse valido come saggio sul processo creativo della scrittura, non coinvolge, annoia e risulta largamente incomprensibile. L'inizio di una parabola discendente che porterà il regista a riprendersi solo in tempi più recenti.
MEMORABILE: La macchina da scrivere-scarafaggio; Al bar con l'alieno mostruoso; I millepiedi giganti.
Come trasporre sullo schermo un'opera spesso descritta come una serie di "appunti dall'inferno"? Cronenberg risolve innestandone monologhi e suggestioni su una trama ispirata alla vita dell'autore ed in particolare alla sua fuga a Tangeri dopo l'omicidio della moglie, nonché focalizzando l'attenzione sulle creature bio-meccaniche partorite da una mente perennemente allucinata. Il connubio fra gli stilemi noir del racconto e questa visionarietà oltraggiosamente carnale rende la visione del film disturbante, a tratti insostenibile. Capolavoro malsano in cui convivono fascino e ribrezzo.
MEMORABILE: Lo scarafaggio-macchina da scrivere; gli esseri con i tubercoli in testa
Cronenberg mette in scena il celebre romanzo omonimo con la sua solita personalità e inventiva, realizzando un'opera importante all'interno della sua filmografia. Sceglie come protagonista uno splendido Weller, mai così in parte, assieme a un cast azzeccatissimo. Ciò che si nota maggiormente, oltre alla solita passione per la carne (in questo caso insetti mutaforma), è la capacità di non far capire con chiarezza quando si è nella realtà e quando nella mente del protagonista. Gli effetti visivi sono ottimi, buone le musiche.
Tratto dalla controversa opera di William S. Burroughs, ma anche in parte dalla sua biografia (vedi la scena del Guglielmo Tell e la "fuga" a Tangeri per esempio). David Cronenberg riesce nell'impresa improba di portare un romanzo "difficile" sul grande schermo trasformandolo in un misto fra poliziesco e fantascienza. Ottimi il cast e la colonna sonora.
Impossibile descrivere il bianco al famigerato cieco tolstojano, altrettanto impossibile prendere di peso le allucinazioni letterarie di 72 ore non stop di efedrina e tradurle sullo schermo. Apparentemente. L'operazione di Cronenberg, coraggiosa al limite della follia, riesce a innestare nelle disarticolate visioni burroughsiane un ammirabile senso circolare che, tra vampe body horror, liquidi corporei e situazioni di grottesca alterazione, si dipana come una composizione free jazz: apparentemente casuale, in realtà attentamente pianificata.
Definito da molti un viaggio extrasensoriale più che un film vero e proprio, “Il pasto nudo” è la storia sull’ossessione di scrivere, sul tunnel infinito della creazione e di come essa possa essere stimolata attraverso l’uso di stupefacenti. Cronenberg compone uno straordinario apologo sulla dipendenza, costruendo immagini esteticamente perfette e dando vita a persone e personaggi indimenticabili. Fantastico Peter Weller, sonnambulo e ombroso rappresenta perfettamente lo stereotipo maschile del cinema noir degli Anni Quaranta. Lode per gli effetti speciali di Wiezer. Seducente.
Rapporto (non) confidenziale dall'Interzona, l'orifizio che conduce al ventre dell'inconscio e lo sfama traducendo la mancanza in dipendenza. Se per Burroughs "il pasto nudo" è il boccone sulla punta della forchetta visto nella sua funzione oggettiva, per Cronenberg è una tavola imbandita di feticci, biografia, rigori psicoanalitici e aberrazioni organiche: la messa in scena del processo creativo (e degenerativo) come deiezione. Trasformiamo ciò che mangiamo e ciò che ci nutre ci trasforma. Poderoso lavoro agli spfx prostetici di Chris Walas e cast in stato di grazia.
Disinfestatore di scarafaggi si assuefà al loro veleno dal potere stupefacente. Mix tra la storia vera di Burroughs e i suoi scritti che sembra possa contare sulle atmosfere di Lynch e invece procede a strappi. La trama ha derive lisergiche tra allucinazioni e mostriciattoli (a volte eccessivi dal lato grottesco o provocatorio) ma nello sguardo serioso di Weller cattura l’attenzione. I contenuti letterari son presenti e aiutano i dialoghi, anche se nel complesso la visione è faticosa. Discreta la fotografia calda in stile anni Cinquanta.
MEMORABILE: L’omicidio della moglie; La macchina da scrivere incandescente; Il deretano che reclama l’uguaglianza dei diritti.
Ispirato alla folle e inadattabile esperienza narrativa di Burroughs, con "Il pasto nudo" Cronenberg segna un'ulteriore svolta stilistica. Il regista non altera più la psiche di uno o più personaggi, ma tutto ciò che sta intorno. La percezione della realtà dei suoi personaggi e la nostra di spettatori viene completamente stravolta attraverso i diktat di macchine da scrivere che secernono liquidi inebrianti. Tutto è estremamente distorto, acido e allucinato come nel libro, mentre cinema di genere e cinema d'essai si fondono come inseriti nelle capsule di teletrasporto de La mosca.
Omaggio di Cronenberg a Burroughs e al suo immaginario, in un mix visionario di realtà e finzione; tra episodi della vita dello scrittore e parti basate sui suoi libri, si traccia il ritratto di un personaggio ai limiti, in una dimensione surreale di stati mentali alterati dalle droghe e mostruose allucinazioni, ben rese da SPFX all'altezza. Ottime anche le scenografie anni '50 (con una Tangeri ricreata in studio) e la prova di un Weller al suo meglio; durata un po' eccessiva e storyline non facile da seguire, specialmente se non si conosce bene Burroughs, ma lavoro superlativo.
Tra gli inseparabili carne/metallo ecco spuntare il terzo incomodo sempre sommamente latente: la parola, il linguaggio con le vertigini di (non)senso in grado di tirarsi dietro, un demone sotto la pelle del cinema cronenberghiano che il genio canadese riconduce nella propria interzona filmica con improntitudine programmatica e sprezzo del ridicolo, trovando nel delirante vocabolario di Burroughs un ulteriore scanner della mutaforme realtà Come guardare ancora con gli stessi occhi una macchina da scrivere? Tell me.
Dove c'è Cronenberg c'è quasi sempre qualcosa di bizzarramente disturbante, e quest'opera non fa eccezione; qualche sequenza visionaria lascia davvero straniti, complici gli ottimi effetti. Il troppo surrealismo finisce tuttavia per storpiare, sebbene la "colpa" di ciò appartenga al romanzo di partenza; il film risulta lento, pesante e a tratti perfino ostile. Un bravo al regista per aver fatto del suo meglio nel trasporre una trama che trama non è (sono solo deliri di un tossicomane in sequenza), anche il cast rende bene (specie il duo Weller/Davis), ma resta un complicato fruire.
MEMORABILE: Gli enormi coleotteri parlanti; Il gigantesco millepiedi ingabbiato.
Quando si affronta la trasposizione dell'opera letteraria di uno scrittore tossicomane è abbastanza prevedibile che ne verrà riflesso lo stato d'animo fatto di allucinazioni sconnesse dovute a una creatività indotta artificialmente dalle sostanze stupefacenti. Nel complesso un mattone intellettualoide lanciato da un’epoca nella quale si puntava sulla reazione: “Non si capisce nulla, dev'essere geniale”. Visione spossante, a meno che non ci si ponga nel medesimo stato di alterazione; condizione nella quale può partire per la tangente ed essere valido qualsiasi simbolismo.
Cronenberg riassembla coraggioso i tagli del cut-up delirante di Burroughs e li incolla in una sulfurea citazione, assurda e insieme coerente con la sua dimensione visionaria. Tra "La scimmia sulla schiena" e "Exterminator!" dilata con ispirazione un viaggio onirico fatto a nuoto nelle acque torbide delle allucinazioni più spaventose e ributtanti, dando forma e plasticità alle overdose tossiche e omoerotiche dell'autore. Il noir si infila così di soppiatto in una torrida e sensuale Tangeri degli anni Quaranta, dove l'assassino fugge e rincorre spasmodico la sua colpa non espiata.
MEMORABILE: I dialoghi del protagonista con la macchina da scrivere-ano; La scena finale nella macchina, alla frontiera.
Puro, lurido, viscido, contorto, ma soprattutto geniale Cronenberg. Un simile delirio biomeccanico, nelle sue mani, ma soprattutto nella sua mente, viene gestito come meglio non si potrebbe. Il praticamente perenne stato di alterazione del protagonista fa sì che ciò che viene inteso come normale sia confinato, mentre tutto il resto ha la meglio. L'unica cosa celata alla vista dello spettatore sono gli invisibili fili che collegano lo scrittore alle creature (le macchine da scrivere; gli esseri) tramite la polvere. Da vedere, anche perdendosi nell'oscuro gorgo mentale del regista.
MEMORABILE: Il rapporto carnale con la macchina; "Le donne non sono umane"; "Cammini per le strade sonnolento, come un uomo con una leggera commozione cerebrale".
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