TODO MODO significa “in tutti i modi” ed è il principio di una frase di Ignazio di Loyola destinata ad avere una parte nella soluzione di questo particolarissimo e claustrofobico para-thriller che Elio Petri, il regista, sceneggia dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia. Interamente ambientato in un lugubre convento dove si riuniscono i capi di un partito (in pratica la Democrazia Cristiana) che ha in mano il destino d'Italia, il film si presenta come un allucinato quadro di una realtà che sconfina spesso nel surreale, dominato dai vaneggiamenti di Don Gaetano (un Mastroianni che predica e minaccia dall'inizio alla fine) e del “presidente” della congrega (che Gian Maria Volonté fa chiaramente...Leggi tutto corrispondere ad Aldo Moro, cercandone ostinatamente l’imitazione). Per tutto il primo tempo non accade praticamente nulla e la caratterizzazione più “forte” è offerta dal bravo Ciccio Ingrassia (occasionalmente senza baffi!): nel ruolo del patetico Voltrano arriva a fustigarsi nudo prima di finire vittima dell’epidemia che sta dilagando all'esterno del convento (in una sorta di rievocazione della “Maschera della Morte Rossa” di Poe). Poi cominceranno i primi delitti, una parvenza di indagine per arrivare a un finale drammatico carico di messaggi (che infatti la DC dell'epoca non mancò di stigmatizzare). TODO MODO, al di là di un impatto visivo notevole (merito delle scenografie di Dante Ferretti e della fotografia Kuiveller) risulta sconclusionato, confuso, lento (più di due ore) e a tutt'oggi semi-incomprensibile. Zeppo di Mezze parole, deliri religiosi... Decisamente non per tutti.
Liturgico e apocalittico. Abdicando al realismo di Sciascia per le oscurità di un incubo metafisico e grottesco, Petri attacca senza remore il mondo democristiano e le sue innumerevoli diramazioni nell’epoca del compromesso storico, decretandone la morte per implosione. Volontè si tramuta in una feroce caricatura di Aldo Moro, buffo e insieme nauseante nei suoi sofismi gattopardeschi e deliri mistico-erotici, attorniato da un Mastroianni autoritario e complice e da uno spettrale Ingrassia. Fotografia di Luigi Kuveiller, tra la catacomba e la sci-fi; solenni musiche organistiche di Morricone.
MEMORABILE: La preghiera ignaziana; la Via Crucis; il furto delle ostie; le sigle delle varie società; l'ecatombe finale.
Pesante. Spiacente, ma dopo la prima mezz'ora non riesco a reggerlo. Troppo lento, metaforico, in una parola indigesto. E sì che ammiro da sempre Volontè e Petri; questa volta non sono riuscita a scavalcare l'ostacolo. Troppa carne al fuoco, con scene che definire grottesche quando non al limite della volgarità è poco. Passo la mano.
Ottimo film. Uno spietato e coraggioso atto d'accusa contro la Democrazia Cristiana e la chiesa. Da anni invisibile, merita assolutamente di essere recuperato. Un grande cast al servizio di un grande regista troppo ostracizzato e da riscoprire. L'interpretazione di Gian Maria Volontè è da Oscar senza se e senza ma. Uno dei film italiani più coraggiosi e sperimentali.
Sorta di scannatoio spirituale dove Stato e Chiesa s’avvinghiano in un convulso e repellente abbraccio, il film di Petri ha una prepotente e insistita valenza allegorica ancor più eloquente alla luce dei fatti odierni. Il limite (parziale) sta nel non riuscire a far convergere il tono caustico in alcuna affermazione alternativa per cui s’insinua un clima d’ecatombe vagamente gratuito. Comunque, resta un buon esempio di “fantastico” al servizio del reale. Recitazione (Volontè e Mastroianni) di altissimo livello. Astrattismo plumbeo di Ferretti alle scenografie e luci claustrali di Kuveiller.
Metafora sulla Dc in Italia ed i suoi confessori. La politica era fatta da truffatori, ladri e gente poco raccomandabile, il futuro dell'Italia è cupo come la fotografia e i contorni dove i politici alloggiano. Grandissimi Volontè e Mastroianni. Ingrassia sveste i panni dell'idiota per interpretare il politico stanco dell'andazzo della politica italiana.
Sembra un racconto biografico sulla vita di uno dei partiti più importanti della storia italiana mischiato ad un thriller dove il colpevole non è rivelato ma è sospettabile. Racconta di come la chiesa propone occultamente i propri interessi riunificando partiti in unica sede per riconciliarsi. Mastroianni e Volonté regnano su tutti, anche se la Melato e Ingrassia non sono da meno. Petri dimostra di essere uno di quei pochi registi che usano la testa oltre che gli occhi dietro la camera.
MEMORABILE: Todo modo para buscar la volontà divina.
Greve e inficiato da potenze divistiche soverchianti, tra un Mastroianni che dilaga e un Volontè malato di fregolismo. Tutti i difetti del Petri pensiero con le sue sfacciate metafore e gli sfacciatissimi simboli, tutti a gridare anche quando parlano sottovoce con un'espressionismo recitativo fastidioso. Non passa quasi mai in tv; perché fa paura o perché fa dormire. Inferiore al pur cervellotico romanzo.
Eccezionale. Delirante e apocalittico, stupendo! Volontè e Mastroianni bravissimi, la Melato stupenda e poi Ingrassia, Citti. In certi momenti fa quasi paura (le cantate religiose, i corpi dei morti, il delirante finale nel giardino). Petri è un maestro in questo tipo di fanta-politica, regista da rivalutare. Stupendo e delirante, indispensabile la visione.
MEMORABILE: La confessione della Melato a Mastroianni.
Tratto (parecchio) liberamente da un romanzo di Sciascia, il film mette in scena una grottesca rappresentazione del potere politico "del partito cattolico" (i.e. la DC) tipica di certo cinema politico degli anni 70. Prescindendo da valutazioni storico-politiche, Petri sbaglia su tutta la linea, a cominciare dal personaggio di Volontè, chiaramente la caricatura di Aldo Moro, tutto mossette e gesticolii. Confusionario e incomprensibile, verboso come piaceva agli engagées del tempo, è un campionario dei vezzi dell'epoca in tema di satira politica. Ningun modo...
L'autodistruzione della classe dirigente della DC raccontata con lo stile scomodo e l'elegante visionarietà di un Petri in ottima forma. Lo spunto di partenza è il romanzo di Sciascia ma la pellicola è, quanto mai, liberamente tratta. Gli attori danno vita a personaggi tutti sopra le righe schiavi della brama di potere che pervade la "casta". L'interpretazione di Volontè risulta superlativa per la precisione chirurgica con la quale lo stesso si "divide" tra Moro ed Andreotti.
Quando vedi "Todo modo" resti sconcertato dalla quantità di spunti (solo se vuoi vederli si intende) che ci suggerisce. Se la politica anni 70 l'hai vissuta ne sei letteralmente fagocitato. Il ritmo narrativo, le verbosità i colpi di scena sono la cifra stilistica del film. Bellissimi alcuni frame. Molto criticato quando uscì, oggi forse datato, di difficile digestione per gli under quaranta. Il parere personale è che il prodotto sia veramente fatto con il cuore, perché risente di tutte quelle ingenuità contenutistiche tipiche del tormentato periodo.
MEMORABILE: L'enumerazione delle varie società, fittizie e no, che si intersecano, si fondono, che partoriscono altre associazioni. Delirante Volontè.
Questo giallo grottesco è una figura metaforica degli anni di potere della DC, un partito (se mi permettete) occulto, quanto ristrutturato in un vuoto che medita fino alla pazzia i "numeri" della realtà. Qui l’Aldo Moro magistralmente interpretato da Volonté rende la sostanza della storia più capibile, a differenza del romanzo di Sciascia. E quando lo stesso Moro venne ucciso anni dopo il film, tale "sostanza" prende le orme della profezia.
MEMORABILE: "Todo modo... para buscar y ballar la voluntad divina".
Criticato da molti in particolar modo per una certa astrusità e fumosità di fondo, l’ho trovato invece interessante, affascinante e conturbante forse proprio a causa di una certa ambiguità che non lo rende facile da “leggere” e comprendere appieno (anche se alcune cose risultano piuttosto chiare come ad esempio i bersagli principali contro cui si rivolge). Non sempre tutto fila via liscio da un punto di vista narrativo ed è di sicuro una pellicola non proprio equilibrata, ma scenografie ed attori sono semplicemente da urlo. Controverso.
Pur non sottovalutando l'ambientazione surreale e futurista che il film allora poteva avere, nonchè la capacità recitativa dei personaggi e l'interesse dei ritiri spirituali degli uomini di potere, più che di thriller o drammatico ha l'aria di una farsa. Se Volontè assomigliava molto a Moro e si ringobbisce per imitare Andreotti non è per questo più convincente; tantomeno quest'opera mi risulta profetica anticipando la morte di Moro, anche perché il film piuttosto ricorda Tangentopoli, che è avvenuta ben 15 anni dopo e non ha coinvolto solo la DC, ma il pentapartito..
MEMORABILE: Il freschino del vento nei testicoli a chi porta la tunica; il sogno del coito interrotto, indice dell'impossibilità di governare questo paese.
Tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, è collocato a metà tra un thriller politico e un apologo farsesco della società contemporanea. Presa di mira è l'allora florida e potentissima Democrazia Cristiana, ricca di figure nello stesso tempo potenti e ridicole, ben incarnate dal personaggio di Volontè (di cui sono chiari i riferimenti a Moro). Interessante nella caratterizzazione dei protagonisti, il film è però piuttosto confuso narrativamente e ha perso parte della sua carica satirica. Ottima la prova del cast.
Todo modo è per tanti versi una delle vere opere maudit del nostro Cinema, reliquia bruciante e scomoda di un controverso periodo storico. Ciò non toglie che il film resti schiacciato dalla mancata amalgama dei suoi poli teorici: l'analisi storico materialista in corpore viri dell'allora ceto dirigente DC e il tipico tentativo di Petri d'elevar a potenza meta(forica)fisica il narrato. Ne risulta un pastiche inquietante e divinatorio ma a lunghi tratti fumoso. Cartina di tornasole: la schizofrenica correzione andreottiana che Volontè diede al suo Moro.
MEMORABILE: La virtuosistica performance flagellatoria di Ciccio; Il ruolo di Sterminatore affidato forse non a caso al Pasoliniano Citti; Le scenografie.
Come tradurre il genio anarchico-radicale di Sciascia in pellicola ? Ci pensa il grande Elio Petri, in un'opera che è difficile paragonare ad altre del panorama italiano (e non). L'indirizzo è antigovernativo, anticlericale, antimassonico, una netta presa di posizione contro l'Italia del dopoguerra, l'Italia delle partecipazioni statali e della corruzione (qui lo dico e qui lo nego.. 100 volte quella di oggi). Il vero cinema politico, d'autore, è questo, gli altri possono andare in qualche centro sociale di provincia.
Petri prende spunto dal romanzo di Sciascia per descrivere a modo suo (con efficacia) la commistione tra poteri: quello laico dello Stato e quello della Chiesa (quando questa non sia schiacciata dal potere statale). Riferendosi alla realtà politica del momento (ma è adatto a qualsiasi momento) ci viene mostrata tutta l'ipocrisia e la mendacità degli uni e ancor peggio degli altri, che si ergono a fustigatori dei costumi. Ad una sconsolata dimostrazione di come sia l'essere umano, Petri contrappone una sorta di misteriosa giustizia "umano-divina".
Vedere Todo Modo nel 2015, ristrutturato, al cinema, è come vedere un film di fantasmi: i fantasmi di Moro, di Volonté, della vecchia politica ben si amalgamano alla splendida fotografia catacombale. La figura di Moro è agghiacciante, come del resto allucinato e allucinante è tutto l'insieme. Forse si fa fatica a seguire i vari sproloqui, però è certamente un film molto affascinante.
Difficile, radicale, lento, cattivo e claustrofobico. Il bunker sotterraneo sembra un obitorio e non c'è pietà per nessuno; nessuno che la meriti o che trovi una scappatoia. Girato e interpretato splendidamente, merita di essere visto, almeno per la sua unicità. La sensazione di disagio è tale che lo straordinario finale arriva come una liberazione dall'ansia. Anche a guardarlo superficialmente, tralasciando il senso politico e l'analisi di quegli anni, si impone come grandissimo lavoro.
MEMORABILE: L'ascensore; Il rosario; Le statue di gesso; I corpi.
Eccessivamente verboso e complesso, tende alla noia e arrivare a metà film diventa già esercizio da iniziati. Però è inevitabilmente affascinante e la seconda metà si anima un poco pur mantenendo una complessità e una difficoltosa lettura. Affascinante l'ambientazione modernamente antica, claustrofobica e inquietante. Attori fuoriclasse (Volonté, Mastroianni e un grande Ingrassia).
Il film più visionario di Petri, una claustrofobica e nevrotica parabola sul Potere in cui l'intera classe dirigente (la DC dell'epoca) cerca nuova legittimazione nell'espiazione, ma viene invece inghiottita in un processo a eliminazione da cui non scamperà nessuno, senza trovare catarsi né per sé stessa né per lo spettatore. Notevole l'utilizzo fuori contesto di attori come Ingrassia e Citti, come pure il Mastroianni "prete cattivo", mentre la caricatura di Aldo Moro di Volonté alla lunga esaspera i toni.
MEMORABILE: Volonté/Moro sulla scena del crimine: "Tutti sanno che io faccio fatica a distinguere la destra dalla sinistra, è stata fatta anche dell'ironia..."
Sulla base del romanzo di Sciascia, Petri mette in scena la distruzione di una classe dirigente inemendabile e irriformabile, legata a doppio filo alla Chiesa e che nasconde il suo marciume dietro un patetico moralismo di facciata. Un rito lugubre, dal finale giustamente caotico, officiato dal tetro Mastroianni e reso ancora più inquietante dal Moro andreottiano di Volonté (in una caratterizzazione davvero impressionante) e, tra i comprimari, dal tormentato Ingrassia e dallo sterminatore Citti.
MEMORABILE: Le prediche di Don Gaetano; L’autoflagellazione di Ingrassia; L’interminabile elenco delle società e delle loro complesse relazioni; Volonté.
Lugubre e simbolico; apocalittico e per nulla integrato. Dialoga con (usa a sua discrezione) stilemi visivi da cinema di genere (fantascienza, horror, thriller); anche di serie B; con espressività, insinuando enigmi sinistri, paranoia, tetri intrighi, discendendo in sotterranei psichici, esponendo visioni macabre. Convince, oggi, questa freschezza e modernità di linguaggio con la qualità d'astrazione della messa in scena (leggi regia), che non si è lasciata ingabbiare dalla derivazione impegnativa del plot, legato a un preciso contesto storico.
Dal romanzo di Sciascia il regista Elio Petri trae uno dei capolavori del cinema politico italiano. Tutto è calato in un'atmosfera cupa e opprimente; sembra quasi un film di fantascienza apocalittica, con la misteriosa epidemia-crisi che miete vittime per il Paese. Una satira al vetriolo sulla Democrazia cristiana. Un profondo attacco al compromesso storico, unico mezzo per salvarsi, la croce della mediazione cercata da M. Ma anche giallo orrorifico sulla cannibale lotta tra "correnti". Straordinari Volonté, Mastroianni, la Melato e Ingrassia. Assoluto.
MEMORABILE: Il quadro del santo e del diavolo occhialuto.
Uno spaccato dell’ambiguo e occulto modus operandi di una classe politica di un periodo storico preciso; un agglomerato di politici che ci vengono delineati come i serpenti della testa di Medusa che finiscono per mordersi tra loro. L’opera assume un carattere universale poiché si può estendere nello spazio e nel tempo a causa del lato oscuro a cui cede l’uomo che detiene il potere. Superba l’interpretazione di tutti gli attori, mefitica la colonna sonora di Morricone che alimenta il senso di disagio e inquietudine dello scritto.
Uno di quei film difficilissimi da vedere ma lasciano anche tante situazioni da ricordare. La satira sulla DC e su un certo mondo cattolico bigotto è infatti perfetta: Mastroianni eccezionale nel ruolo del prete moralista ma sotto sotto corrotto, Volontè assomiglia a Moro in modo inquietante e milioni di abitudini, ipocrisie, modi di dire della chiesa peggiore sono ritratti alla perfezione (incredibile pure la cadenza del giovane prete che chiama alla preghiera). Però la narrazione è farraginosa ed è faticoso seguire ogni rito.
MEMORABILE: Il Moro di Volontè, che più che anticipare la sua morte anticipa l'inchiesta di Sciascia sulla figura santificata ma non diversa dal resto della DC.
"Giustamente" rimasto invisibile per molti anni, in quanto rivelatosi profetico, è una graffiante allegoria sul potere, per la verità, non pienamente riuscita; due ore possono sembrare un po' eccessive. Con un cast in stato di grazia e un inquietante Ciccio Ingrassia senza baffi. Volonté, nei panni del "presidente" è, come al solito, superlativo; sembra che i primi giorni di ripresa furono buttati via, tale era la somiglianza con Aldo Moro.
Onorevoli della Democrazia Cristiana si riuniscono per esercizi spirituali. Petri fa il processo politico a chi comanda: prima li ammonisce e poi li fa a pezzi. Prima parte con Mastroianni che domina la scena, mentre nel prosieguo il film diviene contorto, anche se si tratta solo della resa dei conti. Sinistramente premonitore della fine di Moro, inquieta per aver indovinato la gravità reazionaria. Nota per Ingrassia, Volontè si limita ad assomigliare al presidente DC. Location futuriste notevoli come impatto.
MEMORABILE: Ingrassia che si frusta; Mastroianni che recita il rosario andando su e giù; La confessione della Melato; Le sigle degli enti.
Decisamente verboso e con una prima metà ostica da superare, vista l'impossibilità di seguire una trama vera, negata dalle intenzioni politiche. Tengono banco però le atmosfere stranianti, le scenografie quasi fantascientifiche e l'ottima prova del cast, dove il migliore risulta lo spettrale Ingrassia. Poi cominciano i cadaveri e, seppur con toni grotteschi, inizia un giallo macabro, abbastanza interessante e che traghetta lo spettatore fino alla fine con maggior coinvolgimento. Una pellicola strana ma con un suo fascino.
La feroce resa resa dei conti fra gli uomini del potere, occultata da un raduno per esercizi spirituali in un lugubre albergo, si svolge sullo sfondo di una tremenda epidemia che sconvolge il Paese. Condannato alla damnatio memoriae dalla congiunta ostilità di DC e PCI (il partito di Petri) e poi dalla tragica fine di Aldo Moro, è un film disordinato e irrisolto ma duro e potente, reso memorabile dalla straordinaria prova attoriale di Volonté, Mastroianni e della Melato.
MEMORABILE: Le confessioni di Volontè e della Melato a Mastroianni; La predica di Mastroianni sull'inferno; L'autoflagellazione di Ingrassia.
Magnifico e oscuro affresco tratto da un romanzo di Sciascia: la DC e in generale il potere raccontato attraverso l'escamotage clericale degli esercizi spirituali, una dimensione "sacra" che, contrapponendosi, rivelerà il marcio che si cela ai vari livelli di questo partito-setta. Tutto ciò è orchestrato da un insolito quanto eccezionale Mastroianni in qualità di prete fazioso e peccatore, che diventa moralista solo durante le funzioni, mentre il Presidente Volontè è sia carnefice che vittima del gioco; come tutti, del resto.
MEMORABILE: "Confessus est"; Il rosario recitato camminando; Il morto nella teca e la spiegazione sulle sigle delle partecipate; Il finale.
Una battuta di caccia alla DC in cui l'allegoria cede di continuo il fucile al verosimile. Petri istruisce un processo al fideismo democristiano aprendo a tutti la camera caritatis del potere. Elabora Sciascia pericolosamente, dosando sadismo e sarcasmo. I due poli sono Volontè e Mastroianni; il secondo è un gesuita, il primo un Moro sinuoso. Benché il regista volesse in realtà dissimulare, il Presidente risulterà mimetico. Efficaci satelliti Ingrassia e la Melato. L'azione omicida delle Br, due anni dopo, renderà il film tabù per decenni. Cult di rara corrosività, oggi impensabile.
MEMORABILE: La recita camminante del rosario; La collezione di Linus nella stanza segreta di don Gaetano.
Come talvolta accade alle opere politicamente schierate, rischia di apparire troppo criptico questo l'apologo grottesco in cui Petri, inspirandosi a Sciascia, mette in scena un ritiro spirituale dei maggiorenti del partito dominante punteggiato da allusioni e cadaveri. A prescindere dagli umori del tempo, non si può però non restare colpiti dalle scenografie dal sapore metafisico e dalle interpretazioni in cui, accanto al torvo Mastroianni, prete ricattatore, e a Volonté simil-Moro, spicca la figura livida di Ingrassia. Film rancoroso, un "unicum" che affascina e respinge.
Nel finale di Indagine Petri usò perfettamente il grottesco, ma - lo si sa - spesso ha poi ecceduto su questo registro, come accade nell'ultima mezzora di questo film, che rovina in modo catastrofico, a partire dal folle giochetto degli acronimi, una trovatina da mediocre giallucolo del decennio. Del bel romanzo di Sciascia (in cui sta al lettore dedurre chi è l'assassino) c'è pochissimo. Volonté eccessivo, Mastroianni strepitoso, buon cast secondario con tante facce care. Da notare che il personaggio di Salvatori è massone e che il suo sottoposto è interpretato dall'attore Gelli...
MEMORABILE: La moglie di M, che lo vede pari a Cavour, a Garibaldi...
Petri sceglie un cast strepitoso per dar forma a uno dei suoi copioni più controversi, in cui l'ironia dell'originale di Sciascia si fa ferocia e trova obiettivi precisi stigmatizzati anche dalle fattezze dei protagonisti. Va detto che il risultato cinematografico resta estremamente criptico, anche se per certi versi Petri era avanti anni luce, e l'impatto del film è oggi sensibilmente minore rispetto all'anno di uscita, ma la straordinaria prova del cast, sia tecnico sia attoriale, rappresentano una buona occasione per riscoprire una pellicola comunque importante nel nostro cinema.
MEMORABILE: I duetti fra Mastroianni e Volonté, il cinema in una delle sue espressioni più alte.
Per apprezzare questo stranissimo film occorre aspettare una buona mezz'ora almeno. La prima parte della pellicola infatti è lentissima e al limite dell'incomprensibile, perché Petri calca troppo la mano sul grottesco e la cosa finisce per sfuggirgli di mano. Poi il surreale continua a farla da padrone ma sembra inserito meglio, rendendo il film più interessante. La feroce critica al potere di Petri qui coglie nel segno solo per metà. Cast straordinario, con un Gian Maria Volonté per cui non ci sono parole. Claustrofobico e bizzarro, ma anche troppo lento e criptico.
1976: il tema è il potere che si autodistrugge da sé. Il potere qui viene rappresentato da un partito che ha la maggioranza da trent'anni (ispirato alla DC). L'unico onesto è il Presidente, un uomo timido e mite (ispirato a Moro) e interpretato benissimo da Gian Maria Volonté. C'è anche un personaggio ispirato a Andreotti. Nel film i dirigenti si recano a un ritiro spirituale in un claustrofobico hotel e ad attaccarsi l'uno con l'altro ma verranno decimati da un misterioso assassino. La cosa scioccante è che due anni dopo Moro venne realmente rapito e ucciso…
Todo Moro? Petri rilegge Sciascia nell'ottica nerissima dell'ultimo Pasolini, lo mischia con umori putridi, catacombali e mortiferi degni di De Ossoriomediato post-apocalittico e il risultato è un affresco di rara potenza visionaria horror/sci-fi/politico/grottesco/surreale completamente sui generis. Profetico sia nell'immediato come nei successivi quarant'anni, non stupisce sia stato fatto sparire per tre decenni dalla circolazione. Cast ottimo (soprattutto Ciccio Ingrassia), ma la vera protagonista è l'atmosfera mortifera, forse tra le più lugubri mai percepite al cinema.
Accantonata la varietà tematica e stilistica del bellissimo romanzo di Sciascia (l'autore dell'ultimo delitto si intuisce grazie alla mancata presenza della virgola in una frase), Petri si concentra solo sulla politica. Parte forte, grazie alla location resa ancor più sinistra dalla fotografia di Kuveiller e agli attori (meritato premio per il miglior interprete non protagonista a Ciccio Ingrassia ai "Nastri d'argento"). Cala però molto (troppo) alla distanza, avvitandosi su ripetitività e mancanza di idee valide da sviluppare. È comunque un film da vedere almeno una volta nella vita.
MEMORABILE: Il politico al telefono, ben imitato e quindi riconoscibile; "La frase di sant'Ignazio è lunghissima..."; Il finale inquietantemente profetico.
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A mio parere, hai letto i due che avresti potuto non leggere. Peccato, Sciascia è uno scrittore meraviglioso e forse anche imprescindibile, per capire l'Italia (al di là delle sue qualità "tecniche").
DiscussioneAlex75 • 14/02/17 17:43 Call center Davinotti - 710 interventi
Tarabas ebbe a dire: A mio parere, hai letto i due che avresti potuto non leggere. Peccato, Sciascia è uno scrittore meraviglioso e forse anche imprescindibile, per capire l'Italia (al di là delle sue qualità "tecniche").
Infatti. Malgrado l'esperienza di lettura deludente, continuo a considerarlo un autore da conoscere e approfondire (e sicuramente di lui leggerò altro).
Non ho ancora visto il film. Il libro, come giallo, a mio avviso, è geniale.
Non si dice, infatti, chi è l'assassino ma, se si rileggono alcune parti, lo si capisce.
Non saprei, non sono un appassionato di gialli e non li ho letti in quella chiave.
Per quanto riguarda la prima tv, io li ho visti entrambi ere fa su canali "normali", quali fossero non ho idea, ma all'epoca non avevo altro che la tv via etere.
La colonna sonora del film era stata inizialmente affidata al grande contrabbassista Charles Mingus, benché il regista Petri non fosse del tutto favorevole al progetto. Il musicista americano, chiamato dallo stesso Petri direttamente sul set per assistere alle riprese, improvvisò anche dei brani per la ost definitiva. Un successivo confronto fra Petri e Renzo Arbore, allora compagno della Melato che recitava nel film, convinse il regista romano ad accantonare il progetto, poiché Arbore gli aveva detto che i pezzi registrati da Mingus erano scarti di sue precedenti composizioni e che secondo lui non erano in linea con lo spirito del film. Fu chiamato allora all'ultimo minuto Ennio Morricone, che in pochi giorni diede a Petri la partitura completa della ost del film.
Come nel romanzo anche nel film è presente il personaggio dell'onorevole Michelozzi, presidente della "Furas" (interpretato da Renato Malavasi). Il nome "Furas" è di fantasia, ma quasi certamente nasconde una sottile ironia sciasciana. Infatti il latino "fur" in italiano significa "ladro".