Moderna e apprezzabile ricostruzione della diffusione di un virus sconosciuto con lo studio dei suoi effetti su personaggi che, moltiplicando i punti di vista, ne mostrano l'impatto sul mondo. Molto ben realizzato l'incipit (accompagnato da un'adeguata colonna sonora che comunica tensione) in cui vediamo in azione gli individui destinati per primi a trasmetterlo: da una donna d'affari in visita a Hong Kong (Paltrow) a un ragazzo che si trascina per la città chiaramente vittima di tosse, febbre e altri sintomi. Ma è chiaramente quando la prima ritorna in America che la storia ha il suo vero avvio, con l'entrata in scena di virologi (Fishburbe, Ehle, Martin), medici (Winslet, Gould), rappresentanti...Leggi tutto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Cotillard) nonché gente comune come il marito (Damon) della contagiata di ritorno o l'ambiguo blogger (Law). E' quest'ultimo che, nelle intenzioni degli autori, ha l'onere di rappresentare la fetta più spregevole della popolazione, coloro cioè che approfittando di una posizione di preminenza guadagnata grazie al potere condizionante di internet la utilizzano per puro tornaconto personale. Nel caso specifico il nostro sfrutta un prodotto omeopatico dall'effetto placebo per propagandarlo come cura per il temibile MEV-1 (il virus protagonista della storia) in accordo con la casa farmacologica che lo produce. Un gioco semplice dal sicuro ritorno economico che prevede l'attacco all'integrità morale dell'ente sanitario nazionale per potersi accreditare come vero propagatore di benessere in attesa del vaccino che - si sa – potrà arrivare solo dopo mesi di test. L'impostazione scelta da Soderbergh riprende quella che il regista aveva già utilizzato con successo in TRAFFIC, declinata qui all'interno di un tema più originale affrontato con i mezzi e le conoscenze note all'epidemiologia moderna (nei termini, nei procedimenti). Non sempre riesce a risultare interessante (il segmento di Damon immune al virus con figlia a carico dice poco, a dire il vero) o sufficientemente coinvolgente come dovrebbe quando si tratta di descrivere gli sviluppi degli studi sul virus e il vaccino, ma l'insieme - impreziosito da una bella fotografia di cui il regista si occupa in prima persona sotto pseudonimo - restituisce l'impressione di un thriller moderno in cui il killer è invisibile e subdolo. Istruttivo, aperto e chiuso da sequenze illuminanti sulla diffusione e l'origine dei virus (specialmente l'ultima, in cui si ricostruisce la catena di contagio come si stesse rivedendo con grande curiosità la scena del delitto), recitato sopra la media grazie a un cast fitto di grandi nomi. Non sempre tutto risulta chiarissimo, ma l'approccio corale che apre gli occhi sulla diversa percezione del fenomeno evitando la tentazione di indulgere nel documentarismo è apprezzabile e ci consegna un film molto “up to date” e intrigante.
Più serio dell'Hollywoodiano Virus letale, con una giusta colonna sonora e a tratti quasi documentaristico, questo film può contare su attori che danno il loro professionale contributo, nonostante la sceneggiatura sia ben poca cosa (il virus, il governo, il giornalista che sente puzza di approfittatori e qualche anima pia che cerca di salvare l'umana baracca). Alla fine, si resta un po' lì, soprattutto perchè non si è assistito a nulla di particolarmente incisivo, nonostante il tutto scorra abbastanza fluidamente e qua e là si riesca ad avvertire l'angoscia che una simile situazione creerebbe.
MEMORABILE: Il giornalista sul vaccino: "Vedrai, tra poco inizieranno ad elencarci gli effetti collaterali come i titoli di coda di un film"; I sorteggi.
Un'epidemia scatena il panico tra la popolazione di tutto il mondo. Steven Soderbergh si conferma uno dei registi più versatili del panorama contemporaneo, realizzando un opera che, proprio come l'infezione di cui si occupa, trasmette una sensazione di insicurezza che l'autore sottolinea con efficaci scelte fotografiche. L'abilità del regista è inoltre quella di mescolare efficacemente piccole storie private alla vicenda principale e personaggi piuttosto sfaccettati, testimoni di un'umanità varia. Molto bravi gli attori e buono il doppiaggio.
L'ennesimo film su un virus letale che invade il mondo con tutti gli annessi e connessi
già visti in tantissime pellicole. Qui, la prima parte è piatta e con un ritmo appena
passabile, mentre diventa troppo sbrigativa nella seconda. Nulla ci viene detto, ad
esempio, dei vari tentativi per scoprire il vaccino che...puff...si materializza in
modo troppo improvviso. In ogni caso passabile. Come al solito Soderbergh non si discosta dalla medietà.
Docu-drama? Non proprio. Un film, piuttosto, dove vengono raccontate le vicende di vari personaggi, tutti ben rappresentati attraverso solide prove attoriali, che in vario modo, ruolo e con variabile senso etico e grado di danno subìto, si muovono nella tragedia. In tutto ciò si inseriscono descrizioni delle varie dinamiche epidemiologiche, farmaceutiche, medico-scientifiche e mass-mediologiche di simili casi. Quanta dietrologia? Quanta verità? Il virus biologico e quello economico nella globalità: l'uno mima l'altro. E poi, che gran Winslet!
MEMORABILE: Il dio-caso che, al solito, gioca muovendo le sue più banali pedine; La forsythia, arbusto difficile ai malanni, ostico ai parassiti...
Soderbergh si inoltra nei meccanismi del virus-movie con la fredda cerebralità anonima tipica del suo approccio formale, desaturando il contesto dalla sua classica coloritura emotiva e sbarrando la strada ad ogni lusinga populistico-spettacolare. Gli obiettivi malcelati della sua profana avventura nel genere sono i focolai speculativi delle grandi case farmaceutiche e per meglio accerchiarli ramifica l'intreccio e ridistribuisce il baricentro dell'azione in più micro-storie capillarmente comunicanti. Ma la noia è dietro l'angolo e il grigiore insipido prende subito il sopravvento.
MEMORABILE: Lo scalottamento cranico della Paltrow durante la sua autopsia...
Come viaria o suina, ma questa fa davvero milioni di morti... Soderbergh racconta l'apocalisse scegliendo un profilo cronachistico che frantuma l'implacabile dilagare del virus in un mosaico di storie private, affidate ad un cast di prestigio. Non è scelta sbagliata in partenza dato che si ha l'impressione di assistere ad un evento non solo possibile ma anche probabile. Ma il film incide poco e la polemica sottotraccia contro la speculazione delle grandi aziende farmaceutiche appare sfuocata, affidata com'è al personaggio più ambiguo (Law)
Viaggia senza sorprese per mezz'ora ma poi riesce a farti sentire il brivido del morbo che si moltiplica inesorabile e di cosa può fare qualunque uomo quando vuole salvare la pelle. Buone alcune sottotrame e meno convincenti altre. Soderbergh dimostra mestiere alla regia e ha il merito di lasciare il catastrofismo fuori dalla porta. Ma qualcosa in più a livello emozionale poteva dare.
Pallosissimo virus-movie firmato Soderbergh il quale, come spesso gli capita, dirige con attenzione per la forma ma si scorda il resto facendo diventare la pellicola fredda, algida e incapace di regalare anche un briciolo di emozione: a lui piace così, a me no, cosa che a lui non toglierà mai il sonno ma a me lo fa venire. Nessuna novità in una trama in cui tutto va come deve, una blanda e confusa denuncia degli svarioni e degli interessi del WHO ed un buon cast che recita in automatico. Certo, il tema mette angoscia, ma già lo diceva Ungaretti che siamo piccole foglie..
Mi aspettavo, visto il tema ampiamente derivativo, un guizzo di originalità registica da parte del titolato Soderbergh: che non arriva mai, lasciando il dubbio che questo ravanare a vuoto fra materiali di risulta sia solo un pretesto da botteghino facile. Attori svogliati, trama poco attraente (a volte ovvia, a volte improbabile), e - soprattutto - una totale inerzia immaginativa e visionaria che porta questo insignificante esercizio verso una dimensione più televisiva che cinematografica: desolante a tutto campo.
Dopo il discreto The informant, Steven Soderbergh ritorna alla ribalta con un bel film, che si nota subito sia stato studiato nei minimi particolari per non cadere nel solito "filmone" alla Emmerich. Bellissima la fotografia, ottime interpretazioni.
Un film d'autore mainstream: ludicamente ineccepibile ed impreziosito da una ost calligrafica ed incalzante; asciutto ed analitico al limite del documentaristico, ma nient'affatto freddo, anzi… pregno di sentimenti. Non grava mai sull'economia del film la natura corale dello stesso: partendo dal presupposto dell'ingombrante cast, bisognerebbe già esultare. Azzeccato il soffermarsi sul pre e durante epidemia (piuttosto che sul ”facile” post) e sull'aura "nazionalista", vera e propria manna, considerando il loop "globalizzante” americano. Nonostante nel finale veicoli, mai e poi mai ci si sente preda di una presa di posizione parziale o pretestuosa, complice l'ambiguità di talune sottotrame (vedasi Jude Law). ****
La speranza era di poter scorgere qualche nuova invezione o direzioni diverse nel racconto, invece il film si sviluppa per vie "orizzontali", con una piattezza allarmante e disarmante, con storielle che si aprono e chiudono senza la minima emozione, con un cast assolutamente superfluo e ingiustificato, una regia televisiva e una sceneggiatura che smette di essere tale ancor prima di svelare il nulla già svelato.
Quello di una possibile pandemia è un argomento che negli ultimi anni è diventato attuale e Soderbergh lo affronta nel modo giusto, ovvero esaltando l'incertezza e l'angoscia che ne deriva. Bisogna fare presto perché il virus si diffonde rapidamente e bisogna combattere tutte le speculazioni che proliferano alla stessa velocità dell'epidemia. Ma nonostante l'indubbio talento del regista e del cast, la pellicola non convince fino in fondo. Trama tutto sommato prevedibile e abbastanza piatta.
Stando all’asciuttezza iperasettica di Bubble, Soderbergh rilancia la sua cifra stilistica più autoriale verso un pandemic-movie rivolto più glacialmente all’aspetto burocratico-scientifico della vicenda che alle derive intimo-sentimentali in balìa di un destino atroce. Dato il minutaggio, si accettano personaggi simbolici in funzione di un racconto corale ben bilanciato, che nel suo piccolo sa comunicare di come la torre d’avorio costruita dall’uomo sia in fondo molto debole e di come la politica, la società e la famiglia siano in deficit.
Rieccolo Steven Soderbergh, che di recente mi aveva impressionato al cinema con il suo Effetti collaterali. Mentre sto scrivendo il commento scorrono ancora in cuffia le note di "All I Want Is You" degli U2 che accompagnano la splendida scena del ballo finale. Il modo in cui Soderbergh rappresenta l'evolversi dell'epidemia, aiutato da un'incalzante colonna sonora, è raccapricciante e coinvolgente nonché, credo, molto prossimo a quello che potrebbe essere uno scenario reale. Da vedere.
MEMORABILE: La scena che descrive nel finale il primo focolaio dell'epidemia.
Un'epidemia contagiosa sta invadendo il mondo e inizia una drammatica corsa contro il tempo per scongiurare la catastrofe. Narrazione con pochi picchi che si mostra abbastanza lineare nonostante il ricco cast e il mestiere di Sodenbergh. Bisognava osare di più in certi momenti.
Soderbergh come il siamese di Winterbottom. Asettico, distaccato, anaffettivo, algido, austero ma quasi mai denso, di rado fa emotivamente strike e lo si porta nel cuore o nella memoria. Qui si ha quasi a che fare con un suo doppio, (quello calibratissimo di un Ocean's eleven) che per strane e trasversali vie è capace di tenersi in piedi e di tenerci tutti sull'attenti e sul chi va là, la cui apparente glacialità fa gioco a un film che sembra odorar di Betadine ed è invece capace di far sentire sottopelle la febbre della Fine, trasmettendoci un virus epidemico semplicemente guardandolo.
Dopo ladri trendy e un Che rileccato a festa ecco il patinatissimo virus letale. Un cast d'eccezione a mio giudizio mal sfruttato e una sceneggiatura che vola ai minimi storici. Non ho percepito alcuna emozione, alcun dolore, solo bellissime facce con un dramma a cornice. Virus letale rasentava il ridicolo, ma qui sembra di assistere a un freddo carnevale di belle inquadrature e bravi interpreti. Sarà un mio limite ma Sodembergh continua a deludermi. Passabile ma niente di più!
Soderbergh affronta il tema di un'apocalisse virale in modo fluido ma un po' asettico. Un virus letale si diffonde causando milioni di vittime e panico per la sua insidiosità che sembra senza terapia, tranne un improvviso e inspiegabile vaccino dell'ultimo momento. Cast eccellente e location anche troppo patinate che volutamente celano l'orrore vero della malattia e della morte. Storie multiple, qualcuna più probabile di altre, montate però con maestria. Ottima colonna sonora che ben sottolinea il clima generale tra tensioni e speranze.
MEMORABILE: L'incipit, con i colpi di tosse della Paltrow, presagio di ciò che sta per accadere; L'autopsia della medesima; Il finale rivelatore.
Il film si discosta dal filone catastrofista apocalittico per l’estrema concretezza della trama: non vi sono ambientazioni fantascientifiche e si rifugge da effetti spettacolari. L’esplosione dell’epidemia di un virus incontrollato è resa con cruda verosimiglianza: si passa da chiari riferimenti a centri di interesse e squallidi opportunisti, a responsabili che si immolano a contrasto con quelli furbetti. Per questo lo definirei un film sull’orrore vero.
MEMORABILE: La scena finale che ricostruisce in pochi secondi la “semplice” nascita del virus.
Cast d'eccezione per una pellicola basata sul solito virus multiforme e imprendibile che causa stermini di massa. Ci si aspetterebbe qualcosa in più rispetto alle solite scene di panico e isteria collettiva e, invece, la trama scorre via in modo soporifero, senza emozionare una volta che sia una! Tutti i top hanno ruoli inconsistenti (quello ambiguo di Law è addirittura imbarazzante) e non si comprende l'avallo (implicito) a una sceneggiatura così mediocre. La scelta innovativa forse è l'assenza di spettacolarizzazioni, ma il risultato è pessimo.
Soderbergh snocciola tutti i luoghi comuni su un film di virus: i primi infetti, ricerca su animali, blogger che attaccano le autorità, dottori che si ammalano, isteria di massa e corsa al vaccino. Ma tutto è messo in scena con molta piattezza e con uno stile registico quasi documentario, che azzera completamente il coinvolgimento dello spettatore. A salvare la baracca c'è il ricco cast, di cui però solo Damon, Fishburne e Law si possono davvero dire protagonisti. Mediocre.
Il Sodebergh che non mi sarei mai aspettato. Lo sguardo lucido e distaccato del regista da un lato evita pietismi ed evidenti empatie con i personaggi, dall'altro ha la forza del "reale", utilizzando uno stile asciutto con una fotografia dai toni tenui e freddi. Lo stile ai limiti del documentario conferisce alla pellicola quel quid in più che gli permette di distaccarsi da altri disaster-movie intrisi di retorica e patriottismo. Lo spettacolo colpisce, nonostante l'assenza di vere e proprie scene madri. Un film sorprendente.
MEMORABILE: L'inizio del contagio; La festicciola privata fra la figlia di Damon e il suo ragazzo.
La psicosi del secolo è senza dubbio l'inarrestabile malattia causata da un virus infettivo (basti vedere il successo di certi horror); Soderbergh la sfrutta con un tono troppo placido per la situazione e schierando in campo un così ampio numero di interpreti – c'è gran parte della nuova Hollywood – che se ne perde qualcuno per strada, quando sarebbe bastata una coppia di protagonisti. Il risultato è la vaghezza figlia del regista che oscilla fra generi e toni diversi e a tratti dissonanti, conscio che il film non sarà un fiasco. Torpido.
La possibilità che un microrganismo scateni una epidemia incapace da contrastare è una delle più grandi fobie della società globalizzata. Non ha un taglio eccessivamente cinematografico; gli infetti e le conseguenze del contagio vengono guardati quasi con un freddo distacco. L’intento è forse quello di farci riflettere sul dove stiamo andando e quali potrebbero essere le conseguenze della società consumistica e frenetica in cui viviamo.
Ennesimo film su una pandemia che però, a differenza della grande maggioranza dei film di questo genere, sposta l'attenzione dalla catastrofe civile alla ricerca scientifica; quindi di rivolte per le strade e scene di disperazione se ne vedranno pochissime, mentre si vedranno molte scene con scienziati che studiano le cause del morbo. Il film è girato come se fosse un documentario quindi in certi passaggi risulta piuttosto lento. Cast nutritissimo di star. Film guardabile, ma che si fa dimenticare piuttosto velocemente.
Soderbergh innesta stavolta il suo livellante formalismo autoriale su un genere cinematografico ibrido e per sua stessa natura "infetto", tra horror e catastofrico. Il risultato è ancora una volta spiazzante, disturbante, frutto di uno stile superficialmente antalgico ma sottilmente efficace, paradossalmente propedeutico a un climax di reale timor pan(dem)ico. Tutto procede con una fluidità forse "televisiva", senza però che vi sia alcuna rassicurazione su ciò che si vede e accade. E' come "bere" un Altman corretto al Romero. Cast in riga, ma Law stona.
MEMORABILE: Lo "scalpo" della Paltrow; Le sonorità di Cliff Martinez.
Con un cast del genere t'aspetti il capolavoro. Invece si tratta di un film che ti pare d'aver già visto e magari s'intitolava Virus letale, oppure 28 giorni dopo. Fra gli attori spiccano senz'altro Law e Fishburne, la Paltrow ha una scena (peraltro recitata ottimamente) poi il nulla, Cranston avrà sì e no tre battute, sprecato anche Gould. Damon fa il suo, così come la Winslet, ma senza crederci troppo. Fotografia volutamente fredda, montaggio molto veloce, non annoia ma neanche emoziona. Non è brutto ma è un film che non ti sorprende mai.
Soderbergh prende l'intelaiatura di Traffic e se ne esce con un "pandemic movie" intimista, spesso algido, tra vaccini, bugie e videotape. Non esente da qualche passaggio noioso (le conferenze mediche), fulmina con un incipit che è gran cinema (la Paltrow traditrice, la malattia, la morte rapida che lascia il segno, non risparmiando i bambini); poi il panico, la diffidenza, la follia (sciacallaggi, assalti al market) e un'atmosfera apocalittica romeriana nelle strade spettrali. Qualche scivolata buonista, ma emotivamente convincente. Plauso per l'origine del virus nel finale.
MEMORABILE: Tutto l'incipit e il cinese investito dal camioncino; Le banane, i pipistrelli, i suini; La Paltrow al casinò di Hong Kong; La Winslet si ammala...
Un'epidemia causa milioni di morti e terrorizza il pianeta. L'argomento si prestava al rischio di una spettacolarizzazione catastrofica, ma Soderbergh riesce a generare inquietudine mantenendosi su un piano di osservazione sufficientemente sobrio e non banale. L'attenzione rimane prevalentemente concentrata sulla diffusione incontrollata della paura, raccontata attraverso storie private di varia umanità. Cast stellare.
Arriva una nuova malattia, una nuova influenza che pur non minacciando la sopravvivenza dell'intero genere umano rischia di provocare milioni di vittime. Svolgimento austero e rigoroso con le solite scene di panico, militari in tuta, assedio e saccheggio di cibo e merci. Si sovrappongono poi storie di persone diverse, il tutto in maniera molto professionale, anche troppo. Un buon film, non c'è dubbio, che manca però di emozionare, forse deliberatamente, anche se la tensione è presente. Si giunge al finale riconoscendo meriti e qualche limite.
Gran bel film di un Soderbergh molto sul pezzo ed estremamente convincente in tutti i passaggi. Finalmente un apocalypse-movie credibile in ogni sua parte con tanto di parti tecniche (CDC, OMS ecc.) egregiamente spiegate. Clima giusto senza retorica e/o esagerazioni e cast all-stars che riesce alla perfezione a caratterizzare i personaggi anche con pochi minuti di girato. Emblematica poi la figura del blogger Law, complottista moderno che rappresenta l'altra faccia della medaglia per quello che riguarda la veloce comunicazione del web. Da vedere.
MEMORABILE: La classificazione dei virus in base alla loro forza di propagazione/contagio; L'esame autoptico encefalico della Paltrow.
Disaster-movie tristemente premonitore che si basa su una sceneggiatura scientificamente attendibile, che scava a fondo della questione con una dovizia di dettagli tecnici che colpisce in un prodotto narrativo per le grandi masse. Una parte finale non al livello del resto del film e alcune evitabili derive quasi da spy-story sono compensate da una regia professionale e da interpretazioni sempre all´altezza. Film istruttivo e volutamente non spettacolare, ennesima anomalia di un autore difficilmente inquadrabile.
Non è il solito film sull’epidemia devastante che fa strage nel globo: alla semplice descrizione di sintomi e carneficine post-Sars Soderbergh sovrappone la narrazione di un intero sistema (politico, sociale, mediatico, bufalaro) tanto realistico quanto lo è la descrizione dello sviluppo della malattia, con una precisione che – visto in prospettiva odierna – fa impressione. A questo si aggiunge un’ottima capacità di sintesi tra i tantissimi piani narrativi e un ritmo incalzante e suggestivo.
Tremendamente profetico, il film di Soderbergh si prefigge quantomeno di inoculare un po' di paura ma riesce solo ad annoiare con una trama che parte sì bene ma poi annega nella mediocrità e nella ricerca veloce del lieto fine. Cast di alto lignaggio, in alcuni casi mal sfruttato (la Paltrow), che fa quel che può ma che deve alzare bandiera bianca difronte a una sceneggiatura poco plausibile.
Film di contagio (lo dice il titolo chiaramente) che colpisce dal principio per la quantità di nomi celebri coinvolti nel progetto e che tratta di un virus che stravolge la vita dell'umanità intera. Il film, preso a sé, ha una confezione ben curata ma appare abbastanza vuoto, superficiale per ciò che riguarda parecchi dei personaggi presentati e non tutto compiuto nel suo complesso. Troppa carne al fuoco per una vicenda che però vuole mantenere snellezza e tempi di un thriller.
Ottima e realistica (nei limiti del medium cinematografico) rappresentazione di un'epidemia globale e dei suoi effetti sulla società. Il tema non viene trattato sotto una nuova luce o da punti di vista inconsueti, anzi: come in una sorta di sintesi del cinema dei contagi nessun luogo comune viene trascurato (famiglie distrutte, martiri, panico, sciacallaggio, fake news). La forza dell'opera risiede proprio nella sua immediatezza. Peccato che la breve durata renda certi passaggi un po' superficiali: come miniserie avrebbe reso di più. Tecnicamente validissima la regia di Soderbergh.
MEMORABILE: Il ragazzo di Hong Kong investito; La morte della Paltrow e del suo figlioletto subito dopo; Il cranio aperto; La rivelazione finale sul primo giorno.
All’inizio una certa suggestione la si percepisce; l’evolversi rapido e strisciante del virus, la gabbia di paranoia e frustrazione nella quale si dimenano i personaggi, la stilizzazione realistica del mezzo cinema. Il film di Soderbergh è sì tutto questo, però è anche un esperimento corale asettico, verboso, zeppo di nomi altisonanti e di premi Oscar ma senza nessun vero protagonista.
Il cinema già in tempi non sospetti (ma c'erano state epidemie in precedenza) ha saputo raccontare non solo l'attualità, ma ha saputo quasi prevederla. L'inizio è davvero da brividi, senza un tappeto musicale ma con un sottofondo che lascia presagire la tragedia. Poi il film prende binari quasi convenzionali: passa la paura iniziale, ma si avverte sempre quel senso di disagio che permea tutto il film. Poi la distanza sociale, le mascherine, la guerra al cibo… Per non dimenticare.
MEMORABILE: L'inizio, terrificante. La lotta per il cibo
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No, calma, come ha già fatto notare Daniela il Covid19 ha un tasso di mortalità infinitamente più basso e soprattutto colpisce sì potenzialmente tutti ma può essere letale solo per chi ha già grandi problemi di salute o è molto anziano.
Il problema nostro sarebbe la gestione di 30 milioni di infetti o più se le misure che stiamo faticosamente prendendo non fossero efficaci per arginare il contagio.
I decessi non sarebbero certo a milioni. Poi, chiaramente, se andiamo di percentuali spaventa comunque il calcolo degli anziani e malati a rischio. E soprattutto spaventa il collasso del sistema sanitario ed economico.
Tornando al film, credo sia il migliore in circolazione. Ma la fiction sui virus punta sempre sul panico per la morte e non si preoccupa di mostrare la fragilità del sistema economico e sociale in un pianeta non (più) preparato a pandemie di questo tipo (Covid19).
Poppo ebbe a dire: Tornando al film, credo sia il migliore in circolazione. Ma la fiction sui virus punta sempre sul panico per la morte e non si preoccupa di mostrare la fragilità del sistema economico e sociale in un pianeta non (più) preparato a pandemie di questo tipo (Covid19). Concordo su entrambe le cose: anche per me Contagion è tra i migliori del genere e poi sull'incapacità del genere, anzi del mezzo cinematografico di indagare le ricadute sociali meno immediate.
Capannelle ebbe a dire: Poppo ebbe a dire: Tornando al film, credo sia il migliore in circolazione. Ma la fiction sui virus punta sempre sul panico per la morte e non si preoccupa di mostrare la fragilità del sistema economico e sociale in un pianeta non (più) preparato a pandemie di questo tipo (Covid19). Concordo su entrambe le cose: anche per me Contagion è tra i migliori del genere e poi sull'incapacità del genere, anzi del mezzo cinematografico di indagare le ricadute sociali meno immediate.
verissimo
DiscussioneNeapolis • 14/03/20 09:06 Call center Davinotti - 3190 interventi
Noi il paziente zero dopo vane ricerche l'abbiamo lasciato perdere. Nel film viene alla fine individuato. Mi domando allora perché era così importante individuare il paziente zero? In Italia nessun cinese e stato ricoverato per coronavirus.
Neapolis ebbe a dire: Noi il paziente zero dopo vane ricerche l'abbiamo lasciato perdere. Nel film viene alla fine individuato. Mi domando allora perché era così importante individuare il paziente zero? In Italia nessun cinese e stato ricoverato per coronavirus. Credo sia importante per circoscrivere chi possano essere i potenziali contagiati. Una volta che i numeri crescono talmente o che i focolai aumentano perde di importanza, cioè i buoi sono ormai scappati.
Il personaggio di Kate Winslet è ispirato allo scienziato italiano Carlo Urbani - che lavorava in MSF e come consulente OMS - e che fu il primo a identificare la Sars e a stilare protocolli di contenimento (purtroppo non bene applicati).
Infettato dalla malattia durante il trattamento di alcuni pazienti, morì in Thailandia all’età di 46 anni nel 2003, lasciando moglie e tre figli.