Qui non è Hollywood - Miniserie TV (2024)

Nonostante le difficoltà legate alla querelle del titolo, l'opera di Mezzapesa arriva finalmente sugli schermi ed è un vero e proprio pugno nello stomaco per lo spettatore, nonostante la storia sia ben risaputa. Questo perché si è scelta una linea narrativa che esplora il punto di vista di ognuno dei soggetti della vicenda a partire dalla piccola Sarah per passare poi a Sabrina, Michele e infine a Cosima. La verosimiglianza dei protagonisti è impressionante sia da un punto di vista fisico, sia da quello espressivo. L'opera nel suo insieme non può lasciare indifferenti.

La turpe vicenda di cronaca nera di Avetrana è narrata in quattro parti che analizzano i punti di vista dei personaggi cardine. Colpiscono le prove di un cast davvero ben scelto, su tutti la Perulli nei panni di Sabrina, davvero eccellente; l'atmosfera è greve e il microcosmo della cittadina viene rappresentato con un realismo efficace, così come le vite dei suoi protagonisti. Si apprezza l'aderenza ai fatti, con pochissimi elementi di fiction, così come l'utilizzo degli accenti corretti e di qualche passaggio in dialetto; un lavoro confezionato con stile, dalla regia solida.

Miniserie sul caso del delitto Scazzi. La morbosità (eccetto quella del turismo dell'orrore) è evitata scavando in profondità nei singoli personaggi. Di Sarah viene restituita la psicologia dell'essere quindicenne. Di Sabrina la somiglianza è sconvolgente e notevole è la caratterizzazione dell'ego. Lo zio Michele è quello più "cinematografico" coi suoi tormenti (e presenta le maggiori sfumature drammatiche). Cosima è il faro inquietante della vicenda e stupisce la freddezza. Attrici superlative e regia che tiene costante la tensione emotiva.

La serie descrive bene la vicenda, sociale e giudiziaria, a cui è ispritata e compie un notevole sforzo nel riprodurre "etica" e "estetica" dei personaggi coinvolti. Impressionate la somiglianza con la vera famiglia Misseri e notevole la qualità complessiva della recitazione. Il film ha anche il pregio di non scadere quasi mai in momenti convenzionali e luoghi comuni, senza beatificare né demonizzare più del dovuto le figure coinvolte. Finale poetico e aspro. Da vedere non solo per curiosità, ma per riflettere sui demoni che possono albergare anche nel vicino focolare.

Ricostruzione di un noto caso di cronaca italiana a partire dalle carte processuali. Sensi di colpa, amori disperati e non corrisposti, la voglia di lasciare il paesino e andare incontro alla vita, l'ambiente matriarcale, la morbosità dei mass media. Il tutto immortalato da un bravissimo Pippo Mezzapesa che alterna virtuosismi, stile asciutto e slanci onirici/surreali senza mai cadere in luoghi comuni e senza farsi fagocitare dal "peso" della storia. Prova notevole per il terzetto di protagonisti, in cui brilla specialmente una impressionante Perulli.

Il fruitore forestiero che non conosce i fatti, resta con il fiato sospeso fino alla fine con la speranza di capirci qualcosa sul presunto innocente/colpevole, ma resta nel dubbio anche chi la storia la conosce bene: il “mistero” è quello che accompagna la vicenda dalla prima all’ultima scena e fa della miniserie un capolavoro assoluto, nel suo genere. Notevole l’intuizione dei singoli punti di vista dei quattro protagonisti. Dopo il già ottimo Ti mangio il cuore, Mezzapesa ci consegna un’altra opera magistrale.

Quel che colpisce subito in questa miniserie è la somiglianza degli attori rispetto alle persone coinvolte nel noto caso di cronaca, impressione poi confermata dalla bravura con cui gli stessi riescono a calarsi nei rispettivi ruoli con una impressionante aderenza psico/fisica. Articolata in 4 parti ciascuna corrispondente ai personaggi principali, la serie resta sul terrero dei fatti emersi dalle indagini evitando forzature inutili e ben rende sia il clima omertoso del paese che il circo mediatrico attorno al caso. Unica eccezione gli inserti onirici, poetico omaggio alla vittima.