Attritbuire il sottogenere a cui appartiene
Hereditary sarebbe spoilerare maledettamente (perchè tutto si svela nell'incredibile e delirante finale, dove Aster dissemina di indizi-a volte impercettibili-durante la soffocante e plumbea visione, in questo caso occhio agli invitati al funerale all'inizio, un pò come fece von Trier in
Antichrist)Geometrica e kubrickiana la sopraffina regia di Aster, che dopo un incipit straordinario (la casa di bambola che diventa la stanza da letto dove Byrne sveglia il figlio) comincia a martellare con segnali disturbanti (la mostruosa figlia ritardata che decapita i piccioni a forbiciate, le sue macabre creazioni, la presenza invadente e inquietante della nonna defunta in odor di zolfo e tomi satanici, il raggelante racconto del sonnambulismo, dei fiammiferi e dell'acqua ragia), fino al momento dello shock anafilattico e quella terribile dell'incidente notturno dove si scommette atrocemente la
testa con il diavolo.
Gruppo di famiglia in un inferno, tra incomprensioni, cattiverie, lutti, crudeltà bergmaniane, "tu che non dovevi nascere", dolore e sofferenza (l'urlo di disperazione di Toni Colette dopo la morte della figlia non è dissimile da uno straziante momento analogo in
Fanny & Alexander), agghiaccianti incubi (le frotte di formiche che eruttano dalla bocca di Peter come le blatte del
Signore del male, laddove Carpenter lambiva la pagliacciata, Aster ne aumenta il disagio e il macabro disgustoso), la Colette (che meritava almeno una candidatura all'Oscar) che sprofonda in una probabile follia uterina, dovuta alla catena di tragedie che invade il nucleo famigliare.
Aster si prende i suoi tempi, i cadaveri decapitati marciscono in soffitta, dove fuoriescono sciami di
mosche dei solai, sedute
spiritike, desiderio malsano di "riabbracciare" la
figlia defunta, la famiglia va in pezzi e Aster sposta l'asse da una sitcom necrofora (che ricorda, con le dovute differenze, il primo
Ozon) e in via di decomposizione all'orrore puro.
Orrore puro che arriva come un fulmine nel surreale, inaspettato e pazzesco finale (la torcia umana, i ghignanti "visitatori" nudi che escono dall'ombra e mettono davvero i brividi, così come la Colette che impazza come un cane rabbioso, muovendosi sulle pareti, tirando violente capocciate, squarciandosi la gola con nonchalance) tra i più blasfemi (l'effige di Gesù Cristo con la testa in putrefazione), visionari, folli e febbrili mai girati, con cadaveri decollati svolazzanti e casette sull'albero che diventano centri nevralgici del male nella sua forma più viscerale e incubotica, che prendono di mezzo Jodorowsky, Ken Russell,
Winner,
Barilli e
Polanski.
Qualcosa rimanda anche al penultimo
Amenabar, ma là era la paranoia e la menzogna a scavare nel quotidiano con le sue ombre e i suoi territori oscuri, quì si fa proprio carne parentale da plasmare (come i pupazzetti dei modellini in scala a cui lavora certosinamente Toni Colette), putrescente, luciferina e infine idolatrata.
Basterebbe questa svolta da "movimento panico" arrabaliano (della serie, ma che cosa stò vedendo?) a far schizzare
Hereditary nel pantheon del cinema dell'assurdo più dirompente e nichilista.
Ma è soprattutto un viaggio oscuro e malsano nella disgregazione della famiglia, che trascina tutto all'inferno, senza possibilità di ritorno.