Lo stupefacente prologo del film, in cui Von Trier sublima gusto e tecnica in uno splendido e scolorito ralenti commentato straordinariamente dalle liriche di Handel, sembra suggerire finalmente un approccio nuovo a un tema che tanti anni di cinema dell’orrore ci avevano già fatto immaginare schematicamente alla lettura del titolo. Così è, in effetti, visto che di Satana, vomito verde e teste girate non v’è traccia. Il problema è che la magia straordinaria dell’incipit si spezza all’entrata in scena del parlato e si riaffaccia solo sporadicamente, soffocata dalle troppe parole di dialoghi sempre uguali a se stessi o da silenzi che dicono ancor meno di quel che fan sentire. I due coniugi...Leggi tutto protagonisti (Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg), unici umani sul set ad esclusione del figlioletto e di qualche fugacissima comparsa, se ne scappano in un cottage perso nel bosco e proseguono il loro rapporto fatto di mezze parole, singhiozzi, atti illogici che trovano la loro completa realizzazione nella penultima parte del racconto (capitolo 3: la disperazione), in cui si spinge sul pedale della violenza risvegliando i tanti spettatori assopiti o tramortiti da questo mix spudorato di Tarkovski e Bergman. Ma Von Trier ci prende in giro: abbandona gli spunti migliori (le scarpe al rovescio) e si concentra sulle efferatezze per lasciarsi colpevolmente avvolgere dall’abbraccio mortale del ridicolo (che già aveva guardato in faccia nella nota scena della volpe parlante...). Gli attori per sua fortuna reggono bene il gioco (anche se Defoe la faccia da terapeuta proprio non ce l’ha), ma non basta questo a riempire il vuoto di una sceneggiatura zoppicante a dir poco, completamente asservita all’estro estemporaneo di un regista che presume troppo e finisce col confezionare l’ennesima prova di quanto girando così si rischi spesso di estenuare lo spettatore senza una vera ragione. Per buona parte del film ci si chiede dove Von Trier voglia portarci, ma la risposta attiene alla sfera della metafisica, della psichiatria, e pare di difficile comprensione nel suo accumulo di simbolismi. Colpiscono gli squarci improvvisi di autentica poesia, ma ci vuole altro per dare forma vera a un film, e la presenza di organi genitali maschili e femminili anche in primo piano associati ad azioni di violenza pare più una provocazione fine a se stessa atta a far discutere che non una necessità autentica. Non che non si capisca lo sforzo di chi cerca di sfondare le barriere del cinema-catena di montaggio (e ha i mezzi per riuscirvi) in un genere in cui la banalità è spesso la norma, ma da qui ad aver ottenuto un film che lo faccia con efficacia ce ne passa. A fine proiezione poco resta di ANTICHRIST, perché nonostante le ambizioni e l’apparenza si naviga in superficie. E se non lo si fa, i significati più reconditi restano nella testa di Von Trier o di chi si ostina a volerli interpretare ad ogni costo. Non resta che godere di alcune singole scene effettivamente di indubbio fascino e cercare di accettare il resto.
Lars von Trier conferma la sua capacità di cineasta con una pellicola affascinante e suggestiva, a tratti scabrosa, con alcuni momenti disturbanti. Dopo una prima parte volutamente lenta il film porta lo spettatore in una favola nera fatta di streghe, di Satana e nei labirinti della mente della protagonista che qui eccelle nel suo ruolo. Oltre al sesso si segnalano alcune scene di una visionarietà e di una violenza inaudita, a tratti disturbante (che ad esempio a Dario Argento non sarebbero state perdonate). Un film che farà discutere.
Alla fine della proiezione, gli amici scuotevano la testa per disapprovare la (mia) scelta del film. Non hanno detto nulla però, nel tragitto verso casa, giacchè pur con i suoi scivoloni (la volpe che parla) questo è un film che (non solo sullo schermo) ti "penetra" e sconvolge. Cinema doloroso. Psicanalitico più di Reich sbatte a viso aperto contro paure ancestrali (il bosco, gli animali, satana) e nel farlo non può esimersi dalla catarsi. Lars e una ragazza tutta sua: la madre. Fa tremendamente paura: se amate le strade perdute è ciò che fa per voi. A patto che andiate soli nel bosco (cinema)
MEMORABILE: Le scarpe al contrario (momento horror puro); I tre mendicanti; La tesi della Gainsburg; Il tremendo prologo; La canzone; L'epilogo; Le "dannate" ghiande.
Forse questo è il miglior film che abbia visto, di Von Trier. D'accordo che lui non delude mai (nemmeno nel sottovalutato Il grande capo), ma mi aspettavo un mezzo flop, invece... Invece ho assistito al capolavoro. È un film che ti porta letteralmente nel mondo angoscioso del regista. Un gioco di parole: non capisco chi non l'ha capito.
Madre Natura è fedifraga e sanguinaria, gravida di dolore e morte: visione estrema - quindi artificiosa e parziale - che Von Trier annuncia con tale maschia enfasi e puerile veemenza da lasciare allibiti; quando non si accorda all’ironia strombazza come un matto. Il caos è espresso con un'iconografia citazionista a oltranza, simboli snocciolati alla chetichella con retorica enciclopedica: il film non parla se non in riferimento ad altro, altri autori, altre esposizioni. Senza spire psicologiche con cui torturarci escogita atrocità genitali che si fa peggio a non guardare. Autoimmunitario.
Stile patinato (vedere incipit) e artificioso, un continuo sfoggio di situazioni estreme col solo scopo di stupire lo spettatore e di affascinare la critica. Il voler mostrare il "male", il "caos", la "carne", con questi mezzi, m'è sembrato quantomeno discutibile. Sceneggiatura ricca di risibili simbolismi (perlopiù posticci). Un brutto comparto tecnico e un soggetto rovinato da una scriteriata sceneggiatura. Unico aspetto positivo: la prestazione della Gainsbourg. Kitsch totale. Scult la volpe parlante. *½
Il film top del Von Trier paraculo. Vederlo nella sua serata d'onore a Cannes è stata esperienza indimenticabile, con Lars che completa la sua furba messinscena del regista maledetto con un futile litigio in sala (con un imprecisato critico) e se ne va durante la proiezione! Momenti assai più incredibili di quelli che l'autore di Dogville inserta nel suo studio misogino esattamente come le scene porno di tutt'altre pellicole venivano insertate dentro film che avessero un qualsiasi minimo riferimento al sesso negli anni '70. Insomma come un film di Cavallone insertato da Polselli, ma a Cannes!
MEMORABILE: La volpe che parla. Risate in tutta la sala grande di Cannes.
Manovra troppo intellettuale per Lars Von Trier, che si lancia anacronisticamente in un film fatto di sensazioni e rumori, vicino alla cultura new age almeno per quanto riguarda la prima parte. Rush finale che mette a dura prova la sensibilità visiva del fruitore medio. Un dedalo di immagini visionarie e sacrileghe, che lasciano fin troppo spazio all'interpretazione ma nessuna speranza. Una collezione di incubi che può essere discussa all'infinito, ma che difficilmente verrà compresa. Straniante.
Von Trier esplora i meandri della depressione e della elaborazione del dolore filtrandoli però in modo sfacciatamente truffaldino attraverso shock improvvisi che destano lo spettatore, inebetito da tali improvvise accelerazioni. Indubbia la bellezza di certe immagini, il film cede però ad un crudo realismo laddove la visionarietà sarebbe stata un espediente più azzeccato per esprimere il buio della mente che avvolge i protagonisti, bravissimi. Opera rispettabile e di un certo fascino, ma prolissa e riuscita solo a metà.
Piuttosto inquietante: dal titolo pensavo si trattasse di un film di genere “demoniaco” a tutti gli effetti, in realtà è un lento (forse troppo) susseguirsi di immagini e dialoghi sonnacchiosi, intervallati di tanto in tanto da eventi spesso ben congegnati e da immagini affascinanti nel loro raccapriccio. Ho avuto la sensazione che il regista abbia voluto inserire qualche elemento intrigante senza però poi spiegarci il perché: appaiono come episodi buttati lì a caso, tanto per infarcire un film forse un po’ ruffiano.
La canzone del film dice: "Lascia che io pianga". E bisognerebbe aggiungere: "Per aver visto questa pellicola". Probabilmente il bambino non è caduto, ma si è suicidato, avendo due simili genitori (uno che si psicanalizzerebbe anche le mutande e che non si rende conto dello squilibrio mentale della sua donna - ma tanto Von Trier si para le chiappe buttandola sul soprannaturale - e l'altra che andrebbe fucilata dopo non più di quindici minuti). Nota di "merito" per i tre mendicanti, volpe, corvo e cerbiatta, che danno il colpo di grazia a questo prodotto con ben poco da salvare.
MEMORABILE: Il prologo, realizzato con una certa classe, cosa che non si può dire del resto della pellicola, a parte gli ultimi fotogrammi.
Ammettiamolo, Von Trier ormai è passato di moda ed oggi si può guardare alla sua filmografia con un senso generale di stupore: come mai negli anni passati gli si è data tutta questa importanza? Il suo è un cinema continuamente in bilico tra accademismo (i primi estetizzanti film) ed ansie rivoluzionarie fuori tempo massimo (il Dogma). Questo Antichrist non fa eccezione: inizia con una sequela di belle immagini che aspirano alla poesia e prosegue tra accanimenti contro lo spettatore e situazioni cripto-onanistiche. Sostanzialmente inutile.
Dopo un prologo leccato e decisamente inutile (specie la penetrazione gratuita) seguono una serie di "quadri" pieni di riferimenti simbolici per raccontare una storia, al femminile, di morte e disperazione di cui è assoluta protagonista la Gainsbourg che dà vita ad una prova attoriale audace e di notevole valore. Von Trier si conferma regista furbissimo che con le sue provocazioni fini a se stesse non riesce però a nascondere un vuoto contenutistico nonostante gli stucchevoli e facili (quando non ridicoli: vedi la volpe parlante) simbolismi.
La vena esoterica che pervade il film sembra più che altro un pretesto per sfogare le più morbose repressioni del regista: la pornografia e la violenza rappresentate in modo fin troppo esplicito risultano infatti piuttosto gratuite. Alla fine rimane impresso il disgusto più di ogni altra cosa, con la sensazione di una ricerca del voler essere originali a tutti i costi da parte del regista e di un certo autocompiacimento nello scioccare il pubblico.
E il re del dogma si fece la psicoanalisi a spese dello spettatore. Un drammone psicologico che culmina in una feroce autopunizione, con un prologo e qualche altra scena notevole affogate in mezzo a tanti discorsi ameni e metafore stranianti. Girato comunque con mestiere (regia e fotografia non deludono) si può catalogare come una "porcheria d'autore" dove il gusto dello shock e l'arroganza del regista appaiono del tutto gratuiti.
Film discusso e che ha fatto parlare più per questioni etiche che per il suo valore intrinseco. Antichrist è un buon film, una pellicola che gioca le sue migliori carte con delle splendide immagini, una storia morbosa che in un modo o nell'altro finisce comunque per disturbare chi la guarda. Le lentezze e i silenzi, lo scarno ed essenziale commento sonoro, tutto porta ad un Von Trier sempre più dogmatico. Troppo innamorato di sè? Poco sincero? Forse, ma un regista che comunque va per la sua strada, rifuggendo botteghini facili e falsi moralismi.
Velleitario, inutile, vuoto, pomposo e statico. L'ultima mezz'ora Von Trier vorrebbe scandalizzare lo spettatore: ci riesce, colpendo allo stomaco solo quello più ingenuo e smaliziato. Tutto il film è giocato sul contrasto di coppia e due (bravissimi) attori si ritrovano ad affrontare l'immagine speculare dell'amore. La perdita del bambino, i vaghi cenni satanici, l'ambientazione da favola tra boschi tetri e alberi secolari. Tutto ben confezionato e fotografato, ma privo di ritmo e - soprattutto - di senso, a comiciare da un titolo inadeguato e truffaldino. Drammone per famiglie moderne.
MEMORABILE: La trapanazione manuale della gamba di Willem Dafoe... e seguito.
Non è un nuovo Omen come il titolo poteva indurre a pensare, bensì un incrocio tra Lynch e Borowczyck tra i meandri della mente umana, che talvolta perde la bussola. I boschi, la grandine, la volpe parlante, similitudini di irrequietezza di chi cerca di far uscire colei che ama dallo stato di grave dolore in cui versa senza riuscirvi. Dolore che sfocia in atti di estrema crudezza (l'excisione clitoridea su tutte), date in pasto alla mdp così come il sesso sanguinante ancora eretto. Sovrabbondante e trasgressivo ma vale la visione.
Von Trier sta male e il suo cinema lo segue a ruota, stando se possibile anche peggio: sberleffa e sfida con simbologie coatte, frivole o parodistiche, si sforza di inquietare e di terrorizzare, prova a ricorrere al ricatto che sempre gli è riuscito, gioca il bisunto jolly dell'hardcore d'essai, si diverte a epater accarezzando il torture, ma il risultato è siderale, tediosa e insincera rimasticatura.Fa una gran paura vederlo ridursi a scimmiottare Lynch in pre-coma etilico che dirige un extended episode diIn treatment strizzando l'occhio destro a Bergman e quello sinistro a Tarkovskij.Tant'è.
Antichrist è Lars Von Trier al 40% della forma, come egli stesso ha ammesso. Il film non è del tutto riuscito e nella prima parte pecca di qualche lungaggine di troppo. Non riesco né ad apprezzarlo appieno né ad odiarlo. Mi chiedo cosa sarebbe venuto fuori se Lars fosse stato al 100% delle sue potenzialità... L'unica cosa della quale sono convinto è che Charlotte Gainsbourg qui ha fatto una performance "OLTRE", non so quante altre sue colleghe avrebbero avuto il coraggio di buttarsi nel ruolo come ha fatto lei!
MEMORABILE: Il prologo, l'uso delle musiche e dei rumori e l'ultima parte in cui sembra di assistere ad il più feroce torture Porn mai realizzato!
Sicuramente un film difficile, troppo "criptico" per offrirsi ad una interpretazione univoca; eppure mi è piaciuto proprio per questi elementi. prologo magistrale, si sfilaccia nel prosieguo, riprende vigore durante il tragitto e nei primi tempi trascorsi nel cottage, la soffitta, poi stanca per l'eccessiva, inutile violenza. ma il male, non dovrebbe essere violento nelle parole, nei silenzi, nelle azioni? in un climax di dolore fisico, si arriva al finale "spiritistico"; affascinante come fotografia... ma che vuol dire? Bello ma incompiuto.
Sconvolgente e atipica rilettura dell'orrore da parte di Von Trier: non c'è nessun diavolo, nessun bambino impossessato né killer vari, eppure si ha la sensazione di essere capitati dentro una spirale di morte e malsanità incredibile. Un film puro, che coinvolge lo spettatore nel suo regno del caos dove il male è protagonista incontrastato. Grande recitazione di entrambi i protagonisti e 20 minuti finali quasi da mancare il fiato. Bellissimo.
Sonata, grande sonata e non mi riferisco alla splendida musica che accarezza questa ennesima prova d'artista. Artisti si nasce, maestri si diventa. Gli spettri che affolano gli incubi di Van Trier si rivelano al risveglio dei semplici ricordi sognati male. Non ti curar di loro... dispero di trovare in questo film quel genio che il "nostro" con tanta disinvoltura ci "paventa". Dai grande Lars, che prima o poi ti capiremo tutti, ma ti prego non prenderci in giro. Compitino fatto bene, ma se fosse finito dopo il prologo sarebbe stata tutta una altra storia.
Come molti film dell'enigmatico regista danese, "Antichrist" ha raccolto molte critiche e poco plauso. Che la vicenda sia contorta e forzata, è innegabile; però non c'è dubbio che la forza perturbante di certe visioni e certi simbolismi dimostrino il talento puro di von Trier, che non piacerà a tutti, ma riversa nel suo cinema una personalità stilistica ed estetica che pochi cineasti viventi possono vantare. Si astenga chi cerca linearità, ritmo ed azione; si accomodi chi voglia farsi affascinare da sottotesti criptici ed inquietanti.
È difficile valutare il film senza tener conto delle innumerevoli simbologie presenti. Per chi volesse provarci, ciò che rimane è un thriller con partenza alla Don't look now, andatura lenta e cupissima e ultimi venti minuti che vedono esplodere l'apparente piattezza della prima ora (che comunque non dispiace) in un insostenibile vortice hard-splatter assolutamente inedito in un prodotto mainstream. Molti punti rimangono incomprensibili, ma ciò vale anche per chi tenta letture allegoriche. Gainsbourg e Dafoe (entrambi hard) ottimi e coraggiosi.
MEMORABILE: Le scarpe infilate al contrario; il delirio finale, roba da far impallidire il torture-porn più disinvolto.
Lars è cattivo perché realizza due o tre scene di inquietante bellezza ma poi prosegue con una pellicola un po' porno. Sarà anche personalissimo, ma non saprei dire fino a che punto sia sincero e quando invece sfoci nell'autocompiacimento di chi si sente un Bergman o un Tarkovskij del XXI secolo. Uxor sive venefica, per sexum ad mortem: questa misoginia magari renderà felice chi ama pontificare sulla ruffianeria e l'arroganza come arti, ma a me è parsa la prova ultima del vuoto celato dietro due pur sempre buone interpretazioni.
Lars Von Trier evidenzia in pieno la suscettibilità umana di fronte a forti esperienze. La perdita, la malattia, l'isolamento e il caos. Mi risulta un'opera poco lucida in quanto sfocia, come non trovasse altre vie di fuga, nell'horror. Inoltre c'è il continuo ritornare all'arma che ha ucciso il caro. La perversione che tenta e percuote. Ed è il fattore che non scompare per tutto il film, anzi è molto cruda la sua presenza. È comunque da salvare per il cast che è a mio avviso ottimo e la regia, che in certi frangenti si ispira molto a Tarkovsky.
Pellicola amara e cruda. Sullo sfondo drammatico si intravede anche un po' di horror pisichedelico (la stessa storia e l'ambientazione possono alludere ad un horror). Oltretutto ci sono molti primi piani, il montaggio è frenetico, il ritmo è straziante e la trama un labirinto senza via d'uscita; questo è lo stile di Lars Von Trier. Coinvolgente quanto energico.
Questo film è la prova che Lars Von Trier è un regista originalissimo. Qui si estremizza tutto (talvolta facendo venire il voltastomaco), ma senza perdere il fascino di ciò che si vuole trasmettere. Storia che può essere associata a tre-quattro generi, ma che solo il buon Von Trier poteva girare.
E regnasse, 'sto caos! Invece, è tutto schematico, come la tesi di un diligente allievo, che si è fatto le sue ricerchine. Il maschile (razionale, morale, cristiano) contrapposto al femminile (emotivo, carnale, diabolico), rimandi didascalici alla teologia paleo-cristiana (natura creazione del diavolo, donna come pura natura, donna creatura e serva del diavolo). Lo so, perché me l'ha spiegato Von Trier: più che spaventarmi, mi ha addottorata! Bello il prologo e pure l'epilogo: lo sbraneranno, Dafoe, quelle streghe, come le Baccanti di Euripide?
MEMORABILE: Lui e lei fanno l'amore: lei "Picchiami, fammi male!" Lui: "No, non voglio!" Lei. "Sì, ti prego!" Che è, la barzelletta del sadico e del masochista?
Si sa, esistono certi film che non si possono valutare con commenti riduttivi (è bello o brutto) ma necessitano di discussione. Il regista danese presenta una storia che parte con un raro lirismo (ralenti iniziale) per poi cadere in una forte confusione; infatti il film, nato per imprimere su pellicola il periodo depressivo del regista, lascia aperte infinite strade alla decifrazione. Quello che è certo è che lo stile di Von Trier è ancora una volta riconoscibile e positivo in un periodo cinematografico carente in quanto a sperimentazione.
Psichiatria e psicoanalisi, tormento, senso di colpa e molto altro nascosto. Guardiamo, guardiamo ancora e inconsciamente apparteniamo alle immagini che si avvicendano, come se il proposito dell'autore sia quello di non frapporre alcuna barriera fra lo spettatore e la sua creazione, di rendere quest'ultimo "presente" ai fatti. Qualche effetto di pathos estremo un po' troppo studiato, ma si può perdonare rispetto ad un'opera "tanta".
Vallo a capire questo film. Von Trier ci mette dentro di tutto, dal dramma familiare all'horror-splatter, dal simbolismo/onirismo allo stile documentaristico della telecamera a mano. Il risultato è davvero spiazzante, ma alla fine del film ci si accorge di una cosa, di aver assistito ad un pezzo di cinema pregno e personalissimo, un oggetto stimolante che non può lasciare indifferenti. Notevole e coraggiosa la prova degli attori. Controverso.
Come tentativo di fare un film horror, secondo lo stesso Trier, potrebbe dirsi riuscito. Nel senso che Antichrist fa orrore e fin qui ci siamo. Peccato che induca anche una discreta sonnolenza, visto che su quasi due ore, forse mezz'ora è discretamente significativa. Il resto sono dialoghi inutili e silenzi ancora peggio. Il significato della storia si perde tra la violenza e le urla della Gainsbourg; ne resta ben poco in questo confuso viaggio tra paganismo, cristianesimo, satanismo... E poi Dafoe con quella faccia fa lo psicologo?
MEMORABILE: "Chaos... Reigns"; Cos'è, la volpe è un'appassionata degli Slayer?
Un marito che cerca di curare la moglie depressa per la perdita di un figlio; normale amministrazione, ma andando avanti ciò che sembra normale svela o pretende di svelare la vera natura del mondo, di come vanno le cose; le storie sulle donne perseguitate, le streghe bruciate sui roghi cominciano ad apparire nella loro vera o presunta vera luce, di un male tutto al femminile. Ritorno all'horror di Von trier dopo the Kingdom, per me riuscito. Sono rimasto colpito dalla trama psicanalitica e pessimista. Difficile dare un voto, di sicuro va oltre.
MEMORABILE: Le sorelle di Ratisbona scatenavano temporali di Grandine.
Devo premettere che non ho mai amato Lars Von Trier, lo trovo saccente e tracotante. Quando vedo i suoi film ho l'impressione di sentirmi costantemente preso in giro. Antichrist l'ho trovato troppo fintamente provocatorio e l'inserimento di scene hardcore d'autore (?!) di un'assurdità pazzesca. Il prologo è l'unica parte che si salva. Indolente, insopportabile, ruffiano. Senza dubbio il regista più sopravvalutato degli ultimi anni.
Il cinema di Von Trier ha sicuramente degli aspetti affascinanti che non possono lasciare lo spettatore indifferente. Sia con la poesia del prologo iniziale (la scelta musicale con il rallenty in b/n è magnifica) che con l'esplicitazione dell'atto sessuale o della violenza della natura (umana e animale) si toccano vette molto alte. Poi si riscende giù, con l'inutilità di alcuni simbolismi e la superfluità dei dialoghi psicoterapeutici. Gli ultimi venti minuti sono ottimi.
Molto coraggioso ed angosciante. Ultima mezz'ora splendidamente folle (una donna alle prese col suo incubo da cui ne scaturisce pura follia); a parer mio meno "pugno nello stomaco" rispetto a Martyrs, ma è caratterizzato da un paio di scene d'impatto davvero notevoli.
Il cinema del "pazzo danese" nella sua totale magnificenza. Meno fulminante di Le onde del destino, ma egualmente viscerale e unico. Da un inizio in b/n che è puro cinema, al delirio horror finale, tra scene di insostenibile violenza, animali che divorano i propi cuccioli, roghi di strega e un finale tra i più sconvolgenti mai girati, che mette i brividi. Da vedere con attenzione la scena dei funerali del bambino, che tornerà prepotentemente nel finale. Straordinari, poi, gli incubi della Gainsbourg (da oscar). Forse il capolavoro del decennio.
MEMORABILE: Il pene in erezione che sprizza sangue; la tortura a Dafoe; la volpe che annuncia a Dafoe: "Il kaos regna"; l'inizio.
Maschile vs femminile: da uno straziante e calligrafico prologo con la morte del frutto della loro unione il tema si inabissa in drastiche e assolute contrapposizioni. Dribblando la psicanalisi approda al biblico Eden (qui bosco satanico), giocando coi simboli che costellano i lividi coiti-battaglie verso un'impossibile riconciliazione. La trinità animalesca del dolore è causa deflagrante e chiave risolutiva di un film sordamente misogino. Eccessivi dettagli truculenti trasformano un'allegoria in calci nello stomaco dello spettatore.
Regista troppo "costruito", fondamentalmente sopravvalutato, Von Trier qui scatena e sublima i suoi impulsi primari in un film "idioternamente" accusato di misoginia e che invece costringe a far i conti con l'irriducibilità della Donna all'uomo, alla ragione ma anche alla stessa psicanalisi. Prologo dirompente e in qualche modo già conclusivo: la "perdita" e il senso di colpa non posson esser leniti da alcun cerebrale ritrovato maschile ma solo dal silenzio e dal pianto haendeliano. Il finale parafelliniano stona. Da guardar da soli come un incubo.
Lars Von Trier è un cineasta da saper interpetare. Con questo film claustrofobico e cupo, caotico ed ipnotico, tenta di raccontare i vari passi della disperazione che precipitano nella follia pura di una mente già adombrata dall'inizio. la violenza di scene forti e crude non sono una inutile retorica, ma uno stile che imprime con forza un concetto da saper cogliere. Film non solo estetico nonostante un prologo sapientemente costruito sulla slow motion di grande impatto visivo. Molto buono.
MEMORABILE: L'apertura del film con la strofa della canzone: Lascia che io Pianga...
Von Trier si fa pornografo delle sue ossessioni, anatomopatologo dei disturbi e dei neri stati d'animo in cui sguazza limaccioso; psicanalizza nell'orrore l'ancestralità di una Natura pagana, femminea e satanica eviscerandone con sordida oniricità ogni impulso soffocato, ogni simbolo tumulato, ogni dimensione primigenia e incontrollabile. Il suo Antichrist è sfogo irreversibile che diventa agonizzante martirio a cielo aperto, dolorifica autoflagellazione di tutti i pudori, i tormenti, gli odi e i sensi di colpa irrazionali. Un suicidio artistico terrigeno, atarassico, ipnagogico e strangolante.
MEMORABILE: Il vaticinio della volpe ("Il caos regna"); Il pene che eiacula sangue; La sforbiciata al clitoride; La mola infilzata a bullonata allo stinco di Dafoe.
Il caos regna. Inizia così, dopo un prologo struggente e a dir poco artistico sulle note di Handel, uno dei film più controversi del regista danese. Un film unico nel suo genere, inquietante e doloroso, folle oltre ogni dire eppure così carico di contenuti cupi e ricercati. Trasudando elementi di psicologia e simbolismi in inquadrature oniriche fuori dal tempo e dallo spazio, ecco che sul finale la pazzia esplode trascinando i personaggi e il film stesso in un vortice di violenza. Può sembrare senza senso, certo. Ma una volta entrati non si può uscirne.
MEMORABILE: Il prologo; la volpe profetizzante; I tre mendicanti; Scene oniriche e di violenza, suoni e rumori; Scarpe al contrario; Le ghiande; Epilogo.
Il film è buono anche se l'immobilità della prima parte è abbastanza pesante da sorreggere per giungere al clou della vicenda, sul finale. Misogino o no, il film ha una trama abbastanza interessante e retta bene da due ottime interpretazioni da parte dei "bruttini" Dafoe e Gainsbourg. Le due scene splatter che tanto han fatto rumore a tutti gli effetti disturbano, anche se sembrano un po' troppo messe lì ad ogni costo (ma sembra un vizietto di Von Trier: vedi i seni della Dunst in Melancholia!). Bellissimo il prologo, struggente e affascinante.
MEMORABILE: "Lascia ch'io pianga"; Le scarpe del bambino.
Nulla è tralasciato: Cristo, la sua natura di Dio che si è fatto uomo, la Madonna e il concepimento; tutto è ripreso perché solo la Natura, Madre Natura, può opporsi al Cristo, coi suoi elementi fisici e la sua furia metafisica; e come possono essere considerati da un non credente Maria e il concepimento, se non come un grande inganno? La venuta al mondo di un Messia senza l'atto sessuale? Le immagini di Von Trier sono dolore, esigenza e solo una visione banalmente superficiale nuoce ad un'opera tanto difficile quanto necessaria.
L'irritazione inizia in sordina e poi cresce a dismisura fino a raggiungere livelli di intollerabilità. Tutto gira a vuoto qui, a cominciare dall'estenuato e manieristico prologo. La Gainsbourg è insopportabile per tutto il film mentre Dafoe ne esce tutto sommato abbastanza bene. L'ego di Von Trier deve essere assai grande per aver voluto costruire attorno ad alcuni scontati topoi un film così pretenzioso e inconcludente, spesso ridicolo.
Non illuda il furbo ma delizioso incipit in bianco e nero sulle note di Handel con rimandi alla necessità di spurgare lacrime e quindi dolore, perché il resto è didascalia. Attraverso i capitoli della perdita si annichlisce la passione che Lars semina con amplessi e rabbia. Pellicola un po' presuntuosa ma non misogina; la natura domina, piange ghiande e protegge sotto i suoi rami. Dell'anticristo c'è poco, forse, ma la fotografia in certi momenti è notevole. Ottimi gli attori, per quanto il folle doppiaggio della Gainsbourg... Da rivedere, forse.
Non rimanevo così perplesso nel postvisione dai tempi di Mulholland drive di Lynch (d'altronde viene condiviso l'aspetto grottesco e misterioso, preponderante nella parte finale). Sicuramente una pellicola complessa, che fonde psicanalisi e filosofia (panica?) in un'esperienza a tratti onirica; una condizione universale (i protagonisti sono "indefiniti", non hanno nomi) che sfrutta il simbolismo (la fragilità del cerbiatto, a esempio) per rivelarsi in una concezione materialista e casualista. Fotografia e regia straordinari, bravi gli attori.
MEMORABILE: Il "pianto di tutte le cose che sono destinate a morire", scambiato per il lamento del bimbo.
Di certo non si può dire che il regista danese non ci metta la faccia, nel rappresentare quello che è il suo pensiero frutto delle ossessioni che lo tormentano. Il prologo iniziale lascia interdetti per la forza visiva delle immagini (ralenti e musica fanno il resto); poi il film entra in una dimensione onirica dove l'amore è celato nelle figure rassicuranti della natura e della femmina. Qui vengono sovvertite le nostre credenze e tutto quello che per noi rappresenta sicurezza e pace diventa malvagio. Duro da digerire ma geniale.
Sinceramente la violenza che rasenta lo splatter e l'esagerata sexploitation rovinano anziché impreziosire l'idea, contornata fra l'altro da eccellenti particolari di marca Von Trier; il luogo maledetto mi ha ricordato Shining come impatto, anche se là il luogo è chiuso e le entità aiutano il cattivo... La misoginia del regista per me è più creduta che altro, anche se in questo film è duro non ipotizzarla. Preferisco però sottolineare la gradualità con la quale ci avvicina a un Anticristo molto atipico e nondimeno molto ben riuscito e persuasivo.
MEMORABILE: Le facce sofferenti fra gli alberi nel tragitto del treno, rilevabili solo al ralenti!!!
Film fatto di luci e ombre molto oscure. A tratti inquietante, altre volte si calca troppo la mano con immagini crude. Fossero state meno realistiche sarebbero forse risultate più efficaci. Non ci vedo grande genialità da parte di Lars Von Trier ma solo il colpo a effetto. Ci si addormenta spesso coi dialoghi e poi un sussulto che pare una mazzata (soprattutto nel finale). Indiscutibilmente bravi gli attori.
In una baroccata grossolanamente metaforica il buon Trier perde il controllo della sua creazione e sbanda da tutte le parti. Sul piano estetico, ormai in preda al fascino del suo nuovo (orribile) giochino - l'hdr - il nostro sembra un nerd appena uscito da un corso di Photoshop. Sul piano dei contenuti un vero e proprio "mappazzone" (che gioca sui pruriti erotici dello spettatore): nel finale debordante non ci risparmia una ridicola "calata delle mondine" che nemmeno "Il quarto Stato" del Pellizza da Volpedo.
Al buon Lars viene naturale, non dico affezionarsi, ma perlomeno voler bene: sentimento ingrato, che nel nome della sincerità costringe a giudizi anche tranchant. Quindi passi il barocco prologo händeliano in b/n; passino le (pretestuose) dediche tarkovskijane; passino Willem maschio impotente e catatonico e Charlotte demoniaca Medea ancestrale. Poi però c'è il resto, che si arrabatta tra anchilosati simbolismi criptoapocalittici, generosi close up, una rincorsa all'eccesso in cui la bocca si allarga non per urlare ma per sbadigliare. Quindi...
Una coppia perde il figlio e lui psicologo segue l'elaborazione del lutto della moglie. Il luogo è lo chalet di famiglia in una foresta. Il film offre un'interpretazione complessa. Nonostante il titolo, siamo di fronte a un horror fortemente psicologico (ma non rinuncia a scene forti) che smonta pezzo dopo pezzo il ruolo della donna nel passato, fortemente legato alla natura, uno dei motivi per cui nel Medioevo la figura femminile era spesso associata alla stregoneria. Bellissima la fotografia e la post produzione dell'immagine. Ottimo Dafoe.
Lars, Lars, che combini? Chi segue il film non può, alla fine, non porsi una tale domanda. Ed è un film che rispecchia perfettamente il suo regista, diviso tra fobie e megalomania. Il ritmo lentissimo conduce all'esasperazione lo spettatore che, a giudicare dal titolo, si sarebbe aspettato qualcosa di ben diverso; invece titolo e storia non hanno aderenze nel senso convenzionale. Orfano di un obiettivo e invischiato in una melassa morbosa, chi guarda conterà i minuti che porranno fine a un (mal)riuscito esperimento nel quale noia e supponenza regnano sovrane incontrastate.
L'elaborazione di un lutto atroce (straordinario il prologo in bianco e nero commentato da Händel), il senso di colpa che travalica l'esperienza terrena trovando le radici nella Natura stessa (entità ostile e spaventosa) e nell'innata malvagità femminile (e Von Trier si porta a casa il premio provocazione!), il conflitto dei sessi e fra i sessi consumato a suon di mutilazioni e torture. Film pretenzioso e arrancante nella sua cripticità para-religiosa, ma con pochi rivali sul versante sensazionale, che siano i raffinatissimi scorci visivi o la mera brutalità della violenza grafica.
MEMORABILE: La caduta del bambino al ralenti; Gli animaletti del bosco (con inquietantissima volpe parlante!); L'eiaculazione sanguigna; Circoncisione femminile.
Partenza lenta in bianco e nero, musica classica, i due protagonisti che fanno sesso selvaggio mentre loro figlio si butta dal balcone. Sensazioni, emozioni, recitazione tengono lo spettatore incollato allo schermo. La coppia va a vivere per un periodo in una foresta, dove la donna impazzisce sempre più. Transizioni psichedeliche, scene di estrema violenza e altamente disturbanti caratterizzano tutta la durata del film. Una perfetta unione tra horror e psicologia, pervasa da immagini a tratti macabre, a tratti filosofiche.
Opera sperimentale, girata di impulso in stato di avanzata depressione dal controverso regista danese. Di primo acchito e visivamente, scioccante e provocatoria, sotto attente e ripetute analisi traumatizzante e pericolosa. Nella storia della settima arte non c'è forse pellicola più divisiva. Il voto basso è da attribuirsi all'incoscienza di von Trier, reo di rendere partecipe dei suoi peggiori incubi interiori un pubblico sicuramente più innocente di lui, che nel migliore dei casi non comprenderà l'opera. Questo è tutto meno che un prodotto di intrattenimento.
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DiscussioneZender • 13/07/11 20:56 Capo scrivano - 48855 interventi
Una volta era la regola lo spoiler, oggi le cose son cambiate ma alcuni ancora tendono a fregarsene perché non lo ritengono affatto grave.
Disponibile in edizione Blu-Ray Disc per Keyfilms/Medusa Video:
DATI TECNICI
* Formato video 1,85:1 Anamorfico 1080p
* Formato audio 5.1 Dolby Digital: Italiano Inglese
5.1 DTS HD: Inglese
* Sottotitoli Italiano Inglese Danese
* Extra Commento Audio del regista
Trailer
Featurettes
Interviste
Zender ebbe a dire: Dice Skinner: Ecco una notazione che ha inficiato pesantemente la mia visione del film (e a girare in rete non solo la mia): è vergognoso il doppiaggio della Gainsbourg ad opera di Valentina Carnelutti, voce davvero fastidiosa e monocorde; inspiegabile come sia stata scelta (forse è questa la cosa più misteriosa del film).
Concordo appieno con Zender, il tono e la recitazione della doppiatrice è assolutamente insopportabile. Mi domando: qualcuno l'ha visto in originale e sa dire se c'è una verisimiglianza con la recitazione della Gainsbourg oppure?
La pellicola in questione è dedicata alla memoria del regista, attore e sceneggiatore Andrej Arsen'evi Tarkovskij, spesso fonte d'ispirazione del regista danese.
L'avevo notato anch'io il mediocrissimo doppiaggio. Assolutamente no. Niente a che fare con la voce della Gainsbourg. Ma non è quello a far vacillare il film.
Mi è dispiaciuto dargli solo la sufficienza, ma son stato tentato di dargli pure meno, proprio perché nonostante certi particolari deflagranti, non mi ha dato quella purificazione e quell'adrenalina che ho ricevuto da Melancholia.
Ed è un peccato perché ho citato il particolare delle teste fra gli alberi durante il tragitto, ma che dire nel prologo dell'allarme che suona e che viene completamente ignorato da loro due che badano solo a f.t..re! Della superba descrizione verso la fine della falsità della donna quando piange, della radiografia dei piedi del bimbo, dei tre mendicanti che alla fine altro non sono che gli animali visti fino allora e che devono sancire con la loro presenza la morte di uno dei due!!!Della contrapposizione della Vergine Maria figlia del proprio figlio a una madre in preda alla Natura più totale, a un Dio che invece di ascendere discende simbolicamente ancora nel prologo. E soprattutto il bosco dell'Eden, non il Paradiso Terrestre...Gli strumenti c'erano, niente a che fare per fortuna con un Damien o con una serie di cataclismi naturali, che sarebbe stato un imperdonabile deja vu. Nella sua simbologia e nella sua interiorità Von Trier è stato grande, purtroppo l'estrema violenza e certe scene di sex exploitation quali l'inserimento del dito e la masturbazione con quel che segue mi han lasciato del tutto indifferente. Peccato! Ma dopo 5 film posso dire che Von Trier è un gran regista. FAUNO.
E un'altra caratteristica dei personaggi di Von Trier è la testardaggine, il chè mi fa arguire che il regista sia un tipo imbattibile in quel senso...FAUNO.
I particolari che ho elencato per me sono sublimi, specie i volti fra gli alberi durante il tragitto ferroviario, e la Gainsbourg si conferma suprema nei suoi atteggiamenti borderline (basta solo pensare da quali due pazzi sia nata nella vita reale!!!)...purtroppo non mi ha toccato la scena della trivellazione del polpaccio e del ceppo di legna...Per molti sarà stata l'apoteosi, per me una brusca frenata con testata sul parabrezza all'idillio che Von Trier mi stava dando con la sua gradualità inesorabile nell'introduzione del suo soggetto. Un po' come quando ti stai gustando una sensazione meravigliosa e sei quasi in un'altra dimensione e arriva un frastuono improvviso e sgradito che ti riporta bruscamente alla realtà. Tanto che ho pensato: "Caro Lars, non stavi facendo un capolavoro ma un film sentito e interessante, gli strumenti eran fantastici, ma questi li potevi lasciare a Eli Roth & Co." In tutti i casi il prossimo che vedrò sarà Dogville, anche se non consecutivamente a questo. FAUNO.
Fauno ebbe a dire: I particolari che ho elencato per me sono sublimi, specie i volti fra gli alberi durante il tragitto ferroviario, e la Gainsbourg si conferma suprema nei suoi atteggiamenti borderline (basta solo pensare da quali due pazzi sia nata nella vita reale!!!)...purtroppo non mi ha toccato la scena della trivellazione del polpaccio e del ceppo di legna...Per molti sarà stata l'apoteosi, per me una brusca frenata con testata sul parabrezza all'idillio che Von Trier mi stava dando con la sua gradualità inesorabile nell'introduzione del suo soggetto. Un po' come quando ti stai gustando una sensazione meravigliosa e sei quasi in un'altra dimensione e arriva un frastuono improvviso e sgradito che ti riporta bruscamente alla realtà. Tanto che ho pensato: "Caro Lars, non stavi facendo un capolavoro ma un film sentito e interessante, gli strumenti eran fantastici, ma questi li potevi lasciare a Eli Roth & Co." In tutti i casi il prossimo che vedrò sarà Dogville, anche se non consecutivamente a questo. FAUNO.
Dogville mi piace meno, ma ha un finale, che a pensarci, fà male ancora adesso...