Ennesima ripresa del personaggio chiave di inizio carriera (il bambinone ingenuo che stenta ed affrontare la vita vera) per un Renato Pozzetto simpatico come sempre ma alle prese con un soggetto non particolarmente riuscito, cui ha tentato di dare una forma più piacevole curando di persona (insieme all'amico Enzo Jannacci) alcune parti della sceneggiatura. Quando gli muore la madre Aristide, di professione "modificatore" (l'insegna della sua bottega recita "Analogo con modifica"), cioè colui che ripara e trucca bilance e altri utensili, si ritrova solo e spaesato. Conoscera al cimitero Claudia (Agostina Belli) e con lei comincerà una relazione che avrà...Leggi tutto una svolta quando si rifarà vivo il di lei marito (Aldo Maccione), ex ergastolano con fare da rozzo seduttore. La cappella del titolo è quella in cui è sepolta la madre insieme ai gioielli che ha lasciato in dote al figlio: unica eredità, oltre alla casa e a insegnamenti di vita discutibili. Non è un caso che il povero Aristide, il quale non ha mai visto una donna, si procuri il piacere attraverso una sorta di armadio rosa (lo ha chiamato "Self-godeur") nel quale si introduce facendo partire strane propaggini meccaniche (l'idea ricorda molto il geniale “Orgasmatic" visto nel DORMIGLIONE di Woody Allen). Si ride per alcuni immancabili nonsense tipicamente pozzettiani (a volte anche troppo insistiti), per molte trovate legate alla particolare professione di Aristide, ma quando si passa alla fase legata all'arrivo di Maccione con problematiche conseguenti ci si annoia più del dovuto. Piccole parti per Boldi (un prete) e Vitali (un tassista).
Parziale, ma non piccola, delusione. Anche Agostina Belli non ne ha un grande ricordo (vedi intervista rilasciata a “Cine70 e dintorni”). In realtà piace vedere Pozzetto fare il bambinone (ruolo che gli verrà benissimo anche molto più tardi, come in Da grande), ma qui il gioco si fa troppo presto ripetitivo e la trama diventa talora troppo esile, talora quasi fastidiosa. Un’occasione persa. Non va oltre la sufficienza.
Forse il più divertente tra i film pozzettiani del primissimo periodo. Infatti il lato surreale non è mai eccessivo, e la vicenda tutto sommato è sceneggiata con un minimo di cura (vedi il doppio colpo di scena finale). Ovviamente si sente molto la collaborazione del protagonista alla scrittura dei dialoghi, che secondo me sono una delle cose migliori del film. Appaiono numerosi caratteristi in micro-ruoli, da Dante Cleri a Claudio Nicastro, da Pietro Zardini a Fortunato Arena.
Parte bene, con la madre morente (gentile, a parte quando dà a Renato dell'imbecille e del deficiente, ma sempre con voce gentile) e Pozzetto al suo capezzale che spara boiate a raffica, con la sua faccia, che già da sola stimola la risata e l'espressione, tra l'avvilito e il riflessivo, che completa l'opera. Poi però il film inizia a perdere colpi (la difficile, assurda relazione che diventa rapporto a tre), arenandosi dal rapimento in poi, nonostante Pozzetto riesca, con i suoi colpi di coda verbali, a far tornare un minimo di interesse allo spettatore. Maccione se la cava.
MEMORABILE: Pozzetto chiede il riscatto al telefono: "Senta, per cortesia, lei dovrebbe darmi 200 milioni"; Lo sformato di melanzane alla Claudio Baglioni.
Buona commedia pozzettiana. In realtà fino alla parte del rapimento è addirittura straordinaria, quasi da eguagliare Sono fotogenico; poi purtroppo il ritmo e le gag calano, tutto diventa più canonico, mantenendosi comunque su un buon livello. Quando si ride però si ride di gusto, grazie ad alcune battute e trovate geniali di Renato, coadiuvato da un cast all'altezza che include un Maccione molto bravo (in una situazione che i due riproporranno similarmente in Fico d'India) e una graziosa Belli. Sicuramente da vedere per i fan di Pozzetto.
Il trucco dell'abbordaggio al cimitero ricorda un episodio di Amore in quattro dimensioni e anche molto del resto sa di già visto. Inoltre, il doppio gioco della Belli appare quasi subito evidente, il che acuisce quella sensazione di fastidio che si prova di fronte alle vicende che si stiracchiano inutilmente ben oltre il dovuto. Pozzetto ci regala però qualche sprazzo di divertimento con i fantasiosi e truffaldini adattamenti tecnologici che mette a punto nel suo pseudo-laboratorio. Vedibile senza problemi e dimenticabile senza difficoltà.
MEMORABILE: Pozzetto in taxi che si accorge dello specchietto retrovisore con trucco, avendolo approntato lui stesso.
Un po' commedia e un po' sentimentale di grana grossa, il film parte bene ma poi scade per via di una sceneggiatura povera che attinge anche al “già visto”; i veri punti di forza, dunque, sono le caratterizzazioni/presenze degli attori su cui poggia la pellicola: quello dell'adulto dall'atteggiamento infantile di Pozzetto (ruolo a lui storicamente adatto) e l'amorevole presenza di Agostina Belli dal viso allora fresco e angelico. Ottima la colonna sonora di Stelvio Cipriani.
Commedia italiana banale ma non brutta. La Belli si distingue solo per la bellezza, Pozzetto e Maccione per la bravura. Nonostante questo non va oltre la sufficienza presa per il rotto della cuffia. In sintesi: non troppo brutto ma si poteva fare di meglio.
Storiella esile e prevedibile nell’insieme, sostenuta da un Pozzetto scoppiettante e dalla sua comicità surreale qui particolarmente ispirata e mitragliante. Alla fine il mattatore e il vero motivo di interesse è lui, perché Maccione e Agostina Belli sono spalle modeste e perché nella memoria restano solo il self-godeur, le melanzane alla Baglioni e altre sue folli battute. Piacevoli le comparsate di Boldi, Vitali e Mario Brega.
Nel periodo d'oro del cinema italiano trova il suo posticino questo piacevole film, dove l'intrattenimento è garantito da un Pozzetto in ottima forma e da una storia divertente che ho apprezzato non poco. Bravi anche i comprimari, con Maccione più efficace del solito e la bellissima Agostina Belli comunque in un ruolo adatto a lei. Commedia che consente il sorriso senza soluzione di continuità e strappa anche qualche risata, riservando sorprese a raffica nel dinamico finale. Consigliato per una serata "70s doc".
MEMORABILE: La trattativa telefonica dopo il rapimento; La macchina per il "fai-da-te"; L'evoluzione della vicenda nel finale.
Orfano di madre verrà imbrogliato da una coppia ma avrà la sua rivincita. Inizio vivace dove Pozzetto diverte con le sue battute surreali e fino all’incontro con la Belli il film intrattiene. Con l’arrivo di Maccione si spegne la magia anche per le poche idee nel rapimento della bambina. Conclusione in stile Vianello/Mondaini (si veda la sigla de “Di nuovo tante scuse”).
MEMORABILE: Il self-godeur; Ursula Andress al cimitero.
Si avverte, soprattutto nella prima parte, la collaborazione ai dialoghi da parte di Pozzetto, che dilaga con la sua comicità di nonsense, tormentoni e battute surreali in un ruolo a lui congeniale. Con l’entrata in scena del pur bravo Maccione, il film perde brio e a tratti cade nel grossolano, ma si riscatta con una brillante serie di sorprese che rimescolano le carte fino ai titoli di coda. Oltre alla graziosa Belli, si fanno notare molti volti noti agli amanti della commedia all’italiana.
MEMORABILE: Il dialogo con la madre morente; “È analogo!”; “Tremilaeotto!”; Il self-godeur e le bilance modificate; “Son troppo intelligente”; Ursula Andress.
Film nettamente distinto in due tronconi, segnati dall'apparizione di Aldo Maccione quasi a metà film. La prima parte è più lenta ma meno scontata della seconda, dove più o meno tutto fila come lo spettatore si immagina, finale compreso. Irresistibili i dialoghi continui tra Renato Pozzetto e la madre morta. In generale, il terzetto di attori protagonisti funziona. Il film però ha un un andamento saliscendi e la sceneggiatura non convince sempre. Si può però senz'altro vedere.
Simpatica commediola dominata dal candore impassibile di Pozzetto. Il milanese, volto da bamboccione edipico, attorniato da una debordante serie di comprimari di lusso, attraversa il film regalando alcuni luoghi topici della propria comicità (le locuzioni principe) e momenti oggettivamente divertenti (la telefonata al padre della bambina). La trama è quella che è, ma certe accensioni sottopelle, ciniche e grottesche, valgono la visione.
Commedia inizialmente poco incisiva e in seguito quasi irritante, in grado di riscattarsi, sorprendentemente, in un finale con un numero insperato di sorprese. L'iniziale love story tra due stramboidi possiede un tenue fascino bizzarro, ma si schianta contro la deriva noir successiva, che nemmeno un Maccione praticamente impeccabile riesce a riscattare. Pozzetto vittima di un personaggio eccessivo, Agostina Belli semplicemente magnifica. Confezione fredda, poco funzionale, ennesima stranezza di un film anomalo ma non totalmente da buttare.
Scialba commedia di Lucidi costruita attorno all'allora emergente Pozzetto. La storia, alquanto improbabile, paga una sceneggiatura arrangiata che non riesce quasi mai a colpire nel segno. Anche sul fronte del cast le cose non vanno meglio, con Pozzetto, attore forse sopravvalutato, che non perde nemmeno per un attimo l'aria imbambolata che lo caratterizza senza strappare risate convinte. La situazione migliora (di poco) con l'entrata di Maccione mentre la Belli resta solo decorativa. Ritmo soporifero che lascia spazio a lunghi momenti di noia. Ai limiti del guardabile.
MEMORABILE: "Ma lei come si chiama?" (un vigile a Pozzetto con lunga barba e capelli posticci) - "Marco Ferreri".
Ben strutturata e divertente commedia di Lucidi, efficacemente sostenuta dalle trovate surreali di Pozzetto, sempre a proprio agio nella parte del bambinone ingenuo con il cervello fino dietro le scarpe grosse. Perfetta la Dandolo come madre castrante e strozzina, così come Maccione sguazza nei panni dello smargiasso con gessato e scarpe bicolori. Un po' debole la Belli come seduttrice. Resta da capire da quale altipiano della mente umana (o della produzione) sia caduta la pazza idea del cameo di Ursula Andress, buttata lì come uno straccio. Ma, dopotutto, il surreale è surreale.
MEMORABILE: Aristide come Barbarella nel "self-godeur"; L'ingresso "pop-up" della bottega.
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CuriositàZender • 29/05/08 08:46 Capo scrivano - 48488 interventi
Pubblichiamo, grazie alla prestigiosa collezione cartacea Markus, il flano del tempo che fa riferimento al primo "Renato per tutti" (probabilmente perché i suoi precedenti film da protagonista, vedi PER AMARE OFELIA o PAOLO BARCA, erano più "spinti" del previsto e non certo per famiglie). Tratto dal Corriere della Sera del 16 ottobre 1975.
Altro tipico esempio di film cavallo di battaglia delle tv private per tutti gli anni 80 e sparito dai palinsesti da ormai 20 anni.
E irreperibile altrove....
DiscussioneGeppo • 30/05/08 14:58 Call center Davinotti - 4357 interventi
Esiste la vhs greca "Delta Video": audio italiano con sottotitoli in greco.
L'identikit di Maccione Dato che Pozzetto non ha visto bene la bambina da rapire, Maccione prende un foglio e le disegna la faccia, facendo un improponibile sgorbio. A quel punto, Renato lo guarda e commenta: "Bella mano...cos'ha fatto, belle arti?".
Due momenti di puro Renato Parlando di Pio XII: "Mia mamma lo stimava molto...anche come papa".
Ossessionato dalla madre, persino da morta, Pozzetto non riesce ad avere un rapporto fisico con l'altro sesso; e così, al limite della sopportazione, sbotta: "Non sono mica fatto di masonite!".
HomevideoZender • 5/09/17 08:16 Capo scrivano - 48488 interventi
Buono il dvd della Minerva Pictures/Dynit. Zero extra ma il video è correttamente in 16:9.
Durata: 1h 40' 55"
Minuto 3.47:
DiscussioneAlex75 • 9/04/19 17:18 Call center Davinotti - 710 interventi
Salta agli occhi, per i cultori delle pubblicità e delle sponsorizzazioni più o meno occulte, la presenza costante del marchio Innocenti, attraverso l'allora nuovissima Mini 90 (regalo di nozze di Pozzetto alla Belli, con tanto di scena in concessionaria) e dell'impolverata Mini Cooper 1300 usata per il sequestro.