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La nostra recensione di L'orto americano

Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Ciclicamente Avati torna sul delta del Po, dove sa che le sue storie cariche di mistero acquistano linfa vitale in grado di evocare magiche suggestioni. Lì infatti si consumano i momenti migliori di un “secondo tempo” tutto italiano che per fortuna abbandona gli States per rituffarsi in un ambiente più consono alle tradizionali visioni avatiane.

La storia, ambientata nel 1946, è quella di un giovane scrittore (Scotti) che, trasferitosi da Bologna nel Midwest in cerca d'ispirazione per un nuovo libro, prende alloggio in una villetta nella quale ode subito strani lamenti provenire dal vicinato: è un'anziana signora (Tushingham) che chiama senza sosta...Leggi tutto una delle sue due figlie, Arianna (Gentile); quest'ultima è la sorella di Barbara (Gustafsson), una giovane ausiliaria dell'esercito americano che nel 1945 il protagonista aveva notato mentre era seduto dal barbiere, innamorandosene a prima vista. L'idea di poterla rivedere gli accende il cuore, ma la vecchina smonta ogni sua fantasia: Barbara non è mai rientrata dall'Italia, data per scomparsa in circostanze poco chiare.

Ciò che sconvolge il giovane scrittore è udire una flebile richiesta d'aiuto (sente le voci, avverte suoni che gli altri non percepiscono) provenire di notte dall'orto della vicina; vi si reca nottetempo di nascosto per disseppellirne un barattolo di vetro con la scritta Venezia sul coperchio. Portatolo a casa, lo apre per trovarvi all'interno un impressionante e macabro reperto: un pube femminile sezionato e perfettamente conservato (davvero impressionante, agli effetti c'è Sergio Stivaletti). Sull'etichetta alcune frasi in italiano ricavate da un antico scritto, forse di Pindaro. Risolto l'enigma ad esse legato, lo scrittore tornerà in Italia, ad Argenta (FE), per capire che fine possa aver fatto Barbara; perché Arianna, che lì si era recata per lo stesso motivo, forse non ha compiuto tutte le ricerche necessarie per scoprire la verità sulla sorella.

Il protagonista si troverà poco dopo ad assistere al processo contro Glauco Zagotto (De Ceccon), l'uomo che non solo si dice Barbara volesse sposare, ma che è accusato di aver ucciso e mutilato tre ragazze. Lo chiamano "mostro" proprio come quello di Firenze, che nella realtà degli Anni Ottanta uccise sette (forse otto) coppie di giovani straziando i corpi femminili e asportandone i genitali (per conservarli sotto formalina? Si aprirebbe un infinito dibattito...). Forse suggestionato da quei delitti, come suggeriscono anche altri particolari (non sarebbe difficile tracciare un parallelo, pur nelle tante differenze, tra Pacciani e il “mostro” Zagotto), Avati scavalca l'oceano per ritrovare - come spesso gli è capitato - nelle periferie degli Stati Uniti la naturale controparte alla placida desolazione delle Valli del Po.

Le idee per imbastire una storia ricca di mistero, di indizi macabri e di enigmi stimolanti c'erano, ma troppo poche e destinate a sfarinarsi in scene che durano spesso tre volte il necessario, con aggiunte superflue e dialoghi inutilmente prolissi. Eliminando l'equivoco dell'anomala fotografia desaturata usata nel SIGNOR DIAVOLO per restituire gli Anni Cinquanta, il fido Cesare Bastelli chiude del tutto col colore e passa al bianco e nero puro confermandosi fotografo di grande eleganza, con le campagne ferraresi e certe chiese americane che esaltano la forte personalità avatiana di un film a tratti indubbiamente efficace, moderatamente autocitazionista (il giovane che bussa alla caserma dei carabinieri a Comacchio come sappiamo bene chi) ma anche dall'incedere assai lento, talora un po' confuso e zoppicante nell'esposizione dei fatti; e se si considera che la vicenda è in fondo semplice (avrebbe riempito forse mezza puntata di VOCI NOTTURNE) il difetto diventa evidente. Soprattutto nella prima parte (tutta sottotitolata, siamo in America e anche il protagonista parla inglese), in cui la Tushingham si prende troppo spazio e l'esplorazione notturna nell'orto con le vocine riporta alla mente quel piccolo cult che è MOTEL HELL.

Consueto stuolo di facce note nel cast: Roncato carabiniere in un breve cameo, Nocella in manicomio, la Caselli a gestire una pensione, Bonetti giudice, Botosso al processo, Cremonini oste, mentre Roberto De Francesco, per ruolo e somiglianza di tratti somatici, fa tornare alla mente il compianto Bob Tonelli. Meno ambizioso e strutturato del SIGNOR DIAVOLO, che venne accusato di essere fin troppo astruso ma liberava mille idee in più, è il ritorno di un Avati che recupera le coordinate del suo cinema più legato al mistero per distenderle a maglie larghe, sottraendo spunti e divagando. La colonna sonora tenue e la placidità nel raccontare sono in linea con l'età avanzata di chi è comunque ancora capace di marchiare i suoi lavori con un'impronta inconfondibile, soffermandosi una volta di più sui dubbi d'interpretazione tra follia e lucidità. Sempre superbe le location (i casolari sull'acqua in primis).

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Tutti i commenti e le recensioni di L'orto americano

TITOLO INSERITO IL GIORNO 7/03/25 DAL BENEMERITO UOMOOCCHIO POI DAVINOTTATO IL GIORNO 8/03/25
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Uomoocchio 8/03/25 01:03 - 47 commenti

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Nuovo tassello della sterminata filmografia avatiana; ma questo ha un posto speciale perché, benché in un bellissimo e inusuale bianco e nero, riunisce molti dei tòpoi al cuore del suo cinema. A cavallo tra America e bassa ferrarese, tra horror e giallo, tra ragione e follia, forse la cifra del film è proprio il suo essere liminale. Non tutto torna nella sceneggiatura, ma forse anche queste incongruenze fanno parte della matrice del film, sono cioè funzionali agli sconfinamenti tra le varie dimensioni. Riferimento chiaro al mostro di Firenze. Attori eccellenti: su tutti De Francesco.

Reeves 8/03/25 10:37 - 2946 commenti

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L'America, la bassa padana, i ricordi, i sogni inconfessabili, la cattiveria e l'avventura. In un bel bianco e nero, Pupi Avati rimescola ancora una volta i punti saldi della sua carriera e ne esce fuori un bel film, con una suspense sottile ma penetrante e sorretto da ottimi attori che come sempre con Avati danno il loro meglio. Ed è sorprendente come il vecchio Pupi sia più giovane di molti registi esordienti.

Markus 8/03/25 18:34 - 3760 commenti

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Ennesimo ritorno al giallo orrorifico per Pupi Avati che, come ne Il signor Diavolo, riprende alcune tematiche e ambientazioni legate al capostipite dei suoi horror. Il film si apre in un contesto americano per poi spostarsi nelle campagne ferraresi, tra feticci nascosti e un caso di maniaco che, come il Mostro di Firenze, colleziona macabri trofei. Girato in bianco e nero, il film risulta a tratti tedioso, ma la maestria di Avati è ancora ben presente. L'approccio fotografico del fido Bastelli si fa notare, così come gli effetti speciali curati da Sergio Stivaletti.

Cotola 9/03/25 18:35 - 9507 commenti

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Luci e ombre per l'ultimo film di Avati, che largheggia troppo nella parte americana per poi tornare in Italia allontanandosi parzialmente dal filone principale, per poi riprenderlo verso la fine in cui "sogno" e realtà si confondono fino ad arrivare a un epilogo che non scioglie tutti i nodi, affatto. Qualche bella atmosfera c'è; un po' di coinvolgimento pure e le location sono notevoli e magistralmente scelte. Ma non mancano anche le cadute e qualche incertezza. E la scelta di Scotti come protagonista, poco espressivo, lascia più di un dubbio.
MEMORABILE: In negativo: il vaso di pesche sciroppate con sorpresa.

Rebis 12/03/25 15:52 - 2469 commenti

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Quando Filippo Scotti si affaccia alla finestra che dà sull'orto dei vicini, dalla memoria affiora una dissolvenza incrociata che da Lovecraft passa a Norman Bates per approdare a Kafka. Il film infatti si alloca in una dimensione ibrida, sospesa tra realtà e allucinazione, sogno e veglia, vita e morte, consapevole che qualsiasi soluzione al mistero non sarebbe all'altezza dello stesso. Che è denso, profondo, adescante. Gotico padano-americano impresso in un livido bianco e nero, sprigiona umori atavici e miasmi necrofori, in un tratteggio intimo e a tratti persino autobiografico.

Gabigol 12/03/25 23:28 - 639 commenti

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Ritorno al gotico padano per un Avati in gran spolvero. Perché se è vero che a livello tecnico alcune eccellenze - Stivaletti e Bastelli - diano il meglio, in verità è il lavoro di regia e scrittura del regista a rinverdire i fasti del giallo orrorifico su territorio nostrano. Difatti l'atmosfera sottilmente morbosa è riuscita, merito di un'alchimia tra realtà e (possibile) sovrannaturale a sospendere la vicenda nell'irrisolutezza figlia dell'ambiguità di provincia. Da segnalare un ritmo compassato e qualche lungaggine di troppo nella seconda parte. Bella la chiusa.
MEMORABILE: L'incontro dal barbiere; Il contenuto del vaso; La denuncia alla polizia a ricordare una scena nota.

Caesars 17/03/25 16:23 - 3983 commenti

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Ancora una volta Avati torna a fare cinema horror (se tale si può chiamare), ma i risultati sono inferiori rispetto al precedente Il signor Diavolo, che convinceva maggiormente. Qui la sceneggiatura fatica a tener viva una storia dal fiato abbastanza corto e che offre anche il fianco a critiche dal punto di vista "logico". Avati si dimostra sempre un signor regista e regala splendide location e buona direzione degli attori. Bella la fotografia in bianco e nero di Bastelli. Comunque da vedere, per gli amanti del regista bolognese.

Hackett 17/03/25 17:13 - 1871 commenti

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Pupi Avati torna al gotico padano immergendo lo spettatore in una storia d'amore e morte dai tratti morbosi tra l'America e l'Italia del dopoguerra. Il film ha il passo lento della tragedia e sublima il suo essere a basso costo con scelte registiche e artistiche molto funzionali. Avati si prende il lusso di strizzare l'occhio a suoi capolavori del passato riuscendo a essere originale grazie a una fotografia audace e anacronistica. Notevole l'apporto del giovane protagonista, che riesce a tratteggiare credibilmente la disperazione del suo personaggio.

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