Lars Von Trier prosegue nella sua personale interpretazione del cinema offrendo una commedia sui generis, surreale e grottesca, animata da dialoghi che sanno spesso spiazzare e personaggi dagli atteggiamenti imprevedibili. Non che questo gli garantisca un risultato del tutto soddisfacente, ma IL GRANDE CAPO è comunque un film che analizza un comportamento tipico di chi non ama prendersi certe responsabilità pur occupando posti di potere (il cosiddetto "scaricabarile") e ne trae un soggetto bizzarro e ricco di spunti interessanti. Il proprietario di una piccola azienda danese nasconde il proprio ruolo gerarchico fingendo d'essere un dipendente come gli altri o quasi, finché...Leggi tutto un giorno decide che "il grande capo" mai visto da nessuno deve finalmente fare la sua comparsa. Ingaggerà così un attore disoccupato e lo presenterà a tutti come il "grande capo". Gran parte delle gag più riuscite (e costruite spesso con intelligenza non comune) nasceranno dal fatto che tutti i dipendenti danno per scontato che questi sappia ogni cosa delle vicende interne mentre invece il poveruomo - pur non potendolo far notare - non ne sa niente. Praticamente privo di musiche, montato con frequenti “salti” d'immagine e ricco di illogicità che lasciano ogni tanto il tempo che trovano |(specialmente nel finale), IL GRANDE CAPO potrà far inorridire chi non è abituato al cinema di Von Trier e sollazzare chi lo ama. Quando il gioco funziona ci si diverte, quando si fa (spesso) ripetitivo e pretestuoso diventa noiosamente eccentrico.
Film dogmatico, prima della chiusura della trilogia di Dogville e Manderlay: niente colonna sonora, audio in presa diretta, inquadrature che paiono casuali, montaggio che rompe la continuità (à la Nouvelle Vague). E un'ironia che, più che spuntare dalle battute, salta fuori dal gioco paradossale dei ruoli, in una specie di teatrino delle marionette di una follia tipicamente alla von Trier (il gelato a forma di orsacchiotto resta bellissimo- e che dire della giostra?). E se riesce a far ridere...
Un buon film, anche se ho trovato un po' fastidiosa la voce narrante dell'autore; ricorda i commediografi del '700 che si schernivano per la banalità di un'opera non drammatica e anche l'estremismo nell'uso delle inquadrature; sarà dogmatico ma l'inquadratura che taglia la testa al personaggio a me dà fastidio. Sarei poi felice di sapere perchè è stato vietato ai minori di 14 anni. Aspetto un'altra commedia di Von Trier.
Film che sfrutta un'idea geniale, film che gioca sulle manie, gelosie, idiozie dei personaggi. Film che fa ridere, di quelle risate che, poi, ci si compiace con se stessi per l'ottima scelta fatta prima di andare al cinema. Io l'ho trovato geniale. Atipico, alla Lars, ma senza quel senso di lentezza che spesso ne pervade le opere (vedi Le onde del destino). Uno dei migliori film del 2006!
Digressione in chiave di commedia per un regista di solito impegnato in versanti decisamente più drammatici, il film sposa solo apparentemente un tono brillante, essendo chiara la volontà del suo autore di dirigere piuttosto una pellicola decisamente satirica, dedicata al degrado e alla meschinità dei rapporti interpersonali in un ambiente paradigmatico come quello lavorativo. Il regista indaga pertanto (attraverso il brillante escamotage della storia) un mondo da molti ben conosciuto, vera metafora della "civiltà" contemporanea.
È dalla mini serie Riget (The kingdom) che speravo che, dato il suo spiccato senso dell'humor, il geniaccio danese ci regalasse una commedia ironica e così finalmente è stato. Ma anche se la commedia brillante è un genere poco frequentato dal regista, egli riesce comunque ad inserirci tutti gli elementi tipici del suo cinema che hanno reso le sue pellicole così personali e uniche. Non mi sorprenderei se sia stato ispirato dalla serie televisiva The office della BBC con la quale il film ha molte similitudini.
Incredibile: Lars von Trier questa volta si diverte e ci diverte, con un film dalla tecnica volutamente casuale pieno di gags argute e nient'affatto banali, soprattutto quelle in cui l'assoluta ignoranza del "grande capo" viene scambiata per profonda sagacia. E poi, lavorando in un ufficio, impossibile non riconoscere tratti dei propri colleghi in alcuni dei tipi umani rappresentati. Credo che avrebbe funzionato ancor meglio riducendo il peso della voce narrante, talvolta inutile, altre fastidiosamente effetto "grillo parlante" (e si sa che fine fece in Pinocchio).
MEMORABILE: Tutte le scene con l'interprete, la molestia sessuale in cui è la molestata ad imporre il rapporto al protagonista del tutto passivo.
Vi ho trovato cose geniali (le reazioni dell’acquirente islandese [Fridrik Thor Fridriksson] e le traduzione dell’interprete [Benedikt Erlingsson] sono irresistibili, specialmente quando il primo s’incazza) unite a case molto faticose, come la gita-premio. Interessante la descrizione sarcastica delle dinamiche lavorative e, ancor di più, il fatto che sia talora il caso (come lo scoprire una passione in comune) a decidere delle sorti lavorative. Interessante, ma talora insoddisfacente, come nella tremenda, conclusiva “captatio benevolentiae” della voce fuori campo.
MEMORABILE: Il secondo incontro con gli islandesi, specialmente quando l'interprete traduce imperturbabile: "Ma porca di quella puttana..."
Considero questo film un vero gioiello per arguzia e capacità di capovolgere situazioni apparentemente scontate. Una commedia dai toni imprevedibili e spiazzanti, congegnata attraverso uno script che funziona come un meccanismo ad orologeria. Anche dal punto di vista tecnico, Von Trier dimostra inventiva e originalità, che in questo caso sono anche più disciplinate e meno sregolate del solito. Divertente e amaricante.
Come accade spesso nel cinema di Von Trier si passa da uno scetticismo iniziale ad un coinvolgimento genuino dello spettatore che segue la vicenda. Non fa eccezione questa graffiante e amara commedia che mette a nudo le ipocrisie della vita aziendale. Dialoghi preziosi e buone interpretazioni per un Von Trier sempre dogmatico ma più leggero e mai banale.
La classica commedia degli equivoci reinterpretata da Von Trier con arguzia e con una storia che mette a nudo meschinità da ufficio e vizi della modernità. Purtroppo il regista non rinuncia a uno stile di ripresa inutilmente agitato e a dialoghi così garruli (e talvolta ripetitivi) che farebbero rabbrividire perfino Woody Allen. Ma alcuni passaggi geniali (la collega che si fa possedere, il traduttore, il dialogo "a scacchi" con la brunetta) e il perfido colpo di scena finale meritano sicuramente la visione. Doppiaggio così così. Tre pallini.
In una pausa di riflessione nella Trilogia americana, Von Trier abbandona le regole "dogmatiche" per la "casualità" registica dell'Automavision e sforna quella che dovrebbe esser una commedia d'alleggerimento. I temi tuttavia son sempre "ponderosi": dietro al lavoro, il rapporto gerarchico e tra le righe di questo le relazioni tra Regista (il Grande Capo appunto) e attori ma, va da sè, anche spettatori. Il gioco è arguto ma l'onanismo intelletualistico di Lars lo rovina in parte, anche perché difetta di reale sense of humour e di ritmo. Da cassa in deroga.
MEMORABILE: Il (per noi) misteriosissimo odio tra danesi e islandesi impersonato dal potenziale acquirente.
Un film che non ti aspetti, da parte di un regista come Von Trier; finisce sempre per spiazzarti, ma questa volta in negativo. Nonostante inquadrature "automatizzate" (a che pro?), dialoghi che evitano la banalità e la ricerca di un intreccio divertente a metà tra il teatrale e il cinematografico, la noia sopraggiunge già durante la prima metà del film. Una volta scoperto il meccanismo iniziale, la scrittura diventa piatta e monotona e la commedia, per quanto sperimentale, decade senza riprendersi. Delusione.
Un grande esempio di cinema. Una commedia, genere che Lars von Trier frequenta poco, davvero scritta e interpretata bene. Momenti esilaranti (la scena del cinema o quella alla giostra) senza mai cadere nel già visto o nel banale. Meglio di molte commedie made in USA...
Commedia brillante, caustica e irriverente nel suo humour nero, dotata di frizzante appeal narrativo (così come l’espediente) e che nonostante la verbosità fiume e la fissità “random” della mdp (che ha il suo perché in quanto “aliena” i personaggi) nonché la claustrofobica atmosfera dei campi medi riesce a mettere alla luce con notevole incisività tutta la pochezza, l’amoralità e l’egoismo dei rapporti lavorativi e di riflesso quelli interpersonali. Giochetto, teatrino perfido al massacro (professionale). E poi: ho riso in un film di Von trier!
MEMORABILE: I faccia a faccia con l’islandese; “Cazzo, cazzo, cazzo, danesi di merda!”
Un attore è ingaggiato per incarnare il capo di un'azienda in vista della sua svendita agli stranieri. La società dello spettacolo è messa a nudo giocando tra paradosso, didascalismo e commedia degli equivoci. Assodato l’assoluto antirealismo della storia, a cui dà manforte la bizzarra ma efficace tecnica delle riprese random in automavision, rimane comunque la freddezza di una realizzazione che, al di là dell’enunciato concettuale su simulazione e responsabilità e sulle dinamiche capitaliste, si appaga di un certo desueto macchiettismo.
Sul giudizio finale del film pesa sicuramente una comicità che per la maggior parte degli spettatori è difficilmente comprensibile: a chi possono far ridere (eccetto la traduzione delle parolacce e poco altro) ed interessare le stilettate tra danesi ed islandesi? Ma non è tutto: la storia è banalotta ma più di tutto lo sono le considerazioni sul rapporto attore-regista e su quello verità-finzione. Il meglio è il finale. Il film più ordinario e "normale" di Von Trier: non meraviglia che, guarda caso, non se lo sia filato nessuno. Ma tutto sommato non è poi così malvagio.
Kaputt! Velo pietoso! Ho adorato Von Trier in più di un film, ma questa italianata stile "e vissero tutti felici e contenti" sa di polenta stantia; inutile infarcirla con Ibsen, Gambini, condirla di cazzotti e piantolini vari. A questo punto è quasi meglio un nazi-islandese che un codardo danese; le scene finali anziché intenerire fanno dare del buffone a tutti (eccetto, forse, alla ex moglie dell'attore delegato alla vendita dell'azienda, che guardacaso è avvocato dell'acquirente). Ma questo non rafforza l'argilla di un colosso e neppure di una statuetta.
MEMORABILE: L'atteggiamento del dire sempre di sì fino a portarsi a letto due impiegate.
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CuriositàBrainiac • 20/10/09 14:02 Call center Davinotti - 1464 interventi
Dope l'incursione nella commedia con Il grande capo e nell'horror con Antichrist Lars Von Trier tenterà la carta catastrofista col suo prossimo film : Planet melancholia, in cui un un pianeta minaccia la terra avvicinandosi pericolosamente.
L'intenzione è di presentarlo a Cannes 2011, verrà girato in lingua inglese.
Fonte: NOcturno.it
CuriositàDaniela • 8/01/10 07:01 Gran Burattinaio - 5945 interventi
Per il Grande Capo, Lars Von Trier ha messo a punto l'Automavision, nuova tecnica di ripresa che utilizza una camera fissa senza nessun operatore, comandata da un computer che decide a caso cosa riprendere e con quale focale.
Questo spiega la casualità delle inquadrature ed il fatto che spesso gli attori abbiano la testa "tagliata".