Un noir dalle molteplici facce, tanto riuscito in alcune soluzioni visive quanto lento e sonnacchioso in altre. Gli intenti ambiziosi del regista Sergio Sollima sono visibili fin da subito: le musiche di Ennio Morricone, gli splendidi paesaggi della località turistica di mare tutta sole, alberi e acqua azzurra sottolineati dalla sgargiante fotografia di Aldo Tonti, i titoli di testa studiati graficamente in maniera originale, il cast internazionale, la qualità delle riprese... Il primo quarto d'ora, praticamente muto con l’inseguimento in auto che si conclude con una sparatoria tipicamente western (Sollima da alcuni era considerato secondo solo a Sergio Leone, nel genere) è...Leggi tutto cinema d'alta scuola, ma già lascia intravedere quell'autocompiacimento semi autoriale destinato a minare il film. E infatti tutto il primo tempo, che vede in Charles Bronson l'unico vero protagonista (Savalas comparirà molto dopo, nonostante condivida con Bronson l'apertura sui titoli di testa) è esageratamente silenzioso e d’atmosfera (oltretutto il futuro giustiziere della notte non è dotato di alcuna espressività), lento e incapace di creare una vera suspense perfino nel momento dell'omicidio alle corse (tirato veramente per le lunghe). Il film si riprende molto più tardi, con l'entrata in scena di Telly Savalas (è Weber, un superboss che cerca in ogni modo di avere in squadra il sicario provetto Jeff/Bronson). Finalmente i dialoghi si fanno interessanti (tra gli autori della sceneggiatura c'è anche Lina Wertmüller) e ci si comincia a divertire. Forse è troppo tardi, ma la scena finale sull'ascensore panoramico, con sonoro azzeccato (si sentono solo i colpi di fucile che spaccano il vetro), è da antologia.
Action-thriller di Sollima, di respiro internazionale e di efficace resa spettacolare. Bronson granitico come sempre, la moglie Jill Ireland con aria un po' attonita è una delle più fetenti figure femminili dell'epoca. Sulle note di una martellante marcetta morriconiana un film che si eleva decisamente sopra la media del polar europeo, che pure godeva all'epoca di buonissima salute. Un vero peccato che Sollima non sia stato più prolifico, ma forse la qualità (altissima) del suo cinema ne ha tratto giovamento.
Dire che Città Violenta è un bel noir è riduttivo. E non rende merito al talento di Sergio Sollima, che introduce personaggi contorti (il "granitico" Bronson), cinici (la bella Jill Ireland), spietati (uno strepitoso Umberto Orsini) riducendo al minimo l'uso dei dialoghi (i primi 10 minuti sono solo un susseguirsi d'immagini, senza una parola), per sostituirli con "eloquenti" momenti di mutismo (lo strepitoso finale in ascensore, dove al posto della colonna sonora il solo silenzio accompagna l'agghiacciante frantumarsi del cristallo). Ottimo.
Dignitoso film di Sollima che salva col mestiere eccellente una storia derivativa (Le catene della Colpa di Tourneur) con momenti mosci. Bronson è quello che è ma talvolta ci piace e in questo film è in parte. Colpo d'ala: il finale in ascensore, degno di un cineasta americano.
Benone Bronson: si fa molto più apprezzare in film come questo piuttosto che nei pur ottimi "giustizieri". Qui è nei panni di un killer che però cede di fronte a una donna cinica. Assieme a Bronson ci sono gli ottimi Orsini, Ireland (ai tempi moglie di Bronson) e il grande Kojak ossia Telly Savalas. Azione e psicologia: la firma di Sollima è una garanzia.
Tolto il finale, secco e ben girato, e l'ottima tema musicale di Ennio Morricone il film non mi è piaciuto. Soprattutto per la sceneggiatura, banale e con pochi dialoghi. Il personaggio di Charles Bronson, chiuso in un estenuante mutismo, rimane una mezza figura e non diventa mai interessante. Pessima poi la prova di Jill Ireland, inserita nel casta forza -a quanto leggo- visto che al tempo era la moglie del protagonista.
Noir o western urbano che sia, questo è un gran pezzo di cinema, originale, ricco d'azione e di contenuti, pieno di svolte e cambi di registro. Sollima punta in alto e sfrutta al meglio l'opportunità di girare in America con un cast internazionale. Sceglie le location giuste (dalle Isole Vergini a Los Angeles) senza mai essere banale. Merito va dato a Bronson, presente in ogni singolo fotogramma, ma sono la regia, il soggetto e la sceneggiatura a rendere la pellicola di livello decisamente superiore. Buono il tema di Morricone. Bravo anche Orsini.
MEMORABILE: La sequenza muta in ascensore e l'inseguimento in auto iniziale.
Uno strano film, dove contano più le atmosfere, la bella fotografia, le notevoli musiche di Morricone, l'ottima regia di Sollima che la storia, che sta quasi in un fazzoletto. Film affascinante, che servito da una sceneggiatura all'altezza sarebbe potuto "restare".
Tra le numerose produzioni italiane in trasferta Usa dell'epoca questa di Sollima è forse la migliore e riesce a guadagnare il taglio internazionale cui ambisce (compreso il grande e mellifluo Orsini). Il titolo è forse fuorviante: mancano infatti le ambientazioni metropolitane tipiche del poliziesco anni '70 e ci si trova di fronte a un noir moderno e colorato, con curiose analogie con Contratto per uccidere di Don Siegel. La sceneggiatura non sarà il massimo, ma il regista per fortuna sa esprimersi benissimo anche attraverso blocchi muti.
MEMORABILE: L'inseguimento iniziale; l'ascensore a vetri.
Se Sollima avesse mantenuto il pathos e la tecnica invidiabile che dimostra nei primi 20 minuti e negli ultimi 10, il film sarebbe potuto essere un vero cult. Purtroppo nel resto del minutaggio il regista gestisce male i tempi, dilatandoli talvolta in modo esagerato (la scena alle corse, veramente soporifera); così, fino all'entrata in scena (tardiva) di Savalas, ci si annoia abbastanza. Il resto è un buon noir alla Siegel, senza troppa azione, dall'atmosfera rarefatta e silenziosa come le paludi di New Orleans dove è girata una parte del film.
MEMORABILE: L'inseguimento iniziale; in galera; l'ascensore a vetri; la colonna sonora di Morricone (che riprenderà in Milano odia, la polizia non può sparare).
Noir di produzione italiana che impegna un cast internazionale capitanato dal granitico Charles Bronson. La trama non è particolarmente originale ma si tratta di un film in cui la forma e l'estetica cinematografica contano più di tutto e da questo punto di vista il regista Sollima dimostra di saperci fare. Purtroppo il film è limitato da qualche calo di ritmo di troppo altrimenti sarebbe stato notevole.
Un film culto per chi ha amato Charles Bronson prima della caratteristica serie del Giustiziere della notte, direi cucito su misura per lui, manifesto di un cinema artigianale ormai definitivamente scomparso in cui gli attori entravano a loro agio nei personaggi rendendoli credibili. L'opera di Sollima si apprezza ancora oggi nonostante la parte centrale presenti una caduta di tono abbastanza rilevabile. All'inconsistenza di Jill Ireland si contrappone un Umberto Orsini antologico. Musica indimenticabile, come il manifesto.
MEMORABILE: La sequenza della migale, l'esecuzione in ascensore.
Trama ruminata e poco rivoluzionaria per un noir che fa della fiscalità estetica il proprio stendardo qualitativo, irraggiato com'è da una fotografia che accende di tinte floride e briose i tanti scorci marittimi, urbani e palustri. La tentennante consecutio degli accadimenti accusa un pletorico surplus di rovesciamenti di fronte, compromessi, tradimenti, perdoni, inganni e alleanze ribaltate che alla lunga finiscono per ripetersi con simmetrica e snervante periodicità. Bronson presenzia laconico e rugoso, intridendo il film dell'odore di vissuto tipico delle sue polverose escursioni western.
MEMORABILE: Gli eccellenti e spericolatissimi inseguimenti automobilistici; Gli ottimi scenari statunitensi.
Noir poliziesco con ambientazione americana che presenta un inizio folgorante ma muto e una parte finale concitata ma al tempo stesso rarefatta e cinicamente drammatica. Nel mezzo un plot nella media fatto dì inseguimenti, amori e tradimenti. Valido Bronson.
Letteralmente salvato dalla straordinaria scena dell'ascensore e dall'impatto carismatico di Savalas nell'ultima mezz'ora, perché prima, per oltre un'ora, era stato di una lentezza e di una barba da profeta! Bronson è sempre stato uno dei miei attori preferiti, ma è un lituano inadatto ai film di casa nostra: troppo serio e professionale, quasi di pietra e non riesce a emulare l'Eastwood degli spaghetti-western e neanche il Lazenby o il Granger dei cosiddetti B-movies. Se la cava molto meglio la sua compagna Ireland. Pietra miliare la colonna sonora.
MEMORABILE: Anche la sparatoria iniziale non è male.
Il lungo inseguimento in auto iniziale e la silenziosa scena dell’ascensore sono due esempi di grande cinema che rammentano di che calibro sia il professionista Sollima; a difettare è invece una trama lineare e compatta con il relativo bagaglio di aggressività e disperazione che si addicono alle migliori storie noir. Nel ruolo standard di granitico killer, Bronson non riserva sorprese e meglio di lui funzionano la diabolica compagna Ireland, il boss gigione Savalas e l’anguillesco avvocato Orsini. **/**!
Visivamente ragguardevole, narrativamente farraginoso, per larghi tratti contorto. Sollima prende a modello il nuovo noir americano (il Boorman di Senza un attimo di tregua soprattutto) e certe dilatazioni “leoneane” (l’andirivieni temporale del montaggio) come cornice a una originale storia d’amour fou criminale. Così quella di Bronson (magneticamente atono) per la glacialmente zoccola (o cinica?) Ireland è la storia di una patologica ossessione romantica, troppo diluita e talora leccata però. Vibrante fotografia di Tonti, Savalas e Orsini villains doc.
MEMORABILE: L’inseguimento iniziale; La visita di Bronson nell’ufficio di Savalas con la vista sulla piscina dove la Ireland ciondola; L’ascensore esterno.
Il solito granitico Bronson nella parte che più gli si addice del solitario killer prezzolato, nonchè sfortunato in amore. Inizio scoppiettante con un lunghissimo e spettacolare inseguimento, poi il ritmo langue e si trascina senza grossi colpi di scena verso la fine, dove improvvisamente Sollima tira fuori dal cilindro un epilogo coi fiocchi.
Discreto film di genere: i protagonisti interpretano le consuete maschere che ci si attende da loro: Bronson marmoreo, Savalas boss compiaciuto, Costantin gregario infido. Decisamente originale Umberto Orsini come ambiguo e rampante avvocato. Invece Jill Ireland, nei panni della dark lady, non riesce a reggere il ruolo. Per il resto, un prodotto abbastanza professionale, però connotato da ritmi piuttosto blandi e con una impennata finale inaspettata. Tutto sommato, si lascia vedere.
Un killer di professione finisce in carcere e una volta uscito si mette sulle tracce della sua donna che nel frattempo si trastulla con un potente boss. Se la prima parte sembra banale, la seconda s'intensifica secondo sviluppi inaspettati. Charles Bronson alla fine non si discosta dall'eterno personaggio di "giustiziere folle".
Noir molto lento ma affascinante, diretto con buona mano da Sollima che riesce a tenere desta l'attenzione con una serie di colpi di scena riusciti e con personaggi ben caratterizzati (su tutti quello affidato alla Ireland, piuttosto brava in questo ruolo). L'azione è poca, ma l'atmosfera che si respira nel film basta a coinvolgere. Finale in ascensore diretto in modo superbo. Buone le musiche di Morricone.
Noir moderno (ci sono i gangster e, specialmente, una femmina notevolmente fatale) dalla buona atmosfera e con esiti quasi classicistici da "cherchez la femme...". Suggestivo nella parte iniziale e nel finale (che è probabilmente la sua cosa migliore: ben girato, tragico e poetico al punto giusto). Poteva essere un ottimo film ma purtroppo ci sono dei difetti (scene e dialoghi tirati per lunghe, per esempio) che ne minano il ritmo, la tensione psichica e la forza narrativa e visiva.
Sergio Sollima era un regista ambizioso, tanto da arrivare a girare questo noir in America con buoni mezzi. Bronson è il solito killer in cerca di riscatto che verrà tradito dalla sua ex. Diretto in modo impeccabile, purtroppo manca del ritmo giusto per coinvolgere come dovrebbe. Si riscatta con un finale che vale da solo la visione. Efficaci come sempre le musiche di Morricone.
Buon noir di Sollima, precursore dei lavori di Di Leo e in un certo senso della stagione poliziottesca che sarebbe esplosa da lì a poco. Notevole l'attacco con il lungo inseguimento in auto, quasi di stampo leoniano (la prima battuta arriva dopo circa dieci minuti) e azzeccato anche il finale muto, che non fa sconti a nessuno. In mezzo, la storia si sviluppa secondo i canoni tradizionali di tradimento e vendetta, che fanno da fili conduttori. Bronson perfetto per la parte, ma è la Ireland a farla da padrone, bionda e diabolica come la Bouchet di Milano calibro 9.
Originale per come impostato, un vero “noir” ma con un sottofondo quasi straniante e personaggi che si affacciano al surreale. A partire dal protagonista fino alla donna suo “tragico” amore, si avanza nella melma dell’ambiente dei nuovi capitalisti americani, un tempo chiamati più modestamente banditi. Una regia sicura guida bene la vicenda anche nei tratti intermedi che patiscono un po’ di staticità, ma questa è una caratteristica voluta e può essere considerata anche vincente. Finale non a sorpresa ma talmente bello da risultare sorprendente.
MEMORABILE: "Perché questa volta l'ho guardato.."; "Amore mio, non farmi soffrire...".
Accostato spesso da qualcuno al poliziesco all'italiana, in realtà se ne discosta parecchio e non solo per le location e il cast internazionale. Siamo più dalle parti del noir americano, sia per la dilatazione dei tempi sia per i personaggi malinconici e complessi. Ottima la regia di Sollima, abile nelle scene d'azione e nei momenti di tensione. Finale con vendetta al cardiopalma. Perfetti Bronson e Savalas.
Chissà, forse era una moda o una keatoniana clausola contrattuale quella di far tacere Bronson per un quarto d'ora; di fatto il pre-winneriano Sollima gli dà la favella solo dopo 720 memorabili secondi, tra semi-sperimentali titoli di testa multicolor che lo designano bersaglio mobile e un serratissimo inchasepit. A un passo dal polar, la regia marginalizza il cast per (farci) fare terzo grado a silenzi e immagini, poiché essi sono i soli interpreti che contano. Ne fuoriesce un cinecorpo più da contemplare che da seguire, che s'acciacca proprio nel rientrare in carreggiata narrativa.
Buon noir che sopperisce alla scarsa originalità della storia con una confezione e una messa in scena superiore alla media dell'italico cinema bis: Sollima dispone delle facce giuste, può contare su un ottimo comparto tecnico a livello di musiche, fotografia e montaggio e di suo ci mette un buon gusto nelle inquadrature e nella composizione delle immagini. Cast adeguato al genere: ai granitici Bronson e Savalas fa da contraltare il viscido avvocato del talentuoso Orsini, anche se il personaggio che rimane più in mente è la poligiochista Ireland: routine sì, ma di gran classe.
MEMORABILE: L'inseguimento iniziale e il finale in ascensore: da antologia del genere.
Noir di spessore, magari derivativo nella sceneggiatura (e dire che l'hanno scritta in molti e pure bravi!), ma impreziosito da un'ambientazione suggestiva, dalla splendida fotografia di Aldo Tonti e dall'intrigante colonna sonora di Morricone. Sollima tende un po' all'autocompiacimento (la sequenza dell'omicidio alle corse è dilatata fino all'esasperazione), ma gira un incipit e un finale da antologia. Bronson è un killer meno granitico di quanto appaia, Savalas entra in scena tardi ma lascia il segno, Orsini è perfetto, ma a tirare i fili è una Ireland tanto bella quanto infida.
MEMORABILE: L'inseguimento iniziale; La visita di Bronson a Savalas mentre la Ireland si rilassa in piscina; Il finale, con la silenziosa sequenza sull'ascensore.
Bella partenza a manetta con un inseguimento tra auto condito da sparatoria, una dozzina di minuti senza dialoghi; però poi la mdp prende a dilungarsi su particolari insignificanti. Si aggiungano la fissità marmorea di Bronson ("Ma te non parli mai? ") e qualche battuta a vuoto nei dialoghi ed ecco la fastidiosa sensazione di dover passare per le forche caudine per arrivare alla fine. Naturale che all’apparire di Savalas venga da esultare come un gol al 90° minuto; un po’ tardi, per un film che proprio nei minuti finali offre il meglio di sé. In complesso un’occasione mal sfruttata.
MEMORABILE: La scena del ragno tarantola ricorda quella di Bond, risolta con ben altro esito.
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Selezionato da Quentin Tarantino per il quinto QT Film Festival(2001) ad Austin in Texas.Il film è stato presentato nella sezione Italian Crime Spree.La particolarità dell'evento sta nel fatto che tutte le pellicole proposte dal regista vengono direttamente dalla sua collezione privata.
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (giovedì 14 luglio 1988) di Città violenta:
CuriositàZender • 25/11/15 17:15 Capo scrivano - 48676 interventi
Dalla collezione "Sorprese d'epoca Zender" il flano del film: