Riflessioni sul doppiaggio nel cinema italiano

4 Febbraio 2008

La tecnica del doppiaggio, a partire dagli anni 50, si sviluppa e perfeziona di pari passo con la massima stagione del cinema italiano, ma finisce allo stesso tempo per provocare riflessioni a livello commerciale e finanche ideologico e politico sullo specifico filmico; si parla qui naturalmente non degli attori che doppiano se stessi, ma di voci di soggetti che prestano le proprie inflessioni ad altre facce, sia nel cinema italiano che nella distribuzione italiano dei film stranieri.

Il punto, a parere di chi scrive in base ai dati appresi, è questo: a cavallo tra gli anni 50 e 60 si affermano grandi personalità registiche che per motivi diversi ritengono la tecnica del doppiaggio assolutamente necessaria per veicolare il proprio messaggio filmico (posto che a livello generale la presa diretta non veniva quasi considerata). Elenco a mo’ di esempio alcuni autori che più si sono avvalsi, per vari motivi, di questa tecnica:

1. Sergio Leone:
 Sergio Leone era un fautore del doppiaggio ed  i suoi set erano una babele di attori anche presi in giro per il mondo, funzionali per l’espressione del viso (per i celebri primi piani) anche se romani veraci come per esempio il mitico Mario Brega. Il risultato è che, per capirsi, in Per un pugno di dollari la voce dolente di Eastwood, ovvero il celebre “Spara Ramon” è di Enrico Maria Salerno, mentre Gian Maria Volontè, che da qui inizierà la sua carriera nel cinema, ha la voce di Nando Gazzolo.
 
2. Luchino Visconti: Anche il regista lombardo, grande perfezionista ma metteur in scene per propria cultura di pellicole che riunivano cast internazionali (America, Francia, addirittura la Grecia con Katina Paxinou, la madre dei fratelli Parondi) per motivi simili sceglieva di unire alla faccia dolente di Delon in Rocco e suoi fratelli  una voce  meridionale come quella di Achille Millo e di dare al fratello antagonista Simone (Renato Salvatori) il tono stupito dell'attore pugliese Riccardo Cucciolla per l'improvvisa "abbondanza" dell'ambiente circostante.
 
3. Pier Paolo Pasolini: forse il regista più “costretto” ad utilizzare la tecnica del doppiaggio, posto che per esplicita scelta artistica molti dei soggetti utilizzati per i suoi film erano letteralmente e non metaforicamente presi dalla strada; basti pensare al Cristo de Il Vangelo Secondo Matteo, uno studente spagnolo a cui anche qui Enrico Maria Salerno presta stavolta accenti sferzanti per evidenziare gli insegnamenti del Cristo.
 
4. Federico Fellini:
il regista romagnolo, fra quelli qui citati, era il più strenuo ed entusiasta  fautore del doppiaggio; perché, oltre alla considerazione che la sua innata vaghezza poteva anche fargli cambiare idea sui testi della pellicola già girata, gli permetteva di recuperare non solo attori, ma anche solo facce funzionali alla storia che raccontava (e ai quali in presa diretta faceva solo dire dei numeri). Curiosi risultati sono visibili per esempio in Amarcord, dove la madre del protagonista, una napoletanissima ed isterica Pupella Maggio, è doppiata dalla paciosa attrice emiliana Ave Ninchi.
 
Con questi brevi excursus  ho voluto soltanto evidenziare il perfezionamento della tecnica del doppiaggio nel nostro Paese, dato che i film citati hanno riscosso successo non solo per il volto degli attori ma anche per le loro voci.
Il punto è che, a partire dalla fine degli anni 60 (mentre l’industria cinematografica è al top in tutti livelli), dall’ultimo successo di Antonioni alle decine di film di Franco e Ciccio si levano delle voci di dissenso nei confronti di tale pratica che, a parere di alcuni, è anche un modo per permettere ad attori minori frustrati di far sentire la propria voce e a facce gradevoli, magari straniere (ricordiamo che in quel periodo erano tantissime le coproduzioni per esempio con la Francia) di evidenziare una recitazione che nella realtà non esisteva perché le emozioni erano veicolate da terzi.
Promotore di questo dissenso è soprattutto il già citato Gian Maria Volontè, il quale negli anni 70 inizia un braccio di ferro con i produttori ed in genere l’establishment cinematografico per far sì che sia confermata una volta per tutte l’unione tra la voce ed il volto dell’attore; com’era facilmente prevedibile, i suoi sit-in ed i dibattiti da lui promossi gli causano ostracismi ferocissimi da parte dell’ambiente cinematografico che gli impediranno di fatto, per un certo tempo, di lavorare in Italia.

A conclusione di questo breve excursus, un discorso a parte merita il doppiaggio italiano affermatosi dalla metà degli anni 70 ad oggi. Mentre si affievoliscono le lotte ed i dibattiti in concomitanza con la crisi del cinema italiano (il quale per vari motivi vede diminuire gli incassi e svuotare le sale), si fanno strada alcuni doppiatori per film non italiani i quali, per la forza che riescono ad evocare, entrano nell’immaginario collettivo. Il pensiero corre al mai dimenticato Ferruccio Amendola, doppiatore di Robert De Niro, Al Pacino, Sylvester Stallone (anche se il primo Rocky non è stato doppiato da lui ma da Gigi Proietti, che ha doppiato De Niro anche in Mean Streets e Casinò); 
c’è però da chiedersi senza ironia che cosa sarebbe successo se fosse arrivata in Italia una pellicola in cui i tre attori recitavano insieme; in effetti nel 1995 esce Heat – la sfida: nello stesso film sono presenti Robert De Niro e Al Pacino; non si può non avvertire un piccolo senso di straniamento e di curiosità per una situazione così particolare, anche se come avverrà molte altre volte in futuro, Giancarlo Giannini dona alla voce di Al Pacino una nota malinconica che ben caratterizza i personaggi scelti dall’attore italo–americano (valga su tutti l’ex spacciatore Carlito Brigante di Carlito’s Way).

Di certo la questione del doppiaggio e dell’unione voce-volto attualmente si è molto affievolita, anche perché l’avvento del supporto dvd permette a chi lo desidera di seguire un film con le tracce originali. Resta da rilevare, invece, che adesso si è affermato il filone della voce "guest star", ovvero della voce di un personaggio famoso (non necessariamente un attore professionista) che presta la propria voce di solito in un film di animazione: si pensi ad esempio a Toy Story, dove i protagonisti sono doppiati da Massimo Dapporto e da Fabrizio Frizzi.
 
ARTICOLO INSERITO DALLA BENEMERITA GUGLY

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commenti (1)

RISULTATI: DI 1
    Erreesse

    13 Aprile 2012 22:24

    ci sono unioni voce-volto straordinarie Ricordo solo gli esempi più noti: Woody Allen - Oreste Lionello; Peter Falk - Giampiero Albertini; David Niven - Nando Gazzolo; Fernandel - Carlo Romano; Gloria Swanson - Andreina Pagnani; Victor Sjostrom - Amilcare Pettinelli; Jean Gabin - Emilio Cigoli; Tony Curtis - Pino Locchi; Kevin Spacey - Roberto Pedicini; Richard Gere - Mario Cordova; Clint Eastwood - Michele Kalamera ... e così via