Umberto Lenzi torna al genere che lo ha visto protagonista tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta (ovvero il giallo psicologico, non più erotico come in ORGASMO e PARANOIA ma altrettanto cervellotico) con un film che parte da un soggetto molto interessante ma si svaluta per colpa di una sceneggiatura confusa che non sa metterne a fuoco le migliori intuizioni. SPASMO infatti, per sorreggere una storia abbastanza complessa e intrigante con un finale psicologicamente stimolante e imprevedibile (forse di non immediata comprensione ma che spiega il perché della presenza degli inquietanti manichini...Leggi tutto costantemente richiamati) necessitava di un montaggio che coprisse le falle di una sceneggiatura approssimativa. Invece riuscire a comprendere tutto non è affatto semplice. Il cast non è dei migliori, con Robert Hoffman e Suzy Kendall che continuano a sgranare gli occhioni azzurri e Ivan Rassimov che al contrario socchiude le sue fessure nere per conferire espressività a un personaggio disegnato male. Resta comunque un lavoro a sé stante, nel panorama di thriller simil-argentiani che invadevano la scena italiana di quegli anni: molto meno violento (anzi, quasi per nulla), più riflessivo ma ugualmente carico di una morbosità paranoide figlia legittima dei trascorsi lenziani citati poco più sopra. Se non fosse per la sciatteria di alcune scenografie (ma solo di alcune) ne conserverebbe anche il medesimo fascino insolito. Nel complesso comunque il film, benché un po' lento e sconclusionato, si lascia seguire con attenzione.
Due film, col primo di 60', alla "le cose son diverse da come sembrano". Poi vira sull'azione, senza farsi thriller. Prima parte statica, con moti pongistici (torre-motel-torre...). Dialoghi talora surreali, d'umorismo involontario. Molto meglio 7 orchidee, meno lenziano ma più omogeneo. Peccato, perché la trovata delle bambole è interessante. La Kendall pare un po' gonfia. Lastretti gioca colle palline, come Bogart nel Caine. Robert Hoffmann così così. Girato all'Argentario (all'inizio si vede la Rocca di Porto Ercole).
È un Lenzi poco ispirato quello che firma questo giallo derivato da Psycho e sviluppato su una sceneggiatura forse troppo audace (ed incomprensibile) per l'epoca. Ma il film ha comunque parecchie frecce al suo arco, a cominciare da un cast di estremo interesse, nel quale spicca la bellissima (quanto brava) Suzy Kendall. Ci sono momenti che sembrano buttati là per generare tensione (i manichini affissi in ogni angolo), ma che ad una seconda visione del film trovano (è il caso di dirlo) la giusta collocazione. Incredibile il manifesto d'epoca.
Niente male. In fondo è una rivisitazione degli stilemi lenziani, con meno erotismo e un po' più di azione. Ci sono belle trovate, lontani echi baviani, e - al solito - un'eleganza e pulizia registiche che elevano comunque i gialli del nostro sopra la media del filone. Magari la suspense è pochina, e la cosa più terrorizzante alla fine è il toupè di Ivan Rassimov... Soddisfacente il cast "de genere".
Thriller singolare e interessante. Il ritmo è lento e il protagonista è sottotono, ma la sceneggiatura è curiosissima e la regia di Lenzi riesce a tenere alta l'attenzione. Non male la fotografia e la colonna sonora di Morricone. Memorabile il colpo di scena che chiude il film. Da vedere senza dubbio, tra i migliori thriller del regista.
Machiavellica thrillerata lenziana che supera, per complessità, l'intera trilogia precedente. Ciò non basta però a rendere il film sufficientemente coinvolgente, visto che, per dover spiegare troppo, la regia perde in godibilità e sembra solo affiancare colpi di scena in sequenza in modo meccanico, senza riuscire a sfruttare come potrebbe (ad esempio) la bella ambientazione grossetana. L'austriaco Hoffman è legnoso, la Kendall abbastanza anonima. Si entra davvero nel film solo nel finale, prima ci si chiede a lungo dove si voglia andare a parare.
MEMORABILE: Certe bambole rambaldiane lasciano il segno.
Il miglior giallo lenziano, ricco di colpi di scena, con un ottimo cast a partire da Robert Hoffman, la Kendall, la Monet, Alberti, Rassimov. E c'è pure il mito Tom Felleghy nel ruolo del padre dei due fratelli! Tra i caratteristi segnalo Luigi Antonio Guerra. Il tema musicale di Ennio Morricone entra subito in testa, la fotografia è ottima così come l'idea portante (di Lenzi) dei manichini. Colpo di scena notevole.
L'ho trovato lievemente prolisso, specie nella parte centrale. Ma Lenzi, con riprese, musiche, uccelli impagliati e quant'altro riesce a rendere un po' la situazione di straniamento vissuta dal protagonista e alla fine il film si fa vedere con piacere. Belle le location, un po' impagliato Robert Hoffmann. Discreto il dvd, interessante l'intervista a Lenzi.
Thriller lenziano d.o.c., che lascia da parte le morbosità erotiche e i serial-killer di altre sue pellicole del genere per creare un intreccio psicologico altamente cervellotico e hitchcockiano. Cast eccellente e un susseguirsi di colpi di scena e di inversioni di marcia che cercano in tutti i modi di spiazzare lo spettatore. Talvolta la sceneggiatura è un po' tirata per il collo e sembra cercare di complicare eccessivamente una vicenda già confusa di per sè, tuttavia se si segue attentamente il film funziona e il finale è notevole.
Direttamente collegato ai gialli “complottisti” con la Baker, ne smorza i toni erotico-chic e – su influsso di Psyco - vi introduce l’elemento della follia: risultato più che buono, nonostante la sceneggiatura macchinosa e fragile. La Kendall e Alberti sono professionali e convinti, Lastretti minaccioso come il villain di un noir americano, Hoffmann parte statico ma poi si evolve e anche lui fa la sua bella figura; Rassimov contenuto. Gustose presenze femminili della Monet e della Conte. Estetica baviana negli zoom e nelle bambole.
Edipico e psicoanalitico, gli espedienti per costruire una discreta "cappa" di tensione, un senso di oppressione e di angoscia saranno a volte ingenui, ma funzionano. E infatti il film non annoia, benché lento e a tratti un po' stagnante, e si rivede anche volentieri, apprezzando maggiormente la sempre grande cura e il grande gusto di Lenzi per le ambientazioni e per le inquadrature. Notevoli i manichini, personaggi di un incubo!
Giallo macchinoso ed intricato ma dotato di una certa efficacia. Lenzi ha saputo girare con maestria un tipico prodotto legato inevitabilmente agli Anni Settanta a partire dalla lentezza della messa in scena (se visto con occhio odierno, può risultare tedioso, tuttavia il film è destinato a chi sa apprezzare questo genere e il cinema di quel decennio). Poco sangue ma molta suspence o meglio ansia. Girato quasi interamente in ambientazione grossetana notturna.
Thriller in puro stile lenziano, che si pregia di interpreti molto rodati e location abbastanza invitanti. Buone alcune riprese e trovate visive, particolarmente efficaci le bambole - vittime, mostrate dalla mdp quasi come in un racconto parallelo. La trama ha i buchi classici del genere ma (pur con parecchi tempi morti) riesce a districarsi abbastanza bene, soprattutto nel finale. Non memorabile, ma discreto.
Apprezzato di più in seconda visione. Soggetto con un buono spunto ma relegato al finale, sceneggiatura zeppa di errori (lungaggini, inverosimiglianze, dialoghi surreali): in compenso la regia è ottima, riesce a costruire un clima morboso senza sesso e spaventoso senza violenza. Buon cast, nonostante l'inespressività di Hoffman. I manichini sembrano provenire da Il rosso segno della follia. Non il capolavoro del regista, ma un film molto personale (a partire dalle ambientazioni).
La storia è un pateracchio messo insieme assemblando tutti i cliché possibili ed immaginabili del thriller all'italiana: cioè si incasina di brutto la trama di modo che, qualunque soluzione esca dal finale, sia comunque una sorpresa per il frastornato spettatore. Cinema invecchiatissimo, al di là di una apprezzabile cura formale: e la serie di filmini in super8 che guarda Ivan Rassimov sono montati in modo ridicolmente professionale.
Lenzi ha dato il meglio di sé nel giallo e nel poliziesco e questo "Spasmo" ne è l'ennesima riprova. Girato con impeccabile eleganza e con un ritmo volutamente lento (forse un po' troppo) la trama ha dei risvolti decisamente imprevedibili e il finale è di quelli che non si dimenticano. Fantastico Ivan Rassimov (una delle maschere più belle di tuto il cinema di genere italiano), scolastica la Kendall, un po' legnoso Hoffmann. Ma la vera forza del film non sono gli attori ma bensì la storia. E una regia da Oscar. Fondamentale.
Rigido, rozzo e puerile. Rigido perché privo di fluidità tra prima e seconda parte, nell'accordo tra personaggi e interpreti, nell'addizionare elementi senza mai pervenire ad una sintesi compiuta. Rozzo perché il vortice di avvenimenti in cui precipita il protagonista non ha nulla di verosimile, a partire dalle sue stesse reazioni, e l'inganno si fa subito lampante. Puerile perché sdogana quantità di indizi omettendo pavidamente qualsiasi nozione utile a interpretarli. Facili sprazzi di morbosità nel finale e un certo fascinoso retrogusto a visione ultimata. Musiche a tema di Morricone.
Particolare "giallodigenere", con poca violenza e senza erotismo, quindi davvero particolare. Lenzi gioca la carta sorpresa, raccontando una storia ingarbugliata ed apparentemente illogica, poi riassunta in breve nei suoi come e perché. Forse alla fine le spiegazioni non bastano per giustificare l'andamento degli eventi, forse i piani sono anche riusciti troppo bene. Comunque ci sono apprezzabili scenografie, buon gusto nell'estetica e un finale ricostituente. Complessivamente un buon film per (quasi) tutti.
Negli splendidi scenari dell'Argentario, Lenzi realizza questo film psicologico in cui l'inquietudine non si mostra con scene truculente ma si evidenzia con labili figure mentali che implodono nella seconda parte della narrazione. Efficace e ben narrato, coadiuvato financo dal maestro Morricone, si avvale di un discreto cast.
Un thrillerone complottistico implausibile, contorto e scompaginato, che si perde nelle viuzze sterrate di uno script caotico e senza senso, redatto a quattro mani con deprecabile disinvoltura superficialotta, forse confidando nella presunta dabbenaggine del pubblico medio. Lenzi fa il passo più lungo della gamba e s'impelaga in una costruzione hitchcockiana ben al di sopra delle proprie capacità coordinative. No comment sulle sgonfie prestazioni della coppia Hoffmann/Kendall o sui "prelievi" baviani non autorizzati. Un'offesa bella e buona all'intelligenza di ogni spettatore.
MEMORABILE: La sfacciatissima "citazione" della stanza segreta coi manichini femminili, ripresa pari pari da Il rosso segno della follia di Bava...
Umberto Lenzi con il genere thriller ha sempre dimostrato di saperci fare. Spasmo, pur non essendo molto originale, fa salire abbastanza la suspence e propone intrighi sono ben delineati. Quello che manca al regista è un buon cast. Le musiche di Morricone sono discrete.
Thriller lenziano-baviano (c'è più di un di “debito” nei confronti del grande Mario) di modesta fattura che sconta una sceneggiatura priva di nerbo e di veri colpi di scena. Il primo segmento è inizialmente lento nel carburare ma riesce nel prosieguo ad interessare abbastanza poiché si ha un po’ di curiosità nel capire cosa c'è dietro. Il secondo invece si mantiene a ritmi blandi e toppa quando è il momento di sciogliere i nodi, palesando più di un buco in fase di scrittura. Male gli attori protagonisti, discreta la ost di Morricone. Piccolo ma riuscito sussulto nell'ultima scena.
Giallo psicologico Lenziano troppo saturo di accadimenti e ahimè mal condotto. Un peccato, l'andamento ondivago e stiracchiato, perché le idee guida son tra le più fascinose del già fecondo panorama thriller italiano anni '70. In particolare la trovata del serial killer di bambole come quella del filmino, da cui si evince una delle coppie di fratelli diabolici più "tarate" che il Cinema ricordi. Nota dolente la coppia protagonista: Hoffmann (Delon de noantri) e la (peri)patetica Kendall; meglio Rassimov e cast laterale. Non invadente soundtrack di Ennio.
MEMORABILE: Cristian: "...Nn lavoro, sono il maggior azionista dell'azienda di cui mio fratello è il padrone": non male col senno del poi, come ironico indizio.
L'idea in sè era tutt'altro che nuova, ma avrebbe ugualmente potuto essere foriera di sviluppi ben più pregnanti se non fosse stata tarpata sul nascere da una sceneggiatura raffazzonata e inconcludente e soprattutto dalla desolante inespressività dei due protagonisti principali. Lento dove dovrebbe assumere un ritmo incalzante e frettoloso dove dovrebbe permettere allo spettatore di entrare nella storia, il film non riesce quasi mai a creare atmosfera se non per qualche elemento accessorio, come i bei paesaggi e le suadenti note morriconiane.
MEMORABILE: Il finale nella stanza dei manichini, suggestivo ma troppo slegato dai punti focali della vicenda.
Giallo assai sconclusionato: le azioni di tutti i personaggi seguono una sola legge, quella di cercare di confondere il più possibile le idee agli spettatori, senza che si possa minimamente trovare in esse un'ombra di logica. La prova della Kendall è assolutamente insufficente; meglio di lei (anche se non di molto) il protagonista Hoffman. Apprezzabile la scelta di eliminare quasi totalmente la violenza. In sostanza un film che si può vedere tranquillamente (ha anche numerosi "fan") ma che è ben lontano dall'essere buono.
Interessante ma ondivago thriller psicologico in cui il regista va oltre il banale anche se tarda a carburare e talvolta non si capisce bene dove voglia andare a parare. Gli attori si impegnano, funzionicchiano, ma non si smarcano dal solito repertorio di zoommate senza senso, amari e occhi sgranati (vaccate peraltro tipiche del genere). Buone le note di Morricone e il climax generale della pellicola che sfocia/prende corpo in un bel finale.
Non solo il miglior thriller di un regista vulcanico, ma uno dei migliori in assoluto nel suo genere. La forza, ancor più che nel protagonista, sta nell'intercalare di personaggi intermedi che danno un fortissimo impatto e un'infinità di cambi di direzione alla fantasia dello spettatore (in primis Alberti e la Monet), ma ancora più da urlo è quando si scopre che cosa era veramente successo in certe situazioni lasciate momentaneamente in sospeso. E che dire dello strumento sublime dei manichini? Ca-po-la-vo-ro!
Una malattia ereditaria, una mente malata, una donna contesa e tanti inquietanti manichini al centro di questa pellicola in cui regnano sovrane le storture di una mente insana, una mente che oscura la ragione prendendone il sopravvento. Lenzi sa il fatto suo come regista, mentre le sonorità di Morricone contribuiscono a ipreziosire il film. Un thriller psicologico cadenzato, in cui passati traumi ritornano alla memoria in un meccanismo angoscioso di morte. Memorabile.
L'idea dei manichini, che durante il film appaiono un po' ovunque, è molto riuscita; purtroppo i dialoghi poco originali della prima parte e l'interpretazione degli attori, non aiutano una pellicola che altrimenti, grazie a un bellissimo finale, avrebbe meritato sicuramente di più! Comunque consigliato!
Giallo più psicologico che d'azione con una trama che, soprattutto nel finale, si rivela intrigante e ne costituisce il punto di forza e interesse. Punto debole sono invece gli interpreti, molto legnosi, a cui si aggiungono alcune incongruenze (vedi il sangue nel bagno, che non ha ragione di esserci). Per essere un film anni 70 la componente erotica è da film parrocchiale. Ah, il killer assoldato pare Dylan Dog: camicia rossa, giacca nera e... ha pure il maggiolino cabrio!
La follia omicida corre in famiglia in questo giallo lenziano che svela tutti i suoi intricati e ambigui retroscena solo sul suo finire. La trama è decisamente arzigogolata e gli interpreti finto-drammatici (Suzy Kendall ha una recitazione perennemente incredula), ma il mistero continuo accentua un sottofondo di tensione che tiene sempre alta l'attenzione, mettendo in secondo piano la verosimiglianza della storia.
L'atmosfera paranoica è resa benissimo da un Lenzi ispirato, che delinea inquadrature enigmatiche dense di un certo fascino malsano. Purtroppo la storia rasenta il ridicolo per la troppa ciccia messa sul fuoco e gli snodi narrativi sono esplicitati malissimo e certe sequenze rimangono logicamente incomprensibili. Sul versante attoriale c'è da mettersi le mani nei capelli, vista la pochissima verve della coppia Kendall- Hoffman. Un film di pura regia che in certi frangenti si fa ansiogeno e serrato (anche grazie al maestro Morricone).
"Spasmo" non è tra i migliori thriller di Lenzi, che ha fatto di meglio alla fine degli anni '60; colpa di attori poco espressivi (Suzy Kendall perennemente stupita) e una trama confusa, non semplice da seguire. Il regista confeziona comunque un film elegante e la sua mano si sente soprattutto nel confronto finale tra i due fratelli (Hoffmann e Rassimov), dove nessuno della famiglia ne esce bene. Da sottolineare anche le musiche di Morricone.
Classico giallo psicologico girato con maestria da Umberto Lenzi nel periodo coevo ai primi successi di Argento. Il film si presenta sin da subito interessante, ma paga una trama troppo confusa dove solo alla fine si riesce (a fatica) a far quadrare tutto. Buona la prova del cast ma niente di eccezionale. Belle le riprese all'Argentario.
Thriller psicologico niente male, anche se la trama risulta essere un po' debole in certi passaggi. Il tema principale è quello della follia umana e Lenzi è bravo nell'incuriosire lo spettatore rivelando particolari con il contagocce. Colonna sonora firmata da Ennio Moricone che come sempre è bellissima. Sicuramente non tra i migliori del genere, ma comunque un buon film.
Incredibile come Lenzi faccia quadrare tutto piano piano e inesorabilmente, riuscendo a realizzare uno dei finali più gloriosi della scena thriller italiana. Sicuramente la prima parte è il punto debole del film, vuoi per gli attori o per i dialoghi un po' troppo banali, che non contribuiscono a rendere la vicenda eccessivamente fluida; ma l'impressione è che Lenzi si sia divertito ai danni dello spettatore, che si troverà completamente spiazzato nella seconda fantastica metà del film. Grandi musiche e grandi riprese.
Forse alcuni spunti sono derivativi e ciò è un'indubbia pecca; è altrettanto indubbia, però, l'abilità di Lenzi. E poi mi piace riaffermarlo: se tali film dopo mezzo secolo ancora mantengono una piacevolezza narrativa un motivo ci sarà: il richiamo dello scioglimento giallo, la fotogenia degli attori, una sceneggiatura intrigante seppur traballante... Morricone assicura un mezzo pallino in più: è un genio, ho detto anche questo; e anche questo amo riaffermare.
Un brevissimo prologo, fulminante e insinuante - di cui si capirà il macabro significato nell'ultima sequenza - e titoli di testa: manichini femminili tragici, melodia morriconiana avvolgente. L'ipnosi ha inizio, paranoica, di strana nitidezza, dove l'ipnotizzato sembra essere il protagonista; si intuisce una realtà complottista ma il tessuto figurativo depista e confonde, le immagini si caricano d'ambiguità e Morricone insiste con note da mistero languido; intanto il narrato incalza, infine risolto con allucinati flashback e chiusa circolare.
Era certamente il periodo d'oro dei thriller italiani, e anche questo film non ne smentisce il fascino inimitabile. Sebbene nella parte centrale il ritmo si riduca senza troppi guizzi, l'epilogo lo riscatta ampiamente, risultando ben congegnato e imprevedibile. Particolarmente affascinante l'idea dei manichini che ricorrono continuamente, caratterizzando così una trama che finisce per inquietare al punto giusto. Peccato per un inizio un po' pasticciato che abbassa il giudizio finale. Comunque consigliato ai nostalgici del genere.
Lenzi ha girato sicuramente più di un film migliore di questo, ma dovendo introdurre il regista a un neofita gli si può suggerire di partire da qui. Non perché sia di per sé una pellicola illuminante (il soggetto, intrigantissimo, viene spesso frustrato da uno svolgimento che apre più di un buco logico) ma perché è l'espressione più alta di un modo di far cinema sincero e anticonvenzionale che, nei decenni successivi, si è gradualmente e irrimediabilmente perso. Plauso a un finale coerente che riesce a sposarsi con gli equilibrismi della trama.
A scavarci dentro del buono c'è eccome e il trademark lenziano del complotto ricomplottato aveva anche più frecce all'arco dei primi Orgasmi, con sfiziosi flashback d'infanzia e bambole sexy impiccate nel bosco come immobili intervalli d'orrore prelevati dall'atelier baviano. Ma poi parole, frasi e scene sembrano distribuite a caso per confondere, rimescolano maldestramente la storia farcendola di un poco ispirato onirismo che in breve si rivela arrancante e velleitario, lasciandoci storditi e scettici a godere della più immanente ricchezza foto-scenografica e delle musiche di Morricone.
MEMORABILE: Le tantissime bambole che fanno inquietante capolino tra le frasche.
Ordire un complotto è alla base di un buon thriller e molto si deve alla capacità di sviare le sensazioni senza destare sospetti. Funzione che il film svolge con efficacia, anche se in maniera differente da quanto preventivabile, palesando le proprie intenzioni solo nell’ultima parte. Difficile mettere subito assieme i pezzi per cercare di stanare il colpevole, ma poco importa perché Lenzi spinge bene sul versante psicologico, permettendo di capire il significato delle bambole soltanto alla fine.
Si sa che nel giallo prima e nel poliziesco/poliziottesco poi, Umberto Lenzi ha meglio dimostrato il suo talento dietro la macchina da presa. Anche questo "Spasmo" ne è la dimostrazione; le atmosfere sono inquietanti al punto giusto e lo si segue fino alla fine ma, in quanto a scrittura, non tutto funziona alla perfezione. Comunque, per gli appassionati del giallo 70's, è un film da vedere.
Inizia come peggio non si potrebbe (i personaggi fanno scelte incredibili: perché mai dovrebbero nascondersi in una villa non loro dicendo "qui siamo al sicuro"?) ma poi via via la storia prende forma e tutto ha una spiegazione plausibile. Umberto Lenzi si conferma un ottimo giallista, gli piacciono le scene ad effetto e le sa dirigere con sicurezza. Se poi amate l'Argentario, lo si può davvero ammirare in tutto il suo splendore.
Un’occasione sprecata. Un vero peccato perché l’idea di fondo era buona. Il cast non aiuta, con la scarsa espressività in questo frangente di Robert Hoffman. Sequenze narrative scollegate tra di loro, improbabili, pasticciate. In alcuni momenti sembra quasi di assistere a un episodio dell’Ispettore Derrick. Si può osservare in azione il killer più maldestro della storia del cinema. Assolutamente non paragonabile ai thriller lenziani di qualche anno addietro.
Giallo lenziano piuttosto ingarbugliato, che nella prima parte gira per lunghi tratti a vuoto (l'idea dei manichini è un po' tirata per le lunghe), salvo poi accumulare colpi di scena negli ultimi trenta minuti con una frequenza eccessiva. Peccato, perché il film è ben confezionato e Lenzi sembra piuttosto ispirato, anche se il cast, non particolarmente in forma, non lo asseconda a dovere (soprattutto Hoffman). Guardabile ma non all'altezza della fama che lo accompagna, Lenzi nel thriller ha fatto sicuramente di meglio.
Thriller sui generis, kafkiano e respingente, dinamico nell’allestimento degli eventi ma pacato nel dispergere la tensione. Il finale, che si preoccupa di mettere tutti i puntini sulle i, si tinge di reminiscenze gotiche e sancisce il trionfo della follia insita. Ottimo l’accompagnamento musicale di Morricone, che si divide tra il melodrammatico e lo psichedelico.
Il requisito fondamentale di ogni buon film giallo, si sa, è una sceneggiatura solida e quella di questo film, duole dirlo, fa acqua da tutte le parti. Resta naturalmente la buona mano di Lenzi alla regia, che sa sicuramente dove mettere la mdp, soprattutto nelle fasi più "movimentate", ma glissare su alcuni passaggi-chiave è come giocare con le carte truccate. L'apporto del cast è decisamente buono, con distacco per le prove di Lastretti e dell'austriaco Hoffmann, e la ost di Morricone si ascolta con piacere, ma resta un film modesto, non fra i migliori del bravo regista toscano.
Deludente, se si pensa che è un thriller di Umberto Lenzi. C'è del buono nella pellicola, vedi l'idea delle bambole e gli ultimi cinque minuti. Ma il resto appare piuttosto scialbo, senza particolari momenti esaltanti o colpi di scena degni di nota. È un thriller che viaggia sui binari della mediocrità, non aiutato da un cast poco ispirato e da una sceneggiatura caotica e confusionaria. Buone le location, purtroppo mal sfruttate. Solo per gli appassionati di Lenzi. Se si vuole scendere negli abissi della follia, il cinema italiano offre molto di meglio.
Il sodalizio - anche se non propriamente esclusivo - fra il cosiddetto "giallo all’italiana" e lo psycho-thriller è definitivamente sancito dall’entrata in scena di Rassimov e dal suo inappuntabile modus operandi. Tutto il contorno fatto di luoghi, caratteri e caratteristi è figlio di un linguaggio video-narrativo impreciso, traballante, ma pieno di tutti quei meravigliosi eccessi che hanno fatto del nostro cinema un vademecum per l’avvenire. Un buon film.
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volevo sollevare lo stesso problema, ma vedo che l'avete già fatto. Anch'io voto per il cambio del frame, a questo punto credo che anche per le 5 bambole valga lo stesso discorso (li i minuti di discrepanza sono 4).
Sky che manda copie volontariamente cut non esiste. Ripensandoci a volte le fa di queste cose, ricordo un paio di western classici passati su Classics di John Wayne e un altro con Gary Cooper che erano quasi invedibili, la velocità del frame era talmente alta che era palese a occhio nudo, quasi ridicolo.
Mi pare che ci sia un po' di confusione su come appare il nome dell'interprete principale di questo film.
Qui appare come: Robert Hoffman (Robert Hoffmann).
Copiando il cast da Imdb dovrebbe essere sempre Robert Hoffmann. (tra l'altro mettendo cliccando su Robert Hoffman si apre anche la filmgrafia di un altro, omonimo, attore).
Ci sarebbero un po' di schede da controllare e da mettere a posto
(Zender, se sto dicendo delle castonerie, fammelo notare e cancella pure tutto)
DiscussioneZender • 13/06/18 14:28 Capo scrivano - 48382 interventi
Sì, hai ragione, ho sistemato, grazie.
HomevideoZender • 10/10/18 14:02 Capo scrivano - 48382 interventi
Purtroppo il bluray 88films, peraltro piuttosto granuloso, ha i sottotitoli inglesi non escludibili sulla traccia italiana.
HomevideoZender • 1/11/18 13:51 Capo scrivano - 48382 interventi
Nell'abbattere il papiro ho trovato una curiosa frase sull'homevideo che non va messa nei commenti (quindi neanche nei papiri) e che riporto qui:
SPOILER (...) specie se si guarda la versione homevideo full screen con il filmino familiare tagliato a causa delle dimensioni TV e la frase finale "Quella di Christian è una malattia ereditaria… ereditaria" inspiegabilmente in inglese.
Le bambole impiccate e/o seviziate che si vedono nel film e costituiscono uno dei suoi momenti di interesse non sono certo una novità nel cinema, ma esiste un posto dove le bambole ci sono per davvero e sono particolarmente simili a quelle del film di Lenzi: è l'Isola delle Bambole (Isla de las Muñecas) nei pressi di Città del Messico, dove si possono vedere decine di bambole impiccate, molte sono mutilate e inchiodate agli alberi e l'effetto visivo d'insieme non è dei più allegri. L'isola è oggi visitabile ed è frequentata dal cinema fin dal 1943, quando il regista messicano Emilio Fernández vi girò il film Maria Candelaria con Dolores del Rio. Chissà se Lenzi conosceva il posto ai tempi delle riprese, certo le coincidenze non sono poche... Rimando i più interessati alla fonte per maggiori approfondimenti.