Aggiornare un classico sordiano come IL VEDOVO non era impresa facile, proprio per la grande impronta che l'attore romano aveva saputo lasciare sul film caratterizzandolo fino a plasmarlo totalmente sul suo personaggio. Pensare che un buon commediante come De Luigi potesse raccoglierne l'eredità era pura utopia: serviva una sceneggiatura impeccabile, o magari una verve sconosciuta a De Luigi che invece percorre il film come un cane bastonato quasi incapace di una reazione, mai una volta vicino all'ingenua fierezza di Sordi. Al contrario la Littizzetto, cui spetta il ruolo di spalla, pur non potendo disporre della stessa nobiltà...Leggi tutto da palcoscenico della Valeri regge in qualche modo il duro paragone grazie alla spontaneità che le è propria. Dietro ai personaggi bisognerebbe tuttavia considerare come è costruita la storia, e qui va notato che il tentativo di contenere la comicità sbracata del nostro cinema contemporaneo più leggero per riavvicinarsi all'incisività delle commedie passate produce un ibrido poco convincente. Mancando le tipiche gag magari vetuste su cui spesso si poggiano questi film, ci si accorge della scarsa capacità di scrivere storie articolate che prevedano scene vere e non solo scenette, situazioni credibili che si avvicinino alla realtà caricaturizzandola ma senza precipitare nell'iperbole. Una sequenza come quella in cui De Luigi si sfoga lungamente tra vini e formaggi in cantina senza costrutto illustra piuttosto bene la povertà dello script, che forse sperava di ritrovare nell'espressione sorniona del suo protagonista appigli comici che non arrivano mai. Senza un canovaccio solido entro cui innestare la propria simpatica comunicativa il nostro finisce con il trovarsi spaesato. Ci fa allora miglior figura lo Stucchi di Alessandro Besentini (per una volta non in coppia con "Franz"), il volto modellato su un'espressione di costante preoccupazione: mai un sorriso, solo il grigiore di un sottoposto che non sa mai bene come comportarsi. Più canonica la figura della giovane amante bella e semiritardata (Clizia Fornasier), esemplare di splendida oca manovrata da genitori che badano solo a piazzarla dove possa vivere agiatamente. Eppure, nonostante evidenti limiti e tralasciando improponibili paragoni, il film si lascia tutto sommato vedere e si riscatta in un finale (c'è di mezzo pure un ascensore, proprio come nell'originale) spassoso, una rilettura simpatica che non delude. Certo, la validità del soggetto da cui il film è "liberamente tratto" resta forse il pregio maggiore e quindi i dubbi sull'utilità dell'operazione permangono, ma la regia di Venier, pur non brillando troppo, dona se non altro una leggerezza non disprezzabile al tutto che la maschera sempre simpatica di De Luigi permette comunque di godersi senza eccessivi rimpianti. La Torre Velasca, uno dei simboli di Milano, fa da trade union tra passato e presente ospitando gli uffici di Alberto Brandi (i nomi dei personaggi son rimasti gli stessi del film di Risi) allora come oggi.
L'accostamento a una delle pellicole cult della commedia nostrana è fatto con garbo e gusto: della trama originale è stata salvata l'ossatura aggiungendo alcune varianti "moderne" e innovazioni (l'amuleto, i genitori dell'amante di lui). Gli interpreti non sfigurano nel paragone, nella sceneggiatura è apprezzabile in particolare il finale che, nel colpo di scena, si differenzia e nello stesso tempo omaggia il precedente.
Operazione nostalgia per questa rielaborazione de Il vedovo di Dino Risi. Inevitabili i paragoni (della serie !hai voluto la bicicletta...") e infatti le magagne saltano fuori per una regia incapace di dare spigliatezza alla pellicola, solamente soccorsa dal brio della Littizzetto (che regge il confronto con la Valeri per le talentuose doti di comunicatrice pungente). De Luigi gira a vuoto: appare evidente che gli è stato dato l'ingrato compito di sostituire Sordi, ovverossia un'impresa molto più grande di lui che è un caratterista. Mediocre.
Dal "cretinetti" della Valeri al "gnu gnu" by Litizzetto il passo è abbastanza lungo e l'operazione non sortisce miracoli di sorta, perlopiù con un De Luigi inadatto a reggere il confronto con il grande Albertone. Meglio la Litizzetto e un paio di caratteri di contorno (Stucchi e il prete) che puntellano una storia non proprio memorabile ma godibile, grazie anche a una certa eleganza di regia. Alcune gag prendono, altre sono quantomeno telefonate.
Remake di basso livello, con l'aggravante dell'inevitabile confronto con il notevole originale. Gli attori sono prigionieri di un copione disseminato di scambi verbali prevedibili e scontati. L'unico a non essere giustificato dalla pochezza del materiale a disposizione è De Luigi, ormai prigioniero del suo personaggio, che ripropone in tutte le pellicole, con ugual gamma espressiva tra l'ebete, il perplesso e l'indignato (a parte la faccia che fa illuminato dai fari dell'auto). Trattasi quindi in generale di filmetto che non aggiunge, anzi, si priva della dignità del capostipite.
MEMORABILE: La moglie, dopo consulto, fa annusare il cane al protagonista per sapere se sa di tartufo; "Me la vedo la mia Susanna sparpagliata sui Balcani".
Tentativo non troppo riuscito di fare il remake del leggendario film con Sordi e la Valeri. Qui ci si affida alla coppia De Luigi-Littizzetto, ma i primi veri sorrisi riescono ad arrivare dopo circa una mezz'ora (per fortuna la seconda parte diventa un po' più appassionante). Alla fine i migliori risultano essere De Luigi e Besentini, mentre la Littizzetto è un po' sottotono. Un'occasione sprecata.
Remake del piccolo capolavoro di Risi, sbagliato fin dalla scelta del protagonista, in quanto il pur simpatico De Luigi, che ha fatto dell'imbarazzo e della goffaggine la sua cifra attoriale, è fuori ruolo nel replicare l'aggressività pavida di Sordi. Più in parte la Littizzetto, non male Ale come rassegnato Stucchi. La sceneggiatura è smorta quando segue le orme dell'originale (vedi le sequenze in villa prima del ritorno della "scomparsa") e priva di idee quando se ne discosta (la parentesi in clinica). Non obbrobrioso, ma certo assai modesto e perdibile senza remore.
Se si tralasciano paragoni improponibili con il film di Dino Risi, questa commedia di Massimo Venier può apparire a tratti godibile, ma lascia più di una perplessità: in primo luogo la prova di Fabio De Luigi, sempre attonitamente uguale a sé stesso. La sceneggiatura, poi, offre pochi spunti e non pare adeguatamente sviluppata. Buona invece la partecipazione della Littizzetto, attrice brillante che il cinema non ha ancora adeguatamente sfruttato.
Premessa: detesto la Littizzetto, quasi costretta dalle circostanze (non è una vamp né bella) a fare parti odiose: il bello è che ci riesce benissimo. Nel remake del film di Risi con Sordi e la Valeri non ci si diverte quasi mai e De Luigi ripete sé stesso all'infinito. Meglio Storti e Ale nella parte di Stucchi. Su Citran è meglio stendere un pietoso velo (al di là del suo fastidioso personaggio). Non si capisce come spesso tocchi ricorrere a un linguaggio che richiama la scatologia (i discorsi inerenti al cane). Da dimenticare.
MEMORABILE: Il modo di parlare di Stucchi, formidabile.
Sinceramente non si avvertiva l'urgenza di confezionare questo remake, nonostante il risultato complessivo non sia del tutto da buttare via. Senza fare improbabili e offensivi paragoni, a non convincere è in primis la prova di De Luigi, ormai schiavo di un personaggio che ha fatto della goffaggine uno stile di vita; leggermente meglio la Littizzetto. Di riuscito si apprezza il tono da commedia all'italiana, che mischia con perizia la drammaticità e la comicità della sceneggiatura. La regia di Venier si conferma routinaria e priva di vivacità.
Uno dei remake più deludenti di sempre: una trama bislacca che offende i pensionati in maniera vergognosa; De Luigi poi si rivela incapace di cambiare ruolo se non per apparire tonto. La Litizzetto si comporta come nella vita. Povero Sordi e povera Valeri... Pessimo.
I partecipanti al progetto hanno sostenuto che più che fare un remake hanno inteso sfruttare una sceneggiatura del passato e che mai e poi mai si poteva pensare a un paragone con il film di Risi. E lo credo bene, vista la pochezza di regia e personaggi. Eppure il risultato è sotto gli occhi di tutti e non pensare a Sordi e Valeri è impossibile. Pessima scelta del cast con un De Luigi sempre uguale ai personaggi degli altri suoi film e una Litizzetto artisticamente immatura per un ruolo del genere. Seconde linee catastrofiche e Venier senza polso.
MEMORABILE: Il segnale segreto tra Nardi e l'amante: la fischiettatura del motivo del "Pranzo è servito".
L'idea di base, ripresa dal film di Risi, non è affatto male. Il problema è che il film non convince, gli attori sembrano fuori luogo e appaiono costantemente statici e prevedibili (su tutti De Luigi, inadatto). Nemmeno Ale (l'amico di Franz, quelli della panchina...) riesce a rendere più pimpante la pellicola. Un po' meglio la Litizzetto, l'unica appena sufficiente. Si riscatta di poco per un finale quantomeno inaspettato, ma nel complesso è un film di basso livello; Venier poteva fare molto meglio.
Credevo peggio. Il paragone con Risi non va neppure ipotizzato e farlo anche a mezze tinte finisce addirittura col penalizzare De Luigi in modo eccessivo, visto che il personaggio è decisamente diverso da quello di Sordi. Si potrà obiettare che non regge il confronto, ma forse il confronto non andrebbe neppure fatto, perché De Luigi manco ci prova (saggiamente) a sordeggiare. Il distacco dall'originale spesso causa alcuni cali, talora sorprende. Littizzetto non male. Del contorno si salvano solo Ale (Stucchi) e Storti (l'uomo di Chiesa).
Non posso fare confronti con il film di Dino Risi non ancora conoscendolo, ma posso dire di aver visto molto di peggio in circolazione. La coppia De Luigi/Littizzetto funziona bene, i tempi comici sono quelli giusti e anche il resto del cast se la cava ottimamente. Credo possa risultare un buon intrattenimento, se non si ha voglia di confrontare l'originale con il remake.
Rivisitazione del Vedovo con pochi alti e molti bassi. Superare il dualismo Sordi-Valeri era cosa impossibile. Diciamo che quando la trama prende spunti diversi dal vecchio film di Risi si vedono le cose migliori. Quando invece lo si ricalca per filo e per segno l'abisso è notevole. Fra tutti positiva l'interpretazione di Besentini del mitico ragionier Stucchi. De Luigi-Littizzetto a fasi alterne. Potevano lasciare il nomignolo cretinetti! Prova superata a metà.
Non male, anche se ovviamente il confronto con la pellicola di Risi lo vede perdente su tutta la linea. Però il film è gradevole e De Luigi e la Littizzetto forniscono una prova più che dignitosa, avendo il buon gusto di tenersi lontani dai modelli attoriali dell'originale. Buona anche la prova di Besentini nel ruolo di Stucchi. Una commedia con poche idee originali ma girata con garbo e senza volgarità, cosa che per il cinema italiano odierno può considerarsi già un bel traguardo.
Mediocre perché il film a volte non sempre fila liscio, tuttavia il paragone con la nota commedia di Risi era già in origine impresa impossibile e Venier alla fine ne esce a testa alta. De Luigi evita saggiamente l'imitazione di Sordi e dà vita a un personaggio che ne richiama certe sfumature ma che risulta comunque personale. Ottima la Littizzetto in una parte che poteva essere solo sua e i paragoni con la Valeri potrebbero essere calzanti. Del valido cast il preferito è Bisentini nei panni di Stucchi.
Gustoso remake del Vedovo di Dino Risi, che è opportuno vedere senza pensare a inutili confronti col notevole originale, cercando piuttosto spunti di interesse in sé e per sé. Che non mancano, grazie a una regia efficace e senza eccessi, a una coppia comica (De Luigi-Littizzetto, circondati da bravi caratteristi) che dipinge con cinismo la reciproca perfidia, e a una sceneggiatura che lancia sottili esche di satira sociale senza mai rimanerci impantanata. Insomma, divertente specchio acido dei nostri giorni affogati di sete di denaro.
Inferiore allo standard delle commedie con De Luigi, di solito gradevoli. Stavolta la storia è banalissima e scontata, con una Littizzetto a mio avviso poco in parte e gli attori secondari del tutto anonimi. Regia davvero povera. Non si può parlare di remake, trattasi di film inutile. L'unica cosa da salvare è il titolo.
Ammetto la grave colpa di non aver visto l'originale; detto questo, ho visionato casualmente il film e devo dire che non mi sono annoiato. A tratti diverte; certo, De Luigi, per quanto bravo, è perennemente uguale alle sue macchiette televisive mentre la Littizzetto è decisamente adatta al perfido ruolo. Venier ha scelto comunque bene il cast di un film non epocale ma sopra la media di certi prodotti italiani dei 2000, per quanto permangano forti dubbi sulla morale di una storia borghese adatta ai tempi ma che non prende mai alcuna posizione.
Ci voleva coraggio a rifare Il vedovo di Risi, una delle più belle commedie italiane del dopoguerra. Massimo Venier ci ha provato a metà, tentando di adeguare la storia alle caratteristiche dei due attori principali. L'esperimento riesce solo con la Littizzetto, che regge a tratti il confronto con la Valeri, mentre De Luigi, completamente fuori ruolo, manca dell'ottuso cinismo senza il quale il suo personaggio non riesce a coinvolgere. Regia grossolana e poco incisiva. Evitabilissimo.
In tali remake di solito ciò che è buono non è nuovo e ciò che è nuovo non è buono. Qui vale il contrario, perché la prima parte - più pedissequa - fa l'effetto di una cover-band che suona classici al pub sotto casa; mentre la seconda si risolleva pian piano, fino a un finale originale e beffardo che ribalta più volte i personaggi. Del resto se il "gnu-gnu" della Littizzetto non riesce a imporsi come tormentone facendo rimpiangere il "cretinetti" della Valeri, De Luigi riesce a sottrarsi al confronto con Sordi rimanendo compostamente nel suo.
Forse l'unica cosa da ricordare di questa commediola, sono le riprese iniziali, che ritraggono una Milano in ripresa, ricoperta di cantieri, di luce, di voglia di fare. Poi, certo, qualche sorriso che De Luigi e Littizzetto riescono a strappare, senza produrre però alcun tipo di entusiasmo. Colpa dello script, fatto di situazioni e gag tutt'altro che scoppiettanti.
Pur senza fare paragoni con il film di Risi a cui si ispira, proprio non ci siamo. Sceneggiatura debole, comicità impalpabile, personaggi improbabili che eccedono nel rappresentare quelle tipiche deviazioni italiche, sociali e caratteriali che si vorrebbero stigmatizzare. Peccato, perché i due protagonisti sono interpretati da attori di forte caratterizzazione e simpatia come De Luigi e Littizzetto.
Buon esempio di commedia nera all'italiana con Fabio de Luigi e Luciana Littizzetto in ottima forma e dialoghi ben costruiti. Ottimo il finale, ben articolato con una certa suspense. Unica carenza gli altri personaggi che, Bruschetta a parte ,non sono sempre efficaci nello svolgimento della vicenda. Superflua la presenza del prelato a formare il terzetto dei "cattivi".
Tralasciando l'originale ci troviamo di fronte a una pellicola ahinoi affossata, purtroppo, da un De Luigi troppo profondamente uguale a se stesso per trovare lo spunto necessario ad alzarne il livello. Il cast, eccettuato il già citato, gira abbastanza bene ma sprofondano le interazioni fre gli stessi protagonisti e troppo spesso si perde l'acume necessario per rendere divertente la trama. Il finale va esattamente nella direzione che ci aspetteremmo e a sua volta non lascia il segno nella realizzazione.
Pessima idea proporre il remake di un capolavoro come il film di Dino Risi. Oltretutto Fabio De Luigi non è romano (infatti la prima scelta pare fosse Valerio Mastandrea) e quindi il contrasto Roma/Milano, fondamentale nel primo film, viene meno. Inoltre Luciana Littizzetto non può rivaleggiare con la grande Franca Valeri e il remake si sgonfia dopo poche sequenze.
Il film non è niente male, con un De Luigi in palla e una Littizzetto anche troppo nella parte (anche se meno odiosa rispetto a certe sue performance televisive). La regia indovinata e puntuale, contorno di categoria, con un grande Storti, forse il personaggio più divertente, un odiosissimo Citran e Besentini azzeccato nella parte del grillo parlante Stucchi. Efficace il miscuglio composto dalle ambientazioni torinesi littizzettiane e milanesi deluigine. A far paragoni ci si fa sempre male.
Accostarsi a mostri sacri può essere pericoloso; regia e interpreti ne sono consci, pertanto De Luigi non ci prova nemmeno a "sordeggiare" (peraltro non è romano), si limita a utilizzare la sua mimica peculiare accompagnata da codardia e tirannia sui sottoposti, unici richiami al Nardi originale; la Litizzetto per contro è più efficace nell'aggiornare l'imprenditrice disincantata e rampante ante litteram della Valeri (anche se le spiegazioni sulla mancata separazione oggi non reggono più); musica, fotografia e interpreti di contorno completano un'operina gradevole per una serata.
MEMORABILE: Il pragmatismo feroce di Susanna Almiraghi contrapposto alle limitate facoltà dell'amante del marito.
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DiscussioneFuretto60 • 14/10/13 20:56 Call center Davinotti - 45 interventi
Furetto60 ebbe a dire: Siamo lontani da un semplice copia e incolla...
si va beh la storia direi che è uguale, la Littizzetto nell'intervista al tg1 ha detto che era anche un omaggio al film di Sordi, io penso sia un copia e incolla senza idee che si appoggia solo su qualche gag di De Luigi, e la Littizzetto non e la grande Valeri.
Gugly ebbe a dire: Ciao Furetto,
vedo che il commento è positivo, quindi il film è promosso? ieri sera ho visto uno spezzone di anteprima: La Litizzetto sembra un misto fra la Fornero e Marina B.
:-)
Oddio che strano mix tra due donne profondamente diverse
@ Ruber: si può benissimo copiare, basta farlo bene
L'azienda con la quale stava trattando Susanna Almiraghi prima della sua "scomparsa" si chiama Promoject, esattamente come l'azienda dove lavora Franz (Francesco Villa) in Mi fido di te (2006). I due film hanno in comune il regista (Massimo Venier), mentre in questo recita il collega di palcoscenico di Franz, Ale (Alessandro Besentini).