Basta la prima immagine, inquadratura bassa tra tronchi d'albero immersi nell'acqua, con una fotografia naturale strepitosa, a rendere la misura delle capacità evocative del film, che trova nella foresta e nei fiumi che la percorrono scenari di enorme suggestione; ma Iñárritu vi aggiunge già da subito una regia di polso, con un agguato indiano girato quasi come l'Omaha beach spielberghiana con frecce e fucili, di ferocia inusitata e straordinaria potenza. Si entra subito nel vivo quindi avvicinandosi con discrezione alla figura dominante di Hugh Glass, un monumento alla tenacia e alla resistenza cui DiCaprio regala una delle sue...Leggi tutto performance più sentite di sempre: parlando pochissimo, recitando con lo sguardo e la sofferenza di chi è stato a un passo dal trapasso dopo l'attacco di un grizzly (scena tra le più realistiche e impressionanti mai viste al cinema, in cui a stupire è come Iñárritu riesca a dosare le pause tra le improvvise esplosioni di inaudita violenza). Il resto del cast, che pur conta un ottimo Tom Hardy nel ruolo più perfido, finisce per sembrare quasi secondario, se confrontato al carisma del protagonista. Tra luci fioche che paiono irreali proprio in virtù di una naturalezza che al cinema non siamo abituati a vedere, si consuma il dramma tremendo di un uomo abbandonato al suo destino, costretto a sopravvivere non solo procacciandosi il cibo quando ancora striscia ma a sfuggire dagli indiani cercando rifugio nella corrente traditrice d'un fiume o nella carcassa di un cavallo sventrato. Dalla padella alla brace in un concentrato di disgrazie da confrontare con il placido ritorno di chi l'ha piantato in asso per odio e codardia e si avvia a ritrovare la civiltà battendo in anticipo gli stessi percorsi, incrociando cinghiali e villaggi distrutti. Non tutto è bilanciato al meglio e probabilmente una mezz'ora in meno avrebbe aumentato considerevolmente l'impatto e l'efficacia del film, a volte ingiustificatamente lento; ma è sin troppo evidente che lo sforzo di Iñárritu è volto in direzione di una ricerca visiva che elevi un'opera altrimenti non particolarmente originale, prigioniera di qualche incontro non sempre interessante (quello con l'indiano) e di un finale fin troppo banale. Una cupa avventura i cui plumbei colori del cielo a forza ricacciano Glass nel fango di una dimensione terrena tutta sangue e stenti. Distanti, inafferrabili i pochi raggi di sole, come lontani richiami a un eden percepibile a sprazzi solo in sogno. Facendo sua la lezione dei grandi Maestri dell'affresco cinematografico, dei Malick e dei Tarkovskij, peccando forse d'ingenuità nella replica di stilemi che ancora non gli appartengono, Iñárritu esibisce comunque grande talento registico, accantonando l'estasi in favore di un crudo realismo e inventandosi aperture scenografiche maestose che riempiono il cuore, impreziosendo con la tecnica una traversata nel bosco che ha i sapori dell'epica e che la sontuosa colonna sonora di Sakamoto e Alva Noto riveste di ulteriore magnificenza.
La prima cosa che colpisce è il comparto visivo e sonoro: la regia ti proietta direttamente all'interno dell'azione lasciandoti nelle prime sequenze senza fiato, alla ricerca del realismo assoluto. Di Caprio alla costante ricerca del suo Oscar probabilmente lo troverà con questa prova e una recitazione a tratti commovente. L'unica vera pecca sono gli oltre 120' di proiezione in cui ci si dilunga in sequenze belle visivamente ma che allungano troppo un brodo dal gusto finale un po' scontato.
MEMORABILE: Il dialogo con il Capitano di Di Caprio prima della fine; L'orso.
Nell'era del digitale dilagante, per fortuna c'è ancora qualcuno che sa girare in luoghi impervi, eleggendo la natura ad ostile scenario per esseri umani che si scannano per la sopravvivenza. La grande qualità delle riprese - in taluni casi vertiginose - non aumenta tuttavia il valore della scheletrica sceneggiatura, che si involve presto in una banalissima storia di vendetta con ordinarie osservazioni sul rapporto uomo bianco/pellirossa e maldestre parentesi visionarie; anche gli antagonisti DiCaprio e Hardy non aggiungono nulla di nuovo alle figure viste in innumerevoli western precedenti.
MEMORABILE: L'attacco dell'orso; la caduta nel dirupo.
Il cinema ai suoi massimi livelli, almeno dal punto di vista della regia e della confezione. Bellissima fotografia, bei piani sequenza, paesaggi mozzafiato e molto crudo realismo. DiCaprio molto bravo e naturale, ma ancora meglio Hardy in uno dei personaggi più spietati visti negli ultimi anni. Peccato per la durata eccessiva, che non permette di rimanere coinvolti fino in fondo. questo a far pendere l'ago della bilancia a favore del vecchio film con Richard Harris, molto simile nella storia. Da vedere.
Il primo pensiero post visione non può che essere per la magnificenza delle immagini, per la straordinaria potenza della natura, assoluta protagonista della pellicola. Se, invece, si pensa alla sceneggiatura, si ha più di un dubbio. Una durata che spesso sembra dilatare e nulla più, un Di Caprio che esprime pochi vocaboli e perlopiù gorgoglia e un Hardy ottimo cattivo. La storia nulla aggiunge, nulla inventa. Ennesimo revenge movie americano, ma ne abbiamo visti di meglio. Oscar alla natura.
Iñárritu incanta lo spettatore grazie a riprese straordinarie dei paesaggi innevati, fotografate con solo luci naturali e accompagnate dalla OST atmosferica di Sakamoto; se la ricerca del realismo è da applausi, ci sono anche alcune implausibilità, ma sono dettagli di fronte a un lavoro dal respiro simile, con interpreti in stato di grazia (Di Caprio da Oscar) e un pathos da grande cinema. Quasi 3 ore che lasciano ammaliati, con un contrasto tra natura incontaminata e violenza umana che regala momenti impressionanti. Merita lodi sperticate.
MEMORABILE: La lotta con l'orso; La caduta col cavallo; La lotta finale.
Iñárritu ci indirizza con precise scelte di regia e fotografia verso una dicotomia uomo natura concedendo a quest'ultima di ergersi a protagonista al pari di un DiCaprio capace di regredire con bravura allo stato animalesco. Devastante prima parte nella quale alcune scene ti trapassano le viscere e la tensione è costante; nella seconda lo stile rimane notevole ma in alcuni frangenti il pathos si sottomette alla forza delle immagini e del sound ambientale. Finale energico ma un po' forzato.
MEMORABILE: Strapazzato da mamma orsa; La mente furiosa dentro a un corpo immmobile.
Dalle quinte di un teatro di Broadway ai paesaggi delle frontiera: Iñárritu compie un triplo salto mortale ma centra il bersaglio con un film potente dove il paesaggio e la fotografia sontuosa sono protagonisti quanto e più dei bravissimi attori (Tom Hardy in primis) scelti per il racconto. Più che mai ostile, la natura è nemica e matrigna fornendo scarsi ma vitali mezzi di sostentamento allo scout tradito e abbandonato di Di Caprio. Il racconto è essenziale ma prorompente di vitalità e della personalità del suo regista. Da non perdere.
Cosa puoi dire a un Iñárritu? Che l'ha fatta troppo lunga e l'ha buttata sullo scontato revenge movie? Vero, e di questo ho storto il naso, ma c'è un'opera di mezzo: fatta di una natura meravigliosa e protagonista, ripresa in luce naturale e con un impiego di forze straordinario. Ci sono talenti da non sottovalutare; quello del regista, in grado di riprendere la concitazione e la crudezza di una battaglia a suon di piani sequenza come probabilmente nessun altro; quello di DiCaprio, che, poraccio, dateglielo 'sto Oscar. E ci metterei anche un Tom Hardy, di nuovo nel ruolo di antagonista, ma per niente malvagio. Andate a vederlo su un bello schermo e in una giornata fredda.
Un buon revenge movie con un maestoso incipit che mi ricorda I guerrieri della palude silenziosa e un bellissimo finale con quello che potrebbe essere il miglior combattimento corpo a corpo degli ultimi 40 anni di cinema. Quello che purtroppo non funziona è l'eccessivamente lunga parte centrale, costellata da ripetitivi e inutili flashback e altre lungaggini che poco hanno da dire sulla storia raccontata. Bravi gli attori, specialmente Hardy nell'ottimo personaggio di Fitzgerald.
C'è chi muore per una coltellata. Hugh Glass sopravvive agli orsi, al gelo, alla fame, alla necrosi... Se lo si pone sul piano di realtà, cosa resta di Revenant? Un corpo cinema che risorge inesausto dalle sue ceneri per calarci in immagini di maestosa bellezza; un titanismo emotivo che ricorderà parimenti Herzog o Wile E. Coyote; un'opera che rimbalza tra viscere e cervello rigenerando l'esperienza percettiva nell'arte del piano sequenza, nella fusione ininterrotta di reale e digitale; un tour de force attoriale col quale DiCaprio sfida l'Academy - anche. Cinema-cinema, imprescindibile.
Di sicuro una prova spettacolare tra ammirazione e paura per la forza della natura nei confronti delle sue creature, uomini compresi. Si resta rapiti dall'alternanza di paesaggi e situazioni crude e al susseguirsi di violenza e calma raggelante. Convince meno la trama nel suo schematismo "western", condizionata dalla vicenda dell'orso che "brucia" l'interesse per gli eventi successivi, (la convalescenza e il riscatto di Glass). Di Caprio (ma non meno Hardy) in una performance esemplare. Finale cinematograficamente prevedibile e pseudo-risolutorio.
MEMORABILE: L'attacco dell'orso; Una venatura di simbolismo (di natura indiana) che si contrappone al realismo del film; I grandi fiumi, i ghiacciai e le betulle.
Non è cattiveria ma siamo al sorrentinismo estero. Tra furti malorganizzati di Herzog, Malick, Sarafian e Pollack questo film dice poco, smarrisce le storie, si avventura a tratti nel ridicolo, annoia. Resta la fotografia di Lubetzki, alcune suggestioni di seconda mano e la tecnica del regista. Per chi predilige lo shock all'arte va benissimo. Inoltre è di un manicheismo superato. Due tre momenti molto buoni.
C'è talmente tanto grande e splendido cinema in questa pellicola di Iñárritu, che si perdonano qualche piccola sbavatura e le due pecche più criticabili: prevedibilità ed inverosimiglianza. Perché non si può non rimanere ammirati dalla bellezza accecante e dalla inusitata potenza delle immagini, sostanziata da paesaggi mozzafiato che in tv (a prescindere dai pollici) perderanno molta della loro forza. La durata fluviale (due ore e mezza abbondanti) non pesa e si confa anzi perfettamente al film grazie anche ad un ritmo giusto. Di Caprio è bravissimo ma Tom Hardy gli tiene testa. Da vedere.
Il freddo quasi si percepisce, come anche la sofferenza-agonia del bravo protagonista. Ed è questo, principalmente, a dare un suo perchè alla pellicola, che può vantare un notevole impatto visivo agevolato da paesaggi di particolare bellezza e suggestione, dove l'uomo bianco è un intruso a tutti gli effetti. Detto ciò, il il resto del parco attorico è poco più che dignitoso (si tende a ricordare solo l'assassino senza coscienza). E quando si passa all'onirico, il risultato non è apprezzabile. In più non tutto è indispensabile, anzi (troppa zavorra). Comunque, nel complesso non male.
Cacciatori di pelli che si fanno la pelle, in quello che altro non è che che un western fra i ghiacciai. Leonardo di Caprio, creduto morto dai suoi nemici, è credibile mentre ferito si trascina fra le nevi, bevendo acqua di torrente, mangiando pesce crudo (all'anima del sushi!) e carcasse di animali morti. Scena sonvolgente quando entra dentro il corpo impellicciato di un animale per ripararsi dal freddo. Tom Hardy molto credibile come avido cacciatore assassino. Apprezzato ritorno del regista di Birdman, che reinventa un genere morto.
Lontano dai canoni delle moderne produzioni hollywoodiane, tutte perfettine e dalla confezione scintillante, Revenant si contraddistingue per una lentezza sia narrativa sia registica (non si contano i campi lunghi della ostile natura nordamericana), una fotografia dai toni cupi e prove attoriali intense. Tuttavia, malgrado le voci sul complesso lavoro di DiCaprio, a rubare la scena è uno stralunato Hardy, che interpreta perfettamente un personaggio per nulla banale. La parte centrale è ingiustificatamente prolungata, ma il film è una perla.
MEMORABILE: La battaglia iniziale; Il duello finale; Il doppiaggio di Adriano Giannini.
Maestoso survival-avventuroso con un Di Caprio che offre più una prova di resistenza che una prova attoriale, strisciando e arrancando tra gelo probabilmente autentico e scenari tanto belli quanto inospitali. La verosimiglianza va completamente a spasso e abbondano le ridondanze, ma quando si passa ad azione e violenza Iñarritu mostra di possedere una forza viscerale e penetrante assolutamente fuori del comune, che avvince, appaga e fa perdonare ciò che non funziona. Le perdite dalla gola dilaniata (qui poi saldata) citano Splatters.
Che fotografia... Che paesaggi... Che colori... Che Leonardo DiCaprio... Che Tom Hardy... Che regia... Il regista messicano mette in piedi un vero e proprio spettacolo per gli occhi capace di tenere a bocca aperta lo spettatore per tutta la sua lunga durata senza mai annoiare. I dialoghi sono ridotti al minimo in quanto sono i rumori e le immagini a parlare. La trama è semplice in quanto è solo una storia di sopravvivenza e vendetta, ma poco importa. DiCaprio è monumentale ma anche il cattivissimo Tom Hardy non scherza. Da vedere in HD.
Un film tutto centrato sulla figura di Leonardo Di Caprio, che sembra essere indistruttibile fino all'inverosimile. Sicuramente apprezzabile la prova dell'attore che regge sulle sue spalle tutto il film, ma la storia non è poi così interessante come dovrebbe essere e si finisce con l'annoiarsi. In definitiva abbiamo la solita storia di vendetta che viene qui arricchita dalla performance di Di Caprio, forse finalmente in procinto di ricevere l'Oscar. Ma da Iñárritu mi aspettavo francamente di più.
Esteticamente ineccepibile: grande regia, location suggestive, fotografia memorabile di Lubezki (già Oscar per Gravity e Birdman). Di Caprio è bravo, sebbene castrato da un personaggio praticamente muto e zoppo ma che in compenso precipita nelle cascate, vola da un burrone a cavallo, si ciba di carcasse, si cauterizza ferite con la polvere da sparo alla maniera di Rambo e via esagerando per un paio d'ore e mezzo. Il tutto per vendicarsi del tizio che lo ha abbandonato. Il nulla, però confezionato benissimo.
Quasi 3 ore di film che mi hanno fatto pensare a paragoni importanti, con Apocalypse Now e Barry Lyndon ma anche con le epiche visioni di Kurosawa. DiCaprio fa del suo corpo il mezzo di comunicazione in una natura spietata che la fotografia di Lubezki rende in ogni sua sfumatura, come nessun 3D avrebbe potuto fare. Potentissimo, grazie anche alle melodie oniriche e malinconiche di Sakamoto, a un cast di contorno emotivamente coinvolto e a un cattivo straordinariamente reso da Hardy. Uno dei migliori western di sempre.
Dopo aver affrontato una maschera che si rifiuta di morire, Iñárritu narra di un uomo che si mantiene in vita solo per vendicare la morte del figlio. La gelida lotta per la sopravvivenza è enfatizzata dalla splendida fotografia di Luzbeki, mentre Di Caprio riesce a rendere pienamente le sofferenze sia fisiche che mentali del protagonista. Hardy e Gleeson sono dei comprimari. La prima parte fa sperare nel capolavoro e complessivamente la durata non dà problemi, ma nel finale la vicenda arranca e smorza la potenza del climax.
MEMORABILE: Dilaniato dall'orso; La caduta dal dirupo; "On est tous des sauvages".
Un film che colpisce soprattutto dal punto di vista tecnico: la fotografia di Lubezki è una garanzia sul grande schermo, piani sequenza e inquadrature efficaci e non fini a loro stesse e gli effetti speciali sono di altissimo livello. Questa cura tecnica, unita alle interpretazioni sia di Di Caprio che di Hardy, sopperisce alla debolezza della sceneggiatura e nonostante la lunghezza il film risulta estremamente godibile.
Un film sulla ricerca di una vendetta, a dirla in poche parole. Ma attorno le condizioni sono estreme e la neve e il freddo condizionano la lotta per la caccia, il cibo e la sopravvivenza. DiCaprio recita bene la sofferenza, Hardy ha le migliori espressioni e Gleeson è troppo acerbo. Luci naturali che danno un tocco di delicatezza ma Inarritu non riesce a dare il tocco di epicità alla vicenda. Il digitale aiuta finché non diventa esagerato.
Iñárritu affronta il cosiddetto "cinema d'avventura" e lo fa alla grande, forse troppo, con una tecnica che all'inizio può ricordare quella del realismo dei massacri da Salvate il soldato Ryan in poi. Chi non ama particolarmente il genere, pur rispettando la tecnica realizzativa, corre il rischio di stancarsi in questo viaggio tra uomini dagli istinti primitivi e non può fare a meno di pensare a certi episodi letti in Tex Willer. E così, a paesaggi e ambienti enfatizzati con la color correction di certi film di guerra, ci si abitua presto.
Film straordinariamente asciutto che ha nella potenza visiva delle immagini e nell'allucinata ed eccezionale prova di un immenso Di Caprio la sua forza devastante. Iñárritu è un regista di grande talento che non cede alle esigenze della produzione; anzi, forte di una consolidata fama, ottiene carta bianca e sfrutta al meglio l'enorme potenziale messogli a disposizione. Detto di Di Caprio, citazione d'obbligo va al bravo Hardy, che non gli è da meno. Scenari spettacolari grazie anche alla fotografia di Lubezki, giustamente premiata con l'Oscar.
Nativi vs colonizzatori = Uomo vs natura. Iñárritu è semplicemente un genio e io adoro il suo stile nel riprendere le scene, spesso con lunghi piani sequenza che raccontano la storia da angolazioni ricercate e in sintonia con i paesaggi. C'è pura armonia fra regia, l'impressionante immedesimazione di DiCaprio e la fotografia pazzesca di Lubezki, a dimostrazione che pur non essendo una sceneggiatura eccelsa, con il giusto approccio artistico, si può confezionare un film memorabile. Perfetti gli effetti speciali, ben amalgamati con la realtà.
MEMORABILE: La lotta con l'orso; La caduta nel burrone con cavallo; Lo scontro finale.
Sicuramente un buon film, che però paga una durata eccessivamente lunga (una mezz'oretta in meno avrebbe fatto più che bene) e una "freddezza" nel rapportarsi con lo spettatore (almeno nel mio caso: non sono mai riuscito a essere veramente coinvolto nelle vicissitudini del protagonista). Di Caprio a mio avviso non in una prova memorabile, pur recitando indubbiamente bene; meglio di lui ho trovato Tom Hardy. Sicuramente il punto forte del film è rappresentato dall'ottima fotografia e dagli ambienti in cui si svolge la vicenda. Da vedere.
Splendidi paesaggi con una natura incontaminata ripresi magnificamente, una regia assolutamente mai banale con interessanti soluzioni visive, senza mai scadere nel pezzo di bravura fine a sè stesso, DiCaprio bravo (ma in altri film ha fatto anche di meglio) e un Tom Hardy che gli ruba la scena tanto è perfetto nel suo ruolo. Insomma, un ottimo film il cui unico difetto (a parte la solita retorica dei buoni sentimenti e della civilizzazione bianca cattiva) è l'essere quasi identico al già visto settantiano Uomo bianco, va' col tuo Dio!
Peccato che Iñárritu si sia lasciato prendere la mano volendo per forza farne passare di tutti i colori a un DiCaprio indistruttibile. Fortunatamente è sostenuto da un comparto tecnico di prim'ordine (meritevole di più pallini) che sarebbe stato sempre di prim'ordine se invece della storia di Glass avesse girato un documentario sulle wildness di Canada, America del Nord e del Sud, eccetera. Il film praticamente finisce dopo la battaglia con l'orsa (notevole) e ricomincia per un finale scontato, che accontenta tutti. Bravo anche Tom Hardy.
Un uomo viene attaccato da un orso e si fa orso egli stesso per difendere sè e il suo territorio, dentro a una natura spietata e protettiva nel contempo. Sarebbe solo una sorta di Rambo ante litteram, se non brillassero la bravura di Leonardo Di Caprio e la bellezza dei paesaggi selvaggi a fare da maestosa quinta. Inoltre, si dilunga un po' troppo. Entusiasma, ma si dimentica facilmente.
Iñárritu concepisce un'opera di forte impatto atmosferico, un affresco sulla natura spietata e la lenta agonia di due uomini sacrificati alla sua spietatezza e magnificenza, interpretati magistralmente da DiCaprio e Hardy. Il soggetto tratto dall'omonimo romanzo ispirato alla vera storia di un cacciatore di pelli è solo il pretesto per l'esibizione di una atmosfera resa impeccabile dalla perfetta fotografia dei paesaggi ipnotici dei boschi innevati, dalle virtuose riprese di forte impatto e dalla potente colonna sonora di Sakamoto.
Niente di troppo nuovo sotto il sole. Se il comparto tecnico è veramente eccezionale, con grandi piani sequenza e una stupenda fotografia che riesce (quasi) a cogliere lo spirito delle grandi praterie, la storia di vendetta lascia in fondo il tempo che trova come anche alcune lungaggini "malickiane" del tutto superflue. Il rapporto conflittuale tra nativi e coloni è stato declinato molto meglio altrove. Il DiCaprio cacciatore a me non ha convinto (come mi capita spesso), notevole invece lo sporco Hardy. Buono ma non di più.
Disturba non poco l'utilizzo della camera da parte di Iñárritu in un film del genere. Se Birdman aveva avuto il suo punto di forza anche nella realizzazione, senza risultare troppo forzato (anche se meravigliosamente artefatto), The Revenant perde consistenza e anima minuto dopo minuto. Ed è un peccato perché la coppia Di Caprio-Hardy cresce di intensità e pure la scelta degli esterni è sempre magnificiente. Peccato davvero per l'ingombrante e - a volte - nausante utilizzo della Mdp.
Grama la vita dei cacciatori di pelli nel Nord Dakota, fra gelo, orsi, indiani e compagni infidi. Alla ricerca spasmodico del primo Oscar, Di Caprio non muore neppure da morto, anche perché deve saldare un conto con Tom Hardy, eccellente in un ruolo fetentissimo... Poco da scherzare: questo survival-movie estremo non è solo prodigioso dal punto di vista della tecnica (quello lo era anche il precedente del regista), ammirabile in ogni comparto, dalla fotografia crepuscolare ai punti di ripresa impensabili, ma è pura meraviglia sensoriale, immersiva in paesaggi di straordinaria bellezza.
MEMORABILE: La foresta semi-sommersa all'inizio; L'attacco dell'orso; la semi-sepoltura; il bosco nebbioso
Una lunga lotta di un uomo solo alla ricerca della vendetta. Scenari incontaminati con visioni panoramiche di grande impatto visivo e situazioni drammatiche che sanno colpire con ferocia. DiCaprio merita applausi per la sua intensa e sofferta interpretazione, Hardy è cinico e famelico da par suo. La lunga durata non penalizza; anzi, la visione è notevolissima.
Più che un'avventura, un documentario che ricorda i tempi dei cacciatori di pelli in Nord America. Paesaggi immensi, lunghissime pause, un'ottima scena con un orso, fotografia da lasciare incantati... Per l'estetica ci siamo; e la storia? Questa ci descrive le peripezie fantozziane di un Di Caprio quasi muto in lotta contro la natura. Pochi dialoghi (in parte sottotitolati) in una pellicola che si trascina strisciando come il protagonista per due ore e mezza, fino a una conclusione banale. Aargh!
MEMORABILE: Il cavallo che precipita nel burrone, seguito da una scena alla Impero colpisce ancora.
Più che un film sembra un documentario, perché sceneggiato in modo non artificioso e recitato in maniera impeccabile... ma siamo sicuri che Di Caprio recitasse? Non è facile "Revenant", non è per tutti. E' un film pieno di tanti vuoti, riempiti dalla bellezza della natura selvaggia, da deserti innevati e da poche parole, spesso. E chi cerca adrenalina costante e continui colpi di scena dovrebbe starne alla larga. Eppure per me è un capolavoro che va premiato; per la cura, per le scene ardite e le condizioni estreme. Di Caprio formidabile.
MEMORABILE: “Nel mezzo di una tempesta, se guardi i rami di un'albero, giureresti che stia per cadere. Ma se guardi il suo tronco ti accorgerai ti quanto sia stabile”.
A ogni presente il suo antropocentrismo: eccoci così serviti Hugh Glass, un Robinson risoluto e ingegnoso ma del tutto inerme al gioco di un'etica cosmica della violenza, che Iñárritu illustra senza lesinare in iperrealismo e pornografia dell'immagine. Ne emerge un nichilismo fragile e retorico, le cui concause si confondono tra vitalismo e opportunismo, tra antropos e animalitas, perdendosi in disarmanti generalizzazioni. La natura diventa lo sfondo di un torture porn che, in altre mani, forse non avrebbe sofferto di una simile megalomania...
L'Academy premia Di Caprio nell'unico film in cui la sua recitazione è ai minimi sindacali rispetto ai fasti scorsesiani e si riassume in grugniti, espressioni ed espulsione di liquidi corporei. Ma questo non toglie nulla al magnifico film, che fa dell'ambiente circostante il vero protagonista della storia. Fotografia indimenticabile e caccia al realismo davvero a livelli sublimi. In un mondo dove il concetto di cattivo non esiste ma esistono solo persone che vogliono sopravvivere Hardy è il perfetto contraltare del divo Leo. Sublime.
MEMORABILE: L'attacco dell'orso; La donna Arikara promette e mantiene ai danni del francese; Il racconto di Fitz nel descrivere lo scalpo subito.
L'eterno rapporto di amore e lotta tra l'uomo e le forze della natura si unisce alla più classica delle trame di vendetta, già cardine di film memorabili, non solo di ambientazione western. Le splendide immagini e la regia solida però fanno un lavoro superlativo e coinvolgono lo spettatore dall' inizio alla fine di una pellicola epica e non certo breve. Ottime le interpretazioni di Di Caprio e Hardy, ma è Iñárritu il vero grizzly del film.
MEMORABILE: La caduta con il cavallo sull'albero, dentro il burrone.
Revenge western estremo, sostanzialmente senza dialoghi e con sceneggiatura ridotta all'essenziale, eppure di grande potenza e suggestione. A dominare è la natura più selvaggia, con paesaggi montani e innevati, foreste, corsi d'acqua e animali, tutti ripresi magnificamente alla luce naturale e quasi mai al sole. In condizioni estreme, si muove il protagonista in una disperata lotta per sopravvivere e potersi vendicare. Film fortemente evocativo, lento e magnetico. Straordinaria le regia e l'interpretazione di DiCaprio. Notevole la musica.
Pellicola che possiede una forza visiva grandiosa, fatta di paesaggi straordinari che danno il senso del reale e l’impressione di essere immersi in una coltre di neve gelida che rattrappisce le ossa. Iñárritu, però, non è Herzog e lo scritto finisce con l’essere semplice e prevedibile, anche se non è detto che ciò debba rappresentare per forza un limite. Si brucia nella ricerca di situazioni estreme al limite della credibilità, sintomo di uno sbilanciamento verso un certo tipo di cinema in cui manca qualche contenuto di troppo.
Grande cinema, ma qualche passettino dietro alla definizione di memorabile: la spettacolarità del girato aveva già raggiunto il suo apice servendosi della strabiliante maestria nello sfruttamento di cieli, acque e orizzonti, senza bisogno di quegli sprazzi onirici e visionari che stridono come gesso su lavagna. In questa epicità di immagini langue poi quella emozionale, se è infatti vero che alla fine rispetto all’Oscar di Di Caprio (meritato ma già scritto) emerge il perfetto Tom Hardy. Da amare ma senza aspettarsi di avere la vita stravolta.
La potenza suggestiva delle panoramiche e dei primi piani della natura indurrebbe a giudizi più entusiastici. Ripensandoci, però, la sensazione è quella di un documentario di NatGeo girato da Malick. Bello, bellissimo, ma narrativamente il film si riduce a un modestissimo revenge movie, visto millanta volte. I mezzi sontuosi e le notevoli interpretazioni lo rendono migliore della media di quei film, ma non molto di più o di diverso. Non c'è nessuna riflessione, nessun dilemma, solo azioni meccaniche destinate a un'ovvia conclusione.
Film epico, con un'ottima fotografia che proietta lo spettatore in luoghi impervi e situazioni estreme. Buona la sceneggiatura, ma troppo pesante per andare oltre la prima visione. Probabilmente andava un po' snellito. Grandissima interpretazione di Leonardo di Caprio, che ha pienamente meritato l'Oscar. Da vedere.
Era da lungo tempo che un film di lunga durata non mi annoiava. Anzi, devo dir che la mia attenzione è stata massima dall'inizio alla fine. Merito di una trama epica da storia di frontiera ma soprattutto di una produzione di rara bellezza. Ambientazioni indescrivibili, fotografia mozzafiato, movimenti di macchina e prospettive proprie di un grande regista. Il film è crudo, violento come del resto era la vita dei protagonisti dell'epoca. Bravi Di Caprio e Hardy. Sakamoto e Alva Noto confezionano una colonna sonora di qualitá.
Tecnicamente perfetto, ma l'ingombrante presenza del regista va a inficiare non poco l'esperienza audiovisiva che il film, teoricamente, garantirebbe. Il minutaggio tradisce un narcisismo estetico così estremo da sfiancare; la storia, al contrario, non guadagna in profondità, accumula una forzatura dietro l'altra e si affida all'ottima coppia DiCaprio-Hardy per mantenere desta l'attenzione dello spettatore. Film diretto con professionalità, ma manca l'anima e difficilmente si presta a una seconda visione.
MEMORABILE: L'impressionante scena dell'orso; Il piano sequenza delle battute iniziali.
La mdp riprende dal basso e fluttua seguendo i personaggi come fossero degli intervistati o la troupe di un documentario, praticamente fino alla fine del film. Questo porta a gettarsi dentro il mondo dei trapper nel Nord Dakota, ma d'altra parte è forte l'effetto documentaristico che conduce alla freddezza e alla noia, anche a causa di una sceneggiatura banale e frivola con il personaggio di Di Caprio colmo di lati stucchevoli sulla moglie (già visti in tremila suoi altri film). L'ennesimo film hollywoodiano spettacolare ma che non ha nulla dire.
MEMORABILE: Gli scenari innevati che sembrano far sentire il freddo.
Un'opera dalla bellezza estetica incommensurabile con la fotografia di Lubezki che compie uno sforzo disumano nel divincolarsi in una location estrema. Con il senno del poi, lo sforzo e le traversie produttive si posso dire ampiamente ripagate. Di Caprio si cimenta in una performance fuori dall'ordinario (era l'unica possibilità per vincere il tanto agognato Oscar?) ed è ben supportato da un Hardy di indicibile bravura. Dinnanzi alla gioia estatica di ogni singolo fotogramma, la sceneggiatura passa in secondo piano. I messicani hanno una marcia in più...
MEMORABILE: Ogni singola scelta registica di Iñárritu; Nella pelle dell'orso; Le bugie di Hardy; La resa dei conti.
Per Speedy Gonzales Omniarritu il cinema è sempre più corsia di sorpasso sopra alla quale scorribandare da incosciente pirata d'ogni strada maestra in stato di massima ebbrezza. La stessa che trasmette dal primo frame alla propria controparte testimoniale scoperchiando un cine-forziere di fata verde e morgana, facendole ballare un collinare giro di Walter, lavare i piatti con Nelson concentrato, e godere un fine settimana di meritato attentato al riposo in boschive camere kirlian che voi Herzoghiani non potete fantasticare, fischiettando "yes I'm the great prethunder". Scalpolavoro.
Filmone di straordinario impatto epico e visivo. Il remake di Uomo bianco va’ col tuo Dio porta in primo piano la natura come vera coprotagonista, amica e nemica al tempo stesso, in un racconto che si impone come leggendario sulla capacità dell’essere umano di superare ogni avversità, perfino la morte. Straordinario Di Caprio che diventa egli stesso paesaggio impervio e selvaggio nei primissimi piani tanto quanto gli immensi orizzonti innevati in cui si muove. Due ore e mezzo che tengono incollati alla visione.
Di per sé la trama ha poco di originale, richiamando tante storie estreme di vendetta più volte ritrovate in tanti film western. Ciò che distingue veramente il film di Iñárritu è la potenza del ritratto della natura, ostile ai limiti della sopravvivenza, riprodotta con tecnica elevata e una fotografia sontuosa che incolla allo schermo. DiCaprio e Hardy danno prova di grande coinvolgimento.
Che Di Caprio venda cara la pelle dell'orso e che mostri un gran pelo sullo stomaco sarebbe quasi eufemistico ribadirlo. Detto ciò, Iñárritu apparecchia il film con un addobbo visionario che regala sequenze diversamente indimenticabili: l'attacco indiano, il corpo a corpo col grizzly, l'ennesimo resuscitare dalla carcassa del cavallo. D'altro canto questo "essere per la vendetta" di Glass è declinato dal regista messicano con la tipica tumidezza ridondante che debilita sempre il suo cinema. Stavolta il contrasto poesia/prosa connaturato al suo stile trova materia più dialettica.
Probabilmente se un film simile fosse stato realizzato senza grandi mezzi (magari da un Ruggero Deodato...) sarebbe stato tacciato di inutili brutalità, uccisioni a sangue freddo su animali, violenza gratuita ecc. Sapientemente, però, Iñárritu, sa mescolare questo gran campionario "snuff" a meravigliosi campi lunghi e piani sequenza che, con l'aiuto di Emmanuel "Chivo" Lubezki, esaltano sia la meraviglia dei paesaggi innevati che le sofferenze che il protagonista Hugh Glass (Di Caprio) sarà costretto a subire per tutto il film. Buon intrattenimento, niente più.
MEMORABILE: Hugh Glass (Di Caprio) che tenta di azzannare un pezzo di carne cruda di bisonte, rigurgitandolo.
Uno spettacolare vengeance western ambientato in uno spettrale e inospitale Nord Dakota all'inizio dell'800. Di Caprio riesce a plasmare a proprio piacimento la figura di Glass, scout con prole meticcia indiana, che sopravvive a una serie di sfortunati eventi in rapida successione: Oscar strameritato anche se il nostro ha saputo anche fare di meglio. Iñárritu confeziona un filmone sotto tutti i punti di vista, toccando i cliché del genere e facendoli suoi. Epico, travolgente, commovente e appassionante dal primo all'ultimo minuto.
Della biografia reale del cacciatore Hugh Glass sappiamo poco, solo alcuni tratti leggendari che Iñárritu esagera a uso e consumo dello spettacolo, senza pensare però alla scarsa credibilità che il tutto avrebbe creato intorno alla vicenda. Resta però una regia davvero sapiente, una fotografia mozzafiato e di grande realismo e una storia di sofferenza e di natura avvincente. Leonardo Di Caprio è semplicemente perfetto, tanto che grazie al film vinse un Oscar che a onor del vero avrebbe meritato anche prima. Un grande film, per quanto dalla durata imponente, e temi da non perdere.
La natura maestosa e incontaminata al cospetto di uomini che combattono tra di loro, per soldi o per onore. Due sono i protagonisti principali; i panorami mozzafiato e un Di Caprio in stato di grazia, invincibile ed espressivo fino all'ultimo fotogramma. In mezzo, una sceneggiatura solida, convincente, con buoni e cattivi, animali morti e vivi, fino alla vendetta salvifica e catartica.
Una tecnica di regia senza compromessi esalta magnificamente paesaggi, flora e fauna (quest'ultima nell'apice del devastante attacco urside) dell'inospitale ambientazione. La suddetta regia, alle volte autoreferenziale, limita altresì la possibilità di appassionarsi a una storia che, già di suo, sarebbe tesa e angosciante. Grugno perenne di Di Caprio giustamente oscarizzato.
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Zender, in effetti ho sbagliato. Non si tratta certo di un sequel quanto, piuttosto, di un remake (entrambi i film si basano sulla stessa storia, vera). Comunque la nota mette le cose a posto.
Di Caprio recitò buona parte del film da malato, a causa delle temperature estremamente rigide incontrate nei luoghi delle riprese e di alcune sequenze che lo vedevano immerso nell'acqua gelida; continuò tuttavia a lavorare, in quanto convinto che questo avrebbe reso più autentica la propria performance. I suoi attacchi di tosse non sono simulati, bensì dovuti alla bronchite contratta sul set. Fonte Wikipedia
Di Caprio recitò buona parte del film da malato, a causa delle temperature estremamente rigide incontrate nei luoghi delle riprese e di alcune sequenze che lo vedevano immerso nell'acqua gelida; continuò tuttavia a lavorare, in quanto convinto che questo avrebbe reso più autentica la propria performance. I suoi attacchi di tosse non sono simulati, bensì dovuti alla bronchite contratta sul set. Fonte Wikipedia
Non saprei! Considerato però che in Django Unchained si era ferito accidentalmente ad una mano ma aveva continuato imperterrito la scena che stava girando (lo sproloquio a Foxx e Waltz) lasciando del sangue in giro, ci potrei anche credere. Quello che pensai io a suo tempo fu: cosa non si fa per un Oscar!