Un John Boorman particolarmente ispirato racconta, con piglio più drammatico che avventuroso, le peripezie di quattro uomini di città che si trovano ad affrontare un viaggio in canoa in un ambiente incontaminato, destinato a sparire, e il loro scontro con i "selvaggi" abitanti del luogo. Avremo modo così di capire le diverse psicologie dei vari personaggi. Il ritmo molto lento potrà far storcere la bocca a molti ma chi saprà resistere sarà premiato da un film mai banale. Ottima fotografia. Da vedere.
Gia dal famoso duetto fra chitarra e benjo si capisce che ci si sta per tuffare in un incubo più che nell'avventura di quattro amici sulle rapide del fiume. La natura che fa da cornice al racconto è magnificamente fotografata. Ciò che colpisce di più è la inspiegabilità della violenza dei "locali" contro i quattro cittadini. Ci sono scene molto forti: la violenza ai danni dell'amico ciccione, il muscolo che esce dalla gamba di Burt Reynolds etc. Un incubo terrorizzante da cui non sembra esserci via di uscita. Eccezionale e indimenticabile.
Grandissimo film che è divenuto un capostipite del genere. Un'uscita tra amici per passare un fine settimana assieme addentrandosi in una zona selvatica e inospitale diviene una terrificante avventura. Alcune scene risultano decisamente forti per l'anno in cui uscì il film: riviste ancora oggi creano un certo disagio nello spettatore. Bravo Burt Reynolds.
La paura è costituita dall'immane potenza annientatrice della Natura (qui non madre, bensì matrigna) e delle sue innumerevoli insidie, siano esse le perigliose rapide di un fiume o un erto dirupo, oppure gli istinti belluini ridestati in autoctoni bifolchi e la reazione vendicativa che scuote le loro vittime, giungendo così a condividere il teorema di Cane di paglia. La regia di Boorman, solida e scrupolosa, trae massimo profitto dall’impervio paesaggio e da attori impeccabili nei loro ritratti psicologici e nell’impegno fisico profuso. Finale con incubo pre-Venerdì 13.
MEMORABILE: Il duetto banjo-chitarra con il bambino handicappato; «Non si batte la Natura»; il rapimento; le rapide; Voight che scala il dirupo.
John Boorman sigla un film dalle atmosfere fastidiose quanto verosimili: l'uomo civile (rappresentato dai quattro cittadini in vena di escursione naturalistica) si scontra con il suo "doppio" (i residenti del selvaggio luogo). Le conseguenze sono impressionanti.
Sorta di corollario sull'influenza psicologica data non solo (e/o non in primis) da elementi innati, ma soprattutto dall'influsso dell'ambiente di crescita e sviluppo dell'individuo. Cioè a dire: si diventa quello che si è, a causa dell'ambiente nel quale si vive...
Un film crudo, cattivo. Non solo i protagonisti vengono fisicamente colpiti, ma anche psicologicamente (la scena di “Ma che bel porcellino” è di raro cinismo e perfidia). La tensione monta sempre più, con i quattro amici, canoisti, (tutti bravi) braccati, all’inizio da ombre sfuggenti nascoste dalla boscaglia sulle rive, ma poi…Una pellicola riuscita con un’ambientazione perfetta. L’esempio agghiacciante di cosa può fare un individuo se disperato e in costante pericolo di vita. Grande esempio di cinema.
MEMORABILE: Il duetto musicale col ragazzino (con evidenti problemi genetici) che suona il bengio. Prima sorride, ma una volta finito, torna subito serio.
La natura, impassibile, assiste alle disgrazie del gruppo. La sua crudeltà già s'era palesata all'inizio, quando abbiamo visto suonare il figlio di un dio minore. Sarà punita dall'uomo, che la sommergerà, ma a caro prezzo: dubbi, incubi e rimorsi. Ma noi siamo con loro, perché hanno deciso, in ardua situazione, cosa fare. Il debole esita prima di prendere una decisione; il forte dopo averla presa e messa in atto. Un ottimo film.
Un ritorno alla natura violento e angosciante. Scenari bellissimi e splendidamente fotogragrati con una regia modernissima e di piglio decisamente realistico. La prima mezz'ora scorre lenta e tranquilla, ma in seguito la storia si trasforma in un incubo crudele e beffardo. Grande cast, con quattro ottimi attori (Jon Voight, Ned Beatty, Burt Reynolds e Ronny Cox) ai massimi livelli. Non tutto è perfetto (finale poco convincente, calo di tensione nel secondo tempo) ma nulla di grave, comunque. Azzeccata la colonna sonora a ritmo di banjo.
Quattro amici vanno a fare quella che credono sarà una bella escursione in piena natura ma che in realtà si trasformerà in un vero e proprio incubo. Boorman è bravissimo nel costruire un film in cui, nonostante l'ambientazione en plein air, la tensione cresce gradualmente fino a raggiungere livelli notevoli. Teso, compatto e coinvolgente, cala leggermente solo nel finale. Peccato però che in tv la forza delle splendide immagini risulti fortemente compromessa. Divertente e riuscita la colonna sonora a ritmo di banjo.
Pietra miliare del cinema. L'uomo vuole confrontarsi con la natura e si trova a lottare con l'animale più crudele e spietato che in essa vive, il suo simile. Film senza tempo che ha la sua forza in una narrazione mai sotto tono, in ottimi attori e in una natura splendida, magnificamente fotografata.
Film del 1972 ma non sfigurerebbe anche 20 anni dopo. Parla dell'escursione di quattro semplici cittadini in un ambiente incontaminato che riserverà loro non poche sorprese. Bella fotografia, regia asciutta e incalzante che amplifica il contrasto tra premesse e sviluppo della storia, grande attenzione alla psicologia dei personaggi, tutti molto bravi. Una pellicola che ha aperto un ciclo.
MEMORABILE: Il banjo, il porcellino, l'ultima notte.
Forse il capolavoro di Boorman? Certo il suo film più programmatico. La natura come choc, ma l'uomo civilizzato incapace di recuperare un minimo rapporto con sua Madre. Il film davvero scorre dritto come la piroga in un inferno verde, le cui efferatezze e il mostrarsi in faccia dei protagonisti per quel che sono si manifesta via via che la storia scorre ai nostri occhi. Fotografia meravigliosa, uso parco della colonna sonora, attori perfetti (e Reynolds non è mai stato così odioso).
MEMORABILE: Il duello al banjo col ritardato, la scena più famosa. La sodomizzazione. Il finale.
Opera degli Anni Settanta (è del 1972) che mantiene intatto ad oggi il proprio valore, grazie alla grande abilità del regista di girare immagini di grande efficacia, affrontando benissimo il rapporto tra l'uomo di città e la natura ostile e selvaggia. Girato con ritmo incalzante, ma nello stesso tempo con stile asciutto ed essenziale, si avvale di un ottimo cast e di valide fotografia e colonna sonora. Da vedere.
Eccezionale variazione sul cinema avventuroso, che qui viene sporcato di thriller. A ben vedere la struttura è addirittura quasi da horror, con gli interpreti in un ambiente ostile, prede di umani che di umano hanno ben poco. Ma il regista riesce a non degenerare nella violenza esplicita, pur non risparmiando scene abbastanza "forti". L'eleganza della fotografia e del narrato, indubbiamente di alta classe, lanciano il film nell'olimpo del film d'autore, anche grazie alle notevoli interpretazioni del cast. Memorabile la colonna sonora folk.
Uomo contro Natura. L'uomo ha perso, perde e perderà sempre! Capolavoro di Boorman, di una portata inimmaginabile e con alcune scene da antologia del cinema. La vita di quattro amici campeggiatori cambierà per sempre quando incontreranno per loro sfortuna i rednecks di montagna. Nel cinema si sono visti molti villain, ma mai così viscidi, sporchi e amorali come i due loschi figuri che intrappolano le loro "prede" per poi abusarne a loro piacimento. Grandi Burt Reynolds e Ned Beatty. Cult movie assoluto.
MEMORABILE: Il duetto con il banjo; lo stupro; Burt Reynolds con l'arco.
Dieci anni prima di Rambo (Ted Kotcheff). Nove prima de I guerrieri della palude silenziosa di Walter Hill e sette prima dei suoi Warriors (I guerrieri della notte). Trentadue anni prima di Calvaire, Wolf Creek e tanto dell'horror contemporaneo, John Boorman raccontò del conflitto fra l'uomo e la natura, fra la civiltà (?) e l'arretratezza, fra un gruppo di amici e un manipolo di ostili antagonisti. Questo film è quasi esente da pecche, tanto è saldo l'architrave degli archetipi su cui si regge. Pietra miliare, che affiora dalle rapide di un fiume in piena!
MEMORABILE: Lo sceriffo: "Aspettiamo e vediamo se dall'acqua esce fuori qualcosa..."
È la Natura la vera protagonista del film. È Lei che assiste impassibile alle spaventose, devastanti vicende dei quattro protagonisti, accompagnandoli lungo la discesa del fiume, come se per Lei niente fosse (e lo è). È Lei la Madre primordiale che ha creato l'uomo, il quale, imperterrito, ha l'eterna pretesa ed illusione di poterla in qualche modo conquistare. Uomo che, con la propria aberrante natura, si scaglia contro se stesso, assurdamente e tragicamente. Film bellissimo, diretto magistralmente, pieno d'implicazioni sottese. Un must.
Uno dei motivi per cui, negli Anni Settanta e Ottanta, preferivo Boorman a Milius, era "anche" quello che il film qui recensito sintetizza così bene: mentre Milius pretendeva hemingwaynamente ("pateticamente") che l'uomo riuscisse a dominare la Natura, Boorman raccontava giustamente quanto essa sia immensa e sostanzialmente ignori quel piccolo animaletto chiamato uomo. Splendido film, un capolavoro da rivedere ogni tanto, se non altro per non montarsi troppo la testa...
Un bellissimo film che riesce a suscitare forti emozioni in chi lo vede. Questo deve fare una buona pellicola. L'argomento è uomo e natura. La natura è sempre quella e non tradisce, si fa vedere come è e si lascia scoprire; se rispetti le regole, l'uomo invece non lo conoscerai mai e se ti fidi è la volta che sei fregato. Il demente che suona splendidamente il banjo è il perfetto incipit e l'occasione che i quattro amici hanno per capire in anticipo dove si stanno andando a cacciare. Ma sono quattro e si sentono forti e entusiasti. Da vedere assolutamente!
Grandissimo film che ancora oggi spazzerebbe via con un sogghigno tutti i figli degeneri, cioè tutto il filone survival-horror a base di rednecks psicotici. Ovviamente, il lavoro di Boorman è molto più di questo, e sottende sottotesti e simbolismi di tutt'altra levatura. Suggestivo e crudele, il film espone in crescendo, dal piano al forte, gli inquietanti segnali di letali anomalie, fino all'esplodere della follia. Indimenticabile.
Filmo stupendo che non teme il passare degli anni. Impagabile il duetto banjo-chitarra, scioccanti le scene di stupro subite da Bob ed Ed. Un Burt Reynolds con una grande personalità. Protagonista e non comprimaria la natura (il fiume e il lago artificiale che sta lentamente ingoiando la cittadina), assieme ai suoi segreti. Grande film!
MEMORABILE: Il duetto banjo-chitarra, lo stupro, l'arrampicata di Ed sulle rocce.
Un viaggio nella natura incontaminata si trasforma per quattro individui in un incubo devastante. Lucidamente veritiero con una valida crudezza palpabile, il film mostra il contrasto tra le menti civili e i campagnoli bifolchi del posto. Ritmo incalzante ed inquieta narrazione gestita con ottimo mestiere.
Pur essendo molto di più, è la pietra di paragone del genere survival-horror, che anticipa (cronologicamente), supera (per stile) e sovrasta (per la profondità con cui tratta temi complessi - in primo luogo il rapporto dell'uomo con la natura, ma anche la violenza, la civiltà, la morale, la legge ecc.) i film dello stesso genere. Dramma d'azione con uno spessore da film d'autore o, viceversa, cinema "alto" ma fruibile come un thriller: fate voi, comunque la freccia nella storia del cinema è stata conficcata.
Insieme a Interceptor, il film che per me è una ragione di vita. Assoluto capolavoro ineguagliabile e irripetibile. Boorman si conferma uno dei più grandi registi mai esistiti (e il tema uomo vs natura sarà colonna portante di - quasi - tutto il suo cinema) e non arretra di fronte alla bestiale sodomizzazione del povero Ned Beatty. Realistico e quasi documentaristico in alcuni tratti, emozionante fino allo spasimo, coinvolgente da far male. La mano che esce dalle acque nel finale rimane il simbolo indelebile di un cinema potente e immortale.
MEMORABILE: Il bifolco sdentato si tira giù la zip delle braghe verso Jon Voight legato all'albero: "Adesso tu dirai una preghiera per me e non a denti stretti!"
Eccezionale film a metà tra l'avventuroso e il thriller, che delinea il contrasto fra quattro uomini della città e la natura violenta in cui si vanno a cacciare. Bravissimo Reynolds, ma anche Voight (soprattutto nella seconda parte) come Beatty e come Cox (quest'ultimo più in disparte). Bellissima la fotografia, la regia di Boorman è quasi perfetta e le musiche straordinariamente adeguate.
MEMORABILE: L'incubo di Voight nel finale; Reynolds che tira ai pesci con l'arco; Lo stupro.
Un vero capolavoro, una sintesi tra natura e uomo raccontata egregiamente tramite episodi a dir poco tragici capaci di incutere vero terrore nell'animo dello spettatore, una volta tanto più vicino ai cittadini avventurieri che ai bifolchi del luogo, identificabili nello scontro impari tra natura e civiltà. Vedere questo film è come buttarsi nelle rapide del fiume e sperare che tutto si concluda al più presto. Geniale.
Una comunità rurale è formata, come quella urbana, da individui buoni e cattivi. Tra i brutti (e c'è un perché del loro aspetto) delle foreste ci sono anche i malvagi e assomigliano agli altri. Il contesto della natura aperta, violentata dall'uomo, è ottimo per mostrare questa caccia estemporanea, la cui violenza si concentra in pochi e terribili momenti. Poi torna il problema di saper distinguere e non sbagliare nell'infliggere la punizione, poiché la difesa può diventare omicidio. Tensione e paura fino al termine, registrati sempre in modo esemplare.
Indubbiamente valido per i paesaggi naturali e per le discese in canoa contro l'impeto dei fiumi, ma se si parla di scene violente è semplicemente un'acqua di rose rispetto ad altre opere contemporanee, americane e non. Forse la censura ne ha limitato il raggio di azione. Anche la paranoia sullo sparo non mi ha coinvolto emotivamente; direi che i personaggi migliori sono Drew e lo sceriffo, mentre è superba l'inquadratura del villaggio destinato a scomparire.
L’essere umano a una scelta: quella “liberazione” sancirà il cambiamento di un’esistenza intera, materiale, ma soprattutto psicologico. Teso ed efficacissimo revenge-survivor movie e fulgido incontro/scontro Uomo/Natura, dove il primo (civilizzato, moralmente ligio) si contrappone all’immensa forza d’urto del Selvaggio deflagrando in tragedia umana, riuscendo così ad evocare l’aspetto (dis)umano potenzialmente vivo e allerta in ogni individuo nonché a rappresentare le estreme drammatiche capacità di mutamento d’ognuno. Strepitoso.
Sono coraggiose e innovative le scelte registiche di Boorman, che gira divinamente una serie innumerevole di scene tecnicamente pregievoli. La fotografia del grande Zsigmond sublima la bellezza e la potenza della natura. Se da un lato si apprezza la sceneggiatura per l'ottima miscela di generi, dall'altro il film - seppur osando con qualche idea - non tratteggia una parte finale all'altezza di ciò che si è visto in precedenza. Sontuosa la prova attoriale, con leggera preferenza per un altezzoso Reynolds. Notevole, ma nulla di più.
Quattro personaggi, quattro personalità diverse e una grande e inquietante avventura. Un film drammatico a tinte molto forti. Con una scenografia eccezionale che mostra una natura splendida ma ostile. Le parole di Burt Reynolds sono inequivocabili: "La natura vince sempre". Alcune sequenze sono nella storia (lo stupro omaggiato in Pulp fiction e il duetto banjo-chitarra).
MEMORABILE: Il duetto banjo-chitarra; Lo stupro; La pesca di Reynolds; L'arrampicata di Voight con immagini di pura vertigine; L'incubo di Voight.
In canoa verso l'inferno, a difendersi da chi t'attende nel verde per un agguato: ti tengono sotto tiro e tu reagisci scatenando la guerriglia. Reynolds capeggia risoluto come un comandante in battaglia, umanamente fiero di dominare i suoi uomini ma poco meno di loro preoccupato. La sfida è lanciata, la morte corre sul fiume. La natura arbitra silente e imparziale. Solo l'inattesa coda para-investigativa scarica a terra la tensione recuperando a fatica la quotidianità dopo l'incubo.
MEMORABILE: Nello sguardo ambiguo del giovane suonatore di banjo, che scruta muto dal ponte, i presagi foschi di un'avventura disgraziata; Il cadavere contorto.
Famoso e importante, ma non un gran film. Balzano all'occhio gli arcinoti passaggi chiave, su tutti la violenza carnale (e prima ancora psicologica) e il nefasto duetto banjo/chitarra iniziale. Il resto è una disavventura che si fa attendere un po' troppo (lunga la fase preparatoria da quiete prima della tempesta) per poi sbocciare in un incubo sporco, angosciante e soprattutto realistico, spezzato però dall'inverosimile metamorfosi di Voight: da coniglio bagnato diventa magicamente un misto tra Rambo e Reinhold Messner. Bei paesaggi naturali, attori bravi.
Un film cult dei primi anni 70 sicuramente tra i migliori del genere d'avventura. Nonostante abbia più di 40 anni si guarda con gusto e con il timore che i quattro protagonisti possano fare una brutta fine da un momento all'altro, surclassati dalla forza indomabile della natura, qui impersonata per la maggiore dal tremendo fiume attraversato in canoa. Ottima la prova di tutto il cast. Altamente consigliato.
MEMORABILE: Ronny Cox suona la chitarra in perfetta sintonia con un bambino del luogo.
Ai limiti della perfezione, coniuga in maniera impeccabile il thriller e la lotta dell'uomo contro la natura selvaggia, della quale fanno parte integrante pure i violenti montanari autoctoni. Sorprendentemente bravo Reynolds, ma tutto il quartetto dei protagonisti è coinvolto e azzeccato. Una nota di merito, in questo caso, il titolo in italiano, sicuramente ad effetto molto più dell'originale (Deliverance). Una pietra miliare.
Quattro uomini in barca, senza cane e nessun motivo per cui ridere. Cittadini alla ricerca dei brividi addomesticati di un tuffo nella natura incontaminata prima che tutto venga sommerso dalle acque. E' l'inizio di un incubo.... Chi lo vide alla sua uscita, ne ricorderà certamente l'impatto - un vero pugno nella stomaco - ma anche a distanza di tanti anni e all'ennesima visione il capolavoro di Boorman colpisce per la potenza della parabola, la crudeltà dello scontro fra mondo urbano e mondo rurale, il fascino della fotografia di Zsigmond, l'indimenticabile colonna sonora.
MEMORABILE: Il duetto fra chitarra e banjo; lo stupro nel bosco
Ciò che sorprende di questo film è che, nonostante abbia superato la quarantina d'anni, non risulta affatto datato, mantenendo inalterata tutta la sua tensione, il ritmo, le reazioni emotive che producono le vicende del quartetto di amici che si trovano ad affrontare realtà alle quali, da persone civilizzate, non erano per nulla preparati. Grandi musica, fotografia e interpreti, coesi da una regia granitica. Personaggi stereotipati al fine di raffigurare al meglio i caratteri dell'americano medio. Certo un'opera degna di entrare nella storia del cinema.
Scenari stupendi, un ritmo serrato, avventura e inquietudine. Ci si immedesima con gli attori (grandi interpretazioni) nelle situazioni e ci si sente avvolti in un'atmosfera malsana e claustrofobica. Grandi fotografia e sceneggiatura. Altro da aggiungere? Trovare al quadro un difetto sarebbe veramente un'impresa.
MEMORABILE: La scena dello stupro: da lì parte tutto.
La vera protagonista del film è la natura; una natura selvaggia, incontaminata e assassina, l'uomo è solo di contorno. Un film d'avventura, ma anche un thriller e un horror che non si lascia dimenticare facilmente soprattutto per via di una scena di "violenza" su uno dei quattro avventurieri. Il film, come il fiume, scorre bene dall'inizio alla fine in un crescendo di violenza e incertezza per le sorti dei malcapitati. Bellissima la gara tra chitarra e banjo all'inizio del film. Da vedere
Cultone della tensione che non perde niente della sua forza a ogni nuova visione: tirato come una corda di violino, compatto come la difesa delle Germania a Italia 90 e claustrofobico come un montacarichi. Boorman in cabina di regia ci dà sotto annichilendo lo spettatore con una natura matrigna, bifolchi senza denti, grugniti di maiali, rapide insidiose, archi, pareti verticali e spari fantasma. Ottime anche le prove del terzetto Voight-Reynolds-Beatty, ognuno capace di imprimere il proprio tocco a personaggi semplici ma centrati. Insomma, un gran film.
Ciò che colpisce più di questo film è Burt Reynolds senza baffi... Scherzi a parte, un affascinante rape & revenge tutto al maschile ancora non l'avevo visto. Ottime le interpretazioni e paurosa tutta l'atmosfera malsana che si respira. Gli infortuni e le violenze subite dai personaggi fanno male anche allo spettatore. Molto coinvolgente e ansiogeno.
MEMORABILE: Il duetto con chitarra e banjo; Lo stupro; La gamba rotta.
Uno di quei film che ti riconcilia con la cinematografia a stelle e strisce spesso troppo patinata ed evanescente. Sceneggiatura e ritmo narrativo perfettamente orchestrati da un grande Boorman, per non parlare della bellissima fotografia. La pellicola scorre via liscia con una incalzante e coinvolgente successione di situazioni, perde un po' nel finale. Cast di alto livello e ruoli azzeccati. Resta un cult della cinematografia degli anni 70.
Quello che doveva profilarsi come un tranquillo weekend in canoa per un terzetto di uomini capitanato da una guida esperta si trasforma in un vero incubo, anche esistenziale. A distanza di tempo, però, quest'opera perde un po' del suo valore dirompente e simbolico per come era nato, sebbene la presenza di attori "cult" ne faccia sempre un film di quelli imperdibili.
MEMORABILE: Le scollature sexy-macho di Burt Reynolds...
Come sono mal frequentati i molti Appalachi se quattro poveri escursionisti devono passarne tante... Ma il luogo è molto più che mal frequentato: è ostile e annulla la legge del più forte (Reynolds) portando in rilievo chi forte non è, ma integro sì. Un'avventura, un incubo che fa emergere, acuendole, tutte le differenze caratteriali e comportamentali dei protagonisti (tutti bravissimi). Eppure vi è un qualcosa di sospeso, di non risolto nell'aria; qualcosa che va oltre gli eventi narrati. Film che centra il bersaglio. Consigliato.
Un'escursione organizzata da quattro amici sui monti Appalachi si trasforma in un incubo quando vengono attaccati da loschi individui che perpetueranno su di loro ogni sorta di vessazione. Il film all'epoca, siamo nel 1972, generò grande eco per la forte componente violenta e per l'inusuale e scabrosa scena dello stupro omosessuale. Boorman fa girare la macchina a pieni giri, forte di una location mozzafiato, ben resa dalle ottime inquadrature e di ottimi attori già famosi. Ebbe tre candidature agli Oscar ma non vinse nulla. Da non perdere.
Il filosofico Boorman affronta il tema del confronto Uomo-natura e Rousseau ne esce con le ossa rotte: altro che buon selvaggio, l'uomo allo stato naturale è un bruto inselvatichito e la Natura è spietata nei confronti dell'Uomo (e viceversa). Da apprezzare come sempre in Boorman è lo spirito visionario, nel filmare la verde foresta e le limpide acque, a fronte dell'improvvisa esplosione di violenza umana (insostenibile la scena dello stupro). Bene Reynolds, ancor meglio Voight. La mano che esce dal lago anticipa Excalibur?
MEMORABILE: Il disfacimento della comunità dei bruti in riva al lago (che anticipa Non aprite quella porta); La scalata "iniziatica" di Voight.
Duro e crudo, questo gran film di Boorman ha la capacità di far riflettere senza retorica. Se da un lato è mostrato il problematico rapporto tra natura e uomo, al punto tale che questi è costretto a interrompere il flusso di un fiume per arginare l'enorme forza naturale, dall'altro è sconcertante il ruolo giocato dagli abitanti del luogo, quasi dei "morti viventi" in procinto di porre fine alle loro vite (stessa sorte del fiume) per lasciar spazio alla "moderna" società che incombe. Straordinario il lavoro sulla psicologia dei personaggi.
Innegabile l’influenza che ha avuto nel trattare realtà legate a comunità isolate venute improvvisamente allo scoperto. L’intuizione più grande è stata di non fermarsi allo sviluppo della parte più cruenta, ma affiancare a essa un’introspezione psicologica dei personaggi approfondita e accurata. Una situazione estrema e improvvisa che costringe l’uomo a ritornare allo stato primordiale, in cui è la legge della sopravvivenza a suggerire scelte drastiche ed estreme, impensabili in città. Era facile sbagliare, ma Boorman non lo ha fatto.
Uno dei film più noti di John Boorman, ha un inizio simile a quello di molti thriller; poi però, man mano che ci si addentra, la tensione aumenta di minuto in minuto. Magistrale la prova di tutti gli attori per un film veramente mozzafiato. Buona anche la fotografia. Da antologia le scene sulle rapide e quelle in notturna. Da vedere, anche per rivalutare un autore finito troppo presto nel dimenticatoio.
Gitanti in canoa verranno attaccati dai montanari. Dalla difficoltà a sopravvivere nella natura alla lotta per la sopravvivenza: un misto di violenza e thriller per vedere chi riuscirà a cavarsela. Ben girato, tenuto conto dell'ambientazione inospitale e con le rapide protagoniste. Nonostante il protagonista sia Voight si ricorda maggiormente il ruolo di Reynolds. Musiche adatte, specie per il suono del banjo.
Lento ma inesorabile è un film che sicuramente può vantare location straordinarie e un'ottima fotografia; a questo si aggiunga un cast in splendida forma e una colonna sonora che resterà nella storia. Ciò che invece funziona meno è il montaggio (lo si poteva sforbiciare un po'), ma resta comunque un'opera meritoria che ha generato più di un'imitazione. La scena dello stupro omosessuale, pur mostrando poco, è di forte impatto, così come la sepoltura con le mani. Crudo e impietoso, a oggi resta il miglior Boorman.
Quattro escursionisti della domenica discendono in canoa un fiume selvaggio: mal gliene incoglie. La sfida alla wilderness svela il suo lato più violento in questo dramma avventuroso che rovescia la consueta icona positivo-ecologista del ritorno alla natura incontaminata e conferma la tesi di Peckinpah sugli istinti violentemente primordiali che albergano nell’animo umano. Boorman firma il survival definitivo, più realistico e credibile dei massacri texani a venire. Gran fotografia di Zsigmond. L’incubo finale è entrato nell’immaginario horror.
MEMORABILE: Il "Dueling Banjos"; L’aggressione a Beatty e Voight; La votazione per il seppellimento dello stupratore; La scalata di Voight; L’incubo finale.
Non è un horror, ma lascia turbati e sgomenti come pochi altri film. Fa affiorare tutto il disagio dell'uomo moderno, avvolto dalle comodità e da una vita artificiale, che sente il richiamo della natura ma dimentica della crudeltà insita in essa. I protagonisti del film la scopriranno a caro prezzo, chi pagando con la morte chi con il trauma psicologico: la natura (personificata anche da personaggi infernali, quasi fumettistici) può portare a rinnegare le regole della società in situazioni estreme, di cui poi è difficile cancellare la traccia.
MEMORABILE: L'espressione sconvolta scolpita sulla faccia di Ed, quando ha ormai accettato il fatto di dover uccidere, senza neanche guardar bene la vittima.
La natura non perdona chi la sottovaluta. È il principale insegnamento di questo capolavoro assoluto del thriller, girato splendidamente dal grande John Boorman. L'escalation del dramma è perfettamente somministrata tra scenari spettacolari e dialoghi precisi e mai banali. Sono tante le scene indimenticabili, senza contare il celeberrimo duetto banjo-chitarra. Ottima anche la caratterizzazione dei quattro personaggi e la fotografia. Un'avventura drammatica e mozzafiato da non perdere.
Pellicola fin troppe volte omessa quando si parla di lavori basilari del mondo del cinema. Nato come thriller avventuroso, il risultato finale dipinge un'ansia così realistica da lasciare ancora oggi un senso di inquietudine tangibile in chi lo visiona. Senza orpelli, senza effetti, solo la nuda e cruda realtà, quella che chiunque (soprattutto in quelle zone degli Stati Uniti) potrebbe trovarsi a rivivere ancora oggi. In molti ci hanno provato e tutt'ora ci provano a ricreare questo effetto, anche estremizzando e di molto il concetto, ma pochissimi ci sono riusciti. Indelebile.
Insieme e forse ancor più tortuosamente del Cane di paglia di Peckinpah, il più turbativo degli apologhi anni'70 su civilizzazione e stato di natura, creazione selvaggia e imbastardita umanità. Boorman non si perita di indagare il background socio-culturale dei quattro amici (sottolineando peraltro come anche i loro rapporti siano sfumati e indefiniti), restituendoceli impietosamente nella loro intima ultima natura. Lapidario ma mai sentenzioso, disturbante e alieno da ogni liberazione, un film che vive di emozioni stratificate e immagini ambigue in un dualismo autistico/neurotipico.
MEMORABILE: Lo stupro di Beatty; La freccia nel fianco di Voight; La Chiesa sulle ruote.
Quando i mezzi erano pochi, la capacità molta e gli interpreti dei veri protagonisti, nascevano film di questo calibro. Non che ci volesse molto: i registi sapevano fare i registi, gli attori pure, gli scenografi idem e così pure gli addetti alla colonna sonora. Perle rare. Un cult imperdibile per gli amanti del genere, grazie ai tanti meriti su cui campeggiano anche realismo e veridicità. Armi vincenti mai scontate. La storia in sé non ha nulla di eclatante, ma tutto il resto fa la differenza. E tutto il resto è davvero tanto!
Un alfabeto visivo vertiginoso, gelido e incombente, trionfo di tinte iper-realistiche scrostato da qualsiasi patina di glamour. Boorman affronta l'ostinato dualismo uomo-natura avvalendosi di gravose implicazioni morali e impennate exploitative, mentre sullo sfondo si dipana una realtà remota, selvaggia e di febbrile bellezza. Tra lucidità e idealismo un capolavoro intramontabile.
Quattro cittadini vogliono darsi una botta di vita discendendo un fiume montano come fecero i loro avi, prima che i coloni moderni arrivino a distruggere tutto. Film che apre una via stilistica, carico com'è dell’esperienza statunitense in Vietnam, fatta di ambienti ostili e violenze gratuite. È già un po’ Cimino e un po’ Coppola, ma anche Kotcheff. Magistrali gli scenari naturali, la cura fotografica e l’escalation emotiva che trasforma un’innocua escursione tra amici in una disumanizzante guerriglia in cui mette angoscia anche il frinire dei grilli. Finale un po’ a motori spenti.
MEMORABILE: L’accompagnamento sonoro della natura (le musiche sono superflue); Ed che tentenna come il soldato Piero di De André; Il trasloco del cimitero.
Film famosissimo, anche per l'accattivante titolo italiano (l'originale "Deliverance" è migliore ma intraducibile), diretto magistralmente da Boorman e riuscito grazie soprattutto alla sceneggiatura scritta da James Dickey (l'autore del romanzo), che ha pure interpretato piuttosto bene il ruolo secondario dello sceriffo bonaccione. Ottima anche la trovata di stemperare nella parte finale la tensione con l'intervento comico della vecchina che parla di un grosso ortaggio: "peccato che fosse solo un cetriolo".
Quattro uomini in canoa (per non parlar dell'arco): lontani dalla città, dalle sue speculazioni edilizie e dagli incombenti scempi paesaggistici, a contatto con la natura e tutto ciò che è regolato dalle sue leggi. Come in ogni grande film all'inizio c'è già il tema: le voci umane sono fuori campo, protagonisti i fiumi, i boschi e l'ambiente ferito. Ottime regia e fotografia. Memorabile il gioco delle dissolvenze incrociate, con gli uomini "inghiottiti" dalla natura. La più indimenticabile, che le suggella tutte, è quella dell'incubo. Vincente la scelta del cast.
MEMORABILE: Le dissolvenze incrociate con gli uomini inghiottiti dalla natura; Il cadavere "disumano", continuazione ideale del tronco.
Pioniere dei film centrati sui pericoli che corre chi, abitando le sempre più fredde città metropolitane, anela riscoprire il lato selvaggio della natura ma deve affrontare la diffidenza, se non l'astio degli abitanti del posto. Uomini diversi, quasi in senso antropologico, si incontrano e scontrano. In realtà nel film di Boorman il duello è anche con il fiume, dominante nelle immagini con le sue rapide e le sponde sulle quali si nascondono le insidie, reali o soltanto immaginate dai quattro in barca. Più tensione che azione, entrambe comunque ben dosate. Meglio Voight di Reynolds.
Sulle note di un banjo e di una chitarra, comincia l’incredibile avventura di quattro uomini in canoa, armati solo di un arco e di una tenda da campeggio, lungo le natura selvaggia del fiume Chattanooga nel Tennessee. Ben presto quella natura vista come romantico rifugio dei quattro cittadini, in cerca solo di una innocente evasione per lo spazio un week end, si rivelerà beffarda e matrigna e li costringerà ad andare oltre le leggi e le convenzioni morali, in una lotta mortale per la sopravvivenza.
Ha il merito di inaugurare un sottogenere successivamente molto replicato, anche se qui (specie all'inizio) non è che i protagonisti facciano proprio simpatia. Sicuramente sorprende per la piega che dà al tutto; il villaggio inaugurale faceva presagire qualcosa, ma non uno sviluppo prima crudo e poi beffardo (peccato che certe parti del finale sgonfino un po' il climax). Ben diretto e interpretato, mentre la scelta di ridurre la OST al minimo sindacale contribuisce a rendere più opprimente ciò che circonda i malcapitati escursionisti. Si sarebbe gradita un po' di tensione in più.
MEMORABILE: Duetto chitarra/banjo; "Strilla come un maiale!".
Attraverso l'avventura sul fiume, Boorman sembra voler idealizzare e al tempo stesso decostruire sia l'amicizia virile sia il ritorno alla natura. In una fradicia odissea dalla fotografia acquatica, la denuncia della civiltà moderna si trasforma infatti in una lotta per la vita e la dignità contro gli uomini degenerati di una comunità primitiva e forse incestuosa, che pare scardinare ruoli e principi dati per acquisiti, come ricordando che davanti alla foresta e alla paura anche l'individuo più progredito, più sicuro di sé, può fare ritorno contro la sua volontà allo stato selvaggio.
MEMORABILE: Il ragazzino che suona il banjo; La scena dello stupro, per i tempi brutale; Il rumore continuo dell'acqua.
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Venne girato un finale alternativo, scartato però nel montaggio finale. Aveva luogo settimane, forse mesi, dopo la tragedia, e appariva nello script primigenio di Dickey come implemento del sogno finale. Lewis cammina zoppicante con una stampella (nello screenplay, la gamba è amputata da sotto il ginocchio). Ed, Lewis, e Bobby si incontrano con lo sceriffo, che li porta verso un corpo su una barella; lo scopre, per permettere loro di identificarlo ma non viene mostrato al pubblico per lasciargli l’incertezza su chi sia il cadavere tra Drew, Don Job o il villico sdentato. L’attore che incarna il morto in barella è Christopher Dickey, il figlio di James Dickey.
Ed si sveglia di soprassalto urlante, poco prima che il volto venga svelato.
HomevideoRocchiola • 2/09/19 15:30 Call center Davinotti - 1318 interventi
Il bluray della Warner uscito nel 2012 in occasione del quarantesimo anniversario del film offre un'immagine pulita e ottimamente definita. Alcune scene soprattutto all'inizio e nel finale sono un po' granulose, ma credo si tratti di una scelta voluta. L'audio italiano non è potentissimo ma pulito e chiaro. Trattandosi di film vietato ai minori di 18 anni sconsiglio qualsiasi tipo di visione televisiva, in quanto tagliata dei particolari più scabrosi.
Rivisto ieri, sempre bello e potente come sensazioni.
Per girarlo, non solo gli attori hanno disceso le rapide del fiume senza controfigure ma pure Jon Voight ha fatto free climbing senza bisogno di stunt.
E il tutto, come riportato anche nelle curiosità, senza alcuna assicurazione per non pagare premi troppo alti. Questo parrebbe richiamare una delle battute del film, dove Lewis (Reynolds) dice "Non credo alle assicurazioni, mai fatta una".
Sempre a proposito di Reynolds un aneddoto è che poco prima dell'uscita del film, pur sconsigliato dal suo agente, accettò di fare un servizio di nudo per il periodico Cosmopolitan.
In seguito, mentre era in Danimarca a promuovere Deliverance scopri che una delle foto da cestinare (nella quale "si faceva" una pelle d'orso) era stata inserita a sua insaputa in un giornalino porno locale. Ovviamente si parlò più di quella che del film. (fonte)
DiscussioneDaniela • 5/07/20 10:19 Gran Burattinaio - 5944 interventi
Capannelle ebbe a dire:
Rivisto ieri, sempre bello e potente come sensazioni.
Capolavoro senza tempo.
Grazie per le curiosità... curiose, sia per quanto riguarda l'assicurazione che per quanto riguarda la fotografia di Burt col povero orso che, volendo, si può acquistare qui.
PS: Non pensare male se me la sono andata subito a cercare in rete. Il mio interesse era rivolto unicamente all'orso ;oP
Il nuovo DVD Sinister è ben realizzato. Il comparto video presenta una definizione ottimale (parliamo sempre di un DVD) e grana video quasi impercettibile. Durante la visione non ho riscontrato nessuna anomalia (come ad esempio 'freeze'). Molto molto soddisfatto da questa nuova riedizione.
Il blu-ray è perfetto, non capisco il senso nel 2021 di farlo uscire in dvd.
pienamente d'accordo, purtroppo io non ho fatto in tempo ad acquistare la versione in Blu-ray che adesso è fuori catalogo (e la si trova su eBay dalle 30 € in su...), e attualmente ho dovuto dirottare sull'edizione in DVD. Purtroppo in Italia il Blu-ray non ha mercato perciò queste piccole case editrici per contenere i costi optano per il formato DVD... purtroppo... :-(
Trivex ebbe a dire: Il film risulta ancora VM18 e con una durata formale prossima ai 110 minuti.
In tv passa prima delle 22,30...quindi è tagliatissimo?
Sì, Trivex, il capolavoro di Boorman è ancora ai 18 anni, indi per cui passa cut in tv (non su Sky, però).
Spurgata la selvaggia sodomizzazione ai danni di Ned Beatty da parte di Billy McKinney.
Le prime volte che l'ho visto mi era sempre parsa debole o tagliata infatti, la scena dello stupro e della tentata fellatio, quasi infantile, ma l'ultima volta, qualche anno fa sempre in tv, sono sicuro che la scena fosse più lunga ed esplicita. Ma non so se fosse la versione integrale oppure una solo meno censurata