Non c'è niente di davvero straordinario nell'opera di Bellocchio, se si esclude la grande umanità che riesce a trasmettere Pierfrancesco Favino con la sua eccellente interpretazione; ciononostante il film sa farsi apprezzare e sa colpire nel segno, quando può. Quella di Tommaso Buscetta (detto Don Masino) è una pedina chiave, nella storia della lotta alla mafia: il primo pentito, colui che inaspettatamente ha permesso di aprire uno squarcio su un mondo chiuso e protetto come quello di Cosa Nostra. Aprendo finestre temporali diverse, che partono da una festa in Sicilia nel 1980 alla quale presenziano tutti i più importanti rappresentanti della mafia di allora, Bellocchio racconta l'odissea di un...Leggi tutto uomo che non si è mai considerato un traditore. Traditori erano a suo dire coloro che avevano trasformato Cosa Nostra in un'organizzazione follemente sanguinaria e senza regole. A cominciare dai corleonesi di Totò Riina naturalmente, responsabili di una della più feroci scalate al potere di sempre condotte attraverso il massacro delle famiglie rivali. Buscetta, fuggito in Brasile ma rimpatriato e messosi poi al servizio di Giovanni Falcone guadagnandosi gli appellativi più spregevoli dai suoi conterranei, apre col giudice un rapporto di collaborazione vera, molto ben reso da un Bellocchio che trova nelle relazioni tra i personaggi principali i momenti più alti. Non solo nei lunghi interrogatori fatti di mezze parole e sottintesi ma ancor di più nei faccia a faccia tra mafiosi durante il maxiprocesso (tutto da godere il confronto tra Buscetta e Pippo Calò, interpretato al meglio da Fabrizio Ferracane), ai quali va aggiunta la sentita performance di un Luigi LoCascio (è Totuccio Contorno) che si esprime in un dialetto stretto al limite dell'incomprensibile. E d'altra parte è buona parte del film ad essere sottotitolato; un po' per i dialoghi in portoghese tra Buscetta e la moglie brasiliana (Cândido), molto per l'uso generalizzato di un siciliano smozzicato di ardua comprensione (come lamentato più volte dagli avvocati al processo). Straordinario l'apporto della colonna sonora di Nicola Piovani, più deludente la pallida fotografia, efficace nelle scene d'interni in tribunale, in cui ci si sovrappone facilmente ai ricordi delle dirette di allora, scipita negli esterni, mancando di fornire l'incisività necessaria. A fronte di una regia a volte scolastica, in altre occasioni indubbiamente valida ma priva di guizzi, il film si impone quindi per l'ottimo sforzo corale del cast (notevoli anche il Falcone di Fausto Russo Alesi e il Luciano Liggio di Vincenzo Pirrotta), più che per il racconto, talvolta gravato da vezzi autoriali superflui. Si saltabecca da un'epoca all'altra senza mai lasciare traccia di ricostruzioni d'epoca realmente efficaci (registriamo il milionesimo ricorso alla Brasile-Italia del 1982 per inquadrare immediatamente il momento storico). Lasciato a margini il processo Andreotti, condotto tra ironia e sarcasmo il confronto con Totò Riina (Calì Nicola) davanti ai giudici, vissuti con malinconia e disillusione gli anni in America seguiti alle celebri deposizioni, sfuggenti i rapporti con moglie e figli, emerge il ritratto di un uomo d'onore di vecchio stampo, che più volte dà l'impressione di ritrovarsi sperduto e perduto, al di là delle apparenze. Merito della performance impeccabile di un Favino che difficilmente poteva mostrarsi più in parte e del buon lavoro di Bellocchio, che in ogni caso sa come rendere correttamente e con autenticità il circoscritto ambiente mafioso entro cui si muove il protagonista senza lesinare qualche buffo tocco ironico. Lascia invece sempre agghiacciati il brindisi di gruppo alla morte di Falcone.
E' sempre sconvolgente, oltre che imbarazzante, rivivere i tragici eventi legati a "Cosa Nostra". Il regista piacentino propone una buona ricostruzione, pur con qualche caduta nella fiction, avvalendosi di un cast all'altezza (da segnalare Lo Cascio e Ferracane, oltre a Favino). D'effetto le scene del maxi-processo, un misto di farsa e tragedia che pone a confronto la barbara bestialità proveniente dalle gabbie degli imputati con l'incredulità e lo sconcerto del giudice, chiaro simbolo di un paese debole e sopraffatto.
Il criminale Buscetta (poco esplorato), l'uomo Buscetta (spesso e volentieri dipinto nelle sue debolezze) e il personaggio Buscetta (il simulacro dietro la teca di cristallo) vengono resi al meglio dal volto e dall'inflessione di un Favino poliedrico ma mai stucchevole. Impianto registico piuttosto classico, non granché fantasioso, aggiustato con qualche mestiere (specialmente nelle significative scene funebri, colorate di grottesco); buoni i personaggi secondari (sgradevolissimo Calò-Ferracane), con l'eccezione di un Andreotti macchiettistico.
MEMORABILE: La condanna a morte del giovane Giuseppe Inzerillo; Il racconto dello strangolamento dei due figli di Buscetta.
La capacità di raccontare non fa difetto a Bellocchio; e bisogna ammettere, che non era semplice descrivere un personaggio singolare come Buscetta, evitando di caricaturizzarlo. In questo, la prova convincete di Favino gioca un ruolo fondamentale, riuscendo a mascherare alcuni passaggi un po' superficiali, sbrigativi e una certa concessione allo spettacolo, anche gratuito (la moglie di Buscetta sospesa nel vuoto dall'elicottero). Resta una pellicola utile, soprattutto per non dimenticare gli efferati fatti di sangue da Far West di casa (Cosa) nostra.
MEMORABILE: La foto di gruppo, con Riina, che si copre il volto; I confronti, con "pubblico" in gabbia commentante "C'hai più corna delle lumache!".
Una pagina nera della storia italiana che valeva la pena di essere raccontata, con ottime interpretazioni e una regia eccellente. Impressionante la somiglianza di Pierfrancesco Favino con Tommaso Buscetta; non tanto nel volto quanto nelle movenze e sopratutto nella voce. Interessante ricostruzione dei fatti che comprendono soprattutto il maxiprocesso, con l'aula giudiziaria imitata alla perfezione e i dialoghi maniacalmente uguali a quelli reali.
Vita, malavita e pentimento dell'ex boss mafioso Tommaso Buscetta. L'opera didascalica di Marco Bellocchio si avvale del virtuosismo di Pierfrancesco Favino, che a conti fatti risulta meritevole - più lui del regista, a dire il vero - di intrattenere e rendere grazia a un film altrimenti "succursale" di una fiction biografica. Passaggi un po' romanzati, sbrigativi e una non felicissima ricostruzione storica degli Anni '80 levano il dovuto fascino a un film che, in ogni caso, riesce a rendersi in diversi frangenti attanagliante.
Tre anni dopo Fai bei sogni Bellocchio torna al cinema con un film sul pentito Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, che venne anche interrogato, nel 1984, da Giovanni Falcone. Il film ha il pregio di entrare subito in medias res e a catturare l'attenzione dello spettatore. Si avvale inoltre di un buon cast, nel quale spiccano Favino e Lo Cascio. Bellocchio tralascia molto la componente onirica, ma quando se ne avvale colpisce inesorabilmente. Da vedere. Eccellenti la fotografia e il sonoro.
MEMORABILE: Gli interrogatori di Buscetta; La telefonata con la moglie; L'amplesso consumato in carcere.
Il Traditore vive essenzialmente della mirabile performance di Favino, capace di restituirci la figura di Buscetta in tutti i suoi controversi aspetti. I meriti si espandono a una regia elegante, con una fotografia impeccabile e movimenti non banali della macchina da presa. Meglio la prima parte, nella seconda la staticità prende forza, soprattutto per la lunga parentesi del processo (che regala comunque momenti di ilarità). Il cast di contorno non si può definire esattamente all'altezza del protagonista, il che penalizza un film in ogni caso gradevole.
Il film è maturo e compiuto, Bellocchio conosce bene il suo personaggio e lo costruisce a 360°, mostrandone i vizi e le fragilità. Poi non si risparmia di ricostruire le scene ben più note del maxiprocesso a Cosa Nostra prendendosi anche il rischio di mostrare il giudice Falcone e la scena del celebre attentato di Capaci. Ben orchestrato il concerto del protagonista Favino (superlativo) coi personaggi di contorno, tutti in parte. Rimane sempre interessante e avvincente; ottima colonna sonora di Piovani e una regia mai scontata.
MEMORABILE: L'agghiacciante reazione dei mafiosi all'attentato di Capaci.
Bellocchio si cimenta in una tematica storica non semplice da raccontare: il traditore di Cosa Nostra Buscetta, meravigliosamente interpretato da Favino, è alle prese con la coscienza e un gesto, a suo modo, rivoluzionario. Un'opera basata sulla recitazione, dal cast ottimo (in particolare un perfetto Lo Cascio, che sa ben gestire la lingua e ci fa entrare nel personaggio). Forse in alcuni punti è un po' didascalico, rischia di ripetersi, ma è fondamentale vederlo per non dimenticare la storia del nostro Psese.
Favino è molto bravo a riportare in vita un personaggio ambiguo mentre il film procede per "ellissi teatrali": la vita in Brasile, il maxiprocesso, i confronti con Calò e Riina, micro scene madri che concedono un po' allo spettacolo con l'aggiunta di inserti onirici superflui; nel complesso un buon film, con la nota di un Lo Cascio soldato mafioso schizzato, non somigliante nel fisico al vero Contorno (più robusto) ma assolutamente aderente per spirito.
MEMORABILE: La festa iniziale; L'appoggio della moglie; Il confronto con l'avv. Coppi (un bravo Storti) al processo Andreotti.
Un film utile che ricostruisce, sotto l'occhio soggettivo di Bellocchio, le vicende di Buscetta e il suo pentimento capace di rovesciare la piramide di Cosa Nostra. Al solito guizza la penna del regista senza la quale il film non sarebbe questo film; forte, capace, profondo, corredato da una fotografia come si deve. Favino a volte è fisso su sé stesso (e da lì non si sposta), a volte dà prova di saperci fare seriamente. Il ritratto di un uomo ambivalente nelle intenzioni, "eroe" e mafioso insieme.
Un film lungo e forse un po' stucchevole, ma la storia di Buscetta viene esaminata con cura nei particolari dall'attento Bellocchio, il quale riesce a fotografare con esattezza il clima mafioso di quegli anni; Favino autentico protagonista del film è abilissimo nella perfetta aderenza al personaggio dimostrando una stupefacente capacità di mimesi. Davvero gradita e soprattutto esilarante la presenza di Lo Cascio nelle parti di Contorno, altro grande pentito di mafia. La scelta di Alesi per il personaggio Falcone non convince invece più di tanto.
Finalmente si attinge da tutto ciò che era dietro l’angolo e che bastava raccontare (bene). Impresa riuscita, grazie a una sceneggiatura a volte stiracchiata (per contenere l’incontenibile di anni e anni), altre quasi prolissa (per valorizzare dinamiche che paiono ritrite... ma che meritano il soffermarsi). Bravo Bellocchio, coadiuvato da un cast in parte e, in particolare, da un Favino che parte sornione per dare quello sprint finale che avvolge. Un po’ come nei fuochi di artificio: all’inizio intrattenimento, poi esplosione e stupore.
Bellocchio racconta la storia del più famoso pentito di mafia in modo spettacolare senza rinunciare al suo cinema d'autore. Notevole la prova di Favino che entra nei panni di Buscetta in stile Actor's Sudio, imitandolo nella voce e nei gesti. Altri attori sembrano meno aderenti ai loro personaggi. Perfetta la ricostruzione del maxi-processo a Palermo, un momento drammatico e quasi kafkiano.
La ricostruzione delle vicende di uno dei primi mafiosi collaboratori di giustizia in un film che Bellocchio realizza in modo un po’ didascalico ma che presenta un’indubbia forza narrativa, grazie alle eccellenti interpretazioni (di Favino ma non solo) e alle buone ricostruzioni ambientali. Viene ben delineata la personalità di Buscetta, nel suo essere personaggio ancorato alle vecchie usanze, mostrandone anche le profonde contraddizioni. Particolarmente godibile la parte dedicata al maxi processo. Un film riuscito, nonostante la lunghezza.
Pur con qualche parte ridondante o troppo cronachistica è un bel film che Bellocchio confeziona in stile epico e con al centro un Favino in gran spolvero; ma che dire di Lo Cascio, Ferracane e comprimari vari? Da elogiare anche le musiche, il montaggio e le ricostruzioni ambientali che permettono di ripercorrere epoche diverse con tagli vuoi drammatici (la mafia può far male) vuoi grotteschi (si può far male alla mafia). Migliorabile come coerenza dell'insieme, ma sempre godibile nonostante la durata.
Produzione impegnativa, durata extra-large, qualche licenza poetica (Andreotti in mutande, la moglie di Buscetta penzolante dall'elicottero); si segue con interesse fino alla fine perché tratta di un pezzo di storia contemporanea che ha lasciato il segno nella memoria collettiva. Però ci si chiede se fosse proprio inevitabile una narrazione così piattamente scolastica (forse per l'ignaro pubblico estero?) e non invece un andamento più ellittico (come nel Divo di Sorrentino) e meno televisivo.
Film rigoroso che nulla o quasi concede allo spettacolo. E' una attenta e fedele ricostruzione della vita di Tommaso Buscetta, eccezionalmente interpretato da un Favino davvero in stato di grazia e capace di dare spessore e grande umanità al noto pentito di mafia. Emergono le ragioni della decisione di collaborare con Falcone e tutti i drammi familiari che ne sono seguiti. Merita sicuramente una attenta visione.
Cronistoria del pentimento di Buscetta. Sceneggiatura filante che perde l'occasione di mostrare la carriera criminale iniziale e gli intrecci tra famiglie e si concentra sul maxiprocesso, dove manca però la tensione dei veri interrogatori. Favino è straordinario (anche nella voce), una nota per Lo Cascio come mimica. I ruoli di contorno tra mafiosi e giudici (Falcone in primis) risultano abbozzati, forse per non togliere importanza al protagonista. Conclusione come un racconto nero beffardo.
MEMORABILE: La moglie appesa fuori dall'aereo; Il dialetto siciliano di Contorno; L'interrogatorio dell'avv. Coppi; Capaci.
Un monumentale Favino interpreta il primo storico "pentito" di Cosa Nostra con ottime sfaccettature ben coadiuvato dal resto del cast; menzione anche per Lo Cascio. La narrazione, nonostante la lunghezza, scorre lineare con qualche flashback, sogni onirici del protagonista e immagini di repertorio. L'abilità di Bellocchio è notevole e se talvolta sembra di assistere a una fiction importante è solo un'impressione, perché questa è una pellicola dall'ottimo impatto visivo.
La cosa che più "impressiona" del film è la trasparente "impressione" che Bellocchio si sia formidabilmente divertito a girarlo. Giocando contestualmente con gli stilemi linguistico visivo/narrativi del mafia movie e del cinema civile, il regista de I pugni in tasca riesce a creare un'opera "epilettica", sorprendente nella sua resa spettacolare, senza rinunciare a notazioni di sarcasmo acuminato vs il Potere istituzionale, quello mafioso compreso, con vette cinico/mareschiane che hanno del sublime. In definitiva un film ibrido da gustare e (che dà) da pensare.
MEMORABILE: La parlata di Favino/Buscetta; La presentazione dei personaggi durante la Festa di Santa Rosalia: Il rapporto con Falcone.
Gli ultimi vent'anni di vita del pentito Buscetta vengono raccontati con cura da Bellocchio. Ottima e intensa l'interpretazione di Pierfranceso Favino, specie nelle fasi processuali ove emergono chiaramente i motivi che hanno spinto Don Masino ad allontanarsi da Cosa Nostra. Cala nell'ultima mezz'ora, anche a causa della durata eccessiva, ma rimane un film da vedere, specie se si è amanti del genere.
MEMORABILE: Il confronto tra Buscetta e Pippo Calò.
Realizzazione interessante, a metà strada tra il documentario e il mafia-movie classico; scorrevole pur con qualche evidente licenza nella storia, ben recitata dal cast ma con alcuni dialoghi in dialetto a tratti incomprensibile. Alla fine dei conti siamo di fronte a un prodotto non eccezionale ma buono, in cui spicca un Favino in stato di grazia che conferisce veridicità al suo personaggio, spalleggiato degnamente da Alesi.
MEMORABILE: La fine dei figli di Buscetta; Il processo con la teca di vetro.
Belocchio affronta la vita e le scelte di Tommaso Buscetta scandendone le fasi con uno stile che oscilla tra il documentario e la fiction: piace il rigore della ricostruzione ma non si può negare che si soffra anche per una certa "ingessatura" di alcune dinamiche che avrebbero forse richiesto un approccio più aggressivo e snello. Il film è tutto sulle spalle di Favino, che si dimostra un grande attore: mimica, voce, postura, tutto in versione camaleonte. Il resto del cast finisce inevitabilmente in ombra, con menzione per il solito nervoso Lo Cascio.
La parabola criminale di Tommaso Buscetta, prima boss indiscusso di Cosa Nostra e poi collaboratore di giustizia, fiero scudiero di un ideale, in entrambi i casi, estremo. Marco Bellocchio è un regista monumentale che dall'alto della sua decennale carriera sa come dare spessore ai suoi personaggi e la giusta drammaticità a una storia che ci riporta agli anni bui e drammatici della lotta alla mafia. Favino è perfetto, ma Ferracane e Lo Cascio sono addirittura straordinari. Poco fumo, tantissimo arrosto!
Tralasciando la prima mezz’ora che scorre lenta ed è fatta per lo più di sottotitoli, il film è decisamente più coinvolgente da quando parte il maxi processo ed esce fuori a tutto tondo la bravura di Favino (ma anche di Ferracane e Lo Cascio). Qualche scena truce viene inserita nel corso delle due ore e mezza di pellicola assieme a vere immagini di repertorio. Regia piuttosto asciutta di Bellocchio a fronte di una fotografia non troppo esaltante. Resta comunque un interessante ritratto del pentito di mafia Buscetta.
Favino dimostra ancora una volta il proprio talento camaleontico, calandosi questa volta nei panni del "pentito" per eccellenza: Tommaso Buscetta. La storia dell'ex mafioso viene raccontata con molta attenzione e senza annoiare con dettagli eccessivi sulle vicende post-1992; talvolta però manca l'approfondimento della psicologia del personaggio. Ciò è dovuto specialmente alla necessità di non sforare i tempi, non certo al talento di Favino. Convincono pure gli altri attori, meno le scenografie.
Il sapore indubbiamente didascalico, se da un lato toglie freschezza a una persona che ha padronanza con la vicenda, dall'altro rende la pellicola internazionalmente più appetibile per un pubblico poco avvezzo alla tematica. La regia di Bellocchio è solidissima: non si perde in inutili voli pindarici e si sofferma sulla rotondità dei personaggi. Favino è in gran spolvero ed è credibile seppur recitando con un accento non proprio. La lunga durata è supportata da un discreto ritmo narrativo che non abusa di pause "autoriali". Cast di contorno corretto, senza particolari acuti.
MEMORABILE: "L'eterna" resa dei conti; Il rimpianto per i "veri" valori di Cosa Nostra; L'esultanza mafiosa.
Era impresa forse impossibile raccontare con poco più di 2 ore una vicenda tanto complessa come quella di Buscetta, pentito per opportunismo ma anche per il rifiuto della nuova mafia in nome di un senso dell'onore idealizzato quanto irrealistico. Bellocchio la affronta con un taglio didascalico non del tutto convincente (alcuni passaggi sono frettolosi, non tutti i personaggi in campo hanno sufficiente spessore, il contesto ambientale é sfuocato) ma vince comunque la scommessa grazie alla prova poderosa di Favino, ben affiancato da Lo Cascio e Ferracane. Pregevole la ost di Piovani.
MEMORABILE: I confronti nel maxiprocesso di Palermo; La sequenza finale alla luce della luna.
La biografia di Buscetta come trasognato poema epico della palta tricolore: per cantastoriarla, Bellocchio si fa zelighianamente contaminare dagli isotopi del miglior italocinema di genere come di impegnata denuncia degli ultimi 60 anni, senza tema di conglobare austerità e kitsch, autorialità e trash: Damiani Petri Ferrara Tornatore Risi Agosti i Sollima Di Leo, ma anzitutto se stesso, quel bell'occhio della mente che ci fa stravedere il reale la cronaca e la storia tramite mitografia e sognopoiesi. Favino, in cima alla propria mercurialità, fa applaudire di lassù Volontè per 140'.
MEMORABILE: Va, pensiero e Macbeth di Verdi quasi come in Argento!
Grandissimo ritratto dell'Italia dilaniata dalle guerre di mafia e rappresentazione esatta del fenomeno del pentitismo oltre che del più grande processo contro la mafia di sempre (il maxiprocesso). Favino si presenta come uno dei migliori attori italiani degli ultimi decenni e questa (nel ruolo di Tommaso Buscetta) è probabilmente una delle sue migliori performance di sempre.
Grandissimo film di Bellocchio che racconta con magistrale aderenza al personaggio la soffertissima e tragica storia del primo pentito di Cosa nostra. L'opera colpisce per l'empatia che emana, la cifra stilistica e la credibilità che la contraddistingue, il tratteggio iper-realista e la cadenza incessante del narrato. Favino superlativo, totalmente dentro il personaggio.
MEMORABILE: Gli interrogatori tra Falcone e Buscetta.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
DiscussioneGugly • 9/06/19 23:27 Archivista in seconda - 4712 interventi
Credo che il film abbia mancato premi a Cannes perché, a parte l'innegabile bravura di Favino, la narrazione è spesso sbrigativa ed a rischio fiction, sia pure di alta qualità; la scena della prostituta in carcere e i ricordi di Contorno e Buscetta sui privilegi di cui godevano sia pure detenuti per i più cinefili non può non rimandare a Quei bravi ragazzi di Scorsese...infine il titolo: per chi l'ha visto è chiaro chi sia il (vero) traditore.
DiscussioneGugly • 10/06/19 10:20 Archivista in seconda - 4712 interventi
P.s. tutto il dialogo tra Contorno e Buscetta in cui il primo manifesta la volontà di tornare in Italia per eliminare i Corleonesi ai più addentro alla materia ricorderà la stagione del Corvo alpalazzo dei Veleni...di cosa parlo? E' presto detto: nel 1989 al palazzo di Giustizia di Palermo iniziarono a girare veline anonime che screditavano Falcone e lo accusavano, tra l'altro, di voler usare Contorno come killer per risolvere in via più sbrigativa i problemi causati dalla fazione dell'allora "Primula Rossa" Totò Riina
"L’accusa contro il giudice palermitano è di aver volontariamente fatto rientrare in Italia il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno, esponente di spicco della cosiddetta “mafia perdente” (nella guerra di Cosa nostra che ha portato all’egemonia dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano), al fine di uccidere alcuni membri della “mafia vincente”. Un clima inquietante, che prosegue nonostante la nomina di Giovanni Falcone a procuratore aggiunto di Palermo, per diretto interessamento dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
DiscussioneZender • 10/06/19 16:49 Capo scrivano - 48432 interventi
Non ho capito; io l'ho visto e mi torna, che il traditore sia Buscetta. Così veniva considerato dalla mafia per ovvie ragioni.
DiscussioneGugly • 10/06/19 18:37 Archivista in seconda - 4712 interventi
Zender ebbe a dire: Non ho capito; io l'ho visto e mi torna, che il traditore sia Buscetta. Così veniva considerato dalla mafia per ovvie ragioni.
******
SPOILER
E se il traditore fosse Calò? Buscetta gli ha affidato i due figli, lui glieli ha ammazzati.
FINE SPOILER
*******
DiscussioneZender • 10/06/19 19:24 Capo scrivano - 48432 interventi
D'accordo, poi si può interpretare in mille modi; per Buscetta il traditore è Riina che ha tradito i princìpi della vecchia mafia. Però usato come titolo del film direi che il riferimento primo è inevitabilmente il protagonista.
Ma no il traditore è Buscetta, che è stato il primo se non tra i primi (o comunque sia il più popolare) pentito e informatore di giustizia, tutto il resto come scrive Zender sono interpretazioni personali che ognuno può dare.
La partita trasmessa in televisione, utilizzata nel film per contestualizzare il periodo di latitanza in Brasile di Buscetta (Favino), è Italia - Brasile 3-2 del 5/7/1982, secondo girone eliminatorio del Mondiale di calcio di Spagna '82.
DiscussioneRaremirko • 7/09/21 21:24 Call center Davinotti - 3863 interventi
Generalmente un film sopravvalutato, soprattutto da certa critica ufficiale; ad ogni modo grande Favino e tutto il cast di contorno. Surreali certi momenti (leggasi filosofeggiamenti e citazioni colte all'interno dell'aula di tribunale), notevole la durata (circa 2 ore e mezza) , sempre sicura la regia di Bellocchio.
Un film sulla mafia abbastanza anomalo, di buon livello, di difficile realizzazione, della quale, forse, esce un quadro sin troppo positivo del personaggio.