Godibilissimo tributo allo slasher ottantiano da parte di un'appassionato Adam Green, che immerge il tutto in un'atmosfera alla
Storie incredibili nella suggestiva fotografia di Will Barrat e nelle location paludose di ancestrale e "fiabesca" evocazione.
A Green basta poco, uno script elementare, camei di lusso (il migliore quello del "Baron Samedì" di Tony Todd), un gruppo di attori affiatiati e, soprattutto, il body count di una ferocia e di uno splatter esagitati, dove si ritrova un John Carl Buechler in gran forma, come ai vecchi tempi dell'Empire (nonchè il mostruoso e grottesco make up di Victor Crowley).
Volti squarciati a metà a mani nude, ragazze fatte a tocchetti o con la faccia scarnificata alla
Cabin fever, corpi divelti letteralmente in due, decapitazioni a badilate, teste fatte roteare a 360° e mezze staccate dal collo, braccia brutalmente strappate, in un tripudio di splatterfeast che riporta ai fasti dei vari Tom Savini, Mark Shostrom e Carl Fullerton, dove Green ripudia intelligentemente la CG per goduriosi effetti "gommosi" e assolutamente prostetici.
Ma
Hatchet non vive di solo gore fine a se stesso, le battute sono simpatiche (quella di Marcus su
Elephant man e Jackie Chan), le citazioni anche (il telefonino di Misty ha la suoneria impostata sulla canzone che apre la sigla di
Dawson Creek), tutta la parte del tour iniziale sulla barchetta a motore col cicerone cinoamericano che spara una marea di stupidaggini storpiando le leggende folcloristiche su Victor Crowley, le due attricette porno che lesbicano davanti alla telecamera e poi litigano gettandosi addosso cattiverie tipicamente femminili, il cialtrone che si spaccia per produttore di filmini hot, il turpiloquio volgarissimo, ragazzotte che vomitano, redneck che bevono la loro stessa urina (cameo per John Carl Buechler), cimiteri abbandonati, il geniale e sarcastico momento della pioggia (poco provvidenziale) che spegne il fuoco che avvolge Victor Crowley e una dirittura d'arrivo che omaggia il terzo
Venerdì 13, con una chiusa improvvisa, brutale e troncata come se fosse finita la pellicola,
Notevole, poi, il flashback sull'infanzia di Victor Crowley (disgraziato
Slot di inumana bestialità), con il padre che lo imbocca amorevolmente e i ragazzini che lo prendono in giro, fino alla tragica notte dell'incendio.
Nulla di rivoluzionario o di trascendentale, ma un sincero e sentito omaggio realizzato da un vero appassionato del genere, che dimostra che la passione e la competenza può dare buoni risultati.
E pensare che ci era arrivato poco prima Jim Gillespie con il bruttissimo, esangue e moscio
Venom, solo per dimostrare come non deve essere assolutamente girato uno slasher tra le fosche paludi.