Purtroppo il talento di Peter Jackson è rimasto imbrigliato nell'amore ossessivo per Tolkien (trilogia del
Signore degli anelli, trilogia dello
Hobbit) che ne ha limitato la carriera, dedicandosi , negli ulltimi anni, esclusivamente al fantasy tra orchi e nanetti nella terra di mezzo.
Ma quando riesce a prendersi la libertà di dedicarsi ad altro salta fuori gran cinema.
E' così per
Amabili resti, che altro non è che lo specchio riflesso di
Creature del cielo (anche se, nel suo capolavoro, le visioni e l'altro mondo alternativo fiabesco delle due ragazze assassine era dettato dalla follia e dalla voglia di sfuggire ad una realtà squallida e opprimente), con i sobborghi urbani delle casette di
Splatters e di
Sospesi nel tempo, dove del secondo mutua la pazzia omicida che si nasconde nella tranquillità della provincia americana (con fantasmi annessi).
Jackson non sa resistere a momenti di pura comedy slapstick (tutta la parte con nonna Susan Sarandon che si prende "cura" disastrosa della casa della figlia), ricostruisce perfettamente l'atmosfera e gli umori degli anni 70, la macchina da presa regala parentesi virtuosistiche tipiche del suo cinema e ritorna nei meandri del suo lato oscuro, realizzando la parte puramente psycho-thriller con grande maestria e abilità.
L'adescamento di Susie nell'invernale campo brullo e spoglio e il rifugio tra pupazzetti e bottiglie di Coca Cola, l'ossessione sudicia morboso/pedofilo/feticistica di un viscido e repellente Stanley Tucci, che si diletta a costruire case di bambole in modalità pre
Hereditary (da antologia il suo gioco di sguardi con il detective di Michael Imperioli, tra le finestrelle del modellino), l'incubo della vasca da bagno, del lavandino imbrattato di sangue e del rasoio
argentiano, la violazione di domicilio della sorella e il quadernetto con gli appunti schiaccianti ritrovato sotto le assi removibili del pavimento della camera da letto, Mark Whalberg che segue il suo sospettato tra i vialetti con la mazza da baseball, per poi venir aggredito nel kinghiano campo di grano, la scoperta dei cadaveri delle bimbe (e non solo) che Susie rivede nella casa degli orrori di mezzo, tra cui un pregevole omaggio al Borò della
Bestia (la lumaca dentro la scarpa sfilata di una delle vittime sul ciglio dell'autostrada), il pedinamento di Tucci alla sorella di Susie, con il suo sguardo freddo che si staglia nello specchietto retrovisore, i pericolosi vicini di casa di
Un eroe piccolo piccolo, dell'
Allievo, di
Ammazzavampiri e
Disturbia, (Jackson ne fa pura essenza psychothrilleresca), la cassaforte (contenente gli "amabili resti") fatta roteare nel fango verso la discarica, fino a quella straordinaria e geniale (quanto inaspettata) chiusa finale con la stallatite provvidenziale, nel bel mezzo di un gelido inverno, dove Jackson ha pure il tempo di citare
Lucio Fulci.
Poi c'è il lato dolente, e cioè le pacchianate new age della "terra di mezzo" ( il purgatorio prima del paradiso) tra insopportabili ragazzine asiatiche, CG caricatissima e tronfia, baracconate da fantasy pagliaccesco (il nadir è raggiunto nel momento in cui Susie e la ragazzina asiatica si divertono al di la dei sogni, ballando su di un giradischi gigante e conciate come i Led Zeppelin, presa di peso dal
Boy friend di Ken Russell) e un sentimentalismo zuccheroso ad alto tasso diabetico (il bacio dato al riccioluto amor perduto otellesco, le manfrine buoniste da Mulino Bianco).
Tra gazebo fiabeschi, baci mai dati, alberi della vita, cieli sempre blu, passaggi dall'inverno alla primavera, dall'autunno all'estate e poi ancora all' inverno, bottiglie giganti e navi che si frantumano sugli scogli (mancava solo Frodo, ma forse è Saoirse Ronan in chiave femminile) c'è tutto il mondo favolistico di cui Jackson non può più farne a meno (e in mezzo a tutta sta chincagliera ridondante, almeno la casa sott'acqua ha una potenza suggestiva notevole).
Mondo fiabesco che Jackson condivide, in parte, con la sensibilità di Neil Jordan (la casa sott'acqua come il villaggio di I
n dreams, la rosa che da appassita diventa magicamente florida come
In compagnia dei lupi).
Steven Spielberg (che doveva dirirgere il film in prima istanza) produce, Jackson si ritaglia il proverbiale cameo hitchcockiano ( è il tipo che prova la macchinetta da presa nel negozio di fotografia dove Mark Walhberg va a far sviluppare l'ultimo rullino appartenuto alla figlia Susie) e non poteva mancare l'omaggio al caro Tolkien (vedi curiosità).
Il compromesso jacksoniano, ancora ancorato al suo mondo di fantasia stucchevole, ma che sa regalare attimi di grandissimo cinema quando ritorna alla realtà e giostra (come un giocattolaio talentuoso) i puri meccanismi del thriller coi fiocchi e la sua riuscita sta proprio nel mezzo (come nell'aldilà in cui è confinata Susie).