Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Buon postapocalittico con infetti rabbiosi e velocissimi che scappano via dalla definizione di morti viventi e si coalizzano, pur senza avere altro pensiero che quello di mordere e contagiare laddove gli zombi avevano una parvenza di ricordi residuati a livello subcosciente. Il film è ben girato, "moderno", teso, senza concessioni a humour, ricco di omaggi a Romero (in particolare nella parte con i militari), con una Londra livida e deserta ben fotografata.
Pessimo thriller (anche se per certi versi è quasi un drammatico), in cui l'unico personaggio appena sopportabile è il camionista dal cuore d'oro (e con un ottima abilità di guida) interpretato dal sempre ottimo Robert Forster. Per il resto abbiamo un insopportabile e pedante conduttore radio, una coppia in crisi, due sorelle diverse in tutto e un serial killer, naturalmente ossessionato dalla moralità, le donne, la religione (molto originale..). Noioso e deludente.
Sei racconti di sei registi che omaggiano la Nouvelle Vague, ognuno col suo stile. Sei quartieri di Parigi in cui si sviluppano varie storie umane, secondo i dettami di un cinema realista che descrive quello che è e non quello che dovrebbe essere. Si trova spazio sufficiente per chi crede di ingannare due fidanzati, per una attonita prostituita, per un uomo che ha tutto eppure è infelice. Ma siamo solo ancora a metà …
Non orribile come in molti dicono, ma è un film con dei grossissimi problemi. Più che gli enormi buchi di sceneggiatura, ciò che lascia interdetti è l'assoluta vacuità della trama, un vero e proprio minestrone fatto di teorie strampalate e di riflessioni storiche di una banalità sconcertante. Se in più si aggiunge una regia piatta come poche, degli attori (ottimi) che danno il peggio di loro e una narrazione che va avanti senza che vi sia la benché minima tensione, il tutto non può che diventare un polpettone inutile, banale e dalla durata oltremondo eccessiva.
Storia d'amore tra uno scrittore e un'attivista comunista tra prima e Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui essere comunisti negli Stati Uniti era praticamente un reato. Sinché il film ci mostra quei tempi e si concentra sui fatti politici tutto sommato regge, per quanto il tutto abbia qualcosa di didascalico. Quando invece si concentra sulla storia d'amore dei protagonisti ecco che arriva la noia, anche perché tutto è ampiamente prevedibile, compreso il finale. Film deludente quindi, la regia di Sidney Pollack, altrove straordinario artista, qui non ha forza. Perdibile.
La prima inquadratura, con i cadaveri nell'ascensore imbrattato di sangue, porta subito alla mente gli Intoccabili e di citazioni se ne aggiungeranno molte altre. Quello che maggiormente rincuora è rivedere quel buon sano splatter che ci faceva correre al cinema. Occhi cuciti, autosquartamenti, pellicce umane... Insomma, se gore dev'essere facciamolo bene e in questo Argento è impeccabile. La storia è semplice ma il messaggio è potente e inequivocabile, la protagonista è di una bellezza indicibile e praticamente sempre nuda, lui viscido e avido. Meglio di qualsiasi suo film post '90.
Definirlo un film per famiglie vorrebbe dire dover prima verificare lo stato mentale delle suddette, perché produzioni del genere - rigorosamente giapponesi - contengono un tasso di innocente demenzialità talmente alto che li fanno piuttosto avvicinare a qualche favola pazza per bambini, qualcosa che non è facile nemmeno concepire, da queste parti. Già il fatto che il protagonista sia un granchio fa capire molto. Ingigantitosi a dismisura (diciamo a dimensioni umane, visto che nel pesantissimo costume deve infilarcisi un uomo) a causa delle solite mutazioni imputabili...Leggi tutto a poco precisati disastri avvenuti sulla crosta terreste, questo strano essere dalla pancia bianca e la crosta rossa, dotato di grosse chele ma perfettamente in grado di reggersi sulle gambe come noi, viene raccolto sulla spiaggia da un bambino che, accortosi di come questo parli e sia cortese, lo invita a casa presentandolo ai genitori. Mamma e papà, tuttavia, avanzano pesanti riserve, alla richiesta di tenerlo lì da loro, anche perché in questo caso non è un modo dire: l'ospite puzza, e ben prima dei canonici tre giorni!
Ma la famiglia è povera e al padre è già venuto in mente di vendere il bestione per farlo bollire e ricavarci un bel po' di denaro. Fa l'errore di dirlo a voce alta, però, e il granchio (non ha nome, lo chiamano tutti così, e d'altra parte lui finisce quasi ogni frase inserendo a sproposito la parola "granchio"), che ascoltava dietro una porta, fugge giustamente di casa andandosene all'avventura. Lo vediamo nella metro mentre nessuno gli bada, come se fosse normale trovarsi una cosa simile seduta a fianco. D'altronde, in caso contrario, l'intero film dovremmo passarlo ad ascoltare gente sconvolta che urla al solo apparire del nostro eroe... Il quale intanto capisce che per farsi una posizione dovrà trovare un lavoro. Finisce così a fare il cameriere in un night, mentre un giorno, al mercato del pesce, notando quanto la "polpa" di granchio sia rinomata, si apre una fenditura nella corazza ed estrae la sua, rivendendola a caro prezzo. Ottimo, se non fosse che, senza di quella, il nostro perde i sensi e quando li riprende si ritrova completamente "scemo"! Un tallone d'Achille di cui nel corso del film qualcuno approfitterà.
Al lavoro il buon granchio conosce un'avvenente entraîneuse e non sarà l'unica donna di cui s'innamorerà. Perché il poveretto prova anche dei sentimenti, e quando abbraccerà un'altra ragazza per cui stravede (e che salva dal suicidio) proverà sensazioni indescrivibili! Su di lui, frattanto, ha messo le mani la yakuza, scoprendo come sappia fare delle splendide bolle di sapone (la cui utilità poi... mah).
Passiamo però al motivo per cui diventerà portiere, come suggerisce il titolo: mentre una sera è alle prese con il suo nuovo lavoro di servitore al bar, qualcuno nota come Granchio si sposti a velocità incredibili orizzontalmente (come tutti i granchi, del resto), passando da una parte all'altra del bancone in una frazione di secondo. Perché non provare a vedere se riesce a fare la stessa cosa anche mettendolo in porta? Eccolo così arruolato nei God Hands da un allenatore lungimirante, nonostante il presidente della squadra faccia giustamente notare che il loro campo "è sacro! Non è fatto per i frutti di mare!".
Non sarà una lunga avventura, quella nel calcio, tutta concentrata com'è in un'unica partita. I rivali sono i temibili Daemon Stars, pronti a estrarre (quando il gioco si fa duro...) coltelli e altri arnesi appuntiti assalendo gli avversari uno a uno senza che nessuno protesti più di tanto. Ma a contare le follie, in film così, si perde presto il conto. Il make-up del granchione si limita a lavorare bene giusto sulla bocca a tanti denti, il resto è parecchio rigido, con le gambe dell'animatore che spuntano sotto.
Fondamentali il rapporto col bambino amico fedele, presenza costante in ogni favola giapponese (affiggerà pure un manifesto con un rozzo disegno e la scritta sotto “Cerchiamo questo granchio”!), il carattere ingenuo e sincero del granchio... Sarebbero in questo caso fondamentali anche gli effetti speciali, che invece non si rivelano purtroppo all'altezza di quelli visti in altre produzioni analoghe, ridotti a un uomo mascherato che saltella, cammina di lato e quando è in porta viene velocizzato da rozzi effetti in moviola. Dialoghi elementari, regia approssimativa di Kawasaki. L'importante era inventare un buon numero di idee demenziali ed effettivamente quelle non mancano...
Piacevole racconto di vita che usa il calcio come pretesto per inquadrare il personaggio di una madre che sogna per il figlio un futuro da calciatore vedendo in lui le potenzialità (il mancino naturale fa riferimento al tiro del ragazzino) per portarlo a giocare ad alti livelli. Ma è solo l'amore cieco di una madre che dopo aver perso il marito si ritrova a riporre tutte le sue speranze nel figlio o davvero il piccolo Paolo (Perinelli) ha le qualità che la donna nota in lui? Isabella (Gerini) segue il piccolo con foga dietro la rete che delimita il campo, si lancia in commenti...Leggi tutto accesi irritando gli altri genitori seduti sulla tribuna e, non appena Paolo segna, esulta senza freni. Lavora come rappresentante dolciaria, un lavoro che non ama e che la troppa attenzione dedicata al figlio non le permette di svolgere con la dovuta attenzione.
D'altra parte Marcello Dapporto (Ranieri), una specie di procuratore con l'aria del losco traffichino, le ha promesso di far partecipare Paolo al provino per una squadra di serie A, se recupererà tremila euro. Ma la cifra non è indifferente, per Isabella, e intanto Paolo a scuola va male, è diventato un asociale, pensa solo agli allenamenti e la vita pare andare un po' storta per entrambi. Fino a quando, come vicino di casa, arriva Fabrizio (Colella), sceneggiatore televisivo senza grandi prospettive che prova a relazionarsi in qualche modo con la bizzosa Isabella, cresciuta pensando solo al denaro e al suo Paolo. Una situazione che pare stagnante ma che invece la ricerca dei tremila euro stravolge, facendoci conoscere ancor meglio la protagonista, la quale, per rintracciare il denaro necessario per il provino, non si ferma di fronte a nulla. Per questo ricontatta i suoceri di Vicenza (Bressanello e Ricciarelli), con cui non corre buon sangue. Ma se il padre del marito è uomo di buon cuore, che non pensa mai troppo al passato, di altra pasta è la madre, che con tutta evidenza non l'aveva mai considerata la moglie giusta per suo figlio.
Claudia Gerini si prende tutto lo spazio per sé e mostra la faccia della donna decisa, risoluta, tormentata ma con le idee ben chiare, senza fortunatamente mai scadere nella macchietta. E questo è merito soprattutto di una sceneggiatura calibrata che la regia di Salvatore Allocca mantiene nei ranghi del ritratto simil neorealista moderno, cedendo ogni tanto nel mostrare la sfacciataggine di Isabella ma trovando nella Gerini l'interprete ideale a rappresentare la madre (di Latina) che deborda com'era giusto fare per donare veracità al personaggio.
Meno riuscite le parentesi dedicate al bambino e alla sua amichetta di classe, l'insistere troppo sul mutismo del piccolo che invece già meglio funziona quando interagisce con il vicino di casa, ben interpretato da un Colella sufficientemente disilluso nei confronti del suo lavoro eppure ancora in grado di idealizzare l'amore. Il rapporto tra lui e Isabella riserva forse le cose migliori di un film non certo perfetto ma in fondo piacevole, dai tratti commoventi (nel finale) e non privo di qualche spunto ironico che non guasta. Riuscita anche la pur scontata figura del procuratore, che Ranieri dipinge con anima napoletana da “chiagni e fotti”.
Se nei suoi noir Kitano mescolava con sapienza la ferocia a quella comicità che gli è sempre appartenuta, qui scinde nettamente le sue due anime, mostrando come lo stesso tipo di storia possa risultare completamente diversa a seconda dell'approccio scelto. Il primo approccio è quello più tradizionale, nel quale seguiamo le avventure di uno cupo tizio detto "il Topo" (Kitano), un sicario come tanti. Si fa consegnare al bar le buste (rigorosamente firmate "M.") con le istruzioni per la missione da svolgere, va a casa, apprende le due o tre cose...Leggi tutto da sapere sull'obiettivo da eliminare e parte in missione. La sua prima vittima è un giovane delinquente, avvicinato in discoteca mentre è seduto con i suoi amici. Una strage, dalla quale l'uomo poi si allontana senza alcun problema scomparendo nel nulla, pronto a ripetere la stessa cosa poco dopo: puntata al bar, busta, istruzioni e via dicendo. Un tran tran interrotto solo dalla polizia, che finisce col beccarlo e lo convince ad arruolarsi come agente sotto copertura per sgominare una banda di narcotrafficanti.
Un plot tradizionalissimo, composto da elementari stereotipi, l'ideale per essere parodiato nella seconda parte del film, quella che in fondo è la più “vera”, quella che cioè gli dà un senso giustificando l'ovvietà della microstoria narrata fin lì. "Spin off", quindi (come dichiara una didascalia), e si stravolge tutto: il nostro sicario (sempre interpretato da "Beat" Takeshi, naturalmente) fa le stesse cose della sua controparte seriosa ma ottenendo risultati opposti. Entra nel bar e crolla sulla sedia rotta, sbatte dappertutto, dà per errore fuoco alla casa in un crescendo di episodi fantozziani che fanno sorridere ma senza che mai si riesca ad apprezzare la gag geniale in grado di dare, alla rilettura in chiave comica degli stessi eventi, la dignità che meriterebbe. Perché a volte certe battute sono raggelanti (magari anche perché poco alla portata di noi occidentali), perlopiù incomprensibili, e viste con gli occhi di chi è abituato a ben altro potrebbero portare a domandarsi se Kitano ci fa o ci è.
Come spiegare il fatto che il protagonista ogni tanto s'infili una maschera da lottatore, ad esempio, senza motivo alcuno? E certi scatti verso il demenziale puro (l'apparizione di una maschera da topo quando qualcuno lo chiama il Topo) possono lasciare interdetto più d'uno, così come la scena dell'ottico che fa leggere la tabella con le lettere al suo paziente prima d'impazzire completamente. Senza contare che alcune gag, come quella (vetusta) del ragazzino nello zaino che legge la lettera consegnata al protagonista, se solo avesse avuto il coraggio di farla qualcuno con meno "titoli" di Kitano sarebbe stato dileggiato...
Insomma, sembra quasi che il nostro si sia lasciato andare liberando tutta la sua vis comica senza arretrare di fronte a qualche passo falso di troppo, azzeccando comunque molti passaggi e riuscendo a non tradire uno stile consolidatosi negli anni, che lo porta a gestire in modo intelligente le pause e i silenzi. Che siamo di fronte a poco più che uno scherzo lo confermano comunque i messaggi stile telefonino che passano su schermo nero d'improvviso, qua e là, commentando quanto appena visto... E la durata di poco superiore all'ora lo conferma. Da non prendere sul serio, insomma.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA