"L'ora del mistero" episodio per episodio

18 Settembre 2015

LA PAGINA DEGLI ESPERTI

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1. IL MARCHIO DEL DIAVOLO (Mark Of The Devil)
** Dirk Benedict, ovvero lo Sberla dell'A-Team (che lascia quindi momentaneamente il set americano della serie per trasferirsi in Inghilterra), è il protagonista del primo episodio di questa "Ora del mistero", non tra i migliori. Per pagare chi gli ha prestato dei soldi e ora lo bracca spietatamente, decide di rapinare un tatuatore cinese che fa pure da banco dei pegni (Burt Kwouk, l'indimenticato Cato della "Pantera Rosa"). Nella lotta per difendersi questi però, prima di morire, lo punzecchia con un ago del mestiere facendogli nascere sul torace un tatuaggio che col tempo si espande sempre più. L'azione ricoprente dello stesso diventa il tema dell'episodio, con il crescente terrore del protagonista, oltretutto sul punto di sposarsi. E' evidente che non basta una buona idea per riempire un'ora e dieci, e infatti tutto ciò che ruota attorno alla stessa lascia alquanto a desiderare. E' ben realizzato il tatuaggio e il finale al negozio ha un suo fascino, ma i riempitivi (a cominciare dai riti voodoo iniziali per continuare con personaggi inutili come il padre della sposa) divagano annoiando e anche Benedict non sembra proprio il massimo, come interpretazione. Da un veterano come Val Guest in regia ci si aspettava di più. (Zender)

*! Episodio d'apertura tutt'altro che esaltante ma forte di un'idea piuttosto memorabile e cronenberghiana: dopo aver ucciso un tatuatore cinese, un mafiosetto vede spuntarsi dal nulla un tatuaggio che, sequenza dopo sequenza, cresce sempre più. Purtroppo per arrivare al dunque bisogna sorbirsi quasi mezz'ora di sottoboschi criminosi, pestaggi alla Femmine insaziabili e sciapi riti voodoo, che torneranno dello scontato finale. Notevole occasione sprecata, location londinesi assolutamente mal utilizzate. (Deepred89)

**! La guasconeria piacionica di Benedict si mette al servizio di una storiella di magia nera abbastanza banale. Il vecchio Val Guest, tuttavia, nonostante alcuni punti superflui, la dirige con mestiere consumato accendendo alcuni punti di bella tensione (l'omicidio dell'usuraio, il finale, il tatuaggio che divora il corpo) e un'aria di maledizione incombente grava su tutto il film. Una maggiore asciuttezza avrebbe giovato, ma è un buon esordio. (Rufus68)

** L'idea non è malvagia, e qualche colpo va a segno (l'uccellino, il tatuaggio sul corpo di Benedict che si spande come se fosse un cancro, la disperazione del protagonista che si aggira come una specie di Darkman) e l'episodio è anche ben scritto. Purtroppo soffre di alcune ingenuità (e di qualche lunghezza) e il finale nello scantinato a fare a botte con il cinese sfiora, a tratti, il ridicolo (così come i mascheroni appesi che ballonzolano). Brutto l'incipit voodooesco, e sul tema dei tatuaggi maledetti farà meglio William Friedkin con il suo segmento di Tales from the crypt, "Segno di morte". Bellissima Jenny Seagrove. (Buiomega71)

** L'idea di partenza, il tatuaggio che si espande inesorabilmente, non sarebbe neanche malaccio, ma la realizzazione non può lasciare soddisfatti. La sceneggiatura si perde infatti in reiterazioni di accadimenti che servono solo per aumentare il minutaggio ma non certo l'attenzione dello spettatore. Inoltre alcune fasi (il rito voodo iniziale ad esempio) sono tediose e il finale risulta tutto meno che inaspettato. Da un Val Guest, e dalla penna di Brian Clemens, ci si aspetterebbe di più. (Caesars)


2. IL VIDEOTESTAMENTO (Last Video and Testament)
** A capo di un'azienda tecnologica, l'attempato Victor Frankham (David Langton) scopre che la sua giovane moglie (Deborah Raffin) se la fa con un importante manager del gruppo col quale progetta di far morire il ricco marito per una crisi di angina pectoris, di cui soffre. Questi però, prima di sottoporsi a un'operazione "a rischio", le invia una videocassetta col proprio testamento: si farà ibernare per farsi risvegliare quando avrà la stessa età di lei in modo da poter godere assieme, da anziani, dei loro soldi. Lei e l'amante ci restano naturalmente malissimo, ma non è certo finita... La chiave sta nel mestiere si lui: chiuso nella sua "stanza degli hobbies", progetta una vendetta "a distanza" piuttosto ben congegnata. Scritto al solito sufficientemente bene a dispetto di un soggetto che col mistero e il soprannaturale nulla hanno a che vedere (se non per una breve persecuzione telefonica "dall'aldilà"), l'episodio diretto dal veterano della Hammer Peter Sasdy punta giustamente sul placido sadismo del protagonista e ci fa idealmente sedere al suo fianco per assistere a divertenti macchinazioni. Modesto ma godibile. (Zender)

*! Poco più che una piatta storiella di corna, soldi e vendette (con macchinazioni degne di un Diabolik mediamente contorto), salvata dal baratro da un cast non disprezzabile (simpatico il protagonista) e da un finale cattivello di indubbia simpatia. Confezione nella media nella serie: pura tv anni ottanta, ma con abbastanza ritmo da evitare la monopalla. Per chi si accontenta... (Deepred89)

**! La storia è sempre quella, trita e ritrita: corna e vendetta. Ciò non toglie che abbia sempre una inspiegabile presa sullo spettatore soprattutto se il protagonista riesce simpatico (e Langton lo è) tanto da indurci a tifare spudoratamente per lui. E il balletto finale (che vale il mezzo pallino in più) diverte parecchio dimostrando che il cinismo può anche manifestarsi con garbata crudeltà. Per i cultori dell'elettronica c'è un apprezzabile bagno vintage. (Rufus68) 

*** Godibilissimo episodio che sta tra gli ingarbugliati piani diabolici paralenziani e spizzichi di fantascienza vintage. Momenti di rara cattiveria (il ballo sulla tomba, l'esagerata ma spietatamente ludica vendetta del marito) e una macchinazione che sembra quasi una trovata diabolica di un Jigsaw antelitteram. Sasdy dà riprova di essere uno dei registi più talentuosi di casa Hammer e la Raffin terrorizzata in camera da letto, tra telefoni che squillano e risate luciferine del consorte, è un bel pezzo di tensione e angoscia. Macabro e cinicamente sbeffeggiante. Curioso come Oliver Tobias assomigli a Luc Merenda. (Buiomega71)


3. ACCADDE A PRAGA (Czech Mate)
** Reinnamoratasi del suo ex marito (Patrick Mower), Vicky Duncan (Susan George) accetta di partire con lui per Praga dove questi dice di doversi recare per affari. Appena arrivati in albergo, l'uomo esce subito per affari (per l'appunto) senza più fare ritorno. Vicky si ritrova da sola in un paese che non conosce e perdipiù oltrecortina; dopo estenuanti ricerche e telefonate a vuoto in reception si ritrova pure un cadavere in camera, la polizia addosso e un ambasciatore che sa tanto di agente segreto... La prima mezz'ora o quasi se ne va via in una banale storiella d'amore ritrovato che ad accorciarla saremmo stati tutti più contenti; poi invece, giunti in un Praga deserta e ripresa con un certo gusto, la vicenda d'improvviso s'attorciglia e c'infila dentro un po' di tutto (quando si parla di spionaggio nell'Europa dell'Est è quasi inevitabile). Gli spunti per cui non mancano, ma la regia di John Hough è debolissima e ci si trascina a fatica verso un finale poco convincente e scarsamente credibile. A ben vedere sembra più una puntata di Derrick che altro, visto anche il grigiore generale. Solo che al posto del carismatico ispettore ci sono altri personaggi, del tutto anonimi. (Zender)

*! Marito infedele torna alla carica con la moglie e tutto sembra andare per il meglio. Durante un viaggio a Praga però lui sparisce improvvisamente e lei (in stile Frantic) si ritrova sola in un paese straniero ed ostile. Terribile episodio della serie in cui dopo venti minuti di nulla, finalmente succede qualcosa. Ma prima che si verifichino altri eventi significativi bisognerà attendere ancora. La soluzione tra l'altro viene incredibilmente scodellata allo spettatore con 15-20 minuti di anticipo, per arrivare poi ad un finale francamente deludente poiché manca il colpo di scena "ribaltatore" che ci si aspetterebbe in questi casi. Attori monocordi. Uno dei punti più bassi. (Cotola)

*! Un episodio assai debole, in cui prevale il versante giallo più che quello fantastico. Sarà che è finita la Guerra Fredda e certe atmosfere da spy story lasciano il tempo che trovano. La vicenda non è complessa bensì solo ingarbugliata; la confusione, perciò, depotenzia anche il breve fascino delle ambientazioni est-orientali. Attori dignitosi; la George non riesce a liberare il suo insidioso erotismo (nonostante, come consiglia giustamente il marito, si sciolga i capelli). (Rufus68)

**! Inizio romanticheggiante (ma già si sa che gatta ci cova), poi, in una Praga dalle atmosfere arcane alla "Corta notte delle bambole di vetro" e dagli scorci squallidissimi, si dipana una vicenda alla "Frantic" al contrario, che riesce a regalare un po' di angoscia. Se si superano noiose derive nello spy movie (spie d'oltrecortina, doppi giochi e ambasciate), il prefinale all'aeroporto risulta teso e quasi allucinato, fino a una chiusa beffarda e senza speranza, tra pazzia muliebre e scambi di persona(lità). Bravissima la George a sobbarcarsi il ruolo della straniera in terra ostile, che si gioca pure battute slasher con il belluino Peter Vaughan (the bollente in faccia e sbattuto contro un albero). Poco incisiva ma professionale la regia di Hough. (Buiomega71)


4. UN GRIDO LONTANO (A Distant Scream)
*** Rosemary Richardson (Stephanie Beacham) è in vacanza con l'amante (David Carradine) in un villaggio sul mare quando si accorge che un vecchio la spia. Pare vederlo solo lei, ma non ci mette molto a scoprire che l'uomo è il suo stesso amante invecchiato, il quale le annuncia di essere giunto lì dal futuro per scoprire chi la ucciderà, dal momento che per quell'omicidio proprio lui verrà accusato e incarcerato per vent'anni. Un intreccio affascinante, un giallo fantascientifico che trova nella ventosa, plumbea ambientazione tra le scogliere uno dei suoi punti di forza. Naturalmente sulla scena sono presenti molti possibili indiziati, ma il rapporto tra i due amanti, la presenza incombente del marito da cui lei non pare abbia intenzione di staccarsi, la figura inquietante del viaggiatore temporale concorrono alla riuscita di un episodio che ha solo nella regia un po' troppo compassata di John Hough un punto di debolezza (peraltro comune all'intera serie). Ma la storia è indubbiamente intrigante, incuriosisce ed è messa in scena con lodevole maturità, sceneggiata da Martin Worth con l'abilità di chi sa come dosare  la suspense senza svelare troppo subito né incappare nei luoghi comuni tipici della fantascienza. (Zender)

**! Nella fascia alta della serie: una bella ambientazione tra le scogliere inglesi fa da sfondo a un "whodunit dal futuro", con lo spirito del condannato a morte che torna sul luogo del delitto (quando ancora doveva avvenire) per far luce sui fatti. Certe soluzioni sono di una banalità disarmante (il fantasma nella foto) e i tentativi di dar spessore al personaggio della moglie falliscono, ma il racconto tiene botta fino alla resa dei conti finale, pure riuscita al di là di qualche forzatura (inciampano in troppi). Postilla giustizialista inutile ma nemmeno rovinosa. (Deepred89)

**! Altra puntata di discreto livello, a conferma del carattere compiuto della serie, superiore al precedente "I racconti del brivido". La regia non inventa mai nulla, ma la sceneggiaura è ben costruita, le musiche sottolineano con proprietà lo svolgimento e il parco attori è degno d'ogni rispetto. Le location marine aggiungono un tocco metafisico alla vicenda; la struttura, a tratti, sembra vacillare (tutta la logica del revenant temporale non sembra apparentemente perspicua) sebbene il finale riaggiusti con cura tale presunte crepe. Ennesima variazione dell'Impiccato sull'Owl Creek di Ambrose Bierce. (Rufus68)

*! Suggestiva l'ambientazione sull'isola stile "Né mare né sabbia" e apparentemente notevole l'alone di mistero che circonda la storia a inizio episodio. Poi tutto si sfalda con l'apparizione di David Carradine truccato da ridicolo vecchio menagramo che arriva nientemeno dal futuro per autoscagionarsi del delitto e morire, così, in pace. Variazione fantascientifica poco efficace dei fantasmi natalizi dickensiani, con spruzzate di giallo (chi ha ucciso davvero Rosemary? Tra l'altro nome omen) e finalino giustizialista appiccicato alla bell'e meglio. Restano la condotta poco morale di Rosemary (che si spaccia per ninfomane)  e la bellezza di Lesley Dunlop (con quei capelli corti). (Buiomega71)


5. LA DEFUNTA NANCY IRVING (The Late Nancy Irving)
**! Una campionessa di golf (Christina Raines) si trova coinvolta in un incidente stradale e di conseguenza internata in una misteriosa clinica dalla quale sembra non poter uscire. Tutti sono gentili e compiacenti, ma - per il suo bene - pare siano "costretti" a lasciarla languire in un letto. Cominciano strane operazioni, comprese trasfusioni di sangue per curarle una supposta anemia (il suo è un sangue rarissimo, ma dicono di aver trovato un donatore). Cosa si nasconde dietro alla cilinica? L'idea non sarebbe nemmeno male, ma prima di entrare nel vivo ci si mette davvero troppo. Fortunatamente la confezione è professionale, gli attori decenti (lei molto affascinante) e il clima di mistero è gestito discretamente. Ci si incuriosisce per il finale, spiegato con chiarezza e che dà un po' di senso al tutto. (Zender)

**! Ancora un piccolo colpo a segno. Come accade con i migliori prodotti del perturbante non è il sangue o l'orrore fisico ciò che più mette a disagio, ma la irresistibile discesa in una situazione senza uscita che evoca atmosfere di claustrofobia psicologica. In tal caso si pensa alle ambientazioni di Buzzati dove il mistero si addensa lentamente senza una vera spiegazione razionale sino alle conseguenze estreme; stavolta il finale è sin troppo chiaro, ma la forza del racconto permane egualmente. Brava la Raines nel ruolo di vittima. (Rufus68)

**! Una coltre di mistero (e di inquietudine) avvolge l'episodio (come le location nebbiose e invernali), in cui Sasdy dà riprova di essere un maestro della suspense. Strane case di cura private alla "Horror Hospital", teche zeppe di scorpioni che si divorano tra di loro, oscure trasfusioni di sangue, vecchiacci ambigui, scontrosi e onnipotenti e tracce di kidnapping movie. Peccato per la chiusa finale, nella quale ci si aspettava un po' più di cattiveria. La Raines (bellissima) se la deve vedere con le variazioni cliniche del vampirismo stile "La mano che nutre la morte" e assiste al suo funerale, dopo gli orrori di "Sentinel". Nel cast anche due reduci di "Spazio 1999" (il dottor Marquis e la subdola infermiera Parquet). Nel complesso, Sasdy non delude. (Buiomega71)


6. SALTO NEL TEMPO (In Possession)
**! Una coppia felice (Christopher Cazenove e Carol Lynley) scopre di vedere cose che gli altri non vedono: nella casa che hanno appena sgomberato per trasferirsi in Botswana (causa lavoro di lui) si accorgono ad esempio che ogni tanto il mobilio si ripresenta da solo e con quello compaiono in casa un cadavere in una stanzina e un uomo che scambia la donna per la propria moglie. Com'è possibile? Il titolo italiano tradisce in parte la sorpresa, ma è comunque interessante vedere i due coniugi alle prese con persone e cose di cui non capiscono l'origine (fin dall'inizio, quando nella loro stanza d'albergo si ritrovano davanti una vecchia malata con la figlia che la veglia). La camera che "cambia" è piuttosto frequente nei telefilm del mistero (si ricorda ad esempio il bel "Nell'aria rarefatta" tra gli Hitchcock presenta), ma qui l'idea viene trattata in chiave soprannaturale. Il vero colpo di scena arriva nel finale, tuttavia anche prima Val Guest riesce a mantenere una discreta suspence (pur girando sempre intorno allo stesso spunto ripetendosi) confezionando un episodio piuttosto piacevole. (Zender)

**! Ghost story con incipit piuttosto efficace, prima parte con qualche evitabile lentezza e secondo tempo decisamente buono, tutto visioni distorte e sinistre, con pure una sequenza molto cinematografica (forse un po' tirata per le lunghe) che cerca di fare il verso a Repulsion. Soluzione finale magari non geniale, ma nel complesso onesta e soddisfacente. Cast così così. (Deepred89)

**! Parte lentamente segnalandosi solo per un paio di spunti qua e là. Quando finalmente i due coniugi vanno a dormire, inizia a crearsi un interessante clima di mistero che dura per tutto il resto dell'episodio riuscendo a coinvolgere ed anche un po' ad inquietare, pur non utilizzando alcun tipo di effettaccio splatter. Molto bene la chiusa con immancabile e riuscito colpo di scena beffardo. Tra il non male e il buono. (Cotola)

*** Un'ora di mistero alimentata con misura, passo dopo passo. Pure qui il finale forse spiega troppo, togliendo la sottile aria di incertezza quasi metafisica; lo svolgimento, tuttavia, è di bella fattura. Momenti in cui nulla accade, apparentemente banali, accanto ad altri in cui il presagio appare improvviso e casuale (la gabbia per uccelli, sono sfruttati per dare risalto alle scene maggiori in cui i piani temporali vengono abilmente mescolati. Pregevole l'economia di mezzi (un paio di location), apprezzabile la coppia protagonista. (Rufus68)

*** Uno degli episodi migliori della serie. Guest è abile nel lavorare di angoscia e arcano per poi deflagare in un segmento claustrofobico e incubotico che non sfigurerebbe nei meandri de "Ai confini della realtà". Una macabra coazione a ripetere dentro gli spazi temporali, con crudeli delitti (l'annegamento "baviano" nella vasca da bagno), occultamenti di cadavere (la cassapanca nera), stragi di canarini e un losco figuro (Mr. Prentice) che mette davvero paura. Inquietante e a suo modo geniale (con twist finale azzeccato che manda in cortocircuito la dimensione del tempo e dello spazio tra passato e futuro). Ricorda un po' l'episodio con David Warner di "La bottega che vendeva la morte". Notevole e oppressiva (come in un incubo) la corsa da fermi, al ralenti, di marito e moglie. (Buiomega 71) 


7. CHE FINE HANNO FATTO I FAVOLOSI VERNE BROTHERS? (Black Carrion)
**! Su incarico di un imprenditore discografico, uno scrittore (Leigh Lawson) e una bella giornalista musicale (Season Hubley) partono alla ricerca del favoloso duo rock che spopolò negli Anni Sessanta e di cui si sono totalmente perse le tracce. Le indagini li condurranno in quello che è a tutti gli effetti un villaggio fantasma, Briars Frome (inevitabile, in auto, la citazione a "Brigadoon"), nei cui pressi sta il castello ora abbandonato dove i due vivevano. La giornalista, attraverso alcuni flashback, capisce però di aver già visto il posto quand'era bambina, e addirittura di aver vissuto lì con sua madre! Il clima di mistero che il regista John Hough riesce a far aleggiare sulla vicenda è centrato: i Verne brothers hanno la carica giusta, li vediamo e li sentiamo più volte in tv, nei juke box (la loro hit era una cover di "Rock,n,roll Music!", ma anche gli altri brani non sono niente male) e pure le figure dei due protagonisti non dispiacciono. Peccato per le solite lungaggini tipiche della serie e una conclusione che smorza le aspettative soprattutto a causa di un make-up piuttosto ridicolo e di un "rooftop concert" in solitaria assai patetico. Sempre a proposito di Beatles gustosa la visita agli studi di Abbey Road mentre diverte l'idea che alcuni vecchietti trasandati vengano descritti alla polizia da due camionisti di passaggio come "zombi": in base a cosa??? (Zender)

** Interessante nei primi venti minuti grazie all'efficace costruzione della storia (un pregio comune agli episodi), si perde poi a metà d'essa per una serie di lungaggini che ne depotenziano la tensione. Anche la rappresentazione della misteriosa coppia di fratelli rock'n'roll dapprima funziona (anche grazie alla buona colonna sonora di cover) quindi sbraca in un maledettismo già visto (e in colpo di scena non proprio all'altezza). (Rufus68)

*** John Hough firma uno degli episodi più bizzarri, grotteschi e "folli" dell'intera serie. Dalle piacevoli canzoni del duo rockettaro (che ricordano quelle del "Fantasma del palcoscenico"), per passare al paesino fantasma di "2000 Maniacs", ai barboni servizievoli di "Oscar insanguinato" fino alle derive horror che stanno tra il terzo episodio del "Club dei mostri" e al finale necrofilo di "Compleanno di sangue". Sembra quasi scritto da Stephen King (lo spettrale paesino abbandonato alla "Grano rosso sangue", echi dalle "Notti di Salem"), con citazioni che vanno da "Duel" a "Rocky horror", e Hough che riprende la sua Villa Inferno di "Dopo la vita" con il lugubre castello che sovrasta il paesello fantasma. La risoluzione finale non è delle migliori (la rockettata necrofila è un po' risibile) e c'è troppa carne al fuoco, ma l'atmosfera rancida regge, i flashback (il corvo nero, l'ombra dell'impiccato, la bambina che piange) sono ben resi e non è male nemmeno la svolta nella giustizia sommaria. Bellissima, poi, Season Hubley in stivaloni neri e sciarpetta bianca. (Buiomega71)


8. IL DOLCE PROFUMO DELLA MORTE (The Sweet Scent of Death)
** In procinto di diventare un politico importante grazie all'appoggio dello suocero, Greg Denver (Dean Stockwell) decide di prendersi un periodo di riposo con la moglie (Shirley Knight) e si trasferisce in una bella villa in campagna. Qui però proprio la donna viene perseguitata da qualcuno che la segue, entra nel giardino di notte, le regala rose...  Potrebbe trattarsi di Terry (Michael Gothard), un fioraio che probabilmente la odia perché quando era avvocatessa aveva fatto assolvere l'omicida della sua fidanzata. Ma è davvero lui? E le due giovani segretarie che ronzano attorno a Greg sono davvero così innocenti come sembrano? Un episodio dedicato allo stalking, che si sviluppa seguendo le abituali direttive del genere per concludersi con un colpo di scena ahinoi assai prevedibile. Stockwell è un ottimo attore, la Knight lo spalleggia bene ma la ripetitività del copione non riesce a renderlo granché interessante. Solo nel finale, quando ci si avvicina alla soluzione, le cose cambiano. Condotto svogliatamente da Sasdy, un episodio non brutto ma rapidamente dimenticabile, che si apre con l'omicidio a Central Park compiuto dieci anni prima ma che si ritrasferisce quasi subito a Londra nel presente. Professionalmente corretto ma piatto. (Zender)

*! Il mistero, purtroppo, è telefonato come una ciabattata da metà campo. E se la storia rimane prevedibile, almeno per i più smaliziati nel genere, anche la maniera di condurla non si spinge al di là d'un anonimo e modesto artigianato. Il contesto (l'alta politica che stimola l'ambizione alla Macbeth), potenzialmente interessante, non viene, invece, mai adeguatamente sfruttato. Figurativamente accettabile la coppia maledetta, meno la protagonista (la vittima), assai poco fascinosa. Uno dei nadir della serie. (Rufus68)

**! Sasdy sa giostrare bene la suspense (notevoli gli inquietanti piani sequenza iniziali all'interno delle stanze della magione) e sfrutta appieno l'atmosfera minacciosa da silente "home invasion" dell'immensa casa di campagna con parco annesso. Gigantografie imbrattate di vernice rossa, mazzi di rose rosso sangue (anche recise), voyeur notturni tra i cespugli e strane stalkerizzazioni. A volte gira un po' a vuoto per guadagnare minutaggio, ma la risoluzione finale delle cospirazioni lenziane è ben resa (come i sospetti che cadono sulle due ambigue segretarie di Stockwell), anche se non così sorprendente. Incipit, un po' gratuito, con lontani riverberi dallo "Squartatore di New York". Simpatico l'ispettore di polizia e di fascino mellifluo Carmen Du Sautoy, che sta tra Raffaella Carrà e Anjelica Huston. (Buiomega71)


9. L'UOMO CHE DIPINSE LA MORTE (Paint Me A Murder)
*** Luke Lorenz (James Laurenson), un pittore fallito, organizza assieme alla moglie Sandra (Michelle Phillips) la propria finta morte in barca per poter godere in vita di una rivalutazione che infatti puntuale arriva (anche se il cadavere non è stato ovviamente mai trovato). Un importante gallerista dà il via al rilancio del pittore e i quadri di Lorenz cominciano a valere una fortuna. E' la moglie a gestire la situazione, mentre Luke resta segregato in casa a dipingere i quadri che lei poi rivenderà a peso d'oro fingendo di non averli voluti esibire e cedere subito tutti. Poi però il gallerista flirta con la donna e Luke comncia a capire che qualcosa non va... Un giallo purissimo senza alcun coinvolgimento del soprannaturale, scritto molto bene e condotto diligentemente da Alan Cooke. Più che i quadri son ben dipinti i personaggi, con un intreccio che si complica ma sempre nell'ambito di una buona credibilità. E' solo il finale che lascia un po' perplessi per l'eccesso di prevedibilità e una suspence relativa, ma il dramma del pittore costretto a vivere nell'oscurità pur di raggiungere la fama è ben bilanciato dall'ambiguità manageriale di sua moglie, ex modella che naturalmente sogna prima di tutto i soldi. Certo la polizia qualcosa di più poteva fare... (Zender)

**! Un altro episodio privo di elementi davvero soprannaturali (con l'eccezione, forse, del finale) e che gioca, invece, col mistero delle psicologie umane. La parabola dell'artista senza talento che cerca il riscatto con il sotterfugio ha larga parte nel fantastico inglese, soprattutto vittoriano. Siamo, perciò, in presenza di un apologo sull'ambizione umana frustrata che trae vita, più che dallo svolgimento (non troppo coinvolgente), dal duello fra i vari caratteri (notevole, peraltro, la coppia di artisti contestatori, sorta di alleggerimento "comico" tipico del teatro maggiore). Originale anche la struttura narrativa che inizia dove la storia sembra finire. (Rufus68)

**! Un incipit davvero notevole (il suicidio in mare del pittore) dà vita a un intreccio da giallo classico ben condotto da Cooke, nel quale la coppia di amanti diabolici è ben resa e credibile. Tra piccioni avvelenati, il pittore chiuso in soffitta che dà di matto, la villa in campagna e il tesissimo finale sulla scogliera (con twist finale sul dipinto che dà il titolo all'episodio e si ammanta di soprannaturale) l'episodio scorre via che è un piacere. Merito anche di una sensualissima (e venale) Michelle Phillips, di un tenebroso James Laurenson post "Club dei mostri" (Potrai amarmi ancora?) e di un'imprevista e inaspetatta sequenza fetish in cui la Phillips lancia la scarpetta con il tacco al marito che, poi, la stringe a sé. Tutto nella routine, ma con stile. (Buiomega 71) 


10. L'EREDITA' CORVINI (The Corvini Inheritance)
**! Frank (David McCallum) lavora alla sicurezza di una casa d'aste. Specializzato nell'impiantare telecamere e seguirne le registrazioni, decide di aiutare una sua vicina di casa (Jan Francis) minacciata da un tizio col passamontagna installandogliene una anche sul pianerottolo. Nel frattempo all'asta arriva l'eredità Corvini, una collezione da 3 milioni di sterline che comprende un medaglione che si dice maledetto. La storia si divide tra il lavoro di Frank e la sua accennata relazione con la vicina, la quale vuol tuttavia tenerselo solo come amico e amoreggiare coi primi che passano (tutti quelli che la vedono pare se ne innamorino...). Una storia duplice piuttosto interessante, con un protagonista dal carattere molto ben tratteggiato che ricorda un po' (negli atteggiamenti, nella passione per le telecamere e persino nelle fattezze) il protagonista della puntata "Playback" di Colombo. La sua relazione con la vicina è raccontata con gusto e la regia di Gabrielle Beaumont sa cogliere argutamente lo spirito della vicenda. Come sempre non tutto funziona (le danze in costume che accompagnano la presentazione della collezione Corvini sono solo un brutto riempitivo e in generale le scene alla casa d'aste rallentano i ritmi), ma il colpo di scena finale è coerente e non troppo prevedibile. (Zender)

***!
La storia gioca continuamente su due livelli che viaggiano paralleli: realtà e finzione filmica (le riprese); la colpa del passato che si riproduce nel presente; la confusione fra vita vissuta e fallacia del desiderio; verità oggettiva e falsità soggettiva. McCallum è bravissimo nell'interpretare un personaggio malinconico e psicologicamente controllatissimo (sin alla repressione), e, alla lunga, travolto dallo svolgersi di tali inarrestabili dialettiche. Una sorta di "La conversazione" in versione televisiva. Il finale non è intaccato dalla prevedibilità dato che la sua forza riposa non sulla sorpresa bensì sull'intensità dello scavo interiore e metacinematografico. Una delle cose migliori della Hammer postrema. (Rufus68)

*** Tra i migliori episodi della serie. Incipit stalkerizzante depalmiano notevole, con una storia che viaggia su due binari: il sentimento (a senso unico) di un bravissimo e "sociopatico" McCallum verso la vicina di pianerottolo tampinata da un misterioso persecutore e la collezione maledetta dei gioielli della casata Corvini (una famiglia che si è macchiata dei crimini più odiosi). Videocamere, fotografie, sbirciamenti alla "Finestra sul cortile", sospetti e paranoie... e poi i fantasmi del passato, la collana che cambia colore e offusca la mente, già vacillante, di McCallum (che crede di avere il controllo sù tutto). Diretto con gusto e sensibilità femminile dalla Beaumont, il segmento prende di mezzo Polanski, Coppola e la fobia di ciò che l'occhio non vede, fino a lambire la ghost story. Twist finale gelidamente sorprendente e beffardamente crudele. A suo modo originale nel tratteggiare le derive dell'ossessione e della perdità del contatto con la realtà. (Buiomega71) 


11. LA PARETE MALEDETTA (And the Wall Came Tumbling Down)
** In un quartiere in demolizione si progetta di abbattere un'antica chiesa, all'interno della quale tuttavia si verificano misteriosi incidenti mortali. Nel frattempo scopriamo che alcuni personaggi legati a un affresco demoniaco lì dipinto nel 1600 (e in parte condannati al rogo) si sono reincarnati in coloro che ruotano attorno alla vicenda. Delle indagini si occupa una bella funzionaria dei Lavori Pubblici con passioni occultiste (Barbi Benton), che prima in contrasto col capocantiere si unirà poi a lui per risolvere l'enigma. Al centro della vicenda anche un ragazzo che ha le stesse sembianze del pittore di allora e molti altri personaggi, ma l'intreccio (per certi versi simile a quello di "La chiesa", il film di Soavi di 5 anni dopo) si fa presto farraginoso e scarsamente avvincente. I continui rimandi al passato medievale appesantiscono oltremodo il tutto mentre troppo spazio viene lasciato a figure secondarie e inutili come quello della nonna del ragazzo. Simpatica l'idea dell'affresco astratto dai colori cangianti, ma anche il finale delude a contorno di un episodio che brucia qualche discreto spunto per colpa pure della regia troppo statica di Paul Annett. (Zender)

*! Episodio non privo di una certa atmosfera (la maledizione che origina da un lontano passato), seppur svolto troppo meccanicamente (i continui rimandi fra le serie temporali). Ciò non permette lo sviluppo di una vera progressione drammatica riposando il tutto su tale pedestre parallelismo fra attualità e tempo remoto. Anche il cast, parecchio ordinario, non eleva il livello, già blando e prevedibile, della narrazione. (Rufus68)

*! A parte i flashback nel 1600 con stregoni, sette sataniche, preti inquisitori, maledizioni e roghi, questo sciapo episodio sfrutta un'idea non malvagia (in anticipo sulla "Chiesa" di Soavi e sul "Signore del male") ma dalla fiacca realizzazione. Penalizza il tutto la noiosa parte investigativa di una improbabile acchiappafantasmi (bellissima, forse troppo, Barbi Benton, in un ruolo che non le si addice) e del capocantiere, con aggiunta di personaggi inutili (la nonna di Alan) e macchiette che sfiorano il ridicolo (lo stregone reincarnato nel generale baffuto). Non male il sacrificio di Chaterine (per il quale si ritorna nel Medioevo), ma il tutto è condotto con svogliatezza e superficialità dalla regia anonima di Paul Annett. (Buiomega 71) 


12. UN GIOCO DA BAMBINI (Child's Play)
*** Svegliarsi la mattina e scoprire che fuori dalle porte e finestre di casa c'è un muro. Che non ti è possibile uscire, che il muro è inscalfibile e che altri piccoli fenomeni di minore importanza (un marchio impresso su troppi oggetti, un liquido verdastro che esce come un blob dal caminetto) contribuiscono a far impazzire te e la tua famiglia. E' il dramma di una coppia con bambina, murati in casa senza riuscire a darsi una spiegazione ragionevole (lui ne inventa di incredibili!). Ben diretto da un ottimo regista come Val Guest, un episodio intrigante con finale a sorpresa, persino credibile nella sua relativa accuratezza. Televisione fatta con gusto, claustrofobici orrori domestici che il cast non esalta ma nemmeno “deprezza”. Godibile e da seguire con curiosità. (Zender)

***! Pronti, via e si è subito nel pieno "dell'azione" e nel vivo della tensione. Essa si mantiene costante per tutta la durata dell'episodio, che viene ogni tanto ravvivato da nuovi spunti e imprevisti. Il finale beffardo non lascia delusi anche se forse, nonostante la breve durata (70 minuti), qualche "ripetizione" e minuto in meno l'avrebbe reso persino migliore. (Cotola)

*** Il finale, memorabile, ha pregi e difetti. Chiude con perfetto cinismo (e una certa vertigine metafisica: chi può dire di essere veramente libero?). Esso, tuttavia, spiegando "razionalmente" i fatti irrazionali di poco prima, sottrae inevitabilmente spessore all'aura del mistero. Rimane l'ingegnosità della trama e un costante tono beffardo, da apologo morale o, addirittura, forzando la metafora, da divertissement teologico. Azzeccato il personaggio della bimba, sottilmente inquietante. (Rufus68)

***! Geniale e claustrofobico episodio zeppo di angoscia e oppressione, che non sfigurerebbe in un SF americano degli anni 50 (viene in mente Jack Arnold e il "Blob" nella sostanza vischiosa verdastra e maleodorante che scende dal caminetto per poi spandersi sul pavimento-incredibile, poi, la vera scoperta di cosa effettivamente è nel bizzarro finale fantascientifico). Vero che prende di peso un episodio di "Ai confini della realtà", ma è altrettanto vero che "The cube" viene un po' anche da qui. Guest si ridimostra maestro del fantastico in una storia intrisa di ansia, mistero e follia che pare uscita dalle pagine di Ray Bradbury. Un attacco atomico? Un'invasione aliena? Una trappola diabolicamente costruita? Uno strano simbolo che appare in ogni dove, una bambina tanto indisponente quanto inquetantemente perfida che legge, continuamente, solo il primo capitolo di "Alice nel paese delle meraviglie", eppoi quel finale beffardo e surreale che arriva direttamente dal futuro. Il picco massimo della serie. (Buiomega71)


13. IL CAMPO DA TENNIS (Tennis Court)
** Una coppia va a vivere nella grande villa della madre di lei, in piena campagna inglese. La proprietà comprende anche un campo da tennis sotto un capannone che fin da subito dimostra di possedere strani poteri malefici (la figlia del vicario, giocando, prende a pallate un suo coetaneo fino a farlo sanguinare!). E' solo l'inizio di una serie di strani fenomeni che constringono la donna a chiamare un esperto del paranormale: questi ci piazza dentro i suoi strumenti ma finisce di notte strozzato dalla rete, che si anima (!). Intanto il vicario (Peter Graves, l'esilarante capitano Oveur degli Aerei più pazzi del mondo) comincia a portare alla luce una vecchia storia che coinvolgeva lui stesso e il padre della proprietaria. Si apprezza come sempre la capacità della serie di cavar sangue dalle rape (o dalle palline da tennis, in questo caso): un'idea da quattro soldi viene arricchita da un bel numero di sottotrame che riescon quasi a renderla intreressante, con frequenti flashback che spezzano il racconto, una puntata al manicomio locale e svariate trovate che rendono il tutto sopportabile. Certo, la credibilità è nettamente al di sotto della media della serie (pure quella fisica della "madre sgualdrina", implausibile come giovane e pure come anziana, è chiaramente una donna di mezza età!) e la regia non aiuta... (Zender)

*! Episodio di chiusura della serie che fa registrare i livelli (molto bassi, purtroppo) degli altri. Qui si parla addirittura di un campo da tennis maledetto: capiremo poi perché. Alcuni spunti sono già visti mille volte e la situazione purtroppo peggiora malamente a causa di ritmi che come al solito sono soporiferi (anche se leggermente meno di altre occasioni) nonostante la usuale breve durata (una settantina di minuti). A mio avviso è meglio passare oltre per non perdere tempo. (Cotola)

** La chiusa, non certo uno dei picchi della serie, tira avanti a fatica, ma, se non altro, armeggia con mestiere con la variazione dello spirito della colpa. La regia si limita a bofonchiare spezzone dopo spezzone senza nessuno stile o qualche impennata che possa scuotere la vicenda (a parte la morte del ghostbuster, non malaccio). Flashback e fantasmi del passato tentano di movimentare il tutto; difficile, tuttavia, prendere sul serio palle da tennis, reti e racchette killer. (Rufus68)

*! E la serie chiude in bruttezza. L'idea di fondo non era nemmeno malaccio (un campo da tennis al chiuso parecchio maledetto), i flashback della guerra (che assomigliano di più a una telenovela tra lei, lui e l'altro) distoglievano dalle solite pacchianate fantasmatiche e qualche trovata (la ragazzina fulciana cattivissima, che tira "sanguinose" e potenti racchettate e che assomiglia a Silvia Collatina) anche piuttosto riuscita. Ma poi il tutto naufraga tra risibili acchiappafantasmi alla "Poltergeist" (di assoluta comicità involontaria la morte del ghostbuster), le solite baracconate esorcistiche da quattro soldi e un sinistro dannato dalla faccia ridotta a un hamburger e dal make up pagliaccesco. Invece di puntare sui possibili poteri telecinetici della giovane Innes, si è preferito buttarla in caciara con le classiche cialtronate degli spiriti irrequieti (anche se in vita). Unico episodio della serie in cui si vede una coppia amoreggiare a letto (seppur castamente), ma non è un vanto. Sonnacchiosa pure la regia di Frankel. (Buiomega 71) 

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