Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Sfoggia unicità la Siesta d'arte di Mary Lambert, di languore camp, carezzata dalle note goth, latin synth, cool jazz della tromba d'oro di Miles Davis. Fellini, Roeg, Lynch, Greenaway, Beineix, Robbe-Grillet divenuti fumetto dell'unificazione postmoderna, spot/clip in cui la bellezza patinata (nuda, bronzea, nel vestito rosso) di Ellen Barkin è funambola dell'etere, viaggiatrice, naufraga di Spagna. Il modern cowboy Martin Sheen, il latin lover Gabriel Byrne, i gaudenti Jodie Foster e Julian Sands, la Rossellini madrilena e Grace Jones nelle gemme: almanacco di identità possibili.
Poliziotto corrotto (ma non tanto quanto alcuni suoi colleghi) si trova impelagato di un fattaccio di sangue di cui è stato vittima anche il figlio di una boss della triade che ora vuole vendicarsi del presunto colpevole, a sua volta figlio di un politico locale... Indiscutibile l'abilità di Evans nel dirigere scene d'azione e indiscutibile il talento di Hardy quando trova un personaggio congeniale come questo poliziotto sgualcito, però qui manca il telaio di una sceneggiatura solida, per cui il film fatica a mantenere desto l'interesse risultando a tratti confuso e ripetitivo.
Buona idea di base e prima parte abbastanza interessante. Purtroppo non convince affatto lo script, troppo verboso e con diversi buchi narrativi e situazioni mal gestite. Nel finale si tenta il colpo di coda ma è ormai troppo tardi e pesa qualche moralismo di troppo. De La Iglesia è regista dalla classe cristallina, ma qui rimane pericolosamente a metà tra il thriller "parlato" e il suo solito cinema mutante ma privato di tutto il grottesco e la caustica ironia che generalmente lo contraddistinguono. Brava e bellissima la Waitling, bene Hurt, male Wood.
Delizioso (nel suo genere) film polacco sui tentativi di una coppia divorziata di ottenere l'annullamento del matrimonio anche dalla Chiesa Cattolica. Al di là del tono leggero, la situazione rappresenta la realtà. Colonna sonora maliziosa, buona prova degli attori e regia attenta portano a un risultato assolutamente convincente. Parecchie situazioni divertenti muovono al sorriso, non ci sono tempi morti e i novanta minuti scorrono veloci.
In una carriera giunta in poco al suo termine (i titoli papabili sono pochi), con questo film Seagal firma definitivamente la sua condanna a morte. Visto il cast la pellicola poteva risultare quantomeno gradevole, mentre si rivela un disastro ancor maggiore di quello narrato nel film: Sizemore appare quanto mai svogliato, Hopper recita col pilota automatico come se fosse in Speed e Seagal è pressoché una comparsa. La regia sembra quella di un qualsiasi telefilm di serie z, costellata da dialoghi beceri e da azione pessima. Terribile.
Approdato alla fama planetaria, Leone non muta in coniglio e maciulla il concetto di estremo nello splatter mainstream, contrariandoci tuttavia quando stavolta ci tocca dover valutare come concettualmente discutibili un paio di scene. La mattanza procede inoltre solo per episodi (Art con i manutentori, Art al pub, Art al meet & greet con Babbo Natale e via sgozzando) e tutto il chiacchericcio all’apparenza cool su demoni angeli e spade magiche in realtà nasconde l’ombra di un superficiale sotterfugio. In crescita la forma. Pantagruelico, ma all’orizzonte si intravvedono nubi scure.
Ambiziosa opera di David Robert Mitchell (anche autore unico della sceneggiatura) che tenta in ogni modo di trascinarci in una dimensione sospesa dalla quale sembra impossibile sfuggire mentre ci si immedesima nello stranito protagonista, il disoccupato Sam (Garfiled), centro di gravità che esplora, in una Los Angeles quasi "aliena" (Silver Lake ne è uno dei quartieri), un mondo ricco di segreti da disvelare. Dalla sua camera con vista sulla piscina "condominiale" Sam osserva col binocolo la vicina seminuda in terrazza e si fa ammaliare dalla giovane Sara (Keough),...Leggi tutto che in costume si accorge di essere spiata e invita Sam a seguirla in camera. Non ci sarebbe nulla di male senonché la ragazza in breve scompare, lasciando dietro di sé solo un enigmatico simbolo dipinto sulla parete di casa.
E' l'inizio di un'avventura non convenzionale, che conduce Sam a sfolgoranti party mentre segue alcune ragazze che nota uscire dalla casa di Sara e che lo metteranno indirettamente in contatto anche con la figlia (Hernandez) di un ricco magnate a sua volta scomparso nel nulla e con altri personaggi bizzarri; primo tra tutti un complottista che lo illumina sui codici che una strana setta tutta da identificare nasconde in oggetti di grande consumo o tra i solchi dei dischi e che meriterebbero di essere decrittati. Sam raccoglierà l'eredità dello strampalato conoscente riuscendo nell'apparentemente ardua impresa di comprendere e mettere tra loro in collegamento i messaggi nascosti.
Una caccia che tuttavia si mescola fluida all'interno di una trama in cui a essere importante è anche la galleria di misteriose figure che si incontrano per via (resta impressa quella del compositore, interpretato da un Jeremy Bobb seppellito sotto un pesantissimo trucco che lo invecchia, autore a quanto pare di quasi tutti i grandi successi musicali degli ultimi sessant'anni). Con loro Sam scambia dialoghi non sempre del tutto comprensibili, mentre c'è comunque da restare soddisfatti dalla qualità della messa in scena, tesa a identificare un film tecnicamente valido, con qualche momento efficace (il bagno di notte con proiettili) ma anche molti altri in cui si ha la sensazione che si allunghi il brodo senza un perché, tanto che la durata superiore alle due ore appare decisamente esagerata.
In particolar modo l'ultima mezz'ora pare non finire mai, occupata da un verboso incontro che risponde parzialmente ad alcune domande rimaste in sospeso ma si dilunga nella spiegazione di ciò che non sembra poter importare molti e chiude decisamente male in un clima new age stucchevole. Anche il rapporto con le tante (belle) ragazze presenti sulla scena è impostato senza trasporto alcuno, riuscendo solo a tratti ad azzeccare la ricercata atmosfera misteriosa dal sapore vagamente lynchiano di cui il film vorrebbe essere permeato. Diverte la caccia ai codici nascosti, ma occupa una parte minoritaria della trama e non raggiunge soluzioni particolarmente eccitanti.
Il sequel di JAWS OF LOS ANGELES, uno dei più catastrofici shark movie di sempre, riesce a peggiorare ulteriormente le cose abbandonando persino quella lontanissima (diciamo praticamente nulla) parvenza di cinema che poteva catalogare il numero uno alla voce “film”. In comune ci sono una fotografia aberrante, qui resa disgustosa da un filtro ocra disturbante, e il grado zero a livello di tecnica sfoggiato in entrambi.
Si è comunque operata una cristologica moltiplicazione dei pesci che aumenta a dismisura...Leggi tutto il numero di squali presenti sulla scena e che li vede sfrecciare in volo esattamente come nel PIRANHA PAURA di Cameron. Purtroppo, in questo caso, gli effetti non sono di Giannetto De Rossi e la sua équipe ma di un fresco acquirente di Pc dotato di programmino 3D, il quale s'è impegnato a disegnare tanti squaletti in fretta e furia applicando poi un furioso copia e incolla per piazzarli un po' dovunque sullo schermo nei rari momenti di attacco. I pescecani volano orizzontalmente a velocità supersonica e se sei sulla loro traiettoria ti centrano in faccia facendotela rossa come se ti fossi preso una fortissima insolazione. Se qualcuno di loro ha tempo si stoppa d'improvviso e si sofferma per mangiucchiarti.
La trama (se così vogliamo chiamarla e considerando che nulla ha in comune con quella – altrettanto inesistente – del numero uno) mette al centro una presunta squadra di beach volley femminile composta da giovani parecchio in carne che zompano sulla sabbia con scarsa leggiadria, non dando esattamente l'impressione delle campionesse. Quanto accade loro ce lo racconta una del gruppo parlando (in macchina) al proprio video diario, spiegandoci come tutto fosse fantastico, prima della disgrazia. Erano tutte lì per divertirsi, cercare maschi, giocare sulla spiaggia, quando decine di squali volanti sono arrivati a guastare loro la festa.
A fare una brutta fine è dapprima l'allenatore – ricoverato in fin di vita con il viso arrossatissimo e sbattuto in terra dal passaggio di una mandria di squali in volo – quindi le ragazze, vittime di una fine non dissimile. La trama sta tutta qui, perché è difficile ad esempio far rientrare nella stessa un presunto pugile (passa il tempo in casa ad allenarsi tirando pugni all'aria al tempo di “The Final Countdown” in versione tarocca) che combatte gli squali volanti in spiaggia prendendoli a calci e pugni mentre puntano verso di lui: è probabilmente la scena più delirante dell'intero film, conclusa con un pescecanone gigantesco che gli piomba dalle nuvole sulla testa senza lasciargli scampo.
A riempire metraggio, poi, benché il film si arresti prima dell'ora lasciando spazio a interminabili titoli di coda che presentano tutti i personaggi (e relativi attori) come se avessimo notato che esistevano, ci pensa la nostra squadra di volley sovrappeso: tutte insieme a ballare lungamente in casa a più riprese a tempo di rap come nei più inutili video di TikTok. Salvare qualcosa in un simile guazzabuglio diventa impresa impossibile anche per il più incallito dei trashofili, mentre in chi guarda resta in testa un solo, inquietante interrogativo: cos'è quel gigantesco muso di squalo che a metà film, d'improvviso e dal nulla, ascende in cielo come una visione mistica, ruggendo paurosamente e spaventando gli astanti? I più inspiegabili sette secondi del film...
Il rapporto genitore-figlio continua ad essere centrale e dominante, nel cinema di Ivano De Matteo. Sofia (Francesconi) è figlia di una famiglia apparentemente integerrima come lo era Mia nel film con Leo, e come lei vive in un mondo che è lontano da quello di suo padre Piero (Accorsi), senza nemmeno desiderare che si possa trovare un terreno comune sul quale confrontarsi. Soprattutto ha un rapporto conflittuale con Chiara (Thony), la compagna di Piero subentrata alla madre morta. Per quanto quella provi a coltivare una relazione pacifica,...Leggi tutto a suo modo matura, Sofia punta allo scontro aperto: semplicemente non la sopporta; a lei non permette nemmeno di nominarla, sua madre, e se appena Chiara si avvicina tentando il dialogo, Sofia ringhia.
Un giorno, con Piero fuori casa, Sofia invita lì il suo ragazzo credendo di poter passare la serata da sola insieme con lui, ma Chiara è rimasta: non sta bene e promette di chiudersi in camera senza disturbare. Non basta: Sofia è furiosa e, durante un aperto diverbio in cucina, con movimento si suppone solo parzialmente involontario colpisce Chiara con il coltello, uccidendola. Lo shock è fortissimo. Piero torna e trova disteso sul pavimento il cadavere della compagna, Sofia è in stato catatonico e vaga in trance per la strada, dove la polizia la trova e la accompagna in Centrale.
Comincia la lunga fase in cui l'adolescente non dice una parola, subendo le decisioni di chi l'ha in cura e senza che il padre, col quale ha comunque sempre mantenuto un buon rapporto, abbia modo (né poi desiderio) di vederla. Mariella (Cescon), l'amica avvocatessa di Piero, accetta di occuparsi del processo; ma non è il processo, che il regista vuol raccontare. Di Matteo punta invece la lente soprattutto sulla vita di Sofia all'interno dell'istituto di correzione dove è reclusa e dove fatica a integrarsi, ancora vittima di una incapacità di “metabolizzare” quanto avvenuto. Le compagne di camera la scuotono senza porsi troppi problemi, ma quello che accade all'interno di un luogo che ha la forma precisa del carcere non sembra risultare granché significativo; la constatazione di una condizione inevitabilmente penalizzante è osservata con fin troppa neutralità, con spirito neorealista che non trova nella Francesconi (non per colpe sue) la sponda ideale per caricare il personaggio della necessaria centralità.
Quanto ad Accorsi, che si strugge in separata sede, non si va molto oltre l'ordinario, con l'unica vera intuizione rappresentata dal giudizio severissimo nei confronti della figlia, dal momento che la vittima era pure incinta. Un doppio binario condotto senza fantasia (non che fosse necessariamente richiesta) e scene poco capaci di veicolare un messaggio diverso da quello elementare che si può trarre dall'analisi dello stato dei fatti. Rispetto alla forza dirompente dimostrata dal regista in altre occasioni precedenti (non solo in MIA ma anche nell'eccellente I NOSTRI RAGAZZI, ancora una volta giocato sulla distanza tra genitori e figli), qui si smarriscono lungo la via gli ottimi spunti che potevano nascondersi in un'azione tanto imprevista e definitiva come l'omicidio, per sviluppare reazioni tutto sommato ordinarie e mai intriganti come si poteva sperare; mantenendo inalterata la maturità nell'approccio al tema ma restando piuttosto in superficie...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA