Tratto da una storia vera e – come dicono i manifesti - da un'amicizia che lo fu altrettanto: quella tra l'eccellente pianista nero Don Shirley (Ali) e l'italoamericano Tony Vallelonga (Mortensen), un buttafuori chiamato da Shirley ad accompagnarlo in una tournee di due mesi nel profondo sud degli Stati Uniti (dove si sa, nel 1962 gli uomini di colore non erano visti benissimo). In cerca di un lavoro per il periodo di tempo in cui il locale di New York dove lavora chiude per restauri, Tony accetta di fare da autista (e velatamente da guardia del corpo) per Don, un uomo totalmente diverso da lui ma col quale condivide una sincerità d'animo che avrà modo di emergere nel corso del film. Due caratteri...Leggi tutto diversissimi: introverso, spiritualmente elevato, educatissimo Don; semplice, irruento e superficiale Tony, che tuttavia imposta subito il rapporto tra loro all'insegna di una lealtà e di una schiettezza non comuni. Dopo i primi giorni di diffidenza, il livello di intimità aumenta al punto che Tony non si fa certo problemi a dire in faccia a Don cosa pensa e lo stesso fa Don con lui. Peter Farrell, per una volta in regia senza il fratello, confeziona una commedia studiatissima inevitabilmente un po' ruffiana, che nell'analizzare il rapporto di amicizia tra i due inserisce la variante razziale nonché la contrapposizione classica tra ricco e povero. Gli spunti insomma non mancavano; sarebbe semmai da capire quanto siano stati innestati con sincerità e quanto invece per spingere a riflettere senza fantasia su temi che al cinema hanno già originato centinaia di film. Tuttavia, per quanto non manchino banalità che stonano con la profondità dei temi affrontati, la bravura degli interpreti permette di sorvolarle per godersi l'avventura, un lungo viaggio on the road in auto scandito dai concerti di Don (che per contratto pretende di suonare solo pianoforti Steinway) e contrappuntato dai forti rigurguiti razzisti che nel sud degli USA raggiungono nel 1962 vette aberranti. Seguendo la guida “Green book”, nella quale sono indicati hotel e motel in cui gli uomini di colore sono bene accetti, i due smussano le asperità di due caratteri contrapposti arrivando a trovare comunanze inaspettate. E se il Tony di uno straordinario, impeccabile Mortensen (egregiamente doppiato da Insegno) trova spunti comici talvolta irresistibili, il Don Shirley di Ali gli fa da necessaria spalla seguendo uno schema che abbiamo imparato ad apprezzare dai tempi di QUASI AMICI. Tony mangia come una bestia, fatica a non alzare le mani nei momenti di difficoltà e scrive a sua moglie (Cardellini) lettere “alterate” dalla poeticità di Don, in un paio di occasioni divertenti al punto da ricordare quella dettata da Peppino a Totò. Dialoghi sempre molto curati, regia e montaggio impeccabili. Emerge di tanto in tanto una certa stanchezza di fondo dovuta a una durata non indifferente (due ore e dieci!), ci si imbatte in qualche quadretto fin troppo “costruito” (la macchina in panne proprio a fianco di un campo dove un gruppo di neri lavora la terra, con conseguenti mute considerazioni) e il politicaly correct si affaccia a più riprese regalando scontatezze, ma per quanto a tratti leccato e sovrastrutturato, il film mostra quanto il talento per la commedia dei Farrelly non sia necessariamente legato all'eccesso e al demenziale. Studiato per piacere alla più ampia fetta di pubblico possibile, GREEN BOOK non fallisce il bersaglio, pur incappando nei difetti tipici del "mass market".
Un film in perfetto equilibrio tra drammaticità e leggerezza. Eccellente nei dialoghi e nell'interpretazione di Viggo Mortensen, qui davvero un gigante, un po' meno nel non riuscire a evitare qualche stereotipo (il poliziotto buono e quello cattivo), ma tutto sommato un lavoro molto riuscito. La contrapposizione tra ricco e povero o tra colto e ignorante non viene esasperata inutilmente, mentre la graduale apertura mentale dei due protagonisti viene ben descritta.
Uno sguardo sulla realtà della segregazione dei neri in America e sugli aspetti sgradevoli e di forte ipocrisia che poteva comportare. La messa in scena è accurata e può contare sul binomio Mortensen/Ali, ben affiatato. La loro caratterizzazione permette di entrare in sintonia con i personaggi, certo un po' di ripetitività affiora nella parte centrale e certi passaggi del loro rapporto sanno troppo di buonista, di studiato a tavolino.
Farrelly dimostra, dopo anni di ottimi film comici, di saperci fare anche con una storia più impegnativa. E la gestisce mantenendo una certa leggerezza di fondo, che porta la storia ad alti livelli permettendogli di essere incisiva senza mai farsi pesante o retorica. Ottimi i due protagonisti, perfettamente in parte e affiatatissimi tra loro, padroni di dialoghi ben scritti e di momenti tra il toccante e il divertente. Fondamentale anche la colonna sonora, che dividendosi tra classicismi e blues rispecchia i due caratteri principali.
Commedia biografica che affronta col brio il classico tema della strana coppia, impiegando nel migliore dei modi le oltre due ore di durata: ritmo elevato, dialoghi serrati e ben calibrati, umorismo efficace senza concessioni al demenziale, due protagonisti affiatati, una massiccia dose di politicamente corretto che tutto sommato non disturba. Nulla di nuovo sotto il sole e finale non particolarmente incisivo, ma resta un prodotto onesto e piacevole, oltre che girato in modo professionale.
Bio-pic che narra l'amicizia tra il pianista Don Shirley e il suo autista Tony Vallelonga negli anni '60. Meno romanzato di quel che sembra, il film è strutturato come un road-movie e segue i fatti con aderenza alla realtà ma non rinuncia al metro della commedia, principalmente tramite il personaggio di un grande Mortensen che regala battute memorabili; ci sono ovviamente anche momenti drammatici e di riflessione su razzismo e diversità, rischiando a tratti qualche cliché, comunque dissimulato dalla qualità di dialoghi e confezione. Da vedere.
Un'impeccabile confezione per questo biopic che recupera la figura di Don Shirley, virtuoso pianista nero. Storia di amicizia in progress tra l'introverso jazzista e il suo strabordante ed eccessivo driver italiano, ambientata nella società bene ma ancora fortemente razzista degli stati del sud. Farrelly, lasciatosi alle spalle il comico-demenziale, si cimenta in una commedia con qualche spunto di riflessione, senza però graffiare fino in fondo e con più di un luogo comune. Sorprendenti "l'italianità" di Mortensen e l'aplomb di Ali. Lungo ma gradevole.
MEMORABILE: Il "rodaggio" relazionale; Lo stereotipo degli italiani; I concerti in trio; La telefonata dal commissariato; La cena proibita.
Un classico film americano d’altri tempi, tratto da una storia vera, con qualche sconfinamento in banalizzazioni e cliché per piacere al grande pubblico, ma davvero ben fatto, ben recitato e ricco di messaggi edificanti. Un esempio di cinema sulla discriminazione razziale capace allo stesso tempo di divertire, commuovere, sensibilizzare, indignare.
Classico film molto piacevole da guardare e dai risultati finali buoni, ma in cui tutto è come ci si aspetterebbe: non ci sono sorprese. Anzi: ci sono anche molte scene troppo costruite che sfociano nel politicamente corretto o nell'ammiccare allo spettatore. Però il film fa il suo lavoro: fa ridere. E di sorrisi e risate ne strappa parecchi, grazie ad una sceneggiatura che ha la sua qualità migliore nei dialoghi spesso brillanti e molto divertenti. Ottima la prova di Mortensen (non inficiata, per una volta, dal doppiaggio) ed anche quella di Ali e del cast di contorno.
MEMORABILE: Tony storpia una famosa frase di Kennedy: "Non chiedere al tuo paese cosa fa per te, ma cosa fai tu per te stesso".
Noioso. Tecnicamente non così criticabile ma noioso, questo road movie costruito su un binomio già visto molte volte al cinema. Un Mortensen imbolsito e italianizzato fa da contrappunto a un Ali raffinato e delicato sullo sfondo di un'America fortemente razzista. Succede più o meno tutto quello che ci si aspetta, in un ammiccare continuo allo spettatore che non riceve altro che il noto, sperando tuttavia nella sorpresa. Si auspicava un po' di crudo da questa storia vera.
Gli opposti finiscono per attrarsi? Parrebbe ancora una volta di sì. Qui si tratta, alla fine, di un reciproco dare-avere, che gioverà a entrambi gli individui. Essi infatti finiranno per uscirne con la mentalità più aperta e la possibilità di attraversare un periodo, storicamente non certo facile, soprattutto per l'artista di colore, con più armi a disposizione. La narrazione è piuttosto fluida, la regia, di buon mestiere; e i due protagonisti duettano in maniera naturale, pur essendo agli antipodi, grazie anche a un degno doppiaggio. Non raggiunge particolari vette, ma funziona.
MEMORABILE: Butta i bicchieri perchè c'hanno bevuto due neri; Il primo incontro; Il comportamento in auto; Le sue lettere alla moglie e quelle rielaborate.
Un film praticamente completo. La storia è stupenda: fa ridere, commuovere, riflettere e arrabbiare. La coppia protagonista è meravigliosa, la credibilità dei loro personaggi è superba: vedere Viggo Mortesen che interpreta un italiano (stereotipato sì, ma al punto giusto) con tanto di gesti tipici delle nostre abitudini è una gioia per gli occhi. Il ritmo è perfetto, la struttura a tappe di viaggio èuna scelta vincente. Molto gradevole, seppur abbastanza prevedibile.
MEMORABILE: Pollo fritto per la prima volta; La pietra portafortuna; L'arresto di Tony e Don; Le lettere rivedute e corrette; Don che suona rock'n'roll al club.
Siamo nel 1962 e un buttafuori del Copacabana di New York fa capire a tutti chi comanda! Grazie ad alcune "raccomandazioni" trova posto come autista di un pianista nero che vuole andare a suonare nel profondo Sud. Alla guida di una DeVille turchese abbiamo, quindi, un Viggo Mortensen ottimamente calato nella parte del tipico italo-americano. Si ride spesso, proprio quando le situazioni danno ragione a lui (Tony Lip)! Così come si prova una "leggera" malinconia quando il musicista non riesce a lasciarsi andare... Non una battuta fuori posto. Fotografato e, ovviamente, musicato benissimo!
MEMORABILE: La restituzione del cappello; Chi caricherà i bagagli?; "Ma c'avrebbero pensato gli scoiattoli!"; In gattabuia; Una esibizione; Cambio alla guida.
Trattandosi di Farrelly si potrebbe affrontarne la visione non scevri da pregiudizi, invece non si può che rimanerne piacevolmente sorpresi. Una scrittura leggera per un tema estremamente serio (la mente corre al coevo BlacKkKlansman) per un film che riesce nel compito di accendere un faro negli angoli meno frequentati da chi affronta il terreno della segregazione: i gabinetti per i neri fuori dalle abitazioni, i ristoranti proibiti, perfino il divieto di provare gli abiti prima di acquistarli. Prova memorabile per Mortensen. Gran film.
Film molto piacevole ma impegnato, sotto una copertina di commedia di classe. La sceneggiatura è straordinaria: è difficile immaginare un film che presenti in modo così allusivo ed elegante le contraddizioni della vita. Il contrasto tra educazione e discriminazione, il problema dell'integrazione razziale ma anche culturale, l'alienazione come forma di sopravvivenza. Bravissimi i protagonisti, anche se forse il personaggio centrale del film è più la moglie di Mortensen che il marito.
MEMORABILE: Lo sfogo in macchina in cui si confessano i rispettivi limiti e drammi sociali, culturali.
Nascita di un'amicizia fra un buttafuori italo-americano che fa l'autista e un pianista nero nell'America bacchettona e razzista degli anni '60. Un road movie agrodolce, con un Viggo Mortensen inedito e simpatico (rimanda al Joe Pesci e al Robert de Niro dei tempi di Martin Scorsese) e un ottimo Mahershala Alì che, pur recitando in un ruolo alla Denzel Washington, fisicamente ricorda l'Eddie Murphy di 48 ore. Difficile dire chi fra i due protagonisti piaccia di più; di certo non sfigura in mezzo la Cardellini moglie di Mortensen.
Guidatore bianco accompagnerà pianista nero. Viaggio nel profondo Sud americano, dove c'è scarsa voglia di migliorare la situazione razziale. Clima stemperato dai modi all’italiana di Mortensen (divertente la sua parlata) e dalla classe educata di Mahershala Ali. La chiave non è drammatica, ma i contenuti sulla dignità e l’emarginazione sociale sono ben delineati. Buoni siparietti tra i due protagonisti, come in un A spasso con Daisy modernizzato, parte conclusiva vista e rivista, in stile Un biglietto in due.
MEMORABILE: La tunica dorata; Il libro degli alberghi; Le parolacce in italiano; La prima lettera alla moglie; Joe Pen al posto di Chopin.
Quando si allestiscono gli stand alla sagra dello stereotipo, stai pur certo che un premio Oscar passerà per di là: e quindi abbiamo gli italoamericani fessacchiotti (che parlano una specie di tremendo dialetto meridionale), le minoranze recluse, i WASP immacolati e pervicacemente razzisti... Il prezzo lo paga il finale, glicemico e telefonatissimo. Si poteva e doveva dire qualcosa di più e di diverso: se il film scorre che è un piacere lo si deve all'alchimia tra i protagonisti, soprattutto un grande (ancora) Mortensen. Comunque patinato.
MEMORABILE: Alla cena di gala servono... il pollo fritto.
Forse l'Oscar per miglior film è esagerato, ma sicuramente la pellicola intrattiene gradevolmente e tocca anche tempi importanti (il razzismo, l'amicizia...). Siamo a cospetto della solita "strana coppia", questa volta formata da un colto musicista nero e da un più "proletario" buttafuori italo-americano, ma la storia (tratta da reali accadimenti) è raccontata con garbo e ha snodi narrativi convincenti. Ottima la prova fornita dai due interpreti: davvero stupefacente come Mortensen riesca a rendere credibile il suo personaggio.
Negli anni '60, italo-americano dai modi spicci e dalle dubbie frequentazioni accetta di accompagnare come autista/guardia del corpo un pianista nero impegnato in un tour nel profondo Sud... Da una storia vera, una commedia sugli effetti della conoscenza reciproca al di là dei pregiudizi: il rozzo buttafuori è contagiato dalla cultura e dai modi civili dell'altro, il pianista ammorbidisce il suo carattere troppo spigoloso. Interpreti imprescindibili, con Ali in parte e Mortensen fenomenale, per un film molto piacevole a cui si può solo imputare un eccesso edulcorante di correttezza.
Tratto da una storia vera, il film non offre niente di nuovo per quanto riguarda il tema della segregazione (affrontata in modo timido e pulito, quasi per non scontentare nessuno) ma fila più spedito del viaggio che racconta. Farrelly cambia decisamente registro rispetto alle sue solite commedie, affidandosi a una sceneggiatura brillante e lasciando ampio spazio ai dialoghi nei quali emergie pienamente la sinergia fra i due protagonisti. Patinato a sufficienza per assicurare l'Oscar ma comunque gradevole.
L'accurata conoscenza dei tempi della commedia di Farrelly gli consente di girare una pellicola dalla durata non indifferente senza sprecare un fotogramma, con un ritmo narrativo mai domo sorretto da una sceneggiatura efficace soprattutto per l'accuratezza dei dialoghi. E poi ci sono loro, i due meravigliosi protagonisti, che mettono in atto un duello di bravura rendendo impossibile la scelta per la palma del migliore. La forte tematica razziale è gestita con toni consoni, senza sfociare nel politicamente corretto e nella sterile retorica.
MEMORABILE: "Il mondo è pieno di gente sola che ha paura a fare il primo passo"; La lucida analisi del tipo di pubblico che ascolta i concerti da parte di Shirley.
C'è poco da girarci intorno: gli americani restano maestri in questo genere di film, a metà strada tra road movie e romanzo di formazione, in cui un po' si ride e un po'si piange. Così come sono maestri nell'eccesso di telefonatissimo politically correct che porta, anche qui, a risultati talvolta abbastanza ridicoli (si veda il risibile finalone natalizio). Fatte le somme resta comunque un ottimo prodotto di intrattenimento, girato con cura e buon ritmo e con un Mortensen italo-americano che merita quasi da solo la visione.
Non è certo la prima volta che il cinema propone il cliché del confronto/scontro tra due personalità agli antipodi costrette a convivere per cause indipendenti dalla loro volontà. E il fatto che il film sia ispirato a un fatto vero non cambia il risultato finale. Più commedia che biografico, ha il vero punto di forza nell'interpretazione di Mortensen e nell'ambientazione anni 60. Per il resto pare finanche eccessivo l'Oscar come miglior film. Forse è stata premiata l'intenzione, non il prodotto. Finale eccessivamente buonista.
MEMORABILE: Lo storpiamento della frase di Kennedy: "Non chiedetevi cosa possa fare il Paese per voi... chiedetevi cosa potete fare per voi stessi".
Un buttafuori italo americano e un colto pianista gay: da qui si snoda una pellicola on the road di ottimo impatto visivo che mostra situazioni veritiere tendenti alla riflessione. Monumentali i due interpreti, che regalano momenti introspettivi alternati ad altri più dinamici. Finale indubbiamente previsto, ma dotato di una semplicità univoca che conduce alla commozione.
Tratto da una storia vera. Un buttafuori italo-americano fa da autista a un jazzista di colore (Don Shirley) per il Sud degli USA. Film che affronta il tema del razzismo in modo leggero, a tratti divertendo e senza mai cadere nell'ipocrisia. Mahershala Ali e Viggo Mortensen convincenti (anche se il secondo si apprezza di più in lingua originale). Meritato l'Oscar come miglior film.
Due ore che volano via che è un piacere, tra i sorrisi che scaturiscono dalla coppia male assortita formata dal rigido Don Shirley e dal rozzo Tony Lip (la comunità italo-americana è ritratta in maniera stereotipata ma decisamente divertente) e l'amarezza dello spietato pregiudizio razziale che metterà a nudo l'insospettabile fragilità del raffinato musicista. Una storia commovente, che ricorda in modo semplice, senza retorica, che la vera nobiltà è quella dell'animo.
Al netto delle polemiche spesso fatue che opere come questa si portano dietro, un film esemplarmente lineare, che nella sua piana concretezza riscatta la propria ontologica demagogia e la sua presunta sporca coscienza. In definitiva Farrelly costruisce un buon esempio di "marketing sociale" contribuendo a innalzare l'accettabilità della causa che perora, aiutato da una regia "classicamente" impercettibile e da un duetto di attori che non sbagliano davvero nulla, rendendo immediatamente empatici i cliché di provenienza. Dolcissima Linda Cardellini.
MEMORABILE: Il pollo fritto con le mani; L'abbraccio tra Dolores e Shirley.
Sarà forse pieno di luoghi comuni, dopodiché bisognerebbe chiedersi perché questi luoghi comuni siano così comuni. Dalla vera storia della tournée che legò un rozzo italoamericano e un pianista classico nero, il film va visto per le interpretazioni dei due protagonisti e per un bel lavoro di scrittura, che aggiusta i fatti dove "deve" e lascia entrare la ruvida realtà del tempo, fatta di razzismo diffuso e spregiudicata violenza, quando è necessario. Finale giusto un po' sdolcinato (e inventato) ma funzionale. Gran film.
Il racconto di un’amicizia tra due personaggi diversissimi che trovano un comune terreno d’incontro. Peter Farrelly dirige un film piacevole tratto da una storia vera che trova il suo momento migliore nelle ottime prove dei due protagonisti e anche del resto degli attori (sempre brava la Cardellini, anche se in piccolo ruolo). La sceneggiatura è ben sviluppata, benché in alcuni tratti un po’ ruffiana nel sottolineare certi passaggi. Ottime la colonna sonora e l’ambientazione tra la New York degli anni ‘60 e il profondo sud degli Stati Uniti.
Una cascata di applausi per il "nuovo" Farrelly e il duo di protagonisti che sorreggono benissimo tutta la pellicola senza mai scivolare. Questa storia di amicizia piace molto, gli si perdonano facilmente certe ruffianerie e soddisfa con certezza per il suo peregrinare nel razzismo statunitense alternando ironia a momenti seri trattati con perfetta delicatezza e semplicità. Una storia che riesce a far riflettere, scevra della "pesantezza" che il tema potrebbe richiedere e con un'ottima fotografia.
Il filone sentimentalista americano del dopo Weinstein tocca il parossismo e stavolta ricade su un tema caro al buonismo di massa. Tratto dalla storia vera dell'amicizia fra Don Shirley, geniale pianista nero e Tony Vallelonga, buttafuori italoamericano, il film centra (riuscendovi) il tema della segregazione dei neri. La trama è ben sviluppata, complice la contrapposizione fra i due atipici protagonisti, ben impersonati dal duo di attori. Buono nel complesso, ma finale scontatissimo, che chiude una sequela un po' ripetitiva. Oscar esagerato.
Un film meritevole, in cui Mortensen si riconferma ottimo interprete, spalleggiato dal talentuoso Ali le cui scene al pianoforte sono incredibilmente realistiche. Eccellenti anche le ricostruzioni anni 60. La sceneggiatura è scorrevole e non risente della lunga durata ma una piccola falla c’è. Talvolta si annusa l'odore di ruffianeria, rischiando di scivolare in qualche banalità vista e rivista in altri film dal tema simile. Per fortuna il burbero Tony e l’altezzoso Don conferiscono ai personaggi quel valore aggiunto che fa dimenticare il resto.
Ai tempi della segregazione razziale un raffinato pianista nero intraprende una tournée nel profondo sud e uno scagnozzo italoamericano viene ingaggiato per fargli da roadie: diverranno amici, agendo l'uno da Caronte e l'atro da Cyrano. Una vicenda reale (il personaggio di Mortensen era il padre di uno degli sceneggiatori) è lo spunto di un A spasso con Daisy al contrario, dramma sentimentale in cui struttura on the road, fotografia superba, ricchezza scenografica e bravura degli attori fanno digerire qualche concessione di troppo alla melassa del politically correct contemporaneo.
MEMORABILE: "Il mondo è pieno di gente sola che ha paura di fare il primo passo".
La vera storia di un pianista di colore accompagnato da un autista per una tournee nel profondo sud degli Stati Uniti degli anni '60. Una splendida storia di amicizia girata alla perfezione da un esperto della commedia come Peter Farrelly, che non rinuncia a qualche inserto più leggero in un film più cupo di quanto distrattamente si possa avvertire. Un lavoro che scorre in maniera piacevole, e gran parte del merito va alla coppia di protagonisti che incarnano perfettamente i due ruoli. Una realtà dura raccontata con un buon realismo. Uno dei film migliori degli ultimi anni.
MEMORABILE: "Il mondo è pieno di gente sola che ha paura di fare il primo passo".
Davvero un bel film in cui la componente drammatica/impegnata riesce a integrarsi bene con quella comica. Assai azzeccate alcune trovate (come le lettere di Tony alla moglie corrette da Don), molto convincente l'interpretazione di entrambi gli attori protagonisti, con un Viggo Mortensen lontano anni luce dall'Aragorn che lo ha reso famoso eppure altrettanto efficace. in conclusione, un film assolutamente consigliato.
A spasso con il musicista, si potrebbe intitolare questo bel film ispirato a una storia vera, che vede un buttafuori italoamericano fare l’autista di un musicista nero in tournée negli Stati della segregazione. Opera sul razzismo e sull’amicizia, dunque, ma anche sulla solitudine del diverso (interessante la levità del tema gay) e soprattutto sulla fallacia degli stereotipi, continuamente rimessi in gioco. Ottime interpretazioni dei due protagonisti così emblematicamente opposti eppure, in fin dei conti, attratti. Godibile.
Ottimo film tratto da una storia vera, in cui si analizza il valore dell'amicizia attraverso la vicenda che riguarda un italo americano (l'autista) e un afroamericano (il pianista in tour). Il film scorre molto bene e affronta varie tematiche tra cui il problema del razzismo, vera nota dolente negli Stati Uniti degli anni '60. Molto bravi i due protagonisti, mentre il resto del cast passa in secondo piano. Finale corretto e in linea con lo sviluppo. Notevole e adatto a tutti.
MEMORABILE: Viggo Mortensen che non smette mai di mangiare.
Notevole pellicola che affronta in anni ancora non troppo facili il rapporto, dapprima lavorativo e poi lentamente anche umano, tra un uomo di razza bianca e uno di razza nera. Oscillando tra delicatezza, tristezza e profondità interiore, il film ci mostra come poi non esistano in realtà differenze tra persone solo perché cambia il colore della pelle. Personaggio rivoluzionario che nel suo piccolo è riuscito a dare il proprio contributo a una causa ancora purtroppo attuale.
Peter Ferrely, regista di film di cassetta ora brillanti, ora demenziali, cimentandosi in questo biopic realizza certamente la sua opera più riuscita e impegnata. La pellicola riassume efficacemente il clima di oppressione e pregiudizio che negli anni '60 vigeva diffusamente nei confronti delle minoranze etniche di colore, ma che non disdegnava neppure italiani e ispanici. La sceneggiatura indugia a tratti su registri melodrammatici senza tuttavia eccedere, alternando momenti di divertimento ad altri di riflessione o ancora di autentica commozione. Viggo Mortensen giganteggia.
Un vero e proprio inno all'amicizia, questo sentimento che a volte lega più dell'amore. Ed è una strana amicizia, che sfocia tra due persone estremamente diverse, non solo nel colore della pelle. Nei due mesi in cui viaggiano assieme il grande pianista e il rozzo italoamericano avranno modo di cementarla e farla durare negli anni, come la vera storia dei due protagonisti ci racconta. Un Mortensen praticamente perfetto e un Ali ottimamente in parte; notevoli anche scenografie, ambientazioni e costumi. Oscar meritatissimi.
È assiomatico: più strana improbabile bizzosa la coppia, più geyser di scintille genera il vicendevole arrotarsi delle sue unità. Da esse, l'attecchire ovunque del fuoco: visivo, attoriale, narrativo e dell'amicizia in una parabola filmica che per dinamiche grammatiche retoriche è alla fin fine la riedizione patrizia (e più iperreale del sorgivo vero) del miglior Hughes via Nakache/Toledano, con il sottofondo razzista a far da sismografo emotivo. Gli invidiabili tempi e modi di Mortensen e il calore irradiato anche da immobile da Ali collocano tutto dalle parti dell'incantevole.
Facile armamentario hollywoodiano per dramedy di successo: due protagonisti diversi fra loro (un autista popolano di origini italiane e un ricco ma infelice musicista di colore), i loro attriti iniziali, un viaggio che li cambierà, l'amicizia che matura, gli incontri più o meno piacevoli, la morale antirazzista, l'extra dell'omosessualità che non guasta mai... Ma la genuinità degli interpreti, la favolistica delicatezza della vicenda (pur ispirata a eventi reali), l'ironia dolceamara, la straordinaria immediatezza dei dialoghi, costringono a perdonare qualche stucchevolezza. Lovely!
MEMORABILE: L'appetito di Mortensen; Nella prigione; La polizia alla YMCA; L'esibizione nel locale per neri; L'ultimo incontro con un poliziotto lungo la strada.
Il pianista Don Shirley necessita di un accompagnatore/autista per il suo tour di concerti nel profondo Sud degli Stati Uniti. Affida l'incarico a Tony Vallelonga, un uomo risoluto e con pregiudizi ma buono di spirito, che si rivelerà un amico fidato. Peter Farrelly dirige un film tratto da una storia vera che riesce a essere interessante sin dalle primissime battute. L'atmosfera di quel periodo è ben realizzata e si percepisce in ogni fotogramma il senso di impotenza ma anche di resilienza del protagonista di fronte alle ingiustizie subite. Un film davvero notevole.
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CuriositàZender • 25/02/19 16:34 Capo scrivano - 48372 interventi
Premi Oscar 2019 per:
Miglior film Miglior attore non protagonista (Mahershala Ali)
Miglior sceneggiatura originale (Nick Vallelonga, Brian Currie e Peter Farrelly)
Non lo sapevo proprio ma Tony Lip (Frank Anthony Vallelonga), qui interpretato da Viggo Mortensen, è stato anche attore. E' apparso in numerosi film, tra i quali:
Il padrino, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Toro scatenato, L'anno del dragone, Quei bravi ragazzi
Mortensen ed Ali si sono conosciuti due anni prima delle riprese di Green Book. Durante un'intervista a The Hollywood Reporter, infatti, il premio Oscar ha ricordato che lui e Mortensen si sono ritrovati isolati durante un "grande pranzo con un gruppo di attori fantastici in giro". Ha, inoltre, spiegato che è stato questo primo incontro, quasi due anni fa, a essere decisivo per incrociarsi in seguito e lavorare sul film di Peter Farrelly.
DiscussioneRaremirko • 16/03/21 20:33 Call center Davinotti - 3863 interventi
Farrelly si trova più a suo agio nel registro serio/impegnato, a quanto pare; non il solito film sul razzismo, con un Mortensen "italiano" in stato di grazia (l'ho sempre adorato) e un bravo Ali. 2 ore di alto cinema, nobilitato da tematiche, trovate e stile di regia.
Ottimo, con dialoghi divertenti ed arguti; 3 Oscar meritati