il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LE "APPARIZIONI" DI HITCHCOCK
(nei suoi film)
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Lorena Vottero

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  • Giancarlo Capo

    Giancarlo Capo

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Reeves
Commedia incentrata sull'imbranato che piace alle donne e causa una serie di pasticci e di equivoci. La componente erotica è molto contenuta a causa della destinazione televisiva, quella comica è sottotono perché Gianni Ciardo non mostra grande personalità e Spaccesi, Mattioli e gli altri coinvolti non bastano. Restano le presenze femminili, stereotipate come svampite sexy, e Guido Angeli in un ruolo autoironico.
Commento di: Anthonyvm
Sebbene l'inizio faccia pensare a qualche sottoprodotto di origine boormaniana, con bifolchi vendicativi e ragazzi di città in fuga nei boschi, sono ben altre le mire dello script: dal survivalismo naturalistico si passa al dramma campagnolo, tra faide familiari e storie d'amore intralciate dalle differenze culturali. Come se non bastasse, il twist finale (scioccamente suggerito da sospette dissolvenze già nelle prime scene) apre le strade ad altri generi. L'insieme è curioso, benché resti inficiato da una veste grafica sciatta e da una regia poco ferrata. Cast più che accettabile.
Commento di: Noodles
Pessima commedia. La forma sembra quella di un film demenziale e infatti all'inizio questo inganna e fa pensare, allo spettatore che lo aspetta, un'ora e mezza di risate. Si tratta di fallace illusione: il film non fa ridere nemmeno per sbaglio e utilizza volgarità gratuite in molte occasioni. Potrebbe andare bene ai nostalgici degli '80 visto che il decennio nel film si respira abbastanza, ma francamente sono pressoché nulle le note d'interesse. Unica nota positiva: è breve e leggero. Da evitare comunque.
Commento di: Rebis
Mettete George Miller in mezzo a una strada, dategli qualche bolide da fracassare e un manipolo di trogloditi da mandare al macello: scatenerà l'inferno. Fuori dalla Mad Max saga, non ha combinato granché, ma nell'outback australiano ha trovato un pozzo artesiano su cui fondare un immaginario neo medievale che ha fatto scuola. Il primo capitolo è un revenge movie basico e viscerale, riscattato da uno stile grafico spudorato, un esercizio di regia e montaggio che non dà tregua. Gibson, acerbo ed epidermico, è già iconico. Siamo in zona cult movie, con tutto Fury Road in potenza.
Commento di: Cerveza
1931, una rampolla se la spassa in un’ordinaria balera indossando una collana da 50.000 dollari (un milione di oggi): già si parte male con le verosimiglianze. Tanto più che la banda Grissom, dall’aria tutt'altro che chic, snobba tale bottino. Sorta di western aggiornato al '900 con banditi sudati e bisunti che si esibiscono in scazzottate, pistolettate e una recitazione costantemente sopra le righe, ma si sa, a Aldritch piace stare seduto sull’orlo della burla caricando i toni con qualche psicopatico. Apprezzabile la cura formale in sé, ma non avvince causa registro ballerino.
Commento di: Schramm
Che sorpresa riserva l'ovetto Tinder? Il bitchere della staffa: colore socialdemonizzante chiaro, wilfrediano retrogusto pulito, codici migrabondi; e a ubriacare il sempreverde adagio dei viziati ricconi annoiati - e da annoiati, si sa, si fanno le cose più incredibili. E alla lettera, si mena il can per l'aia: è più il concetto del mostrato, molto sintomo e poca malattia, più l'abbaiare del mordere, con tranche finale sempre lì per imbizzarrire e scalciare in faccia ma sempre a redini tirate. Ma good Bøe è uno bravo. Ci sa fare e lascia certi che alla prossima darà di più e meglio.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

S'inventa un'idea stramba che parrebbe anticipare uno svolgimento quasi parodistico o comunque da horror a buon mercato, il film: una mano di ceramica che spunta fuori tra i ragazzi che han voglia di divertirsi alle feste. Ti ci siedi davanti, la tocchi con la tua, di mano, come per stringerla, e pronunci le fatidiche parole: "Parla con me". Subito ti si presenta davanti uno spettro silente, sempre diverso e sempre orrendo. A quel punto non ti resta che dirgli: "Ti lascio entrare" e quello s'impossessa di te. Ti ingigantisce le pupille, ti fa spalancare la bocca,...Leggi tutto ti secca la pelle e ti fa dare di matto finché qualche anima pia non ti stacca dalla mano maledetta, spegne la candela e così facendo blocca immediatamente il transfer. A te resta il ricordo di un'esperienza folle, agli altri il filmato ripreso col telefonino di te che impazzisci. Un divertimento bislacco, tipicamente da ragazzini sciocchi da teen horror all'americana.

Il tutto è però realizzato con insospettabile efficacia e una buona regia, al punto che quando la mano l'aggancia chi evidentemente non doveva... la tensione sale e l'orrore cresce, con ovvia entrata in scena di effetti speciali "al sangue". E così quella che sembrava un'idea piuttosto insulsa e puerile si trasforma in qualcosa di effettivamente spaventoso, che prepara a una serie di rimescolamenti di carte parzialmente inattesi. E' insomma meno scontato del previsto, questo horror australiano che per specificare orgogliosamente la sua provenienza sostituisce al classicissimo cervo investito in strada... un canguro e che si apre con un lungo pianosequenza di un certo pregio come a voler chiarire una certa autonomia rispetto agli horror studiati a tavolino che escono a mazzi soprattutto in America.

La protagonista è Mia (Wilde), una ragazza che ha perso la madre da non molto e che vive quasi in simbiosi con l'amica Jade (Jensen) e il dei lei fratellino Riley (Bird). E' la prima a subire pesantemente alcuni effetti della mano maledetta e la responsabile di molti degli avvenimenti che si verificheranno in seguito. E' comunque apprezzabile che la linearità elementare da cui si parte evolva in cambi di prospettiva interessanti.

Non sempre il ritmo sostiene a dovere il tutto e qualche pausa in cui si resta più che altro in attesa di quanto si sa dovrà accadere si sente, ma nel complesso, anche in virtù di un finale non banale e costruito in modo intelligente, come horror trova il suo perché e ha modo di distinguersi, persino di emergere. Il make-up dei posseduti a volte è impressionante, la conduzione apprezzabilmente non schiava del solito politically correct e il tutto fila discretamente. Poi certo, il salire sopra le righe di alcuni a volte infastidisce, ma sappiamo che certi personaggi sono un po' la regola, nel genere. Il cast li impersona senza mai demeritare.

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E mentre Hollywood nel suo monster universe si lancia alla riscoperta dell'anima più giocosa, ingenua e primitiva di Godzilla, il Giappone rientra in possesso della propria creatura rilanciandone il peso specifico con ambizioni e mire ben diverse, non solo in termini di spettacolarità. Lo s'era già intuito con SHIN GODZILLA, ma qui si va oltre, costruendo il film sulla storia di un kamikaze, Shikishima (Kamiki), che nel 1945, a guerra ormai finita, in sosta per la riparazione del proprio velivolo sull'isola...Leggi tutto di Odo incontra Gojira, la bestia gigantesca. Avrebbe il compito di colpirla utilizzando la potente mitragliatrice del suo aereo, ma non ha la forza di sparare e nel frattempo il mostro fa scempio dell'intero contingente militare di stanza lì.

Rientrato in una Tokyo rasa al suolo dai bombardamenti, Shikishima vi incontra Noriko (Hamabe), una giovane che ha preso con sé una bimba orfana e ha deciso di crescerla. L'uomo resta con loro, provvedendo a pagare i sostentamenti con un lavoro particolare quanto rischioso: sminare il mare dalle pericolose bombe americane, facendole riemergere e sparandogli contro per farle esplodere. E' durante una di queste missioni che il nostro incontra nuovamente Godzilla, questa volta deciso a fare una visitina a Tokyo. Impossibile respingerlo, benché ci provino con apparente efficacia corazzate potentissime.

E' infatti il mare il primo terreno di scontro con il mostro: Godzilla vi si muove con gran disinvoltura. Si avvicina come uno squalo alle sue prede facendo spuntare dall'acqua non la pinna ma le inconfondibili creste (pronte a colorarsi d'azzurro e "alzarsi" quando è il momento di sparare il devastante raggio distruttore dalla bocca); quindi si alza imperioso, azzanna intere navi da guerra, riduce a brandelli tutto ciò che tocca, insegue a distanza minaccioso nuotando... La sorpresa migliore arriva da qui: contando su una regia che dal punto di vista spettacolare mostra numeri importanti, Godzilla ha in questo film scene davvero gustose e ben girate, che sfruttano le ampissime potenzialità della computergrafica (non sempre impeccabile, a dire il vero) per fornirci nuove prospettive della distruzione urbana di Tokyo (non mancano i vagoni del treno stretti in bocca dal mostro, vera immagine icona della saga).

Quello che invece non convince sono al solito le fasi in cui si affronta l'epica romantica della storia, soprattutto perché poggiata su dialoghi insignificanti che la regia - pur aiutata da una splendida, scintillante fotografia - non riesce a rendere scorrevoli, con pause infinite in cui si cerca di caricare di mestizia quasi neorealista i personaggi. Ma se consideriamo che ai lunghi interludi sentimentali vanno aggiunti quelli interminabili in cui la difesa organizza il complesso piano per fronteggiare l'avanzata di Godzilla e quelli in cui ci si sposta sulle navi senza che nulla accada in attesa che il mostro attacchi, è facile concludere che le due ore di durata si sarebbero potute molto facilmente stringere guadagnandoci in termini di tensione e coinvolgimento. Così restano soprattutto le buone (talora ottime) scene con il mostro al centro, che col progredire degli effetti speciali diventano sempre più incredibili, specie se - come in questo caso - accompagnate da una eccellente capacità di regalargli una grandiosità e un impatto visivo superlativi.

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A quanto si legge ispirato a una storia vera, il film racconta di Tess McCall (Kalember), casalinga con due figli che festeggia con un bell'evento in giardino i vent'anni di matrimonio con Craig (Irwin). Una famiglia felice, apparentemente, ma ecco che la sorella di Tess, Denise (Clayton), se ne esce a sorpresa con un fulmine a ciel sereno: è certa che il marito la tradisca e chiede a Tess di aiutarla a scoprirlo. Lei s'ingegna, pedina l'uomo e non ci vuole molto per capire che i sospetti di Denise sono fondati: il maialone se ne va con l'amante giovane in un locale ed...Leggi tutto è ora di fargli capire che non la passerà liscia.

E' sempre Tess a preparare le carte per l'avvocato divorzista, tanto bene che quest’ultimo - analizzato il certosino lavoro compiuto dalla donna per smascherare il cognato - le propone di lavorare come detective per lui. Tess sulle prime si nega, ma non appena Craig la fa sentire inutile e incapace, accetta e parte in caccia di mariti fedifraghi. Uno dei primi che becca in flagrante facendo lei stessa da esca è un giovane che ha sposato una ricca donna decisamente più in età (Vaccaro), disperata nello scoprire di essere stata a lungo presa in giro. Complimenti da parte di tutti, per Tess; tranne che dal suo Craig, poco felice di quell'attività che la tiene così tanto occupata fuori casa. E se invece pure lui...?

La parte forse più interessante del film comprende i sospetti di Tess sul proprio marito, il suo combattere contro qualcosa che non vuol credere possa essere vero. D'altra parte le smentite non mancano e il dubbio resta. E' lei, in ogni caso, il centro assoluto della vicenda: Patricia Kalember interpreta bene la signora di mezz'età ancora affascinante dapprima poco sicura di sé poi, grazie ai riconoscimenti ottenuti per il suo nuovo lavoro, sempre più pratica nell'usare i tanti strumenti del mestiere (che in qualche scena vediamo sfoggiare con gusto quasi "bondiano"). Eppure, al di là dell'amicizia con qualche cliente affezionata (la Sally di Brenda Vaccaro in primis, con la quale stabilisce un bel rapporto umano), l'aver acquisito i mezzi per indagare nelle vite altrui in qualche modo la spaventa, facendo alzare la tenzione in famiglia. Lo si capisce quando becca la figlia e il suo boyfriend fare sesso in casa, ma anche quando Craig cerca di dissuaderla dal continuare sulla sua nuova strada.

Non troppo aiutato da una regia che qualche indecisione la evidenzia, il film - televisivo e si nota - riesce a svilupparsi tratteggiando bene soprattutto la figura del marito, detective pure lui (ma in polizia), che Tom Irwin rende umano soprattutto nel modo amorevole e comprensivo con cui cerca di convincere su moglie a non lavorare troppo. Da riempitivo puro le scene con la figlia (Brûlé) indecisa se partire a fare l'Università in Francia, meno banale del previsto il finale in aeroporto. Drammatico ben calibrato, debole nella confezione ma che nel complesso si lascia seguire. Abbassando un po’ le aspettative…

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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