Good boy - Film (2022)

Una pungentissima e caustica satira della cultura fluida che sviluppa le sue deliranti premesse attraverso una gestione rigorosa e hitchcockiana della tensione, che mette sapientemente al bando qualsivoglia sbandamento umoristico o splatter. Si respira una splendida aria di finta normalità, tanto che, nonostante il sapore paradossale della vicenda, fino all'ultimo segmento si stenta a capire se e come il tutto possa esplodere. Due svolte non impeccabili a livello di logica, tra cui quella del neanche imprevedibile finale, smorzano un po' l'entusiasmo. Durata onestissima, buon cast.

Opera norvegese simile a un palazzo abbandonato a metà costruzione, che dimostra come il partire da uno script originale a volte non sia sufficiente a garantire la costruzione, attorno a esso, di tutto il resto: se è vero che in lontananza si sentono alcuni echi satirici "lars-vontrieriani" a mettere alla berlina, in questo caso, il goffo e assurdo tentativo di etichettare come "normale" quanto più possibile, l'andamento monocorde e i molti passaggi telefonati mettono in luce la debolezza dell'insieme. Ha un certo stile, ma non dà quel pugno allo stomaco che ci si aspetterebbe.

Che sorpresa riserva l'ovetto Tinder? Il bitchere della staffa: colore socialdemonizzante chiaro, wilfrediano retrogusto pulito, codici migrabondi; e a ubriacare il sempreverde adagio dei viziati ricconi annoiati - e da annoiati, si sa, si fanno le cose più incredibili. E alla lettera, si mena il can per l'aia: è più il concetto del mostrato, molto sintomo e poca malattia, più l'abbaiare del mordere, con tranche finale sempre lì per imbizzarrire e scalciare in faccia ma sempre a redini tirate. Ma good Bøe è uno bravo. Ci sa fare e lascia certi che alla prossima darà di più e meglio.