Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Trama tradizionale per questo western italo-franco-tedesco incentrato sui noti temi della vendetta e della ricerca dell'oro. In mezzo ci sono una carovana di coloni, un cattivone con la sua banda e una tribù indiana che non gradisce l'invasione delle proprie terre, presenza indicativa dell'impianto pre-leoniano del film. Tirato un po' per le lunghe, si risolleva con uno spettacolare redde rationem finale fra buoni e cattivi. Adorf, Harris e Frank si muovono con discreta sicurezza. Irrilevanti le figure femminili. Nella versione italiana la regia è accreditata as Alberto Cardone.
Camera a mano traballante, inserti da cartone animato, split screen, movimenti di macchina rotatori, montaggio ultra veloce e tutto il campionario che andava di moda in quegli anni. Tre storie, tre possibili sviluppi a partire dallo stesso spunto per far vedere come a volte dei piccoli particolari possano cambiare intere vite e come invece esistano situazioni ineluttabili. Purtroppo ci sono anche diverse cose che non funzionano, a partire da dialoghi risibili e forzature varie, per arrivare a scelte opinabili e tempi narrativi che non sempre tornano. Ma almeno diverte e scorre.
Un maestro è accusato di picchiare un bambino. Ma nulla è come sembra: chi è la vittima, chi il mostro? I segreti che offuscano la verità, un’amicizia troppo affettuosa, il bullismo che è specchio di una società normalizzata (il male è negli occhi degli adulti): film gravido di questioni e al contempo lievissimo nel ritratto di un’infanzia ferita eppur vitale. Con una stimolante sintassi che costruisce la narrazione per frammenti, tanto più nel triplice racconto che riparte dai diversi punti di vista. Struggente la musica (postuma) di Sakamoto.
Due ragazzini sono convinti di essere degli angeli, così vanno in giro a fare beneficienza, ma intanto... Le premesse per una buona produzione c'erano tutte; peccato che l'esito complessivo sia molto al di sotto delle aspettative: la fotografia dai colori alterati fa sembrare la pellicola più antica di quel che è in realtà, mentre lo snodo si fa intrigante giusto nell'ultima parte per poi sconfinare in un epilogo non esaltante. L'interpretazione degli attori principali del resto non risulta mai coinvolgente, e forse è questo il motivo principale della scarsa riuscita del film.
Manierato esordio di Mankiewicz che ritaglia sagome bidimensionali spesso a rischio di scivolare nella macchietta. È un film d’amore? Gotico? Giallo? Sociopolitico? Religioso? Accende diversi temi ma non ne sviscera completamente nemmeno uno. Per essere coinvolti ci si dovrebbe innamorare almeno di un personaggio, ma qui paiono tutti compiere piroette meccaniche come figurine da carillon. Uno stile artefatto nella recitazione e nei testi già datato nel 1948. E intanto in sottofondo gli archi straziano i crini con una flemma degna della filodiffusione in un emporio.
Action che inizialmente fa un po' storcere il naso (si nota quasi subito la povertà di mezzi) ma che successivamente, con l'entrata in scena della sfortunata ragazza, cambia registro. Il realismo latita ma non mancano le scene divertenti. Ambientazioni scarne. Da segnalare anche una coppia di serial killer completamente slegata dalla trama. Da vedere per una serata rilassante e divertente. Per certi versi ricorda Rolf e I padroni della terra
Bisogna capirli, gli americani e il loro cinema: ci vedono allo stesso modo da sempre, e quando si tratta di film di facile consumo come in questo caso non è logico pretendere che rinuncino a stereotipi cui sono affezionati e che dipingono gli italiani a metà tra la simpatica presa in giro e il folklore. Per un film quasi per intero ambientato nella solare cornice di Capri (ripresa in modo eccellente e ci mancherebbe, considerato il budget investito), con maestranze e qualche attore di casa nostra, non ci si aspetti quindi che si affronti la descrizione dei personaggi rinunciando...Leggi tutto a luoghi comuni, che d'altra parte vengono aggravati dall'uso del dialetto napoletano per doppiare tutti gli italiani presenti in scena o quasi (come fare altrimenti però, per differenziare gli americani - che parlano in perfetto italiano - dai capresi senza ricorrere a sottotitoli?).
Per questo sequel il regista Paul Feig cambia insomma completamente l'ambientazione, che era profondamente statunitense, per trasferire le due protagoniste a Capri, dove Emily (Lively), liberata di prigione da avvocati evidentemente molto in gamba, dovrà sposare il prestante e ricchissimo Dante Versano (Morrone). E con sprezzante sfacciataggine chi pensate che avrà il coraggio di invitare alla cerimonia? Proprio Stephanie (Kendrick), la donna che l'aveva spedita in carcere e che, raccontando in un libro la loro storia, ha guadagnato gloria e denaro. Naturale che Stephanie non accetti, ma il ricatto di Emily (hai sfruttato la mia immagine senza il mio permesso, ti denuncio) la costringe a partire.
Attenzione però: nel lussuoso albergo dove alloggiano gli ospiti, tra i quali pure Sean (Golding), l'ex marito di Emily che condivide con lei un figlio, avverrà un delitto in doccia, immediatamente derubricato dagli investigatori a incidente domestico... Stephanie comincia a capire che il rischio di finire in una trappola ordita da chi non può che logicamente pensare di vendicarsi è alto, e di certo non l'aiuta a sentirsi tranquilla un'agente dell'FBI decisamente pasticciona.
Perché è chiaro che tracce di commedia sono sparse un po' ovunque e che un film del genere non può e non va preso troppo sul serio. Gioca coi generi, li sfrutta piegando la complessa trama gialla (che nell'ultima parte si fa anche non facilissima da seguire) allo strano rapporto che lega le due donne e che già era all'origine del successo del primo capitolo: la Kendrick e la Lively hanno caratteri diversissimi e non si capisce mai chi delle due sia la più furba o chi prende in giro chi. Nonostante l'ovvio sentimento di avversione reciproca dovuto al finale del primo film, le due protagoniste ridono insieme, scherzano, stabiliscono una complicità che - almeno per chi conosce quanto avvenuto in precedenza - non può che apparire folle, irreale, ancor meno credibile del carrozzone che le due guidano tra macchiette improbabili e figure di dubbio gusto (si veda Elena Sofia Ricci nel ruolo della madre dello sposo).
Il clima scanzonato indica gli strampalati contorni del progetto, da prendersi per quel che è senza rammaricarsi degli evidenti difetti, godendosi le sempre buone performance delle due protagoniste e cercando, nel caos generale, di seguire l'intreccio giallo con nuovi colpi di scena garantiti da una soluzione assai contorta. Tra un faraglione e una piazzetta, nel frattempo, ci s'infila pure la fontana di Trevi, tanto per gradire. Le canzoni di Noemi in apertura e di Angelina Mango in chiusura confermano le alte quote di partecipazione italiane presenti.
Il mondo della boxe continua a offrire grandi storie di redenzione e coraggio, quasi sempre condite – come in questo caso – da uno spirito popolare che ben si addice a uno sport diverso da tutti gli altri. THE FIGHTER racconta la storia (vera) di Micky Ward (Wahlberg), peso welter con un fratellastro ingombrante, Dicky (Bale), più vecchio di nove anni e, tempo prima, pugile a sua volta, già idolo di Lowell (Massachusets) per aver messo K.O. nientemeno che Sugar Ray Leonard. Ma poi per lui ci fu il ritorno a una dimensione molto più umana, fatta di eccessi e di una...Leggi tutto caduta nella tossicodipendenza (crack, per l'esattezza), che lo portò a dedicarsi anima e corpo all'allenamento di Micky, ancor più forte di lui e con la testa a posto.
La vita in una famiglia in cui la madre Alice (Leo) e il padre (McGee) devono tenere a bada ben nove figli (gli unici maschi sono Micky e Dicky) è stressante, e per Micky lo è ancora di più avere di fianco un fratello decisamente fuori di testa come Dicky, la cui psiche è stata con tutta evidenza distrutta dall'abuso di droghe. La madre, diventata la manager di Micky, gli procura incontri che non sempre sembrano poter essere i migliori e, quando uno di questi finisce male, Micky, nel frattempo messosi insieme con una bella barista del posto, Charlene (Adams), capisce che è arrivato il momento di cambiare vita, anche a costo di entrare in contrasto con la famiglia.
Una storia ben organizzata, diretta con mano esperta da David O. Russell, che rende al meglio l'atmosfera popolare nella quale sono inseriti i personaggi, tutti caratterizzati con gusto e sana veracità. Tra questi svetta Christian Bale, autore di una performance memorabile (giustamente premiata con l'Oscar per il miglior attore non protagonista, statuetta identica a quella guadagnata da Melissa Leo, brava ma assai meno incisiva): la naturalezza con cui dà vita al fratello su di giri e un po' scemo è in ogni situazione davvero rimarchevole e rappresenta il valore aggiunto di un film in cui comunque anche Wahlberg fa onestamente la sua parte. Spesso malinconico, disilluso, Micky è il volto buono del campione che non sempre sa quale sia la scelta giusta da fare, con la dolce Amy Adams a tenergli ottimamente testa per dare la necessaria tridimensionalità al personaggio.
Discretamente rappresentati gli incontri di boxe: lontani dal drammatico spettacolarismo di un ROCKY, convincono per il lavoro fatto sulle immagini, che assomigliano a quelle di una ripresa televisiva con tanto di piccoli disturbi; un passo originale in direzione del realismo per chi è abituato a vedere la boxe da casa. Si aspetta con trepidazione l'ultimo incontro, ma si capisce quanto i match non siano mai troppo centrali, all'interno di una storia che punta a raccontare altro e lo fa seguendo le coordinate del cinema americano più classico, confezionato senza sbavature e forte di una sceneggiatura solida, che individua bene gli snodi importanti scandendo al meglio il ritmo. L'ambientazione Anni Ottanta e Novanta è restituita con rigore e aiutata come sempre dalle musiche (“Dance Hall Days” dei Wang Chung, “Here I Go Again” dei Whitesnake, “Back in The Saddle” degli Aerosmith e molte altre, oltre a una “I Started a Joke” dei Bee Gees cantata in auto dai due premi Oscar).
Non un sequel questa volta ma, visto anche un Keanu Reeves a mezzo servizio (e anche meno), uno spin-off, che s'intrufola nel mondo di John Wick sfruttando tangenzialmente l'idea del Continental (la catena di hotel di lusso in cui è proibito uccidere) e con più decisione quell'estetica laccata e raffinata mescolata all'azione turbolenta che sono marchi indelebili della saga. Reeves lo s'infila come marchio di garanzia certificato, presente molto di sfuggita (e semimuto) in una scena nella prima parte e in modo più decisivo e importante nell'ultima, quando...Leggi tutto agisce da “mediatore”.
Il prologo è poco centrato, con siparietti banalmente melodrammatici in cui padre e figlia si divertono sulla spiaggia e il carillon con la ballerina che appare insistentemente imponendosi come immagine simbolo del film. Quando poco dopo subentra l'azione esplosiva, con l'arrivo - nel castello dove i due vivono - di un manipolo di uomini in nero armati fino ai denti al servizio del losco Cancelliere cui dà il volto Gabriel Byrne, si rientra finalmente nel mondo "vero" di John Wick, nel quale da sempre si spara, si trucida, si bombarda, si vola e ci si mena a più non posso. Ma ancora il film non decolla: tutto troppo già visto, piatto... Bisogna aspettare la fatidica didascalia che ci riporta al presente (o meglio al 2019, a cavallo tra gli eventi del terzo e quarto capitolo) e l'entrata in scena della De Armas (la stessa bambina dell'incipit ormai diventata una donna, Eve Macarro) per cominciare a ingranare.
Le prime fasi sono tuttavia ancora un lungo percorso di iniziazione durante il quale la protagonista si allena a diventare una "ballerina" della Ruska Roma, scuola di danza - gestita da un donnone carismatico (Huston) - dove in realtà ci si trasforma in "guardie del corpo" molto particolari, con chiara licenza di uccidere. L'ha portata lì il buon Winston (McShane), il direttore del Continental di New York che l'ha aiutata dopo che nell'agguato iniziale il padre di lei era morto. Non le ci vorrà molto prima di incontrare sulla sua strada un uomo che sul braccio porta lo stesso simbolo di quello che Eve aveva visto sul braccio degli assassini di papà, al castello. Partirà alla volta di Praga, dove ha scoperto che le stanze del Continental ospitano un altro killer affiliato alla stessa “setta”, e da qui si ritroverà nello splendido paesino austriaco di Hallstatt (il nome esatto viene mantenuto anche nel film), dove si rifugia il Cancelliere, l'uomo a cui Eve ha giurato vendetta.
Tutta la seconda parte del film è ambientata sotto la neve nel magnifico borgo, i cui abitanti verranno sterminati allegramente dalla "Ballerina" in quella che si trasformerà in breve nella consueta carneficina esagerata. Il livello dell'azione salirà a livelli parossistici e tutto rientrerà con decisione, dopo una sparatoria selvaggia in un'armeria che ci aveva fatto pregustare la violenza selvaggia e sanguinaria tipica della saga, nei consueti binari dello spettacolo brutale di indicibile ferocia: un delirio di corpi maciullati, bucherellati, accoltellati, impiccati, fatti esplodere e massacrati a ritmo di videogame. Il finale coi lanciafiamme alza ulteriormente l'asticella e - almeno al cinema - le scene valgono il prezzo del biglietto.
La De Armas non ha modo di brillare granché al di là della prestanza fisica, gli altri fanno quel che devono e la regia tiene viva l'attenzione senza concedere un attimo di tregua (memorabile anche un comico scontro ravvicinato con piatti spaccati in testa). Gli appassionati della saga gradiranno, pur se qui latita parzialmente quella poesia rafforzata da una sorta di misticismo che si accompagnava a uno stile esteticamente elegantissimo e alla grandiosità scenografica, ritrovata in questo caso solo grazie ai suggestivi scenari sul lago ad Hallstatt.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA