il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LA VILLA DI VIGNA MURATA
con le lesene
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361494 commenti | 68664 titoli | 27046 Location | 14252 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Karol, un Papa rimasto uomo (serie tv) (2006)
  • Luogo del film: La chiesa in cui Mehmet Ali Agca (Zanis) uccide un alto prelato
  • Luogo reale: Guadix: Iglesia de Santiago, Placeta Santiago, Spagna, Estero
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  • Film: Una commedia pericolosa (2023)
  • Luogo del film: L'edificio dove lavora il commissario (Cerlino)
  • Luogo reale: Via Campania 59c, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Christian Di Domenico

    Christian Di Domenico

  • Antonietta Lambroni

    Antonietta Lambroni

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Markus
Il film di Hélène Cattet e Bruno Forzani è un omaggio al cinema di genere italiano degli anni '60 e '70. Fabio Testi mantiene un carisma magnetico, affiancato dal giovane Yannick Renier. La trama, sebbene intrigante, è secondaria rispetto a un'estetica visivamente ricercata in cui fotografia e composizione brillano. I colori vivaci e i forti contrasti creano un'atmosfera immersiva, mentre la colonna sonora richiama l’epoca d'oro del cinema, rendendo l'opera convicente per la sua audacia visiva.
Commento di: Kinodrop
Il ritratto d'un medico progressista che subordina all'avanzata della scienza qualsiasi ideologia moralistica o religiosa contravvenendo alla proibizione di attenersi alle regole sull'anatomia in epoca vittoriana. Uno spaccato della società di allora divisa da un classismo estremo che poteva favorire qualsiasi abuso sempre a danno però dei più poveri, condotto con un buon mestiere da Francis e con bravi attori (specie i due procacciatori di cadaveri) ma restando sul piano troppo estetico e con eccesso di reiterazione, per essere convincente. Bravo anche Dalton inscalfibile idealista.
Commento di: Markus
Strana pellicola che vira sull'introspezione psicologica di un giovane bello e baldanzoso, ma afflitto da una grave patologia polmonare, interpretato dal cantante Grignani. Quello che forse, nelle intenzioni, poteva essere un buon percorso artistico, si è rivelato un clamoroso flop commerciale senza ripensamento alcuno. Martinotti trasporta lo spettatore da un inizio genovese a una seconda parte indiana, tra dialoghi e situazioni più o meno interessanti, fino a un finale persino d'azione. Il guazzabuglio, benché non male, è servito.
Commento di: Furetto60
Modesto thriller in cui una ragazza sviluppa passioni morbose nei confronti di uomini maturi e, se respinta, scatena nei loro confronti la propria furia omicida. L’idea di partenza non è male, per quanto non originalissima, l’interpretazione degli interpreti, di secondo rango, si attesta sulla sufficienza, mentre nello sviluppo c’è qualche forzatura. Su tutte una: se scoprite di avere in casa una potenziale omicida, per chiamare la polizia (dicendoglielo) le voltate le spalle? Pur con tutti i suoi limiti, comunque, una volta può essere visto.
Commento di: Giùan
Perdente su tutti i fronti nei riguardi dell'originale, con Ritchie e la Disney che presumono di sé stessi finendo per non poter contare nemmeno sulle attenuanti generiche del confronto complicatissimo con un capolavoro animato di comicità e avventura. Tutto è fisiologicamente "normalizzato" dal live action, perdendo in magia e dinamismo senza che la regia riesca a palesarsi in qualsivoglia alternativo valore aggiunto. Nel cast non meraviglia che il solo "genio" di Will Smith regga la caratterizzazione, che invece penalizza tutti gli altri protagonisti, sviliti e sbiaditi.
Commento di: Nicola81
All’epoca fu visto come un segnale di ripresa da parte di Argento, oggi possiamo considerarlo il suo canto del cigno. Gli ingredienti che negli anni '70 fecero la fortuna sua e del thriller italiano ci sono praticamente tutti (omicidi efferati, assassino mentalmente disturbato, un finale a sorpresa, persino le musiche dei redivivi Goblin) e la prima mezzora fa gridare al capolavoro; nel prosieguo affiora qualche crepa soprattutto nella direzione degli attori (i giovani deludono, i grandi si salvano per merito proprio), ma resta un film teso e coinvolgente per l’intera durata.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Il colonnello Orsini (Servillo) arruola al Nord volontari per la spedizione dei Mille. Comincia così, in pieno Ottocento, il secondo film che Salvatore Andò dirige portando sulla scena Ficarra e Picone insieme a Toni Servillo dopo LA STRANEZZA, che raccolse ottimi consensi soprattutto da parte della critica. Di nuovo la Sicilia quindi, eletta qui a terra promessa per lo sbarco dei garibaldini. Il palermitano verace Domenico Tricò (Ficarra) e il falso veneto Rosario Spitale (Picone), reclutati da Orsini per combattere...Leggi tutto con Garibaldi (Ragno), ancora non si conoscono, ma sulla spiaggia di Marsala, spaventati dalla battaglia, condividono la vile fuga incontrandosi casualmente in una caverna e proseguendo, per la medesima strada, da disertori.

Domenico è intenzionato a rivedere la sua donna dopo dieci anni di lontananza, ma la sorpresa è amara: sposatasi col di lui fratello, quella ne ha già avuto due figli. Domenico capisce che non ha più un posto nella vita dell'ex fidanzata e inizia a vagabondare per le terre sicule senza una meta, in cerca di cibo e di una sistemazione insieme a quel suo strano compagno d'avventura, ancora più solo di lui. E così, mentre da una parte Garibaldi e Orsini progettano il da farsi scontrandosi con l'esercito dei Borboni, dall'altra i due ex combattenti si rifugiano in un convento (Rosario si finge sordomuto per farsi accettare) per poi proseguire altrove la loro ricerca di una fortuna che pare non arrivare.

L'incrocio con le truppe garibaldine sarà inevitabile, con un Orsini che aveva in precedenza dimostrato di non sopportare i disertori. Si apre una nuova fase, nella vita di Rosario e Domenico, sempre ai margini e oggetti impazziti da collocare in una ricostruzione storica per il resto invece meticolosa e ricca, perché le scene di massa sono imponenti, la fotografia di gran lusso, le location capaci di restituire la caratteristica solarità della regione. L'impatto visivo è insomma appagante, la patina da cinema di qualità che riveste il film evidente, l'intento quello di mostrare la Sicilia e i suoi uomini attraverso un ritratto di ampio respiro che ne tragga l'essenza. Il risultato, esteticamente impeccabile, lascia però molti dubbi sul versante legato alla narrazione, con una sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso) piuttosto dispersiva, che fatica a dare la necessaria tridimensionalità ai personaggi e dipinge Garibaldi senza riuscire a restituirne l'importante statura.

Il ricorso al siciliano stretto, inoltre, costringe all'imposizione dei sottotitoli in tutte le parti con Ficarra e Picone (di gran lunga le più numerose), mentre le loro incursioni sono molto meno divertenti dello sperato. Naturalmente non si puntava alla commedia, ma anche sul versante drammatico manca lo spessore che possa garantire il giusto grado di coinvolgimento. E se sulla bravura del cast nulla si può eccepire, sono i dialoghi e l'azione a funzionare poco. Fortunatamente l'ultima parte è in crescendo e il riscatto a Sambuca è una bella pagina di storia che viene riletta con gusto, prima di un lungo epilogo che, al contrario, concentra in sé molti dei difetti di un film prigioniero di una maniera che si fa talora oberante (soprattutto considerata la durata eccessiva di due ore e un quarto, che si fa indubbiamente sentire).

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Si prolunga l'avventura giurassica che, dismesso il Park, da tempo prosegue con la variante "World", finora convincente solo nel primo episodio. Il ritorno però in sella di David Koepp, tra i più noti sceneggiatori hollywoodiani e autore del copione vincente dello storico numero uno, sortisce buoni risultati. Anche se va detto che non sono i dialoghi o il disegno dei personaggi il punto di forza del film, a rivivificare la saga sono qualche innesto ironico non disprezzabile e una storia ben organizzata.

Poi si sa, in lavori di questo genere il grosso lo fanno...Leggi tutto gli effetti speciali e soprattutto la regia, che ha il compito di valorizzarli a dovere massimizzandone l'impatto. Qui Gareth Edwards, già autore del più interessante capitolo di Star Wars degli ultimi anni e abile manovratore di mostri sovradimensionati nel GODZILLA del 2014, azzecca alcune delle scene più spettacolari dell'intera storia "giurassica", compreso un assalto acquatico del T-rex da lasciare col fiato sospeso.

Tutto comincia con i grandi progetti di una multinazionale farmaceutica, che ha scoperto come dal sangue di tre dei più grandi dinosauri "esistenti" si possa sintetizzare un farmaco in grado di salvare le coronarie a centinaia di migliaia di potenziali infartuati. Una scoperta sensazionale, che per essere tradotta nella pratica necessita, per l'appunto, del sangue estratto dalle suddette specie. Per ottenerlo, l'emissario dell'azienda (Friend) incarica una quotata mercenaria (Johansson) di raggiungere, insieme a un manipolo di stretti collaboratori tra cui egli stesso, la ristretta zona equatoriale dove ormai i dinosauri sono confinati.

La prima vittima che dovrà “donare” il sangue (estratto tramite siringone da sparargli nella pelle) sarà il mosasauro, il gigantesco mostro acquatico che già aveva impressionato tutti nel primo JURASSIC WORLD. Qui nuota nell'oceano, il suo ambiente, e l'attacco (preceduto da un altro alla barca a vela di una famigliola in vacanza composta da padre, due figlie e fidanzato della maggiore) ne svela le enormi dimensioni e la potenza distruttrice. Siamo al primo "livello" dei tre previsti, quello del mare, al quale seguiranno quello sulla terra (pertanto nella giungla alla ricerca dei mastodontici titanosauri) e quello - più breve - dell'aria, a fronteggiare una sorta di pterodattili dal becco sovradimensionato.

Gli scenari naturali favolosi ci portano in un mondo sempre più orientato al fantastico, nel quale i protagonisti si muovono come formiche a costante rischio. Tra la discesa da una rupe con un dislivello impressionante e il momento di "comunione" con gli enormi erbivori colti in teneri atteggiamenti da osservare dal basso con riprese che ne esaltano la grandiosità, poco conta seguire le dinamiche interne ai due gruppi salvatisi dalle acque: da una parte la famiglia affondata dal mosasauro, dall'altra gli sparuti componenti della spedizione “caccia al sangue”, in cui la mercenaria Zora Bennett fa comunella con l'immancabile scienziato ingenuone (Bailey).

Qualche concessione al cinema per famiglie (il dinosaurino "allevato" dalla bambina che lo tiene con sé nemmeno fosse un peluche) non danneggia troppo una sceneggiatura ben calibrata, senza guizzi ma sufficientemente intrigante, con la Johansson convincente eroina di turno. Il film insomma fa quel che deve e lo fa sfruttando intelligentemente i propri punti di forza, riuscendo nell'impresa di generare una tensione in più punti tiratissima, da autentico thriller, e tenendosi per il finale uno spaventoso dinosauro mutante che pare incrociato col mostro di ALIEN e che vediamo per la prima volta bene quando si palesa alle spalle di un elicottero di passaggio (occhio...).

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Omaggio, rielaborazione, metacinema? Solo parole. Barriere da abbattere. Cattet e Forzani centrifugano tutto senza preoccuparsi di seguire una logica o una linearità che sovrintenda a quello che sembra dipanarsi quasi come un flusso di coscienza; è invece trasmissione di sensazioni, emozioni, colori, collegamenti mentali che uniti rimandano al cinema italiano (e minoritariamente europeo) dei gloriosi Anni Sessanta, in cui spadroneggiavano gli 007 in economia, le indagini tra giallo e noir sempre all'insegna di una professionalità impensabile, considerati i mezzi allora...Leggi tutto a disposizione.

E così, mentre nel mondo il cinema americano mieteva successi commerciali non avvicinabili, cinefili e critici fanatici si accorgevano che era l'Italia, il paese in cui si sotterravano tesori da scoprire e amare. Film che estremizzavano le tendenze più in voga (lo splatter, il sesso, la violenza, l'azione) cesellandole con la professionalità di maestranze straordinarie, accompagnandole con colonne sonore di raffinatezza inimitabile, cromatismi intriganti di direttori della fotografia di grande talento, scenografie ricchissime... Film di cui innamorarsi e che nel corso degli anni in tanti hanno celebrato.

Cattet e Forzani non esordiscono qui e già il loro percorso in questa direzione l'avevano intrapreso; in REFLET DANS UN DIAMANT MORT lo portano a compimento, confondendo chi guarda con una storia che si presta a surfare sulle onde del diversamente interpretabile, fornendo alcuni punti fermi da cui partire per poi travolgerci con un attacco frontale portato da immagini virtuosisticamente composte e fantasiosamente montate. Il lavoro certosino che conduce gli autori a studiare quasi ogni fotogramma alla ricerca di soluzioni visive d'impatto, che arrivino a mescolare l'immaginario di allora in un elettrizzante bombardamento di suggestioni, a tratti lascia di stucco.

L'estetica è di qualità sopraffina, l'avvicinamento a stilemi precisi viene realizzato con evidente padronanza della macchina da presa attraverso l'appropriazione di un intero universo cinematografico fin dalla scelta come protagonista di Fabio Testi, il quale, per quanto sostituito nella sua controparte giovanile da Yannick Renier, resta un'icona di quegli anni indimenticabili. Lo troviamo in un lussuoso albergo della Costa Azzurra a osservare le morbide curve di una ragazza che siede in spiaggia poco più avanti di lui e che poi scompare. E' la scintilla che, innescando un incessante bombardamento di flashback agganciati con gusto al presente, fa esplodere l'azione.

John Diman/Testi ricorda di quando era un agente segreto, di quando cacciava la malvagia Serpentik (la Satanik di Vivarelli è citata apertamente nel look) e si lanciava in avventure travolgenti, uccideva e fuggiva, cambiava maschera tuffandosi nel pericolo. Tutto vero? Siamo sicuri? Lo scopriremo; ciò che conta è la debordante messa in scena, che saccheggia musiche splendide dei nostri maestri di allora (Morricone ma non solo) lasciando che Testi e Renier parlino in italiano (Renier in modo buffo con accento straniero, il che stona un po' con l'origine italiana del personaggio) in un'alternanza che però vede il francese come lingua ampiamente più utilizzata (il film è in gran parte sottotitolato).

Rispetto al passato l'operazione recupero è attuata con maggiore consapevolezza, associata a un desiderio evidente di rompere quanto più possibile gli schemi anche a costo di apparire pedanti e ripetitivi. Se si accetta di entrarci (e non è da tutti), il gioco vale la candela, perché sono ottanta minuti di mirabilie e incroci funambolici tra suoni (studiatissimi) e immagini che nell'ultima parte svelano il trucco costringendoci a riconsiderare l'intera storia sotto un'ottica diversa. E' qui che il metacinema impazza e la fusione con fumetti, musica, fotoromanzo eleva ulteriormente il livello della sfida.

Non un film tradizionalmente inteso, più un'immersione in apnea (pochi i dialoghi) colpiti da frammenti scomposti di un passato restituito attraverso un linguaggio riconoscibile e seducente. Stilettate di violenza, graffi e maschere strappate, pelle lacerata, primissimi piani sugli occhi, zoom, lame abbaglianti, illusioni ottiche per un cumulo di suggestioni scandite da un montaggio che si fa protagonista assoluto, placandosi di rado quando Testi, elegante in bianco, con cappello, ci riporta negli stacchi a un presente proporzionalmente rallentato. Esercizio di stile, sterile e faticoso coagulo di input Sixties sparati in sequenza? Tutto vero, ma rispetto ad AMER, per esempio, il passo in avanti - quanto a gusto, fantasia, ricerca, tentativo di abbozzare una trama - si nota.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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