Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Decoroso spy ispano-italo-tedesco (ci mettiamo le belle Blank e Neri - pare un calembour - e Battaglia in ruolo calcato). L’idea del gemello risale a Menandro, per cui non entusiasma. Fuchsberger è corretto nel ruolo del sosia dell’assistente di un fisico di genio, cercato da bande interessate a una scoperta rivoluzionaria nel campo dell’energia. Dato che il ruolo del protagonista non è quello di un agente segreto, ci vengono risparmiati alcuni eccessi. Non mancano alcune scene spettacolari, come quelle dell’elicottero, il cui pilota si rivela però come il pilota più tonto d’Europa.
Nata da una costola di John Wick, Ballerina fa tutto quello che ci si aspetta da una Nikita di ultima generazione cinematografica, ossia mena, accoltella, spiattella, spara, lanciafiammizza centinaia di avversari senza riportare serie conseguenze. Brillante come agente segreta sbarazzina, Ana de Armas non lo è come killer micidiale tormentata dalla voglia di vendicare la morte del padre e il film scorre sui binari oliati della routine per acquistare un po' di interesse solo nella parte finale grazie a qualche ambientazione suggestiva. Chi adora la saga apprezzerà, gli altri meno.
Tipica fantascienza a sfondo filosofico del periodo, ma innervata da una trama davvero sorprendente e da un finale che non può lasciare indifferenti. Charlton Heston è qui in una delle sue migliori interpretazioni, così come il vecchio saggio Edward G. Robinson, ma quella che rimane impressa è l'ambientazione in un futuro purtroppo credibile, dato il modello di sviluppo che domina il mondo.
Capitolo poco amato, sicuramente sfilacciato nel suo ondeggiare tra dark e pop ma che riesce a scovare nelle location il correlativo oggettivo degli stati d’animo dei personaggi. Manicomi, torri, tavole imbandite, piscine, una parata di iconografie in cui Hopkins crea una bella mappatura demoniaca. Eterea e audace la Wilcox; un po’ sottotono, per quanto onnipresente, Englund.
Miss Marple, arguta e maniacale, era stata immaginata dalla grande giallista Agatha Christie proprio come la Margareth Rutheford che la interpreta in questo film. Non ci si devovo attendere grandi svolazzi di regia, ma l'interpretazione è corretta e il meccanismo giallo perfetto, soprattutto per confondere le idee e far vivere la scoperta dell'assassino come una liberazione.
In "Between us" Redaelli sonda l'animo oscuro giovanile in una fredda Milano, tra apparizioni baviane di marcescenti morte viventi femminili e omaggi ai primi vagiti scorsesiani, con tocchi d'autore, richiami alla cronaca nera e alla bravura dei due protagonisti. Cristopharo in "Chromophobia" lavora di sottrazione e torna alla storia di spettri, tra squarci ultragore fulciani (il suicidio nella vasca da bagno), tributi baviani (la goccia d'acqua), latente follia sensoriale e una chiusa macabro/surreale via telefonica. Peccato che lo script (dei due episodi) ne banalizzi gli intenti.
La prima montagna da scalare era sostituire un attore talmente fenomenale, nel suo ruolo, da diventare l'icona di un intero genere. Leslie Nielsen nella PALLOTTOLA SPUNTATA è l'equivalente di De Niro in TAXI DRIVER o, per rimanere nello stesso ambito, Peter Sellers nella PANTERA ROSA. Incarnò meglio di chiunque altro un nuovo modo di intendere la comicità che a tentare di confrontarti ci...Leggi tutto puoi solo perdere. Liam Neeson (curiosamente ha le stesse iniziali) poteva essere la scelta giusta, per quanto a livello di espressività nel campo non possa rivaleggiare: un attore (eccellente) del cinema drammatico e d'azione da reinventare per l'occasione in funzione comica.
Vedere Neeson alle prese col demenziale una sua efficacia ce l'ha; ciò che invece non è purtroppo allo stesso livello è il lavoro sul copione e dietro la macchina da presa, perché UNA PALLOTTOLA SPUNTATA, Nielsen a parte, era prima di tutto il parto di un trio dallo straordinario senso dell'umorismo: Zucker-Abrahams-Zucker avevano già fatto sbellicare l'America nel RIDERE PER RIDERE di Landis passando poi a dirigere in prima persona con L'AEREO PIU' PAZZO DEL MONDO, in cui Nielsen aveva in fondo solo una piccola parte. E per quanto pure loro in tre, Gregor, Mand e Schaffer (anche regista) faticano non poco a reggere il confronto. Per provarci recuperano subito alcune caratteristiche della formula originale: la voce di Drebin fuori campo in funzione di narratore posato e serioso in netto contrasto con ciò che si vede in scena, la femme fatale che fa sognare un po' tutti (Anderson, che ha un'unica, per quanto prolungata, gag in cui eccelle ed è quella in cui si esibisce in un folle canto "jazz"), i giochi di parole insistiti, le trovate buffe sullo sfondo spesso rilevabili solo in seconda lettura, i titoli di coda con il fermo immagine in cui a sorpresa qualcuno si muove...
Il tentativo di replicare la formula vincente con un remake (da intendersi come sequel solo perché perché Frank Drebin jr. è il figlio di cotanto padre) si pone come obiettivo di mantenere una serie di elementi riconoscibili che possano solleticare la memoria degli appassionati. In questo senso l'operazione funziona, anche se poi, mancando Nielsen, l'impressione è un po' quella delle tante imitazioni che già all'epoca cavalcavano l'onda ricalcando lo stesso tipo di formula. Le maggiori risate arrivano però dall'ennesima riproposizione delle "ombre" che da lontano suggeriscono ardite posizioni sessuali (Austin Powers ci ha costruito sopra i suoi momenti più riusciti). Le buone trovate, anche in linea con lo spirito della fortunata saga, non mancano (si pensi alla gru che solleva il rottame dell'auto incidentata allo stesso modo), ma intanto si capisce come tradurre i tantissimi giochi di parole presenti in lingua originale porti a risultati talvolta imbarazzanti per inefficacia quando va bene o totalmente fuori luogo quando va male.
A difettare poi è il numero delle gag, che nel modello erano sparate spesso talmente a getto continuo da generare sequenze irresistibili. Qui vengono disseminate con parsimonia o diluite in modo eccessivo (si pensi alla parentesi sentimentale, cui si aggiunge il pupazzo di neve animato), con un Neeson a volte spaesato o comunque lontano dalla resa impeccabile del suo formidabile predecessore. L'impressione è che l'impatto di ogni punto di forza della PALLOTTOLA primigenia sia stato dimezzato: inevitabile che pure il risultato non possa ambire alle vette dell'originale e neanche - minimamente - a quelle degli altri episodi della saga ufficiale, sovente sottovalutati. Lo spirito è conservato (per quanto limitatamente), l'efficacia complessiva purtroppo no, ma fa comunque piacere ritrovare al cinema un modo diverso e “coraggioso” di far ridere il prossimo, che non si preoccupa di apparire anche un po' puerile, sciocco, desueto. Interpreti promossi: Neeson il phisique du rôle ce l'ha, Danny Huston è un antagonista in linea con quelli di allora, Pamela Anderson sa prendersi in giro quanto basta.
Nuova ripresa della "Morte di Belle" di Simenon a molti anni di distanza dal film di Molinaro, che in bianco e nero aveva per primo trasposto lo strano caso in cui si dibatte ora Pierre (Canet), professore di matematica trovatosi ad essere l'unico testimone della morte di Belle, un'attraente ragazza ospite nella loro casa. Era la figlia di Aurélie (Nyrls), cara amica di Cléa (Gansbourg), la moglie di Pierre, e abitava da tempo con la coppia, vivendo però molto per conto suo e lontana...Leggi tutto soprattutto da Pierre, del quale tuttavia conservava nel telefonino un gran numero di fotografie: è una persona ambigua - scriveva la ragazza - indecifrabile, e aveva ragione. Pierre è introverso, si chiude nel suo stanzino (dal quale tuttavia spia la dirimpettaia che si spoglia) a correggere i compiti dei suoi alunni, ad ascoltare musica, a leggere libri di matematica.
Quella maledetta sera di pioggia Belle ha intravisto Pierre attraverso la finestra, poi è entrata in casa senza nemmeno parlargli. O almeno questo è quello che dice lui, fin da subito coinvolto in ogni interrogatorio dal momento che a quanto pare a quell'ora, in casa, era solo (Cléa era fuori da amici). E' andato a letto, si è risvegliato e gli ci è voluto un bel pezzo, prima di scoprire che Belle era stata strangolata (nuda) nella stanza in cui dormiva. Cléa è sconvolta (e non sa come dirlo ad Aurélie), lui molto meno: impassibile, quasi disinteressato a quanto accaduto, si accontenta di ripetere che lui non c'entra nulla, che con Belle non esisteva alcun rapporto e che i due, di fatto, quando si incrociavano in casa si ignoravano. Ma allora perché lei sembrava ossessionata da lui (e per nulla da Cléa)?
"Chi ha ucciso Bella Shermann?", si domandava fin dal titolo il vecchio film mantenendo per la giovane vittima il cognome originario del romanzo di Simenon, qui modificato in Steiner. Ma le indagini non proseguivano tradizionalmente e lo stesso accade qui, perché non si pensi di aver a che fare con un giallo classicamente inteso: indizi pochi e mai risolutivi, con Pierre che risponde alle domande cortesemente poste dal detective e dalla giudice limitando le parole, a volte spiaccicando monosillabi, magari solo un sì, un no... Snervante, perché oltretutto lo sguardo è perso nel vuoto e le risposte sono indolenti, di chi nemmeno pare capire perché ci si debba accanire su di lui.
Il film è il lungo viaggio nella mente turbata del vero protagonista, con sua moglie che lo asseconda e che, per cercare svago, si getta tra le braccia di un suo ex incontrato per caso in stazione. Lo studio sul modo con cui Pierre si interfaccia con i suoi interlocutori diventa il vero fulcro del film, soprattutto perché il personaggio si nasconde dietro un alone di ambiguità dichiarata che resterà a lungo, prodromo di un finale che lascia spazio a più di un'interpretazione e che potrà deluderà molti. Eppure lo studio psicologico di una situazione anomala gestita da figure che lo sono pure di più permette di assaporare un film diverso dalla norma, che parte da un testimone non-oculare dai tratti indubbiamente originali. Guillaume Canet lo interpreta bene, ricamando sulle sfumature per dare vita a un'autentica sfinge, affrontata di volta in volta da chi cerca di capire quanto sappia in realtà di un omicidio tanto oscuro. Meno incisiva la vicenda dell'adozione, un progetto di Pierre e Cléa destinato per forza di cose ad essere rimandato.
Bizzarro progetto nato come una sorta di speciale da inserirsi nel “Saturday Night Live” ma poi cancellato per "contenuti inappropriati” dalla NBC, è stato successivamente gonfiato in 35mmm, proiettato nei cinema (ben pochi) e infine pubblicato in una edizione homevideo negli Ottanta. E' una strampalata parodia dei nostri mondo movies, introdotta da una serie di scenette completamente slegate, montate un po' come il “Blob” di ghezziana memoria e seguite dal trailer di LOOSE SHOES, altro film...Leggi tutto in qualche modo associabile al “Saturday Night Live”.
Si riprendono fin dalle musiche e la grafica dei titoli quel genere di piccole produzioni che, nate all'ombra del grande successo di MONDO CANE o ADDIO ZIO TOM, erano impostate seguendo una formula ben precisa: immagini “scioccanti” dal mondo (Africa in primis, ma non solo) e una voce narrante che cinicamente introduceva lo spettacolo di curiose usanze (spesso macabre) riprese con un gusto che sconfinava talvolta nel sadismo attirandosi le ire dei benpensanti (più di oggi che di allora, a dire il vero). In questo caso si tratta di sketch brevi o brevissimi, particolarità che avvicina il film anche al genere in voga in quegli anni in America nel quale si trovava un tema comune (quasi sempre legato a cinema e televisione) lavorandoci sopra con finti trailer, parodie di trasmissioni televisive e così via. RIDERE PER RIDERE ne resta ancor oggi il rappresentante più celebre, ma rappresentava solo la punta dell'iceberg. MR. MIKE'S MONDO VIDEO vi si avvicina prendendo però di mira i “mondo” e spiegando cosa fossero.
Impossibile passare in rassegna l'intero contenuto, ma si può intanto notare come ancora una volta si scorga lo zampino del “Saturday Night Live”: oltre a Gilda Radner, che compare tra le tante donne (Carrie Fisher, Teri Garr, Debbie Harry, Margot Kidder...) lasciate libere di dire ciò che vogliono in interviste flash di pochissimi secondi, troviamo ad esempio Dan Aykroyd, protagonista di due tra gli sketch più lunghi: uno, piuttosto simpatico, in cui si improvvisa santone alla reverendo Jones proponendo la venerazione del Dio Jack Lords e del mezzo televisivo, e un altro in cui, nella parte di se stesso, si dice vittima di una mutazione che gli ha unito alcune dita dei piedi tra loro. Per dimostrare quanto non sia un trucco cinematografico... tenta di passarvi in mezzo un cacciavite!
Molto più di passaggio Bill Murray (che già si era visto all'inizio nel trailer di LOOSE SHOES, film nel quale aveva invece un suo sketch di sette minuti): si limita, nella parte di un mezzo barbone, a rispondere (a modo suo, quindi divertente) a una delle tante domande demenziali rivolte a chi passa in strada: è giusto permettere ai sordomuti di muovere le mani per parlare, mentre sono al volante, in modo da poter discorrere come chiunque con chi siede loro accanto? Le idee buffe non mancano (notevoli anche gli “indigeni” che si divertono con gli oggetti idioti spediti loro da un aereo del mondo “civile”) e colpisce incrociare alcune trovate che sarebbero oggi “ad alto rischio censura”, come l'uomo che getta ripetutamente gatti in piscina per vederli nuotare (con uno struggente sottofondo musicale davvero degno dei “mondo” di un tempo).
Curioso Sid Vicious che canta “My Way” senza audio causa rifiuto della compagnia di Paul Anka (autore del pezzo) di concedere i diritti della canzone per la versione homevideo (“Non è una questione di soldi, si sono proprio rifiutati di discuterne!”, spiega una didascalia) e riuscita la scena al ristorante di Parigi durante la quale un gruppo di turisti americani viene offeso e schifato con grande signorilità. Qualche parentesi musicale di troppo (anche se rivedere il compianto Klaus Nomi in tenuta aliena sul palco mette i brividi), scenette poco significative tirate per le lunghe (le donne dell'esercito che sparano proiettili dal seno, un'animazione a passo uno che lascia il tempo che trova), ma nel complesso uno di quei film che si lasciano facilmente vedere per la brevità degli episodi e che restano comunque testimonianze di un modo di fare “cinema” (a basso budget) ancorato a un'epoca ben precisa. Il Mr. Mike del titolo, che funge da narratore destinato a una fine che anticipa gli avventurosi reporter di CANNIBAL HOLOCAUST, è Michael O'Donoghue, ideatore e regista del film.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA