Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Da che parte sta la giustizia? Chi può fermare gli speculatori edilizi che si sono macchiati di tanti delitti e che godono di una totale impunità? Un film che ha segnato un'epoca e che di fatto ha inventato un genere, con grandi interpretazioni (Balsam poliziotto deluso è bravissimo) e molti caratteristi al loro posto (Pazzafini boia delle carceri, Catenacci speculatore senza scrupoli). Forte, coinvolgente.
Più che una clessidra, un caleidoscopio in cui lo spazio-tempo si frantuma liberando un rigoglio visivo che tracima forme, corpi, indizi in un continuum irrisolvibile di istanze autobiografiche e nazionali, riferimenti alchemici dispersi tra scenografie fatiscenti, masse brulicanti, nature morte e cose. Tenere il bandolo della matassa è impresa ardua: tolto l'incipit dalle suggestioni baviane, la fantasmagoria è troppo ombelicale, il delirio episodico e il coinvolgimento un’eventualità, a discapito di una impressionante profondità di campo che vorrebbe fagocitare lo spettatore.
Scimmiottando le operazioni nostalgia d'oltreoceano che vanno da American graffiti a Happy days, Vanzina crea un'analoga macchina da incasso, adattandola ai nostri anni felici. La pozione magica è la solita di sempre, amorazzi e canzonette, però ambientata nel passato per agganciare il pubblico brizzolato. Per loro si ha pure l'accortezza di ammorbidire il linguaggio rispetto allo standard vanziniano. Film ameno e furbino che accumuna il disimpegno dei '60 a quello degli ’80. Qualcuno recita bene, altri proprio no; ma qui non è importante: c’è solo da rilassarsi e canticchiare.
Un film molto particolare, che ti entra lentamente nella pelle grazie a una sceneggiatura che ingarbuglia molto le dinamiche spazio temporali ma che alla fine ne esce fuori egregiamente. Non sorprende quindi che dietro alla produzione ci sia quel visionario di Shyamalan, il quale evidentemente aveva visto nel soggetto delle potenzialità. Se si ha la pazienza di arrivare sino alla fine, il film può regalare belle emozioni. L'unica pecca è il ritmo molto lento e compassato, mentre il resto funziona bene. La location è perfetta e aiuta a trasmettere il senso di straniamento.
Un attore mediocre viene ingaggiato per prendere il posto di uno scialbo bancario sospettato di lucrare sul deposito di stupefacenti diamanti da lui controllati; e sarà alla fine la migliore interpretazione della sua vita. Spy story chiazzata di elementi thriller, vede come atletico, duplice protagonista Richard Harrison, qui specializzato nel prendere cazzotti in piena faccia, mai privo di un certo humor disincantato. Nel finale dal giallo si passa al rosa…
Whannell ha ampiamente dimostrato in precedenza di avere un discreto talento per la macchina da presa; qui si riconferma, pur trattando un tema, quello dell'invisibilità - che ciclicamente è uno di quelli che ritornano - in cui è difficile aggiungere qualcosa di nuovo. In questo caso la modalità dell'uomo invisibile è quella di stalker, ergo le dinamiche cambiano. Coadiuvato da un buon cast (la Moss sempre ad alti livelli), Whannell ci regala un buon film, con una fotografia elegante e una sceneggiatura dai twist finali inattesi. Qui c'è della stoffa e si vede benissimo.
Si prolunga l'avventura giurassica che, dismesso il Park, da tempo prosegue con la variante "World", finora convincente solo nel primo episodio. Il ritorno però in sella di David Koepp, tra i più noti sceneggiatori hollywoodiani e autore del copione vincente dello storico numero uno, sortisce buoni risultati. Anche se va detto che non sono i dialoghi o il disegno dei personaggi il punto di forza del film, a rivivificare la saga sono qualche innesto ironico non disprezzabile e una storia ben organizzata.
Poi si sa, in lavori di questo genere il grosso lo fanno...Leggi tutto gli effetti speciali e soprattutto la regia, che ha il compito di valorizzarli a dovere massimizzandone l'impatto. Qui Gareth Edwards, già autore del più interessante capitolo di Star Wars degli ultimi anni e abile manovratore di mostri sovradimensionati nel GODZILLA del 2014, azzecca alcune delle scene più spettacolari dell'intera storia "giurassica", compreso un assalto acquatico del T-rex da lasciare col fiato sospeso.
Tutto comincia con i grandi progetti di una multinazionale farmaceutica, che ha scoperto come dal sangue di tre dei più grandi dinosauri "esistenti" si possa sintetizzare un farmaco in grado di salvare le coronarie a centinaia di migliaia di potenziali infartuati. Una scoperta sensazionale, che per essere tradotta nella pratica necessita, per l'appunto, del sangue estratto dalle suddette specie. Per ottenerlo, l'emissario dell'azienda (Friend) incarica una quotata mercenaria (Johansson) di raggiungere, insieme a un manipolo di stretti collaboratori tra cui egli stesso, la ristretta zona equatoriale dove ormai i dinosauri sono confinati.
La prima vittima che dovrà “donare” il sangue (estratto tramite siringone da sparargli nella pelle) sarà il mosasauro, il gigantesco mostro acquatico che già aveva impressionato tutti nel primo JURASSIC WORLD. Qui nuota nell'oceano, il suo ambiente, e l'attacco (preceduto da un altro alla barca a vela di una famigliola in vacanza composta da padre, due figlie e fidanzato della maggiore) ne svela le enormi dimensioni e la potenza distruttrice. Siamo al primo "livello" dei tre previsti, quello del mare, al quale seguiranno quello sulla terra (pertanto nella giungla alla ricerca dei mastodontici titanosauri) e quello - più breve - dell'aria, a fronteggiare una sorta di pterodattili dal becco sovradimensionato.
Gli scenari naturali favolosi ci portano in un mondo sempre più orientato al fantastico, nel quale i protagonisti si muovono come formiche a costante rischio. Tra la discesa da una rupe con un dislivello impressionante e il momento di "comunione" con gli enormi erbivori colti in teneri atteggiamenti da osservare dal basso con riprese che ne esaltano la grandiosità, poco conta seguire le dinamiche interne ai due gruppi salvatisi dalle acque: da una parte la famiglia affondata dal mosasauro, dall'altra gli sparuti componenti della spedizione “caccia al sangue”, in cui la mercenaria Zora Bennett fa comunella con l'immancabile scienziato ingenuone (Bailey).
Qualche concessione al cinema per famiglie (il dinosaurino "allevato" dalla bambina che lo tiene con sé nemmeno fosse un peluche) non danneggia troppo una sceneggiatura ben calibrata, senza guizzi ma sufficientemente intrigante, con la Johansson convincente eroina di turno. Il film insomma fa quel che deve e lo fa sfruttando intelligentemente i propri punti di forza, riuscendo nell'impresa di generare una tensione in più punti tiratissima, da autentico thriller, e tenendosi per il finale uno spaventoso dinosauro mutante che pare incrociato col mostro di ALIEN e che vediamo per la prima volta bene quando si palesa alle spalle di un elicottero di passaggio (occhio...).
Omaggio, rielaborazione, metacinema? Solo parole. Barriere da abbattere. Cattet e Forzani centrifugano tutto senza preoccuparsi di seguire una logica o una linearità che sovrintenda a quello che sembra dipanarsi quasi come un flusso di coscienza; è invece trasmissione di sensazioni, emozioni, colori, collegamenti mentali che uniti rimandano al cinema italiano (e minoritariamente europeo) dei gloriosi Anni Sessanta, in cui spadroneggiavano gli 007 in economia, le indagini tra giallo e noir sempre all'insegna di una professionalità impensabile, considerati i mezzi allora...Leggi tutto a disposizione.
E così, mentre nel mondo il cinema americano mieteva successi commerciali non avvicinabili, cinefili e critici fanatici si accorgevano che era l'Italia, il paese in cui si sotterravano tesori da scoprire e amare. Film che estremizzavano le tendenze più in voga (lo splatter, il sesso, la violenza, l'azione) cesellandole con la professionalità di maestranze straordinarie, accompagnandole con colonne sonore di raffinatezza inimitabile, cromatismi intriganti di direttori della fotografia di grande talento, scenografie ricchissime... Film di cui innamorarsi e che nel corso degli anni in tanti hanno celebrato.
Cattet e Forzani non esordiscono qui e già il loro percorso in questa direzione l'avevano intrapreso; in REFLET DANS UN DIAMANT MORT lo portano a compimento, confondendo chi guarda con una storia che si presta a surfare sulle onde del diversamente interpretabile, fornendo alcuni punti fermi da cui partire per poi travolgerci con un attacco frontale portato da immagini virtuosisticamente composte e fantasiosamente montate. Il lavoro certosino che conduce gli autori a studiare quasi ogni fotogramma alla ricerca di soluzioni visive d'impatto, che arrivino a mescolare l'immaginario di allora in un elettrizzante bombardamento di suggestioni, a tratti lascia di stucco.
L'estetica è di qualità sopraffina, l'avvicinamento a stilemi precisi viene realizzato con evidente padronanza della macchina da presa attraverso l'appropriazione di un intero universo cinematografico fin dalla scelta come protagonista di Fabio Testi, il quale, per quanto sostituito nella sua controparte giovanile da Yannick Renier, resta un'icona di quegli anni indimenticabili. Lo troviamo in un lussuoso albergo della Costa Azzurra a osservare le morbide curve di una ragazza che siede in spiaggia poco più avanti di lui e che poi scompare. E' la scintilla che, innescando un incessante bombardamento di flashback agganciati con gusto al presente, fa esplodere l'azione.
John Diman/Testi ricorda di quando era un agente segreto, di quando cacciava la malvagia Serpentik (la Satanik di Vivarelli è citata apertamente nel look) e si lanciava in avventure travolgenti, uccideva e fuggiva, cambiava maschera tuffandosi nel pericolo. Tutto vero? Siamo sicuri? Lo scopriremo; ciò che conta è la debordante messa in scena, che saccheggia musiche splendide dei nostri maestri di allora (Morricone ma non solo) lasciando che Testi e Renier parlino in italiano (Renier in modo buffo con accento straniero, il che stona un po' con l'origine italiana del personaggio) in un'alternanza che però vede il francese come lingua ampiamente più utilizzata (il film è in gran parte sottotitolato).
Rispetto al passato l'operazione recupero è attuata con maggiore consapevolezza, associata a un desiderio evidente di rompere quanto più possibile gli schemi anche a costo di apparire pedanti e ripetitivi. Se si accetta di entrarci (e non è da tutti), il gioco vale la candela, perché sono ottanta minuti di mirabilie e incroci funambolici tra suoni (studiatissimi) e immagini che nell'ultima parte svelano il trucco costringendoci a riconsiderare l'intera storia sotto un'ottica diversa. E' qui che il metacinema impazza e la fusione con fumetti, musica, fotoromanzo eleva ulteriormente il livello della sfida.
Non un film tradizionalmente inteso, più un'immersione in apnea (pochi i dialoghi) colpiti da frammenti scomposti di un passato restituito attraverso un linguaggio riconoscibile e seducente. Stilettate di violenza, graffi e maschere strappate, pelle lacerata, primissimi piani sugli occhi, zoom, lame abbaglianti, illusioni ottiche per un cumulo di suggestioni scandite da un montaggio che si fa protagonista assoluto, placandosi di rado quando Testi, elegante in bianco, con cappello, ci riporta negli stacchi a un presente proporzionalmente rallentato. Esercizio di stile, sterile e faticoso coagulo di input Sixties sparati in sequenza? Tutto vero, ma rispetto ad AMER, per esempio, il passo in avanti - quanto a gusto, fantasia, ricerca, tentativo di abbozzare una trama - si nota.
"Diva Futura" fu, a cavallo degli Ottanta e dei Novanta, l'immagine del porno italiano, la casa madre di attrici diventate poi autentiche icone del genere (e non solo), lanciate da un uomo che credeva nell'amore libero e seppe costruirci intorno un piccolo impero, lontano dal cinema hard troppo meccanico e senz'anima che si prese tutto il mercato negli anni successivi. Giulia Louise Steigerwait, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Debora Attanasio, autrice del romanzo da cui il film è tratto e che fu importante segretaria e collaboratrice di Schicchi, cerca...Leggi tutto di dare di quest'ultimo un ritratto a tutto tondo, che possa restituirne l'anima paradossalmente candida attraverso i suoi rapporti con le tre donne che più ne hanno segnato il cammino: dai primi passi con Cicciolina (Kordic) all'esplosione del fenomeno Moana (Capezza) fino al rapporto intenso, unico, con Eva Henger (Litvan), che sposò.
Schicchi, rispetto a donne tanto ricordate, resta delicatamente alle spalle, presenza mai ingombrante in virtù di un carattere schivo e pacato, al quale l'interpretazione del bravo Pietro Castellitto regala soavità e tranquillità d'animo straordinarie. Difficile pensare che una persona così abbia potuto farsi strada in un ambiente tanto cinico come quello del porno, ma questo il film racconta, senza alcuna enfasi e forse in parte colpevolmente; perché la personalità forte delle tre dive - cui si aggiunge Debora (Ronchi), la narratrice, la donna che accompagna sempre Schicchi nel suo lavoro - non emerge con la prepotenza che simili personaggi avrebbero richiesto e il tutto viene ulteriormente annacquato da un inutile rimescolamento temporale di cui non si sentiva davvero alcuna necessità. Ci si sposta senza motivo dagli anni di Moana a quelli vissuti a fianco di Eva e poi ai mesi che precedono la morte del povero Schicchi (2013) per poi tornare indietro, riprendere fili interrotti minando ogni linearità.
Già l'incipit con il funerale al pitone non sembra proprio dei più azzeccati, ma poi, nel complesso, il mondo del cinema hard sembra restare troppo sullo sfondo, ai margini, al punto che i nudi sorprendentemente scarseggiano, quasi come se si cercasse una via semi documentaristica più vicina alla fiction televisiva che alla dimensione cinematografica. Nonostante qualche momento che spinge alla riflessione con frasi più ricercate e silenzi carichi di drammaticità, ogni sforzo autoriale sembra vanificato da una messa in scena deludente. La recitazione resta convincente negli sguardi apparentemente assenti del protagonista, presenza evanescente capace però di imporsi come personaggio atipico e interessante.
Peccato che l'eccesso di frammentarietà vanifichi ogni tentativo di inquadrare il film in una forma che possa conferirgli un'impostazione solida e in grado di coinvolgere. Nemmeno si comprende bene come funzionasse o che strategie avesse, "Diva Futura", entità "nascosta" nell'ombra di figure catalizzanti che mostrano quanto si punti di più a disegnare ritratti che a raccontare una storia. Lo sforzo migliore sembra quello prodotto per inserire le dive nei filmati d'epoca "taroccati" per l'occasione e, in questo, l'effetto è spesso ottimo, a dimostrazione di quanto il digitale offra ormai possibilità sconfinate.
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA