Avvocato rampante uccide un prete, il suo migliore amico, e tenta di addossare la colpa a un poveraccio. Ma... Singolarissimo finale di carriera per il vecchio De Santis (curiosamente accreditato come "direttore artistico"), con un film giocato su più registri, dal grottesco al giallo al cinema di denuncia, e costruito su un complesso meccanismo di flashback a incastro. Magari poco verosimile, ma certamente audace, non stupisce che sia praticamente scomparso. Attori ben in parte, Capolicchio di rara laidezza (e sì che... ). Da vedere.
Film interessante, racconta la storia di un giovane avvocato di umili origini, che sposa la bella figlia di un costruttore molto "introdotto" e sfrutta la posizione sociale del suocero per fare carriera, professionale e politica. La sua vita sarebbe perfetta, se non si mettesse in mezzo la morte del suo migliore amico sacerdote... L'intreccio tra denuncia del malcostume politico e sociale, morbosità coniugali e segreti familiari è sviluppato in modo originale, anche se alcuni passaggi risultano un po' forzati. Capolicchio è quasi apprezzabile.
Un avvocato (Lino Capolicchio), coniugato con donna benestante (Femi Benussi), non riesce a dare corso al rapporto intimo e per avere un figlio ricorre all'aiuto d'un prete. Ma quando quest'ultimo vuole abbandonare la veste, l'impotente lo uccide e tenta di invischiare, nel delitto, uno straccione innocente (Riccardo Cucciolla). Discreta prova (l'ultima purtroppo) di regia per Giuseppe De Santis che realizza un film decadente, tragico e dalle atmosfere talvolta deprimenti. Ottimo l'apporto dato da un cast convincente e calato nella parte.
Alcuni snodi che definire romanzeschi è usare un eufemismo comprimono il livello della trama e, di conseguenza, del film, che resta però interessante in molte sue componenti, a partire da ambientazioni azzeccate e dalla scelta dei Carmina Burana come accompagnamento musicale. I personaggi principali sono tutti un po' sopra le righe (ad eccezione di Hoffman, che è fin troppo composto), per cui la palma va alla splendida compostezza del grande Andrea Checchi. Medio, ma con un suo specifico perché: l'amore per i film italiani degli Anni Settanta.
I continui rimbalzi tra presente e passato allacciano spunti delle pregresse esperienze neorealiste di De Santis – le miserie proletarie di Cucciolla - alle nuove tendenze del cinema dei primi Settanta, incline sia al discorso politico-civile-giudiziario su esempio di Petri che a quello sessuale nelle sue componenti esibizionistiche (le rigogliose nudità della Benussi), patologiche (l’impotenza di Capolicchio) e religiose (i dubbi di Hoffmann): l’esito è torbido e disarmonico, ma non privo di ambizione e fascino. Nella scena del battesimo, apparizione lampo della polselliana Stefania Fassio.
Può una trama degna di un fotoromanzo assurgere al livello di atto d'accusa nei confronti della morale cattolica borghese? Sì, se sviluppata con estro talmente visionario e grottesco da sembrare ambientata ai tempi del Fascismo pur senza esserlo! L'ultimo film di un regista da cui non ti aspetteresti niente del genere. Ha ragione chi vi ha visto un parallelo con Petri. La vena allucinata della riuscita struttura a flashback è ben valorizzata dalla colonna sonora psichedelica di Maurizio Vandelli (all'epoca ancora nelle fila dell'Equipe 84).
MEMORABILE: Il prete Hoffman che si fa il segno della croce prima dell'amplesso.
Non mi è piaciuto per niente. Attori orrendi (salvo solo Cucciolla), in particolare Capolicchio qui è a livelli di rara incapacità, trama banale e dialoghi da far accapponare la pelle (la seduta comunale quando discutono degli alberi sembra un litigio da osteria...).
MEMORABILE: Nonostante il film non mi sia piaciuto, Cucciolla e il suo personaggio sono perfetti.
Scoprire di essere impotenti ed aver paura di perdere tutto, oltre la propria dignità, anche la posizione sociale acquisita con un matrimonio "alto" e cercare di far tutto per evitare che questo accada. Capolicchio, perfetto nel suo ruolo in grado di cogliere e trasmettere le sfaccettature del suo personaggio, in una trama romanzata in cui anche un prete viene descritto (antisegnanamente per i tempi) con le debolezze di un uomo. Il tessuto ideologico della pellicola è forte e inusuale per i tempi in cui è stato realizzato. Da vedere.
Necessaria premessa critico/estetica: è un film che mi sta tremendamente simpatico, intanto per i suoi difetti. C'è della irrefrenabile empatica naïveté in questo caparbiamente maldestro tentativo di amalgamare il grottesco cinema "civile" di Petri, l'amara commedia drammatica di Scola (direi di Age/Scarpelli) e il satireggiante filone erotico borghese. E che De Santis si renda come invisibile dietro questa operazione dà atto forse della sua crisi artistica, ma pure della sua fresca grandezza. Capolicchio per una volta ineccepibile quanto Checchi e Garrani.
MEMORABILE: La parlata del grande Riccardo Cucciolla (e i silenzi di Luisa De Santis); Le grazie di Femi Benussi; I carmina burana; La sequenza del matrimonio.
Clima da cupio dissolvi, ritmato dalle musiche di Vandelli buone per un cannibal movie. Ma il film è partorito vecchio con abiti nuovi (che, fondamentalmente sono gli arredi profilmici e la pelle della Benussi, difficilmente credibile come verginella). Capolicchio recita malissimo (vedi quando offre sigaretta a Cucciolla), Hoffmann fa ridere come prete veneto, "puareto". La denuncia è gridata, goffa e retorica e la storia inutilmente complicata. Dov'è finita l'eleganza del regista di Riso amaro? Eppure l'atmosfera pareva esserci tutta.
MEMORABILE: Garrani spinge l'auto del genero in un burrone con le sue sole braccia.
A tratti meritorio, con punte ridicole e sconfinamenti nel furbesco kitsch. La storia, in fondo, risulta più tritamente boccaccesca che ferocemente maupassantiana: l'attacco ai valori borghesi (morali e civici) è, infatti, all'acqua di rose al pari delle frecciate contro l'ipocrisia ecclesiastica. Stracult la possessione della Benussi (perché nuda?) in parallelo con le isterie di Capolicchio e il Vandelli morriconeggiante. Positiva è solo la tenuta dell'insieme che, pur nei difetti, rivela padronanza del mezzo drammaturgico. Ridondante Orff.
Un uomo, disposto a tutto pur di esaltare le proprie ambizioni piccolo-borghesi, compie un viaggio parallelo con un amico fraterno che di professione fa il prete. Ma c'è di mezzo un delitto che scopre le carte di un gioco pericoloso. Grande Lino Capolicchio, uomo "trasversale" che mostra coraggio nel ricoprire senza timori ruoli scomodi. Finale amaro che più burlesco non si poteva. Un film da vedere e scoprire.
De Santis adatta la fede neorealista ai tempi, nel transito dal cinema di denuncia a quello engagé. Bravo a non chiudersi nell'ombrosità di Damiani o Petri, lascia sfogare la tragedia attraverso una farsa dagli accenni finanche comico-sexy (Cucciolla straordinario, la Benussi birichina, Garrani volitivo, al solito saporito Vingelli). Onesta ma non certo trionfale la prova di Capolicchio. Ardita e ben girata la scena clou dell'amplesso. Per il cineasta è l'ultimo film, nel '72 non avrebbe mai immaginato che la penuria di produttori potesse accompagnarlo fino alla morte, nel '97.
MEMORABILE: Gli spaghetti consumati da Nicola attorniato dai carabinieri; Il coito del prete con la donna narcotizzata.
L’ultimo controverso film di De Santis mescola giallo, melodramma, commedia nera e un pizzico di erotismo, e con una narrazione fitta di flashback e dialoghi pungenti denuncia gli eterni mali di una provincia italiana fondata sull’arrivismo, l’ipocrisia e il malaffare. Disomogeneo ma avvincente, esemplare nel disegno dei personaggi e ottimamente recitato (la Benussi, se diretta da registi di un certo calibro, poteva essere qualcosa in più di un’icona sexy). Belle musiche di Maurizio Vandelli ispirate ai Carmina Burana. All’epoca non fu capito, o forse fu capito fin troppo bene…
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MusicheZender • 11/04/12 07:38 Capo scrivano - 48275 interventi
Ok, però non cominciamo a postare copertina presenti su web o non finiamo più. Giusto una ogni tanto mi raccomando Lucius. Una cosa è la tua collezione, altra roba già esistente.
Il commento opprimente dei Carmine Burana è denso di invettive contro una Chiesa che ha smarrito la primitiva purezza ed è divenuta spettacolo di corruzione e vizio.
Le scene finali del film furono occultate dalla censura dell'epoca. ("quando il protagonista con la testa e il volto si accosta e striscia sul ventre di lei, appare in sovrimpressione la parola "FINE" a caratteri grandi in modo da coprire la scena; nell'inquadratura in cui il protagonista abbraccia lei nuda sul letto, compare il titolo del film, visto censura n.59.9777) in seguito alla bocciatura in prima istanza.. per alcune scene considerate audaci e offensive del buon costume. Nel mezzo del film innumerevoli altre mutilazioni.
Fonte: Giuseppe De Santis - La trasfigurazione della realtà di Marco Grossi.
La scena più censurata, tagliata anche nei passaggi televisivi è stata una sequenza su tutte: il prete sfilandosi il maglione nero come un capo sexy, si sostituisce, nel letto coniugale per ingravidare Femi Benussi, all'amico impotente (Capolicchio), che intanto vaga in riva al mare, in un tramonto rosso che di più non si può. E lacrime e musica a pieno volume (questa scena-chiave è stata sconciamente sforbiciata dalla Rai per poter trasmettere il film). E' presente nella versione integrale. Fonte: Giona A. Nazzaro in Cinema Nostrum di Giovanni Curtis.