Sono passati 40 anni dalla notte delle streghe di
Haddonfield, si fa spallucce e si ingorano i sequel (
Zombie è un'altro paio di maniche) e Gordon Green tributa mastro Carpenter ribaltandone la prospettiva (il lenzuolo da "fantasma formaggino" che da Michael ansimante passa ad una vittima-la baby sitter-, guardando distrattamente fuori dalla finestra della classe, durante la lezione, non si vede più Michael dall'altro lato delle strada, ma Laurie Strode, il boy friend della baby sitter impalato alla parete con il pugnale conficcato nella nuca e ripreso di spalle, non è più Loomis che scopre che sul prato il corpo di Michael è svanito, ma lo stesso Michael che, con sorpresa, si accorge che Lauire Strode, dopo la caduta dal tetto, non c'è più).
Regista tecnicamente ineccepibile (registicamente anche il tanto villipeso
L'esorcista-Il credente aveva i suoi numeri), vedi lo straordinario piano sequenza del "ritorno a casa" di Michael , tra ragazzini mascherati, zucche illuminate tra viali e vialetti, Gordon Green apre il film omaggiando il
cuculo (con splendide geometrie kubrickiane a scacchiera), continua idolatrando il cinema di Carpenter (
il pulmino con i "detenuti", la "
bottiniana" bocca divelta del commesso della stazione di servizio, un plauso per il make up prostetico di Cristopher Nelson) e non solo: il Romero della
Notte dei morti viventi (il deambulare dei dementi sulla strada notturna), gli inquietanti manichini in giardino di
Horror Puppet, l'agorafobia della Sigourney Weaver di
Copycat,
hai controllato i bambini nell'ansiogena sequenza della baby sitter con il ragazzino nella stanzetta, fino a quella chiusa sul cassone del pick-up così dannatamente
hooperiana.
Ma al netto delle citazioni (tutte apprezzabili e dirette a tutti gli horrofans) quel che rimane è un robusto slasher 2.0 con tutti i clichè e le regole che il (de)genere richiede, che si mangia in un sol boccone tutti i sequel della saga (compresi il
secondo e il
quarto che, per il sottoscritto, erano i più riusciti di un brandt che andava via via scemando nella ripetizione meccanica fine a se stessa, andando in vacca nel terribile
numero 6), con idee di script notevoli (l'altra faccia del nuovo dottor Loomis, l'incipit in manicomio, la casa antiuomo di Laurie Strode con manichini usati come tiro a segno), una pregevole fotografia notturna e il potentissimo (a ampliato) score di Carpenter padre e figlio.
Zoppica nel body count (l'inutile uccisione della casalinga-strizzatina d'occhio al
Signore della morte-e della ragazza alla finestra) , dove lo splatter è mantenuto a distanza (ma i denti estirpati gettati dentro il gabinetto occupato dalla giornalista fanno il loro disturbante effetto) occhieggiando al body horror "fantascientifico" del
Signore della notte (la testa del poliziotto infilata nella canna del fucile), fino al gran finalone a casa Strode dai sapori
craveniani femminei, dove le generazioni matrarcali (nonna, madre e figlia) danno filo da torcere a Michael tra fucilate, furenti lotte corpo a corpo, trappole , fuoco e fiamme (bellissima l'immagine di Michael, avvolto dalla fiamme nello scantinato, che guarda le sue "carnefici" con fare indifferente e gelido).
A parte l'invocata "lesa maestà" dei talebani di "non osate toccare quel classico", l'operazione "nostalgica" blumniano/greeniana può dirsi riuscita (con la benedizione dello stesso Carpenter come produttore esecutivo), che promette quello che mantiene, non si fa problemi a mostrare ragazzini uccisi e rinverdisce le atmosfere plumbee e fiabesco/ombrose della notte di ognissanti carpenteriana.