Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Il barone Frankenstein è alle prese con il noto esperimento, ma gli eventi costringeranno la figlia a portarlo a termine. La variazione sul tema è basata sul noto detto "tira più un pelo di... che un carro di buoi" e con Rosalba Neri (in stato di grazia) non può che essere così; al di là di una fotografia abbastanza piatta, gli aspetti positivi ci sono: il trucco del mostro è buono e sembra quasi una versione beta di Jason Voorhees, la violenza c'è a sprazzi, ma a risaltare sono le schegge improvvise di erotismo e le perversioni necrofile di lady Frankenstein. Da gustare uncut.
Con un soggetto così assurdo e trash si poteva dare di più in termini di risate, ma comunque il film è sostenuto da un Lino Banfi in gran forma, che trova una curiosa intesa con la Cassini e con i suoi strafalcioni linguistici (il suo "coglionello" non si dimentica). Grazie alla verve del protagonista si sorride spesso, mentre annoiano un po' i momenti in cui lui manca, anche perché c'è penuria di veri caratteristi (al di là di un Vitali in realtà poco utilizzato, se non per i soliti duetti a suon di schiaffoni). Migliore della media del genere, nell'insieme.
Emozionante biopic che Wahlberg ha voluto con tutto se stesso, lavorando sul suo fisico per oltre quattro anni. Girato a stretto contatto con i veri fratelli Ward, è molto di più di un film sulla boxe, è un family drama, una storia d'amore e soprattutto uno spietato documento su come il crack possa distruggere un uomo. Bale, al solito, è incredibile: i familiari, durante le riprese, spesso lo hanno scambiato per il vero Dicky. In questo ambito De Niro e Stallone sono due illustri precedenti, ma "The fighter" non sfigura affatto. C'è passione e professionalità.
Dramma né carne né pesce, nel senso che non annoia ma allo stesso tempo non coinvolge granché. Poca verve, pochi momenti clou o da rimarcare. Finale prevedibile ma che ha poco o nulla di logico. A tratti anche introspettivo. Durata di quasi due ore eccessiva. Juliette Binoche in un ruolo che le confà poco. Morgan Freeman superfluo. Mediocre la colonna sonora.
Un uomo d'affari torna su un tratto di costa australiana per ricomprare la casa dell'infanzia proprio di fronte a un mare perfetto per il surf, ma un gruppo di bulli con derive settarie e violente lo caccia perché non del luogo, Comincia così un braccio di ferro che vedrà un progressiva umiliazione del protagonista. Nonostante gli ampi spazi, una sorta di un irritante thriller "claustrofobico" con venature simboliche e anche moralistiche dallo sviluppo inverosimile che non riesce a coinvolgere, nonostante l'impegno di un Cage a suo agio che però nulla può contro la modestia del plot.
Lui è un antropofago timido ed è innamorato di una vegetariana: un amore impossibile? Delizioso cortometraggio che intinge l’horror in un’estetica pop-camp-fumettosa e in un immaginario da favola grottesca post-Delicatessen. Notevole il cromatismo che gioca con i colori narrativamente dominanti (rosso sangue e rosa carne vs arancione carota e verde vegetale), in costumi, oggetti e ambienti con cui l’animazione digitale può giocare, lanciando fantasia e bizzarria a briglia sciolte. Gustoso cameo di Deneuve angioletta scafata.
Diamo pur atto a Boyle di aver cercato di innovare la formula spostando l'azione più avanti delle solite insignificanti porzioni di tempo precedenti legate al numero 28. Rinchiude i suoi infetti (leggasi zombi, che tanto cambia poco o niente e a un certo punto c'è chi finisce con il chiamarli così pure nel film) sul suolo britannico e la colonia di non contaminati su di un'isola raggiungibile solo con la bassa marea attraverso un percorso rettilineo che, quando il livello dell'acqua sale, scompare.
Uomini di vedetta all'unico portone di accesso, cicliche...Leggi tutto spedizioni sulla Terraferma - popolata di infetti – alla caccia di cibo e altro. Il giovanissimo Spike (Williams) segue il padre in una di queste: sanno che se succede loro qualcosa nessuno verrà mai a recuperarli, ma è una sorta di iniziazione per chi già minorenne deve cominciare a capire in che mondo vive. Un'avventura tra boschi e campi dove qua e là spuntano gli orrendi esseri. Alcuni avanzano lentamente e li centri facile in testa o sul collo con le frecce (unica arma rimasta a disposizione di un popolo che sta lentamente regredendo verso la barbarie), altri corrono e strepitano e c'è poco da scherzare. Per non parlare degli Alpha, i più evoluti (un discreto grado di intelligenza), ovviamente i più pericolosi.
In casa la madre Isla (Comer) sta male, ma non esistendo alcuni medico sull'isola nessuno sa di cosa soffra e suo marito Jamie (Taylor-Johnson), alla festa del paese, se la spassa con un'altra mentre Spike lo spia di lontano. Al piccolo è sufficiente questo per capire che deve pendere sua madre e partire con lei di soppiatto verso la Terraferma alla ricerca del dr. Kelson (Fiennes), uno strano tizio che si dice viva non troppo distante e che, da ex medico di base, potrebbe forse guarire la donna. E qui l'avventura si fa più complessa: mamma non è certo brillante come papà e le insidie si moltilplicano.
Immerso nella natura, nel verde delle coste scozzesi, il sequel firmato Boyle (che torna dopo il numero uno, e sempre con Alex Garland allo script) lavora molto sul make-up degli infetti (nudi, disgustosi, irritanti in quella specie di grugnito urlato, rossi come fuoco nelle riprese notturne) e sull'impatto splatter delle frecce sui loro corpi (con fermo immagine piuttosto inutile), ma poi si dedica al racconto della crescita psicologica del vero protagonista, Spike. Inizialmente timido, confuso, acquisisce pratica e confidenza con gli orrori che lo circondano. Il viaggio iniziatico in un mondo divorato dall'erba che si mangia i pochi resti di civiltà (treni avvolti dalle foglie, case ridotte a ruderi) riporta alla mente LA FUGA DI LOGAN (e non solo), ma qui la presenza degli infetti è un'insidia costante, per quanto lodevolmente Boyle eviti di lasciarsi andare a prevedibili jumpscares.
Gli orrori non mancano, la tecnica resta buona, ma i protagonisti – pur ben interpretati – sono poco interessanti (compreso Fiennes, protagonista della fase più debole e stanca, nonostante la bella idea di un rifugio “non convenzionalmente” allestito) e non elevano a dovere il film, già penalizzato da una parte centrale in cui non succede quasi nulla: il soldatino svedese con tanto di mitragliatore e telefonino si presenta da subito come figura anonima tratteggiata svogliatamente, seguendo cliché abusati. Si assiste pure a un lungo parto di un'infetta per far capire quanto nei sopravvissuti non possano mancare l'umanità né la scintilla amorevole perché... “memento amoris” (“Ricordati di amare”), come dice Kelson dopo aver fatto a Spike una testa così citando il più celebre "memento mori" (“Ricordati che devi morire”). Lezioni di vita che lasciano il tempo che trovano, così come tutta l'ultima parte, che precede una toreada finale piazzata lì come atto dovuto nei confronti di chi qualche bella lotta selvaggia in più se l'aspettava...
Pause che in una durata che sfiora due ore la senti, incipit con Teletubbies già troppo lungo. Poi certo, qualche scena che lascia il segno non manca (l'attacco dei Lentopasso), l'ambientazione è relativamente insolita, l'Alpha che osserva di lontano in campo lungo acquista tratti quasi poetici... Ma in mezzo troppe fasi di nulla, e quanto a inventiva splatter non ci si è certo sprecati.
Ancora qualcosa che turba l'ambiente familiare e che parte dal tradimento di lui. Di Kent (Wells), per la precisione, agente immobiliare il quale, durante una serata fuori per lavoro, si lascia troppo andare finendo a letto con una collega, a sua volta sposata e senza alcuna intenzione di dire nulla al marito. Tutti d'accordo, quindi: entrambi amano i rispettivi partner e non hanno alcun interesse a far sapere della scappatella. Ci pensa qualcun altro, però, che spedisce alla donna un sms proprio mentre quella sta faticosamente cercando di giustificare al marito Brad (Gibson) il...Leggi tutto fatto di non aver risposto alle sue chiamate la sera prima. Irritato, lui le prende di mano il telefonino e, leggendo di qualcuno che le fa i complimenti per la bella nottata insieme (???), la fissa negli occhi. Lei, sentendosi perduta, arretra di quel poco che le basta per precipitare rovinosamente giù dalle scale dell'appartamento, lasciandoci le penne.
Dall'altra parte Kent, che riceve un sms analogo, non ha difficoltà a proteggere la propria privacy: finge sia un messaggio di lavoro. Sua moglie Sarah (Cleveland), tuttavia, è scocciata: "Devi smetterla di trascurare la famiglia per il lavoro!". Lo ripete pure la loro figlia, Lucy (Blott), stanca di vedere i genitori litigare. La morte della collega è però intanto, per Kent, una mazzata; tanto più quando scopre che qualcuno sta diffondendo una foto con lui e la defunta in tenero atteggiamento, passandola pure alla moglie tradita. Lo squallido elemento è Miguel (Cardozo), rivale di Kent nella stessa azienda, che punta a soffiargli il posto e lo fa senza lesinare colpi bassi.
Intanto si rifà vivo Brad, che scoperto chi fosse l'uomo con cui la moglie lo tradiva, va a trovarne la consorte, Sarah, con l'idea evidente di realizzare in qualche modo una sorta di vendetta. O lo fa solo per provarci con la donna, nel frattempo separatasi da Kent? Incanalato nella risoluzione di questi dubbi prosegue il film, che può quindi spaziare in più ambiti per costruire una storia sufficientemente intrigante, che offre ai protagonisti ruoli piuttosto sfaccettati. La migliore sul campo è decisamente Sarah Cleveland nel ruolo di moglie e madre, indecisa se perdonare Kent o se aprire una nuova relazione con Brad (che ovviamente non sa essere il marito della defunta e occasionale amante di Kent).
Nel mezzo Lucy, che punterebbe solo a una riconciliazione tra mamma e papà e non fa che esternare la propria delusione nei loro confronti a ogni piè sospinto. Ma la recitazione, né sua né quella dei due uomini, è granché, per quanto entrambi questi ultimi sappiano apparire discretamente convincenti nella parte. Un appuntamento qui, una ricerca su internet lì (quella non manca mai, in casi simili) e in aggiunta la comparsa del detective della polizia (Catherwood), che pare un Bruce Willis in vacanza, con camicia stretta sul ventre non proprio piatto eppure brillante. Insomma, al di là di una regia non vivacissima, il film è scritto con professionalità e il suo dovere lo fa, garantendo quel minimo di intrattenimento che un film televisivo di questo genere richiede. Tensione scarsa, intreccio telefonato, ma non c'era certo l'ambizione di farne un giallo. Si può vedere.
Due occhi osservano, da dentro un'auto, una casa bruciare. A chi appartengono? Bisogna aspettare ventidue anni per saperlo, dal momento che quello era solo il prologo. E ventidue anni dopo siamo in casa con la Lucy di E.R. (Martin) e il Dylan di BEAUTIFUL (Neal). Qui si chiamano Nina e Stuart St. Clair e sono una coppia apparentemente più o meno felice, con due figli. Lui è medico e se la spassa un po' con le infermiere carine, lei lo sa ma crede nel...Leggi tutto suo ravvedimento. Soprattutto ha altro a cui pensare, in quel momento, perché dopo quindici anni di lontananza si rifà vivo suo fratello Drew (MacDonald), il quale fin da piccolo aveva manifestato chiara instabilità psicologica. Ora sembra cambiato, ma intanto, per risalire a dove abita sua sorella, ha appena preso per il collo l'addetta al noleggio delle auto, che è stata costretta a trovargli la pratica di Nina - venuta da Chicago a New York per salutare la nonna malata - e fornirgli l'esatto indirizzo di casa di lei.
Drew, partito così per Chicago, lì si è stabilito in un appartamento di fronte alla villa della sorella, da dove ha cominciato a spiarla. Prima di farsi vedere da lei ha però agganciato Stuart in un bar riferendogli di essere il fratello di sua moglie. "Mia moglie non ha fratelli", gli aveva replicato lui. Ma deve ricredersi e Drew sembra un tipo brillante, educato, capace di farsi benvolere. Spiega che Nina non ha mai parlato di lui per via del suo passato turbolento (14 mesi di carcere per averla difesa uccidendo il tizio che la stava molestando). Stuart decide di aiutare Drew e lo invita a casa, dove questi rivede Nina e conosce i due nipotini, della cui esistenza nulla sapeva. Nina è l'unica a non essere affatto tranquilla; e infatti, come prima cosa, ingaggia un detective privato (Pla) per far luce sul passato di Drew. Apparentemente tutto sembra in regola, ma quello potrebbe pure aver cambiato nome, nel frattempo...
Il film è impostato sul rapporto tra Nina, di specchiata onestà, e il suo misterioso fratello, che non capiamo quanto si sia davvero ravveduto: campa scommettendo sui cavalli e le partite di ogni sport, dice, si comporta bene, sfrutta il proprio fascino per sedurre chi gli capita a tiro (dalla domestica dei St. Clair alla collega di lavoro di Nina), e questo a sorpresa conduce a qualche scena di nudo, che comprenderà pure un "freddo" amplesso televisivo del medico con la sua assistente. Si tenta insomma di rompere il rigido schema dei film per la televisione e si lavora molto di regia: quella del canadese Philippe Gagnon è particolarmente vivace e i ritmi sono buoni.
La tensione che ogni thriller dovrebbe garantire latita per gran parte del tempo, ma almeno la recitazione è discreta e - pur lavorando sul suo stereotipatissimo Drew - Adam MacDonald si prende facilmente la scena anche quando inevitabilmente mette in luce il suo... lato oscuro. C'è buona varietà nella scelta dei diversi personaggi e la sceneggiatura li assiste decentemente. La storia è però troppo imperniata su un movente poco credibile, che si rivelerà l'unico vero mistero da svelare (a parte la ricostruzione dell'incendio iniziale, del quale ormai non interessava niente a nessuno). Per fortuna il film procede piuttosto sicuro e spedito verso il finale (sbrigativo) in attesa della immancabile, inutile scena pre-titoli di coda...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA