Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Bogdanovich decide di girare il seguito del suo capolavoro. Sono passati trent'anni dalle vicende narrate nel film del 1971 e alcuni dei protagonisti di allora si ritrovano invecchiati e delusi. C'è la stessa vena malinconica dell'originale ma il tono, tra il serio e il faceto, non giova al racconto. Bridges sorregge il film con i suoi sguardi e il passo stanco di chi ha fatto i soldi ma ha fallito nella vita privata, però alcuni personaggi di contorno sembrano macchiette scolorite, come ad esempio un Quaid sottoutilizzato. In ogni caso da consigliare solo a chi ha visto l'originale.
Storia vera dello scacchista bipolare maori e di ragazzi tolti dalla strada con il gioco. Uno stimolante mix di spunti narrativi e riflessivi: il disagio sociale e quello psichico, la competizione e il riscatto esistenziale, l’adolescenza e i suoi inciampi. Una storia di emarginazione e pregiudizio che ha la forza della grande e poderosa narrazione imperniata su un personaggio tanto esemplare quanto straordinario (grande prova di Curtis), senza però trascurare il contesto. Forse niente di originale, eppure piacevolmente convincente.
Sequel di The Equalizer che ne ricalca le dinamiche e la messa in scena. Dopo un inizio piuttosto piatto, il film nella seconda parte comincia a ingranare entrando nel vivo dell'azione con sequenze ben girate e una tensione crescente, garantita dalla buona regia di Fuqua e da un'ottima performance di Washinghton. I limiti sono ovviamente quelli imposti dal genere, ma nella miriade di mediocri revenge-movie sfornati negli ultimi anni, la saga di "The equalizer" è senz'altro tra le meglio confezionate.
Quando un biologo in possesso di documenti compromettenti per il governo muore in un incidente stradale, una sua collega decide di portare avanti la sua battaglia contro il traffico illegale di armi fra Francia e paesi africani... L'ultimo film diretto da Cayatte è forte nei contenuti di denuncia politica dai toni pessimisti ma purtroppo piuttosto debole nella rappresentazione: piatto nella messa in scena, troppo confuso in alcuni passaggi, didascalico in altri. Vitti si impegna ma appare spaesata, più centrato Jean Yanne nel ruolo del funzionario con lo stomaco foderato di pelo.
Dalla penna dei soliti Boileau-Narcejac un film curioso e misterioso, dal ritmo blando ma intereressante, succinto e ben fotografato in bianco e nero. La fattura è pregevole, per certi versi risulta moderno per i suoi tempi, sicuramente seminale in molti aspetti (John Woo ci ha forse preso ispirazione per i suoi cambi di faccia e le sue amate colombe, mentre l'inquietante maschera della sfigurata non può non far pensare a Vanilla sky). L'intuizione che fa sospettare il fidanzato (con relativo riconoscimento mediante collana) è abbastanza tirata per i capelli, ma glielo si perdona.
L’orfanello è conteso tra il ladruncolo che si finge zio e il vero parente ben più criminale. Piacevole film agrodolce che sfrutta molto bene il mix tra l’umorismo fantasioso di Totò e il filone commovente di Marcellino, in una storia che ribalta Oliver Twist per dimostrare (ancora una volta) che la famiglia vera non è quella di sangue ma quella degli affetti. Begli scorci romani accompagnano le peregrinazioni dei protagonisti, concedendosi qualche tocco quasi felliniano e un micro-omaggio (il vetro rotto) al Monello, inevitabile riferimento.
Jack Arnold mescola più generi per un ibrido che a volte pare riprendere lo stile della blacksploitation mescolandolo a un po' di giallo, molto noir, una buona dose di azione, musiche incalzanti e una storia che pesca dalla droga fino alle sette di invasati religiosi per mettere Fred Williamson in condizione di interpretare il detective Stone del titolo con piglio da Sidney Poitier.
L'elemento chiave, sembrerebbe dalle prime scene, è un bastone da passeggio originariamente di proprietà di un vecchio divo del muto appena defunto. Avrebbe dovuto essere seppellito...Leggi tutto con lui, ma glielo sottrae invece una prostituta di cui l'uomo era cliente. Mal gliene incoglie, perché presto un tizio biondo la raggiunge in stanza e la uccide proprio per ottenere quel bastone. Sfortunato pure il ladro, però, perché proprio nello stesso stabile si aggira Shep Stone (Williamson), il quale frequenta lì Cynthia (Graves) ed entra nella stanza del delitto proprio mentre il biondo è ancora dentro. Colluttazione lunga e inevitabile, con il killer che riesce a fuggire e Stone che, temporaneamente sospeso dal servizio (lavora in polizia) per aver avuto la mano troppo pesante con uno spacciatore (d'altronde di droga gli è morta la sorella), si imbarca presto in una nuova avventura: dovrà ritrovare la figlia di un uomo (Anderson) che lo paga profumatamente per farlo.
L'indagine lo condurrà a seguire più tracce e incontrare loschi personaggi, grazie ai quali si svilupperà la prevedibile trafila di inseguimenti e scazzottate che delineano abbastanza chiaramente la matrice del film. Williamson è sprezzante, sicuro di sé, nemmeno troppo dolce con la sua Cynthia (che peraltro lo tradisce con una donna), perfetto esempio di femme fatale da blackspoitation Anni Settanta: fisico prestante, abiti attillatissimi, zampa d'elefante, davanzale in mostra, acconciatura afro... Il perno intorno a cui è costruito il film resta comunque lui, con i suoi modi spicci accompagnati da dialoghi essenziali ma non tirati via, privo ancora degli iconici baffi con cui siamo abituati a riconoscerlo nella serie B di casa nostra.
Venice e la California fanno da sfondo con le spiagge e i bassi edifici, le strade a dossi sui quali le auto saltellano. Se però non si può dire che il risultato sia poi così male, è anche vero che la regia di Arnold è piuttosto piatta e non si nota mai un guizzo che possa rendere interessante qualche scena. Tutto sa di ordinario, di già visto, come se si andasse a memoria sbozzando figure stereotipate da muovere senza fantasia, facendo loro fare esattamente quello che ci si aspetta. Non si avverte mai un vago clima di mistero o di tensione. Si segue l'indagine agganciando i vari spunti, scoprendo cosa lega la prima vittima alla ragazza scomparsa, si incoccia in un colpo di scena piuttosto forzato che in ogni caso dice poco e si apprezza la serietà con cui Wlliamson affronta un ruolo diverso dal consueto, mantenendo più di una riserva sulla sua incisività recitativa. Non è Shaft, insomma.
Tradizionale compendio informativo sul mostro di Loch Ness, attrazione turistica scozzese “presente sulla scena” da tempo immemore. Si risale fino al 565 d.C. per le prime testimonianze (quella di San Colombano) per passare poi a interviste d'epoca: vecchi filmati in bianco e nero nei quali la gente del posto racconta dei loro (rari, ovvio) incontri ravvicinati con Nessie. L'impostazione del documentario non è sensazionalistica né volta a far credere che nel mucchio di voci che si sono avvicendate negli anni qualcuna debba per forza essere autentica.
Descritto...Leggi tutto in modi diversi per quanto riguarda il colore (la maggioranza tuttavia tende a parlare di un grigio simile a quello di un elefante, animale al quale lo assocerebbe anche la pelle grinzosa), il buon Nessie ha qualche problema quando si devono fornire prove fotografiche della sua esistenza. Assodato che l'immagine più nota (in cui si vede il collo di qualcosa di simile a un dinosauro emergere dall'acqua) si è purtroppo rivelata in anni relativamente recenti - per ammissione degli stessi autori - un clamoroso falso, non resta molto a cui guardare: la fotografia a colori di un'artista surrealista che dichiara quanto sarebbe stato stupido per lui creare un'immagine truccata (in essa il mostro è ben visibile, adagiato sulle rive del lago), il video in bianco e nero di un osservatore che filmò una grande sagoma muoversi a pelo d'acqua...
Eppure ancora oggi molti sono i tentativi di scandagliare il Loch Ness alla ricerca di qualche elemento che possa portare a concedere la fantascientifica eventualità della presenza di un essere primordiale nelle profonde (200 metri, con caverne) acque del lago. Corredato da qualche splendida ripresa tra le nebbie di un luogo in ogni caso dotato di grande suggestione, da interviste a specialisti di oggi che analizzano gli indizi a disposizione, il documentario brilla soprattutto nei filmati d'epoca, accompagnati dalle conclusioni di chi afferma con decisione di averlo visto, il mostro. Chi addirittura fino a cinque volte, in tanti anni.
Dopo l'invenzione di sempre più sofisticati strumenti per l'ecoscandaglio, tuttavia, non è facile spiegare perché la scienza non abbia ma trovato nulla di neanche lontanamente avvicinabile a ciò che normalmente si identifica con Nessie. Si dà comunque testimonianza dei viaggi organizzati in loco su imbarcazioni a bordo delle quali sono montati sonar e ogni tipo di rilevatori per dare l'impressione a chi vi sale che possa davvero essere possibile incrociare il mostro.
Quarantaquattro minuti, ad ogni modo, sono pochi per dare una panoramica completa relativa a uno dei fenomeni più bizzarri legati all'esistenza di creature misteriose. Ci si sofferma infatti qui su aspetti ormai noti della caccia al mostro piuttosto che inventare un modo nuovo di approcciare il fenomeno. Solo per affezionati...
Definirlo un film per famiglie vorrebbe dire dover prima verificare lo stato mentale delle suddette, perché produzioni del genere - rigorosamente giapponesi - contengono un tasso di innocente demenzialità talmente alto che li fanno piuttosto avvicinare a qualche favola pazza per bambini, qualcosa che non è facile nemmeno concepire, da queste parti. Già il fatto che il protagonista sia un granchio fa capire molto. Ingigantitosi a dismisura (diciamo a dimensioni umane, visto che nel pesantissimo costume deve infilarcisi un uomo) a causa delle solite mutazioni imputabili...Leggi tutto a poco precisati disastri avvenuti sulla crosta terreste, questo strano essere dalla pancia bianca e la crosta rossa, dotato di grosse chele ma perfettamente in grado di reggersi sulle gambe come noi, viene raccolto sulla spiaggia da un bambino che, accortosi di come questo parli e sia cortese, lo invita a casa presentandolo ai genitori. Mamma e papà, tuttavia, avanzano pesanti riserve, alla richiesta di tenerlo lì da loro, anche perché in questo caso non è un modo dire: l'ospite puzza, e ben prima dei canonici tre giorni!
Ma la famiglia è povera e al padre è già venuto in mente di vendere il bestione per farlo bollire e ricavarci un bel po' di denaro. Fa l'errore di dirlo a voce alta, però, e il granchio (non ha nome, lo chiamano tutti così, e d'altra parte lui finisce quasi ogni frase inserendo a sproposito la parola "granchio"), che ascoltava dietro una porta, fugge giustamente di casa andandosene all'avventura. Lo vediamo nella metro mentre nessuno gli bada, come se fosse normale trovarsi una cosa simile seduta a fianco. D'altronde, in caso contrario, l'intero film dovremmo passarlo ad ascoltare gente sconvolta che urla al solo apparire del nostro eroe... Il quale intanto capisce che per farsi una posizione dovrà trovare un lavoro. Finisce così a fare il cameriere in un night, mentre un giorno, al mercato del pesce, notando quanto la "polpa" di granchio sia rinomata, si apre una fenditura nella corazza ed estrae la sua, rivendendola a caro prezzo. Ottimo, se non fosse che, senza di quella, il nostro perde i sensi e quando li riprende si ritrova completamente "scemo"! Un tallone d'Achille di cui nel corso del film qualcuno approfitterà.
Al lavoro il buon granchio conosce un'avvenente entraîneuse e non sarà l'unica donna di cui s'innamorerà. Perché il poveretto prova anche dei sentimenti, e quando abbraccerà un'altra ragazza per cui stravede (e che salva dal suicidio) proverà sensazioni indescrivibili! Su di lui, frattanto, ha messo le mani la yakuza, scoprendo come sappia fare delle splendide bolle di sapone (la cui utilità poi... mah).
Passiamo però al motivo per cui diventerà portiere, come suggerisce il titolo: mentre una sera è alle prese con il suo nuovo lavoro di servitore al bar, qualcuno nota come Granchio si sposti a velocità incredibili orizzontalmente (come tutti i granchi, del resto), passando da una parte all'altra del bancone in una frazione di secondo. Perché non provare a vedere se riesce a fare la stessa cosa anche mettendolo in porta? Eccolo così arruolato nei God Hands da un allenatore lungimirante, nonostante il presidente della squadra faccia giustamente notare che il loro campo "è sacro! Non è fatto per i frutti di mare!".
Non sarà una lunga avventura, quella nel calcio, tutta concentrata com'è in un'unica partita. I rivali sono i temibili Daemon Stars, pronti a estrarre (quando il gioco si fa duro...) coltelli e altri arnesi appuntiti assalendo gli avversari uno a uno senza che nessuno protesti più di tanto. Ma a contare le follie, in film così, si perde presto il conto. Il make-up del granchione si limita a lavorare bene giusto sulla bocca a tanti denti, il resto è parecchio rigido, con le gambe dell'animatore che spuntano sotto.
Fondamentali il rapporto col bambino amico fedele, presenza costante in ogni favola giapponese (affiggerà pure un manifesto con un rozzo disegno e la scritta sotto “Cerchiamo questo granchio”!), il carattere ingenuo e sincero del granchio... Sarebbero in questo caso fondamentali anche gli effetti speciali, che invece non si rivelano purtroppo all'altezza di quelli visti in altre produzioni analoghe, ridotti a un uomo mascherato che saltella, cammina di lato e quando è in porta viene velocizzato da rozzi effetti in moviola. Dialoghi elementari, regia approssimativa di Kawasaki. L'importante era inventare un buon numero di idee demenziali ed effettivamente quelle non mancano...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA